una chiesa nella bufera che riconosce la sua colpevolezza

pedofilia

il papa: la chiesa è colpevole

di Luca Kocci
in “il manifesto” 

Proprio commentando il rapporto, il Papa ha affermato che “benché si possa dire che la maggior parte dei casi riguarda il passato, tuttavia, col passare del tempo abbiamo conosciuto il dolore di molte delle vittime e constatiamo che le ferite non spariscono mai e ci obbligano a condannare con forza queste atrocità, come pure a concentrare gli sforzi per sradicare questa cultura di morte; le ferite ‘non vanno mai prescritte'”

«Le autorità ecclesiastiche non sempre hanno saputo affrontare in maniera adeguata i crimini e gli abusi commessi da membri della Chiesa». Papa Francesco, nell’udienza del mercoledì in piazza San Pietro, parla del suo viaggio a Dublino per l’Incontro mondiale delle famiglie appena concluso, ma torna anche sulla pedofilia, la questione che in questi giorni, con le rivelazioni di mons. Viganò, è sotto i riflettori. «La mia visita in Irlanda, oltre alla grande gioia, doveva anche farsi carico del dolore e dell’amarezza per le sofferenze causate in quel Paese da membri della Chiesa», ha detto il papa. «Un segno profondo ha lasciato l’incontro con otto sopravvissuti, ho chiesto perdono al Signore per questi peccati», incoraggiando i vescovi a «rimediare ai fallimenti del passato con onestà e coraggio». Non una parola, da parte del papa, sul dossier Viganò, che lo accusa di aver ignorato le informazioni sugli abusi sessuali su minori e seminaristi compiuti dall’ex arcivescovo di Washington, McCarrick, a cui lo scorso 27 luglio Francesco ha tolto la berretta cardinalizia. Rispondere nel merito significherebbe riconoscere un qualche coinvolgimento nella vicenda, che Bergoglio vuole evitare. Ma non è detto che questa sia la condotta più efficace per allontanare le ombre. Dal Vaticano trapela solo che il papa non pensa affatto alle dimissioni, come gli chiede Viganò. Da parte sua Viganò, in un’intervista ad Aldo Maria Valli (istituzionale vaticanista del Tg1, che però nel suo blog non nasconde critiche alla linea riformista di Francesco), conferma il proprio racconto, spiega di aver parlato «perché ormai la corruzione è arrivata ai vertici della Chiesa», respinge le accuse di chi insinua che abbia parlato per rivalsa, dopo che la sua carriera in Vaticano – su cui indubbiamente puntava – è stata stroncata, soprattutto dal card. Bertone, in parte da Francesco («rancore e vendetta sono sentimenti che non mi appartengono»). Frattanto la genesi, l’elaborazione e il lancio del dossier di Viganò assumono contorni più definiti. A cominciare dal fatto che si tratta di un documento redatto a quattro mani: i contenuti li ha forniti il prelato, la forma l’ha confezionata Marco Tosatti, vaticanista della Stampa in pensione e ora una delle punte dell’opposizione conservatrice a Francesco dal suo blog Stilum Curiae. «Abbiamo scritto l’articolo insieme», ha spiegato Tosatti al Corriere, e all’Associated Press ha detto di aver lavorato sul materiale di Viganò per renderlo «giornalisticamente utilizzabile». Che sia stata un’operazione studiata a tavolino emerge dal racconto di Valli, il quale ha ricevuto il dossier direttamente da Viganò perché lo pubblicasse, insieme ad altri media conservatori statunitensi e spagnoli e al quotidiano di Maurizio Belpietro La Verità: «Concordiamo il giorno e l’ora della pubblicazione – racconta Valli -. Nello stesso giorno e alla stessa ora pubblicheranno anche gli altri. Domenica 26 agosto perché il papa, di ritorno da Dublino, avrà modo di replicare rispondendo alle domande dei giornalisti in aereo». L’esistenza di una regia ovviamente non toglie valore alle affermazioni di Viganò, che tuttavia presentano qualche falla. Per esempio quando racconta che nel 2010 papa Ratzinger avrebbe disposto delle misure restrittive nei confronti di McCarrick (non risiedere più in seminario, divieto di celebrare e apparire in pubblico) che però rimasero riservate e inapplicate. E resta l’enorme ritardo con cui lo stesso Viganò – a conoscenza delle malefatte di McCarrick dal 2000 – ha denunciato il caso. Al di là dei dettagli, due nodi evidenzia il rapporto Viganò, prendendo per autentiche le sue parole. Che la pedofilia è un macigno nella vita della Chiesa cattolica – sono coinvolti gli ultimi tre pontefici (Wojtyla, Ratzinger, Bergoglio) e i rispettivi segretari di Stato (Sodano, Bertone, Parolin) – evidentemente figlio di un sistema malato, che riguarda seminari, formazione del clero, ruolo del prete. E che la Curia romana costituisce un centro di potere dove è in corso una perenne guerra per bande, a colpi di dossier, spesso tirando in ballo pedofilia ed inclinazioni sessuali, che sono chiaramente nervi scoperti. Insomma non problemi contingenti, ma di sistema.

il vangelo è una cosa seria e ‘pericolosa’

le rimozioni dal vangelo

«Con una chiesa universalmente ritenuta ricca, insomma, come dovremmo poter mai incarnare in modo persuasivo ed efficace quella resistenza che il messaggio di Gesù oppone alla nostra stessa mentalità di integrati nella società del benessere?»

JB Metz

 

Il Vangelo evidentemente soffre di rimozioni forzate ad opera dei predicatori abilitati e di quelli che si autoconsegnano la patente di interpreti autentici. Ad esempio: perché è così difficile affermare che la ricchezza è un male in sé in quanto appropriazione indebita del non-necessario? Infatti la sottrazione è ineludibilmente l’altra faccia della medaglia dell’accumulo.
«Le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case.

Quale diritto avete di schiacciare il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri» (1).
È così difficile affermare che la ricchezza è antievangelica, l’ostacolo concreto alla diffusione dell’utopia liberante del Regno? Noi affermiamo il diritto per tutti ad una vita dignitosa resa possibile dalla pratica della compassione e della solidarietà. Il diritto al lusso non è espressione né del Vangelo né dell’umanesimo conseguente.

Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore  e piangerete (2).

