il vangelo postula il continuo cambiamento delle strutture ingiuste della società

trasformare la società

«La realtà della dimensione sociale del peccato esige una conversione personale che si traduca nella lotta per la trasformazione sociale delle strutture peccaminose»

T. Mifsud

 

Ci hanno convinto dell’immodificabilità della realtà e di conseguenza della distanza di Dio dalla storia dell’uomo. Se cerchiamo la semplice sopravvivenza materiale conviene certamente prendere atto dell’esistente e adeguarsi. Si tratterà di scegliersi il posto migliore a discapito di un nostro simile trasformato in nemico. Dovremo, è vero, sopportare la fatica di difenderlo ma la legge e le armi di solito vengono in soccorso di chi sceglie il compromesso con il regime dell’iniquità. Si diventa come loro, infatti il potere ha la capacità di convincere l’uomo che il cinismo sia necessario per proteggere la propria vita e quella dei familiari. Diventiamo dei cani rabbiosi e accettiamo un criminale come padrone che ci tiene al guinzaglio in cambio di qualcosa nella ciotola. Il Vangelo predica invece che l’uomo non si realizza nella sopravvivenza, nel lasciare le cose come stanno, ma nella trasformazione della realtà*.

L’attuale assetto sociale è il frutto di logiche economico-finanziarie che rappresentano tutto il male possibile per l’uomo. Il Vangelo vive in esilio, ai margini, nelle minoranze, nei luoghi dove abitano le vittime di quelle scelte e di quei compromessi, fuori dagli spazi istituzionali, convenzionali ed ufficiali. Il Vangelo attende qualcuno che sia disposto a perdere la vita ossia la reputazione, l’approvazione di quelli che contano, l’immagine di plastica, per esistere, al contrario, secondo l’immagine autentica che Dio non impone ma che costruisce insieme a noi. Una società che si muove agli ordini del Capitale non può considerarsi cristiana anche se abitata da milioni di persone che si definiscono cristiane. Non basta una definizione per determinare la realtà che parla di oppressione e ingiustizia piuttosto che di compassione e di comunità. Di conseguenza occorrerebbe modificare la terminologia scegliendo tra: capitalisti, competitivi, selettivi, emarginatori, speculatori, indifferenti etc. Altrimenti la parola cristiano risulta o comica o ipocrita.

* “L’evangelizzazione deve calare profondamente nel cuore dell’uomo e dei popoli; perciò la sua dinamica tende alla conversione personale e alla trasformazione sociale”.

(Documento di Puebla, 362)




sembra che la ‘stupidità’ di cui parlava Bonhoeffer stia ripetendosi oggi

stupidità

di D. Bonhoeffer
(da Resistenza e resa. Lettere e scritti dal carcere)

D. Bonhoeffer, pastore protestante e teologo, incarcerato dai nazisti e impiccato per la sua opposizione a Hitler, scrisse in carcere la riflessione sulla “stupidità”, poco prime della morte, pensando alla maggioranza dei suoi connazionali, diventati razzisti, nazionalisti, intolleranti, fanatici, entusiasti seguaci dell’antisemitismo e indifferenti se non anche sostenitori della ferocia nazista contro ogni dissenso e contro chi non era tedesco (M. Palagi)


Il nemico del bene


Per il bene la stupidità è un nemico più pericoloso della malvagità. Contro il male è possibile protestare, ci si può compromettere, in caso di necessità è possibile opporsi con la forza; il male porta sempre con sé il germe dell’autodissoluzione, perché dietro di sé nell’uomo lascia almeno un senso di malessere. Ma contro la stupidità non abbiamo difese. Qui non si può ottenere nulla, né con proteste, né con la forza; le motivazioni non servono a niente. Ai fatti che sono in contraddizione con i pregiudizi personali semplicemente non si deve credere – in questi casi lo stupido diventa addirittura scettico – e quando sia impossibile sfuggire ad essi, possono essere messi semplicemente da parte come casi irrilevanti. Nel far questo lo stupido, a differenza del malvagio, si sente completamente soddisfatto di sé; anzi, diventa addirittura pericoloso, perché con facilità passa rabbiosamente all’attacco. Perciò è necessario essere più guardinghi nei confronti dello stupido che del malvagio. Non tenteremo mai più di persuadere lo stupido: è una cosa senza senso e pericolosa.