Questo, certo, non significa che i ricchi non possano salvarsi ma si devono convertire redistribuendo o meglio restituendo. Gesù è andato a casa del capo degli oppressori per indurlo a cambiare vita, non per legittimarlo come avviene troppo spesso nei ricevimenti della c.d. autorità in Vaticano. Infatti Zaccheo risponde: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»(3) mentre gli altri, dopo la foto di rito con il Papa, rispondono continuando a bombardare, a negare i diritti fondamentali, a destabilizzare altri Paesi per interessi economici.

Un’altra forma di rimozione forzata riguarda la persona e la prassi di Gesù a vantaggio di una dottrina elaborata da uomini. Il Vangelo che siamo chiamati a vivere non consiste propriamente nella memorizzazione di un libro, né tantomeno di un codice, ma è una relazione con la Persona di Gesù, l’imitazione delle sue scelte concrete e l’adozione del suo paradigma non come imposizione ma come presupposto per realizzare pienamente la nostra libertà e dignità.

«Guai a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»(4)

Il Concilio Vaticano II ha ribaltato la prospettiva (5) mettendo effettivamente al centro la Persona di Cristo rispetto alle conoscenze dogmatiche ma, a distanza di circa cinquanta anni, l’atteggiamento legalista, cattedratico della gerarchia è mutato più nella forma che nella sostanza. Pur riscontrando nei documenti e nella predicazione una maggiore consapevolezza dei disagi esistenziali e sociali del popolo di Dio rimane lo scandalo ancora non rimosso della distanza dalle sofferenze reali. La mera enunciazione, senza le opere concrete, dell’opzione preferenziale per i poveri e gli oppressi è il macigno che pesa sulla coscienza della Chiesa-Istituzione e ne mina la credibilità.

(1) Isaia 3, 14-15

(2) Vangelo di Luca 6, 24-25

(3) Vangelo di Luca 19, 8

(4) Vangelo di Luca 11,46

(5) Dei Verbum, 4;Cfr Teresa di Lisieux, LT 165 «Custodire la parola di Gesù, ecco l’unica condizione della nostra felicità, la prova del nostro amore per lui. Ma che cos’è questa parola? Mi sembra che la parola di Gesù sia lui stesso» in Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, Opere complete. Scritti e ultime parole, Editrice Vaticana-OCD, Città del Vaticano-Roma 1997, p. 484

il vero significato della croce

solo per amore

da Altranarrazione 

Hai piantato la croce

nel nulla per donargli senso,

nel dolore per donargli dignità,

nell’esclusione per donarle riscatto,

nella fragilità per donarle benedizione,

nell’egoismo per donargli redenzione,

nell’oppressione per donarle giustizia,
nell’Impero per donargli contraddizione,

nel potere religioso per donargli spirito di servizio,

nell’abisso per donargli speranza,

nel ritualismo per donargli confidenza,

e nella morte per donarle Vita vera.

Per questo, noi, conquistati dal tuo Amore, anche se ancora vediamo in maniera confusa e conosciamo in modo imperfetto (1), non vogliamo fuggire dall’ignominia della croce ma, al contrario, testimoniarti come Cristo crocifisso, scandalo per gli osservanti senza misericordia e stoltezza per i dotti senza mistica (2).

(1) 1 Corinzi 13, 12

(2) Cfr.  1 Corinzi 1, 22-25

una lettera a papa Francesco nel momento in cui è pugnalato alla schiena

carissimo Francesco,

nel settembre 2015, intervistato da una radio portoghese, ti chiedevi come sarebbe stata la tua croce. Eccola, o almeno eccone una. Dopo le prime avvisaglie dei mesi scorsi, hai ricevuto la risposta che desideravi. È la croce più bella, la più gloriosa. È quella dei profeti, la stessa del Salvatore: il discredito operato dalla gerarchia dei dossier, il sinedrio che si riprende la rivincita sulla benevolenza dimostrata dal popolo. La burocrazia che rimette sotto sequestro il carisma, confermando l’impossibilità (con l’azione di un singolo -anche se Papa- e dall’alto) di riuscire a sanare la corruzione morale diventata struttura e sistema. Ci vorrebbe una rivolta della base, ma la base è abituata ad obbedire nel senso di adulare, e non di ascoltare. Quindi si farà stordire, rimarrà alla finestra e dopo ti abbandonerà. Sbadigliante e balbettante, come sempre. Incapace di analizzare oggettivamente e restia a schierarsi, per non perdere le piccole sicurezze.  E noi, invece, gioiamo per te, perché in questa solitudine (anche se apparentemente amara) l’Amore di Dio si manifesterà ancora più potentemente nella tua vita, ormai purificata da applausi, selfie, e pubblici riconoscimenti. Potrai lasciare ogni tentennamento, ogni concessione al poco evangelico “politicamente corretto” ed essere radicale, come desideri e come lo Spirito ti suggerisce. Potrai girare la piramide secondo le disposizioni del Concilio Vaticano II. Potrai riportare la Chiesa nelle strade a farsi salvare dagli oppressi e a denunciare l’iniquità sociale. Potrai seguire l’esempio del Santo di Assisi e liberare la Chiesa dal demone della ricchezza e dei privilegi. Potrai spingerci ad entrare, finalmente, nel Nuovo Testamento, quello dei due comandamenti dell’Amore, del volto autentico di Dio: Misericordia e Compassione. Potrai contribuire a guarire la Chiesa dal maschilismo coinvolgendo e responsabilizzando davvero le donne e a guarirla dal clericalismo coinvolgendo e responsabilizzando davvero i c.d. laici.

Coraggio Francesco!

Scruta i segni dei tempi ed interpretali alla luce del Vangelo (GS,4) e non del diritto canonico. È questo il tempo opportuno: il Signore invita i testimoni a subentrare ai funzionari.

Ti ringraziamo perché hai restituito la cittadinanza nella Chiesa a quelli come noi che fanno dell’opzione preferenziale per i poveri l’unica ragione di vita.

E ringraziamo Dio perché i nostri occhi hanno potuto vedere l’Evangelii Gaudium, la Laudato Si’, e i venerdì della misericordia. E sappiamo che molte persone, in passato, avrebbero voluto vedere e ascoltare queste cose e non le hanno potute vedere ed ascoltare (Mt 13, 16-17).
Anche per questo, affidandoti a Maria e a Santa Teresa di Gesù Bambino, chiediamo al Signore di benedirti.

Un abbraccio
da Altranarrazione

intorno a quelle navi si gioca la partita del nostro sentirci cristiani

i cattolici alla sfida dei migranti

di Giuseppe Lupo
in “Il Sole 24 Ore”

“Proprio intorno a quelle navi si gioca la partita del nostro sentirci cristiani: non solo Dio si traveste nei panni del migrante e del senza patria – è stato Cristo a raccontarcelo -, ma se avessimo più coraggio, se davvero fossimo convinti di ciò, andremmo a “inginocchiarci” ai piedi di costoro anziché tenerli in acque alla deriva o nelle gabbie dell’inciviltà e al termine del nostro operare finiremmo per ricevere dalle loro mani, paradossalmente, il battesimo di uomini”

È il caso di fissare bene le premesse di partenza, ma se i dati reali dovessero confermare quanto è stato annunciato dai recenti sondaggi – e cioè che l’elettorato di area cattolica simpatizzi apertamente per la linea dura del ministro Salvini sul tema degli immigrati tanto da raddoppiare i consensi all’interno di quell’area – ci sarebbe da chiedersi quanto ancora riesca a influire la presenza di una Chiesa, ufficialmente schierata su posizioni contrarie, nelle scelte di un ipotetico ritorno alle urne. Non che questo sia un discorso necessitante ai fini degli equilibri di una nazione, anzi è sempre stata negli auspici di un certo pensiero cristiano-riformista l’autonomia della politica rispetto a qualsiasi credo religioso. Qualcosa del genere, per esempio, è accaduto non tanto in occasione del referendum sull’aborto, quanto nella battaglia contro l’abrogazione della legge sul divorzio, nel 1974, anno chiave per la vicenda di un post-Sessantotto ancora tutto da digerire. In quella circostanza una certa parte dell’intellighenzia cattolica assunse posizioni non condivise dai vertici del clero e votò liberamente. Si trattò di un fenomeno le cui radici affondavano nei pronunciamenti di un cristianesimo dalle larghe vedute, ortodosso nella sostanza di fede ma disposto al dialogo con chi avesse opinioni opposte, per effetto di una temperie culturale che issava le sue bandiere nelle figure di Lorenzo Milani, Zeno Saltini, Giovanni Rossi, Ernesto Balducci, il cui apostolato trasse forza nei crismi di una testimonianza ad alto valore politico, riconoscendo nei poveri e nei sofferenti la più alta lezione evangelica. Quel che sta accadendo in queste settimane invece assomiglierebbe a una sorta di regressione rispetto ai principi di modernità a cui quelle lontane esperienze di fede ci avevano abituati. Vorrebbe dire, in altre parole, non riconoscere più il paradigma della solidarietà come forma di redenzione umana (tema sul quale Bruno Forte ha ammonito domenica su queste colonne), come veicolo attraverso cui la regola del vangelo possa approdare nel vissuto di tutti e poi, giorno dopo giorno, modificare per sempre le rotte della Storia. Sarebbe davvero un peccato che una nazione in grado di generare Cesare Beccaria cadesse nell’errore della dimenticanza. Il problema dunque va guardato alla radice, fuori dalla semplicistica verità di una cronaca che vede penalizzare soprattutto le regioni dove le questioni occupazionali diventano un dato asfissiante e dove il vissuto concreto della gente riflette uno stato di incertezza economica. Va discusso cioè in chiave etica, come effetto di un’incomprensione tra ciò che predicano i vertici della Chiesa – e anche alcuni organi di informazione come «Avvenire» e «Famiglia Cristiana» – e ciò che invece alligna in quel magma eterogeneo di persone che fa sua una contraddizione: vivere le pratiche religiose, dedicarsi a una delle tante associazione di volontariato per poi vestire i panni demagogici della paura che sfocia nell’accondiscendenza alla chiusura dei porti. Un fenomeno di questo tipo andrebbe a minare i caratteri di una nazione che ha fatto dell’accoglienza un principio riconosciuto nella propria carta morale, oltre che in quella costituzionale. L’atteggiamento degli ultimi tempi, questo regredire nella sfera del particulare, allontana i propositi di un cristianesimo che il Novecento ci aveva abituati a vivere nelle sue forme democratiche, facendolo uscire fuori dalle parrocchie e dalle sagrestie per avviarlo sulle strade di una cultura che si affidava alla matrice della carità, su cui la lezione di Paolo di Tarso poneva regole costitutive.

Penso a quanto fossero vicine alla carità le problematiche affrontate da Manzoni, il più illuminista degli intellettuali cristiani. Penso a quanto sia stato nelle profezie di un libro come Il quinto evangelio di Mario Pomilio, il cui desiderio di cercare Dio trovava realizzazione nell’indagine su un Dio ancora tutto da inseguire e da aspettare nei territori della memoria. Sembrerà strano evocare il nome di due scrittori dalla forte tempra morale in un contesto che riguarda navi cariche di uomini senza più terra, ma è proprio nelle pagine di questi autori che risiedono le risposte a quanto oggi ci indigna per la discrepanza tra l’azione di pronunciare parole vuote e subire il ricatto della paura o vivere nella malinconia del proprio tempo operando in nome di quelle stesse parole quando esse sono obbligate a diventare carne o Storia. Proprio intorno a quelle navi si gioca la partita del nostro sentirci cristiani: non solo Dio si traveste nei panni del migrante e del senza patria – è stato Cristo a raccontarcelo -, ma se avessimo più coraggio, se davvero fossimo convinti di ciò, andremmo a “inginocchiarci” ai piedi di costoro anziché tenerli in acque alla deriva o nelle gabbie dell’inciviltà e al termine del nostro operare finiremmo per ricevere dalle loro mani, paradossalmente, il battesimo di uomini.

il tentativo di far dimettere papa Francesco fallisce ancora una volta

i corvi reazionari all’assalto di papa Francesco: amareggiato ma non pensa alle dimissioni

un attacco concentrico che è partito dal dossier stilato da monsignor Viganò e proseguito dagli Stati Uniti