Stupidità e potere


Se vogliamo trovare il modo di spuntarla con la stupidità, dobbiamo cercare di conoscerne l’essenza. Una cosa è certa, che si tratta essenzialmente di un difetto che interessa non l’intelletto, ma l’umanità di una persona. Ci sono uomini straordinariamente elastici dal punto di vista intellettuale che sono stupidi, e uomini molto goffi intellettualmente che non lo sono affatto. Ci accorgiamo con stupore di questo in certe situazioni, nelle quali si ha l’impressione che la stupidità non sia un difetto congenito, ma piuttosto che in determinate situazioni gli uomini vengano resi stupidi, ovvero si lascino rendere tali. Ci è dato osservare, inoltre, che uomini indipendenti, che conducono vita solitaria, denunciano questo difetto più raramente di uomini o gruppi che inclinano o sono costretti a vivere in compagnia. Perciò la stupidità sembra essere un problema sociologico piuttosto che un problema psicologico. E’ una forma particolare degli effetti che le circostanze storiche producono negli uomini; un fenomeno psicologico che si accompagna a determinati rapporti esterni.
Osservando meglio, si nota che qualsiasi ostentazione esteriore di potenza, politica o religiosa che sia, provoca l’istupidimento di una gran parte degli uomini. Sembra anzi che si tratti di una legge socio-psicologica. La potenza dell’uno richiede la stupidità degli altri. Il processo secondo cui ciò avviene, non è tanto quello dell’atrofia o della perdita improvvisa di determinate facoltà umane – ad esempio quelle intellettuali – ma piuttosto quello per cui, sotto la schiacciante impressione prodotta dall’ostentazione di potenza, l’uomo viene derubato della sua indipendenza interiore e rinuncia così, più o meno consapevolmente, ad assumere un atteggiamento personale davanti alle situazioni che gli si presentano. Il fatto che lo stupido sia spesso testardo non deve ingannare sulla sua mancanza di indipendenza. Parlandogli ci si accorge addirittura che non si ha a che fare direttamente con lui, con lui personalmente, ma con slogan, motti, ecc. da cui egli è dominato. E’ ammaliato, accecato, vittima di un abuso e di un trattamento pervertito che coinvolge la sua stessa persona. Trasformatosi in uno strumento senza volontà, lo stupido sarà capace di qualsiasi malvagità, essendo contemporaneamente incapace di riconoscerla come tale. Questo è il pericolo che una profanazione diabolica porta con sé. Ci sono uomini che potranno esserne rovinati per sempre.

Liberazione esteriore

Ma a questo punto è anche chiaro che la stupidità non potrà essere vinta impartendo degli insegnamenti, ma solo da un atto di liberazione. Ci si dovrà rassegnare al fatto che nella maggioranza dei casi un’autentica liberazione interiore è possibile solo dopo essere stata preceduta dalla liberazione esteriore; fino a quel momento, dovremo rinunciare ad ogni tentativo di convincere lo stupido.
In questo stato di cose sta anche la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che cosa effettivamente pensi il “popolo”, e per cui questo interrogativo risulta contemporaneamente superfluo – sempre però solo in queste circostanze – per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il timore di Dio è l’inizio della sapienza (Salmo 111, 10), dice che la liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica reale vittoria sulla stupidità.
Del resto, siffatte riflessioni sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini.




‘chiosare’ il vangelo è tradirlo

le rimozioni dal vangelo

“facendo della ricchezza il nostro dio, diventiamo friabili e freddi, simili a cose, invulnerabili, impenetrabili, non vivi”

J. Kavanaugh

 

Il Vangelo evidentemente soffre di rimozioni forzate ad opera dei predicatori abilitati e di quelli che si autoconsegnano la patente di interpreti autentici.

Ad esempio: perché è così difficile affermare che la ricchezza è un male in sé in quanto appropriazione indebita del non-necessario? Infatti la sottrazione è ineludibilmente l’altra faccia della medaglia dell’accumulo.

«Le cose tolte ai poveri sono nelle vostre case.

Quale diritto avete di schiacciare il mio popolo, di pestare la faccia ai poveri» (1).

È così difficile affermare che la ricchezza è antievangelica, l’ostacolo concreto alla diffusione dell’utopia liberante del Regno? Noi affermiamo il diritto per tutti ad una vita dignitosa resa possibile dalla pratica della compassione e della solidarietà. Il diritto al lusso non è espressione né del Vangelo né dell’umanesimo conseguente.

Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione.

Guai a voi, che ora siete sazi, perché avrete fame.

Guai a voi, che ora ridete,

perché sarete nel dolore  e piangerete (2).