Il cardinale Francesco Montenegro con papa Francesco

il cardinale Francesco Montenegro con papa Francesco

Una manovra concentrica stile Vatileaks per screditare Francesco e spingerlo in un angolo raccontata e soprattutto spiegata nelle sue dinamiche su Globalist dal vaticanista Gianni Di Santo.
L’attacco del cardinale statunitense Raymond Leo Burke
“La richiesta di dimissioni del Papa in ogni caso è lecita; chiunque può avanzarla nei confronti di qualsiasi pastore che sbaglia gravemente nell`adempimento del suo ufficio, ma i fatti devono essere verificati”. Lo dice a ‘la Repubblica’ il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, dopo l`uscita del dossier firmato dall`ex nunzio a Washington Carlo Maria Viganò che chiede le dimissioni di Bergoglio per non essere intervenuto a proposito dei rapporti sessuali avuti con più seminaristi dal cardinale Theodore Edgar McCarrick.
“Non ho niente di personale contro il Papa. Antagonista è qualcuno che ha qualcosa di personale contro un`altra persona. Io no. Tento semplicemente di difendere la verità della fede e la chiarezza nella presentazione della fede. È l’unica cosa che ho fatto e per questo mi hanno accusato di essere un nemico del Papa. Durante il Sinodo dei vescovi siccome ho difeso la costante prassi della Chiesa dicendo che è un peccato grave accedere all`eucaristia pur vivendo in una condizione oggettiva di peccato mortale mi hanno dipinto come un nemico”, ha aggiuhnto Burke.
Il dossier “mi ha scosso nel profondo perché l`insieme è gravissimo. Ho dovuto leggerlo più volte perché a una prima lettura mi ha lasciato veramente senza parole. Credo a questo punto che serva una risposta completa e oggettiva da parte del Papa e del Vaticano”, aggiunge Burke tra gli autori dei ‘Dubia’ con cui si chiedono chiarimenti sulla dottrina al Santo Padre.

Le accuse del Procuratore generale della Pennsylvania
anche il procuratore generale della Pennsylvania sostiene di avere di avere “le prove” che la Santa Sede sapeva della copertura degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica.
“Non c’erano solo abusi sessuali diffusi, stupri di bambini, c’era una sistematica copertura che arrivava fino in Vaticano”, ha detto Josh Shapiro, alla Nbc. “Abbiamo le prove che il Vaticano sapeva e ha coperto gli abusi. Non posso parlare specificatamente di papa Francesco”, ha poi aggiunto il procuratore.
Nel rapporto del grand giurì vengono riportati “scabrosi dettagli” che includono stupri, aborti, confessione e occultamenti. Alcune vittime erano adolescenti, mentre altre erano in età prepuberale. Diverse sono finite nel gorgo della dipendenza dall’alcol e droga e alcuni sono hanno tentato persino il suicidio.
È orribile pensare a quello che questi uomini di Dio hanno fatto a questi bambini e poi avere l’occultamento che è stato letteralmente intenzionale per proteggere i preti dalle forze dell’ordine”, ha detto Shapiro. La stragrande maggioranza dei preti già identificati è morta o i reati sono troppo vecchi per essere perseguiti in base alla legge dello Stato.

dove puoi davvero incontrare Cristo

incontrare Cristo

«Incontrerai Cristo, che siede in trono, in cielo.
Aspettalo quando egli è sotto i ponti, aspettalo quando ha fame e trema dal freddo, aspettalo come forestiero»

Sant’Agostino

 

Gesù incarnandosi scende nell’abisso, la Chiesa-istituzione tende a chiudersi nell’Iperuranio.

Noi, invece, vogliamo incontrare Cristo, siamo stanchi di ascoltare parole vuote, di maniera, patinate.

Allora usciamo e percorriamo strade a caso ma rigorosamente senza negozi, bancomat, dove non si svolgono passeggiate ostentate e non si scambiano sguardi di tipo economico.

Incontriamo Cristo che ci chiede una coperta per ripararsi dal freddo. Ha gli occhi bassi, persi nel vuoto, mentre ci racconta la sua disperazione di escluso, senza possibilità. Allontanato, identificato, colpevole di non essere annegato e di chiamare Dio con un altro nome.

Incontriamo Cristo all’alba, a nord della città, in fila per la distribuzione degli indumenti; lo incontriamo a pranzo, a sud della città, per la distribuzione del pasto; lo incontriamo, nel pomeriggio, ad est della città, per le pratiche dei documenti; lo incontriamo, la sera, ad ovest della città, nel dormitorio.

Incontriamo Cristo con due enormi buste di plastica piene di oggetti illegali. Nel Paese dell’impunità per mafiosi e corrotti, viene fermato alla quattordicesima ora di itineranza commerciale. Reati contestati: pellegrinaggio non autorizzato e concorrenza sleale alle multinazionali.

Poi incontriamo un uomo. È disteso in terra, sanguina. Qualcuno, coperto dalla bandiera della nostra civiltà, gli ha sparato. Un ragazzo, tra le persone sopraggiunte, chiede: “Conoscete il suo nome?”. Noi, con gli occhi bassi, raccontando la sua disperazione di escluso, senza possibilità, rispondiamo: “Si chiama Cristo”.

Sfiniti, entriamo in Chiesa per riprendere fiato, per trovare un po’ di pace e un po’ di senso. Vogliamo ascoltare la Parola di Dio, quella cioè rivolta agli orfani e alle vedove ed unirci a Colui che ha dato la vita perché agli ultimi fosse restituita.

a proposito del tentativo di golp contro papa Francesco

 

ecco i fatti e gli omissis del dossier Viganò contro Francesco

lettura ragionata del report dell’ex nunzio che chiede le dimissioni del Pontefice e delle sue contraddittorie conclusioni
di ANDREA TORNIELLI
“non si tratta semplicemente dello sfogo di un uomo di Chiesa stanco del marcio che ha visto attorno a lui, ma di un’operazione organizzata da tempo e con cura, nel tentativo di far dimettere il Pontefice e lo dimostrano il timing e il coinvolgimento della stessa rete mediatica internazionale che da anni propaga – spesso servendosi di anonimi – le istanze di coloro che vorrebbero rovesciare il risultato del conclave 2013″

2 maggio 2012, regnante Benedetto XVI, il nunzio Viganò partecipa all’assegnazione di un premio al cardinale al “sanzionato” cardinale McCarrick (foto tratta dal blog del cardinale Sean O’Malley)

 

«Credo che il comunicato di Viganò parli da sé, e voi avete la maturità professionale per trarre le conclusioni». Con queste parole, rivolte ai giornalisti sul volo di ritorno da Dublino, Francesco ha invitato a leggere il dossier di 11 pagine divulgato dall’ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò, che chiede le dimissioni del Papa accusandolo di aver coperto l’83enne cardinale emerito di Washington Theodore McCarrick, che aveva avuto relazioni omosessuali con seminaristi maggiorenni e sacerdoti. Bisogna dunque partire dalla lettura attenta testo, analizzarlo, separare i fatti riportati dalle opinioni e dalle interpretazioni. E soprattutto dalle omissioni.

La clamorosa decisione del diplomatico vaticano di violare il giuramento di fedeltà al Papa e il segreto d’ufficio rappresenta l’ennesima bordata contro Francesco portata avanti in modo organizzato dagli stessi ambienti che un anno fa avevano cercato di arrivare a una sorta di impeachment dottrinale, dopo la pubblicazione dell’esortazione “Amoris laetitiaˮ. Tentativo non riuscito. Viganò è infatti tra i firmatari della “Professioneˮ nella quale si afferma che il magistero di Papa Bergoglio diffonde il divorzio, ed è ben collegato agli ambienti più conservatori Oltreoceano e in Vaticano. Che non si tratti semplicemente dello sfogo di un uomo di Chiesa stanco del marcio che ha visto attorno a lui, ma di un’operazione organizzata da tempo e con cura, nel tentativo di far dimettere il Pontefice lo dimostrano il timing e il coinvolgimento della stessa rete mediatica internazionale che da anni propaga – spesso servendosi di anonimi – le istanze di coloro che vorrebbero rovesciare il risultato del conclave 2013. E lo attestano le stesse testimonianze scritte nei vari blog dai giornalisti che hanno pubblicato il dossier di Viganò: sempre in prima fila nella difesa della famiglia tradizionale, ma noncuranti di sganciare la “bombaˮ proprio nel giorno in cui Francesco concludeva con una grande messa l’incontro internazionale delle famiglie.

La denuncia del 2000

Innanzitutto, i fatti, presumendo che quanto affermato da Viganò sia vero. Il 22 novembre 2000 il frate domenicano Boniface Ramsey, scrive al nunzio apostolico negli Usa Gabriel Montalvo e lo informa di aver sentito voci secondo le quali McCarrick aveva «condiviso il letto con seminaristi». Un giorno prima, il 21 novembre, Giovani Paolo II nominava McCarrick arcivescovo di Washington. Viganò annota che questa segnalazione trasmessa dal nunzio alla Segreteria di Stato, guidata allora dal cardinale Angelo Sodano, non ebbe alcun seguito. Va notato: la prima denuncia che arriva in nunziatura e da qui in Vaticano è immediatamente successiva alla nomina a Washington. Ci si può comunque chiedere perché, se queste voci su MacCarrick erano così diffuse e insistenti, ciò non gli abbia precluso: la nomina ad ausiliare di New York (nel 1977, alla fine del pontificato di Paolo VI), quindi la nomina a vescovo di Metuchen (nel 1981, all’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II), quindi il trasferimento all’arcidiocesi di Newark (nel 1986, sempre con Papa Wojtyla) e infine la promozione a Washington (2000) e la creazione cardinalizia (2001)

Tutta colpa di Sodano

L’anno successivo alla promozione a Washington dunque Wojtyla includeva McCarrick nel collegio cardinalizio. Nel suo dossier Viganò scarica – senza alcun indizio – la “colpaˮ della nomina su Sodano spiegando che il Papa all’epoca era già ammalato e quasi incapace di intendere e di governare la Chiesa. Chiunque abbia conoscenza di cose vaticane sa che ciò non è vero, almeno non era vero nell’anno 2000: Giovanni Paolo II vivrà per altri cinque anni. E sa anche che allora, nello stretto entourage wojtyliano che controllava le nomine, c’erano il segretario particolare del Papa Stanislaw Dziwisz (un nome che Viganò omette) e il Sostituto della Segreteria di Stato poi Prefetto dei vescovi Giovanni Battista Re (che Viganò nomina però scagionandolo). Quella prima segnalazione, senza denuncianti che se ne assumessero responsabilità in prima persona, forse non era ritenuta attendibile? O il potere – anche finanziario – di McCarrick è stato in grado di aprire porte vaticane che dovevano rimanere chiuse? Un dubbio può essere sollevato sulla nomina a Washington, ma perché nessuno ritiene di indagare prima dell’elevazione cardinalizia dell’anno successivo? Sodano non ha trasmesso la denuncia al Papa? Ma perché il nunzio, se era così certo degli abusi commessi sui seminaristi e preti (sempre maggiorenni), non ha insistito chiedendo udienza a Giovanni Paolo II?

Le “sanzioniˮ di Benedetto XVI

Nuove denunce arrivano nel 2006, quando il Papa è Benedetto, il Segretario di Stato è Tarcisio Bertone. Questa volta entra in scena un ex prete e abusatore di bambini Gregory Littleton, il quale fa avere al nunzio negli Usa (in quel momento monsignor Pietro Sambi) una memoria nella quale racconta di essere stato anch’egli molestato sessualmente da McCarrick (sempre da maggiorenne). Viganò prepara un appunto per i superiori, che non rispondono. Vale la pena di ricordare che in quel momento McCarrick è però già in pensione: il nuovo Papa Benedetto XVI il 16 maggio 2006 ha accolto le dimissioni doverosamente presentate l’anno precedente, il 7 luglio 2005, allo scoccare dei canonici 75 anni. Se le voci e le denunce erano così diffuse e note, perché McCarrick non è stato dimissionato subito, al compimento dei 75 anni? Nel 2008 circolano nuove accuse di comportamenti impropri McCarrick e di nuovo Viganò scrive di aver mandato ai superiori un ulteriore appunto. Questa volta qualcosa sembra essersi mosso, seppure con i tempi non celerissimi della burocrazia vaticana. Sarebbe infatti intervenuto un ordine sanzionatorio di Benedetto XVI contro il cardinale ormai emerito e pensionato. Sulla data di questa sanzione Viganò non può essere preciso: in quel momento ha infatti lasciato il posto in Segreteria di Stato, dove coordinava il lavoro del personale delle nunziature, ed è stato nominato segretario del Governatorato. Dunque, se Viganò afferma il vero – e dobbiamo presumere che lo faccia – «nel 2009 o nel 2010», Benedetto XVI sarebbe intervenuto ordinando a McCarrick di fare vita ritirata, di preghiera e di non abitare più nel seminario neocatecumenale Redemptoris Mater da lui aperto a Washington.

Restrizioni misteriose

Questo ordine di Benedetto non diventa pubblico e viene trasmesso dalla Santa Sede al nunzio a Washington (Sambi) perché lo comunichi all’interessato. Indulgenza per un cardinale ormai vecchio e in pensione al quale si vuole risparmiare l’onta della sanzione pubblica? Oppure le prove non sono state considerate sufficienti da Benedetto XVI, il quale, se è all’origine della sanzione, doveva ovviamente essere stato adeguatamente avvertito di quanto McCarrick aveva commesso? Papa Ratzinger dunque sapeva ma ritenne sufficiente raccomandare al cardinale già pensionato di starsene tranquillo in disparte. Vale la pena di ricordare: nessuno ha mai parlato, men che meno denunciato, abusi su minori. Stiamo parlando di molestie a persone maggiorenni, ma che si profilano come veri e propri abusi, dato che è il vescovo a invitare a letto i propri seminaristi o i propri preti: non esiste una situazione di parità, prima che sessuale, è un abuso di potere clericale. Anche se nessuno ha mai detto che per invitare a dormire con lui seminaristi ormai prossimi al sacerdozio e giovani preti, lo “zio Tedˮ (come McCarrick si faceva chiamare) abbia usato forme di violenza o minacce. Ci si può domandare: ma se questi fatti gravi erano così acclarati ed evidenti, perché non comminare al cardinale una sanzione esemplare e pubblica, chiedendogli di vivere ritirato in penitenza?

Perché nessuno vigila?

Qualche dubbio sul reale contenuto delle sanzioni è più che lecito, soprattutto alla luce di ciò che accade dopo. Il dossier di Viganò lascia intendere che negli ultimi tre o quattro anni del pontificato ratzingeriano McCarrick sia vissuto come un eremita o come un monaco di clausura e che soltanto dopo l’elezione di Francesco gli sia stata aperta la gabbia. Ancora una volta bisogna attenersi ai fatti documentati, e non è affatto così. La realtà è diversa e documentabile. A portata di tutti, basta cliccare sul web. Durante gli ultimi anni del pontificato di Raztinger McCarrick non cambia il suo modo di vivere: è vero che lascia il seminario dove risiedeva, ma celebra ordinazioni diaconali e sacerdotali a fianco di importanti porporati della Curia romana stretti collaboratori di Papa Ratzinger, tiene conferenze. Il 16 gennaio 2012 partecipa insieme ad altri vescovi statunitensi a un’udienza con Benedetto XVI in Vaticano e il suo nome tra i partecipanti viene segnalato nel bollettino della Sala Stampa della Santa Sede. Il 16 aprile 2012 incontra di nuovo Benedetto all’udienza della Papal Foundation e festeggia insieme a tutti i presenti il compleanno del Pontefice. Viaggia e torna a Roma nel febbraio del 2013 per accomiatarsi dal Papa dimissionario che gli stringe la mano sorridente (tutto immortalato dalle telecamere della TV vaticana). È evidente che la sua posizione non era ritenuta così grave, che gli indizi di colpevolezza non erano giudicati così evidenti e che le sanzioni non dovevano essere così restrittive.

Anche Viganò a fianco di McCarrick

E anche lo stesso Viganò, nel frattempo allontanato dal Vaticano per decisione di Benedetto XVI che lo “promuoveˮ nunzio a Washington, non appare affatto preoccupato della situazione. Sono documentate sue partecipazioni ad eventi pubblici con il porporato molestatore, come concelebrazioni negli Stati Uniti o come l’attribuzione di un premio a McCarrick (il 2 maggio 2012, Pierre Hotel in Manhattan), cerimonia durante la quale Viganò appare tutt’altro che indignato o imbarazzato di farsi fotografare a fianco del vecchio cardinale molestatore. Perché ora che aveva il potere di arrivare direttamente a Benedetto XVI, in qualità di suo rappresentante in una delle sedi diplomatiche più importanti del mondo, il nunzio Viganò non si ribella, non agisce, non chiede udienza, non fa rispettare le disposizioni restrittive?

Il coinvolgimento di Francesco

Il Papa attuale, vero e unico bersaglio dell’intera operazione, entra in scena nel giugno 2013, pochi mesi dopo la sua elezione. Ricordiamolo: McCarrick, ultraottantenne, non ha partecipato al conclave, è un cardinale pensionato ma iperattivo. Continua a viaggiare per il mondo, a tenere conferenze, a presiedere celebrazioni. Viganò va in udienza da Francesco. È il Papa a fargli una domanda su McCarrick e Viganò gli fa presente che il cardinale «ha corrotto generazioni di seminaristi e di sacerdoti» e che in Vaticano c’è un dossier che lo attesta. Attenzione: non è Viganò a parlare in modo preoccupato del cardinale. È il Papa che chiede un giudizio. Il nunzio non dice di aver consegnato a Bergoglio un appunto sulla vicenda né di avergli chiesto di intervenire. Oggi, indignato, Viganò scrive delle sanzioni di Benedetto XVI che nessuno conosce, ma – sempre ammesso che esistano – lui come nunzio non sembra aver agito per farle rispettare. Quella risposta è tutto ciò che dice al Papa.

McCarrick consigliere?

Viganò scrive ancora che il vecchio cardinale sarebbe diventato, nei primi anni del pontificato di Francesco, un suo consigliere, in particolare per le nomine americane. Non adduce, almeno fino a questo momento, alcuna prova. Sostiene invece – e anche qui non c’è ragione di non credergli – che in quel primo incontro del giugno 2013 il nuovo Papa gli avrebbe raccomandato: «I vescovi negli Stati Uniti non devono essere ideologizzati, devono essere dei pastori». Siccome nei mesi successivi anche McCarrick farà un’affermazione simile parlando con un monsignore della nunziatura (che lo riferisce poi a Viganò), l’ex nunzio che chiede le dimissioni del Pontefice ne deduce che vi sia proprio McCarrick dietro l’atteggiamento di Bergoglio nei confronti della Chiesa Usa. Una debolissima deduzione. È infatti molto più semplice e plausibile ipotizzare che di sua iniziativa Francesco – il quale conosceva la Chiesa americana – avesse ripetuto a varie persone che incontrava quella frase sui vescovi che «non devono essere ideologizzati» ma devono essere «pastori». Peraltro, per comprendere che proprio questo è uno dei punti insistenti del suo magistero sull’episcopato basta leggere i discorsi del Papa, che la pensava così ben prima del conclave del 2013.

La smentita dell’ex ambasciatore

Un’interessante confutazione della teoria di Viganò è arrivata ieri dall’ex ambasciatore statunitense presso la Santa Sede, Miguel Diaz, nominato nel maggio 2009, i quale si è detto sorpreso per aver letto le affermazioni di Viganò a proposito delle parole di Francesco sui vescovi americani, «perché mi hanno subito fatto venire in mente che durante il mio primo incontro con il nunzio Sambi nella sua residenza aWashington (siamo ancora nel pontificato di Benedetto XVI, ndr)» egli disse che «abbiamo bisogno di vescovi americani che siano meno politici e più pastorali, non cultural warriors (guerrieri culturali, ndr)». Dunque già sotto Papa Ratzinger l’indicazione che arrivava al nunzio apostolico negli Usa era quella di nominare vescovi pastori e non “guerrieri culturaliˮ. Evidentemente la questione dell’eccessivo collateralismo dell’episcopato Usa con certe posizioni politiche e un certo interesse unilaterale soltanto per alcune questioni etiche era sentita come problematica già alla fine del pontificato ratzingeriano.

La nuova denuncia 

Passano quattro anni e mezzo e nel 2018 Oltretevere arriva, per la prima volta, la notizia di un abuso su un minore commesso cinquant’anni prima da McCarrick, giovane prete. La denuncia non era mai stata presentata prima, né mai nessuno – stando al report di Viganò – aveva prima parlato di possibili abusi su minori che coinvolgessero McCarrick. Viene aperto celermente un regolare procedimento canonico da parte della diocesi di New York, con la trasmissione degli atti alla Congregazione per la dottrina della fede. Emergono anche nuove notizie, rese note dalla diocesi di Newark, riguardanti due patteggiamenti con risarcimento danni che McCarrick ha pagato, relative a denunce di molestie presentate da seminaristi maggiorenni all’epoca dei fatti. Con una decisione che non ha precedenti nella storia recente della Chiesa, Francesco non soltanto impone il silenzio e la vita ritirata a McCarrick (quel silenzio e quella vita ritirata che prima non gli era stato imposto o se gli era stato imposto nessuno aveva fatto sì che egli si attenesse agli ordini) ma gli toglie pure la berretta cardinalizia. Il cardinale emerito di Washington non è più cardinale, è stato “s-porporatoˮ.

I fatti e logica stravolta

Non c’è dunque soltanto da chiedersi se ciò che racconta Viganò sia vero (come ripetono a mo’ di mantra i media che chiedono a gran voce le dimissioni di Francesco). C’è da chiedersi se la sequenza descritta da Viganò, le sue considerazioni, le sue omissioni, le sue interpretazioni sono ragionevoli e portano davvero ad attribuire una qualche responsabilità al Pontefice oggi regnante. In ogni caso, per rimanere ai fatti puri e crudi, e presumendo che ogni dettaglio raccontato dell’ex nunzio sia vero, ecco che cosa è accaduto. C’è un Papa santo il cui entourage (molto meno santo) ha promosso e fatto cardinale un vescovo omosessuale che abusava del suo potere portandosi a letto i seminaristi, anche se non è chiaro quante infomazioni dirette fossero pervenute su questo all’orecchio di Giovanni Paolo II, allora perfettamente in grado di intendere e di volere, al quale certamente non poteva passare inosservata l’importanza della nomina dell’arcivescovo di Washington. C’è un altro Papa oggi emerito, Benedetto, che (forse) avrebbe ordinato a questo cardinale di vivere ritirato ma senza essere poi in grado di far rispettare i suoi ordini, senza battere ciglio vedendoselo arrivare in Vaticano in più occasioni, e senza che il suo nunzio negli Usa (Viganò) avesse alcun problema a farsi ritrarre insieme a lui, a concelebrare con lui, a cenare con lui, a pronunciare discorsi in sua presenza. E c’è infine un Papa, Francesco, che a quel cardinale – nonostante fosse anziano e pensionato da tempo – ha tolto d’imperio la porpora dopo averlo ridotto al silenzio proibendogli di celebrare in pubblico. Eppure è di quest’ultimo che l’ex nunzio oggi indignato chiede la testa, probabilmente soltanto perché Francesco ha “osatoˮ nominare negli Stati Uniti qualche vescovo meno conservatore rispetto a quelli nominati in precedenza, quando a consigliare sulle nomine americane erano cardinali come Bernard Law. La strumentalità dell’operazione è evidente a chiunque rifletta sulla successione dei fatti, senza il bisogno rivangare informazioni tendenti a screditare la figura di Viganò.

 

 

quando un sistema economico crea degli ‘scartati’ è disumanizzante

gli scartati

la denuncia di papa Francesco

«Bisogna pensare solo a se stessi e non curarsi degli altri che restano indietro: il principio cardine del business»

(N. Chomsky)

Il capitalismo genera esclusione e povertà concentrando la ricchezza nelle mani di pochi

La reificazione (vedi Marx e G. Lukacs) è una delle conseguenze più inquietanti del modo di produzione capitalistico. Non solo si determina lo spostamento di valore dalle persone alle cose ma i singoli stessi si valutano secondo parametri di utilità funzionale o produttiva.  Chi è in esubero secondo le esigenze del capitale, chi non può produrre o semplicemente non raggiunge risultati quantificabili in termini economici non serve e quindi può essere scartato. Questa visione antropologica, ad altissima capacità di propagazione, riduce e uccide. Fa leva sugli istinti peggiori quelli cioè che sembrano realizzare l’uomo ed invece lo deformano. Riuscire a far parte di un sistema lasciando morti e feriti dietro il proprio passaggio appaga solo il delirio di onnipotenza ed innesca un inarrestabile processo di svuotamento dei contenuti essenziali.

testo di Papa Francesco:

è inaccettabile, perché disumano, un sistema economico mondiale che scarta uomini, donne e bambini, per il fatto che questi sembrano non essere più utili secondo i criteri di redditività delle aziende o di altre organizzazioni. Proprio questo scarto delle persone costituisce il regresso e la disumanizzazione di qualsiasi sistema politico ed economico: coloro che causano o permettono lo scarto degli altri – rifugiati, bambini abusati o schiavizzati, poveri che muoiono per la strada quando fa freddo – diventano essi stessi come macchine senza anima, accettando implicitamente il principio che anche loro, prima o poi, verranno scartati – è un boomerang questo! Ma è la verità: prima o poi loro verranno scartati – quando non saranno più utili ad una società che ha messo al centro il dio denaro”.

(dal Discorso di Papa Francesco alla Delegazione della “Global Foundation“, 14/01/2017)

tentativo di golpe contro papa francesco

il cattolicesimo negli Stati Uniti e il tentato golpe contro papa Francesco

Pope Francis boards the plane before departing for Dublin, Ireland from Leonardo da Vinci-Fiumicino Airport in Rome, Italy August 25, 2018. Picture taken August 25, 2018. Vatican Media/Handout via REUTERS ATTENTION EDITORS - THIS IMAGE WAS PROVIDED BY A THIRD PARTY

di Massimo Faggioli professore di Storia del Cristianesimo, Villanova University

Nella sua lettera del 20 agosto a tutto il popolo di Dio, Francesco ha identificato nel clericalismo la vera piaga della chiesa: ne dà conferma il tentato colpo di stato del fine settimana, con il memoriale pubblicato dall’ex nunzio negli Stati Uniti, Carlo Maria Viganò. La manovra è stata studiata a tavolino sia nei tempi sia nei modi – specialmente guardando ai giornalisti ostili a Francesco che si sono prestati – ed è fallita, almeno quanto al tentativo di spingere il papa alle dimissioni. Ma per capire quanto sta succedendo nella chiesa, questo momento va analizzato sulla rotta tra Stati Uniti e Vaticano.

Da una parte la manovra mostra la saldatura tra un’agenda personale, frutto di sogni di carriera infranti da parte di cordate avverse nel piccolo mondo vaticano, e un vasto disegno ideologico e teologico che negli USA prende corpo fin dalle primissime settimane del pontificato di Francesco. Già nel luglio 2013, ancora prima che Francesco prenda le iniziative più significative del pontificato, una parte della chiesa e dell’episcopato statunitense non si fa remore a palesare il proprio malcontento per un pontificato, quello di Francesco, non abbastanza conservatore e non allineato al conservatorismo politico che si era radicalizzato fin dal 2008, ovvero dopo l’elezione alla presidenza di Barack Obama. Questi vescovi e intellettuali cattolici vedono fin dall’inizio in papa Francesco una specie di Obama della chiesa, e adottano con Francesco una tattica simile a quella adottata per Obama: la delegittimazione.

Alle prese con lo scandalo degli abusi sessuali in America fin dal 2002, i vescovi americani nominati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI non possono prendersela col papato per aver creato una classe episcopale inetta a trattare la sola questione su cui avrebbero dovuto essere affidabili, ovvero “legge e ordine”. Il momento opportuno per attaccare Francesco viene offerto dalla tempesta perfetta dell’estate 2018 – i postumi del viaggio in Cile, le rivelazioni sull’ex cardinale Theodore McCarrick, le indagini su alcuni seminari negli Stati Uniti, e infine il rapporto del Grand Jury della Pennsylvania.

Chi pensa questa operazione accetta il rischio di puntare a papa Francesco senza curarsi del fatto che un attacco a Francesco sulla questione degli abusi avrebbe necessariamente coinvolto i suoi due immediati predecessori. Il tentato golpe contro Francesco dice dello stato in cui versa l’opposizione oltranzista contro Francesco, negli Stati Uniti specialmente: che la frangia tradizionalista accetti il rischio di danneggiare Benedetto XVI e Giovanni Paolo II – nel pantheon cattolico americano, visti come l’opposto di Francesco – dice molto della loro disperazione.

La scelta di papa Francesco di non difendersi dalle accuse contenute nel memoriale, durante la conferenza stampa di ritorno dall’Irlanda, va anche letta come il rifiuto di considerare le accuse contro altri – incluso Benedetto XVI – formulate in quel documento. Molti in Vaticano dovranno prima o poi dare delle spiegazioni: ma questa è questione che non tocca Francesco in prima persona, che è sempre rimasto alla larga dalle cordate curiali chiamate in causa dall’ex nunzio. Viganò e una certa destra cattolica negli Stati Uniti, che il nunzio a Washington frequenta tra 2011 e 2016, dando a volte l’impressione di lavorare più per gli ideologi di quella frangia che per il papa (come per la vicenda dell’incontro tra il papa e Kim Davis durante la visita di Francesco negli USA) si sono usati a vicenda. Sia Viganò sia quella parte della chiesa contestano a Francesco un diverso atteggiamento della chiesa verso la questione omosessuale, a loro avviso parte integrante del problema della pedofilia nella chiesa. Ma è una convergenza di interessi che nulla ha a che fare con la lotta contro la piaga degli abusi sessuali.

C’è poi un secondo elemento dell’operazione. Oltre a questa convergenza tra l’agenda personale di Viganò e l’agenda ideologica del mondo americano e anglosassone ostile a Francesco, l’altro elemento chiave per comprendere l’operazione e il motivo per cui è fallita è la transizione da un certo tipo di cattolicesimo conservatore a un altro negli Stati Uniti. Osservando le pubblicazioni e gli articoli di giovani giornalisti e intellettuali della nuova generazione di cattolici americani (nati negli anni ottanta-novanta) è percepibile come essi non rappresentino più il cattolicesimo neo-conservatore vecchia scuola (un nome per tutti, George Weigel), quello arrivato al potere col Partito repubblicano, specialmente con George W. Bush nel 2000 e nell’America post-11 settembre 2001. Ma oggi la nuova generazione di cattolici americani di destra (sia laici, sia preti e seminaristi, ma anche qualche vescovo) interpreta un cattolicesimo teologicamente neo-ortodosso, moralmente neo-integralista, politicamente anti-liberale e anti-internazionalista, esteticamente neo-medievale.

È il cattolicesimo sempre più visibile nella rivista-faro della reazione conservatrice alla teologia liberal, First Things, nella quale le due tendenze e le divergenze tra loro sono visibili. In questa transizione da un tipo di conservatorismo cattolico a un altro si nota una differenza di accenti nelle critiche a papa Francesco. Entrambi sono molto critici della teologia di papa Francesco. La nuova frangia oltranzista e neo-integralista, che ricorda per certi aspetti l’Action Francaise di Charles Maurras negli anni venti del secolo scorso (condannata da Pio XI), non si fa remore di identificare in papa Francesco un papa eretico o non cattolico. Ma la vecchia generazione di cattolici neo-conservatori non è disposta a fare macerie della chiesa pur di liberarsi di papa Francesco: ed è qui che è mancato il supporto all’operazione Viganò.

L’attacco a papa Francesco dello scorso fine settimana va letto anche all’interno della lotta per la supremazia all’interno del cattolicesimo americano conservatore, tra vecchia scuola neo-conservatrice e nuovo integralismo medievalista. L’attacco a papa Francesco è fallito, ma non è chiaro cosa sarà della cultura cattolica conservatrice negli Stati Uniti: se tornerà sui passi di un neo-conservatorismo che conserva ancora un qualche senso delle istituzioni (ecclesiastiche e non), oppure se prenderà la via di un giacobinismo cattolico che non ha paura di flirtare con l’idea di un nuovo scisma d’Occidente

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