Questo, certo, non significa che i ricchi non possano salvarsi ma si devono convertire redistribuendo o meglio restituendo. Gesù è andato a casa del capo degli oppressori per indurlo a cambiare vita, non per legittimarlo come avviene troppo spesso nei ricevimenti della c.d. autorità in Vaticano. Infatti Zaccheo risponde: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto»(3) mentre gli altri, dopo la foto di rito con il Papa, rispondono continuando a bombardare, a negare i diritti fondamentali, a destabilizzare altri Paesi per interessi economici.

Un’altra forma di rimozione forzata riguarda la persona e la prassi di Gesù a vantaggio di una dottrina elaborata da uomini. Il Vangelo che siamo chiamati a vivere non consiste propriamente nella memorizzazione di un libro, né tantomeno di un codice, ma è una relazione con la Persona di Gesù, l’imitazione delle sue scelte concrete e l’adozione del suo paradigma non come imposizione ma come presupposto per realizzare pienamente la nostra libertà e dignità.

«Guai a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!»(4)

Il Concilio Vaticano II ha ribaltato la prospettiva (5) mettendo effettivamente al centro la Persona di Cristo rispetto alle conoscenze dogmatiche ma, a distanza di circa cinquanta anni, l’atteggiamento legalista, cattedratico della gerarchia è mutato più nella forma che nella sostanza. Pur riscontrando nei documenti e nella predicazione una maggiore consapevolezza dei disagi esistenziali e sociali del popolo di Dio rimane lo scandalo ancora non rimosso della distanza dalle sofferenze reali. La mera enunciazione, senza le opere concrete, dell’opzione preferenziale per i poveri e gli oppressi è il macigno che pesa sulla coscienza della Chiesa-Istituzione e ne mina la credibilità.

1) Isaia 3, 14-15

(2) Vangelo di Luca 6, 24-25

(3) Vangelo di Luca 19, 8

(4) Vangelo di Luca 11,46

(5) Dei Verbum, 4; Cfr Teresa di Lisieux, LT 165 « Custodire la parola di Gesù, ecco l’unica condizione della nostra felicità, la prova del nostro amore per lui. Ma che cos’è questa parola? Mi sembra che la parola di Gesù sia lui stesso».




mons. Bettazzi scrive al capo del governo

lettera aperta all’on. Giuseppe Conte,
presidente del consiglio dei ministri italiano
Scrivo questa lettera sul tema scottante degli immigrati (e la scrivo da un edificio diocesano che ne ospita). Lo faccio non come antica autorità religiosa al Presidente di un Governo “laico” (anche se un autorevole membro del Suo Governo ha sbandierato, sia pure in campagna elettorale, simboli apertamente religiosi, anzi cristiani, quindi compromettenti) soprattutto dopo i costanti, appassionati appelli di Papa Francesco e le autorevoli istanze dei responsabili della CEI.
Lo faccio come cittadino dell’Italia che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a quanti, nel loro paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche; lo faccio come cittadino dell’Europa che, nella Carta dei diritti fondamentali, afferma: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”.
Ci siamo resi conto che Lei, al recente vertice Ue, ha fatto sentire fortemente la voce dell’Italia; ma siamo stati delusi dalla sordità della maggioranza dei rappresentanti dell’Europa (me lo lasci notare, anche delle nazioni tradizionalmente più “cristiane”) e dell’incapacità dell’insieme di mantenere le tradizioni “umane” del nostro Continente e dell’ispirazione iniziale della sua unità. Mi lasci dire che siamo – parlo di tanti di cui ho colto il pensiero – altrettanto delusi che, nella difficoltà di ottenere consensi più ampi, l’Italia rimanga su posizioni di chiusura, forse (ma solo “forse” se guardiamo al nostro passato coloniale o ci proiettiamo sul nostro futuro demografico) comprensibili sul piano della contrattazione, non su quello del riferimento a vite umane. Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi, mentre ci sentiamo corresponsabili di Governi che, dopo avere sfruttato quei Paesi e continuando a vendere loro armi, poi reagiscono se si fugge da quelle guerre e da quelle povertà; non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili.
Non ignoriamo che i problemi sono immensi, dai rapporti con Paesi che noi – Europa tutta – abbiamo contribuito a divenire ciò che essi spesso sono (costruttori di lager e tutori di brigantaggi), a quelli con i Paesi di partenza degli immigrati (con cui già i Governi precedenti avevano progettato iniziative, sempre fermate al livello di progetti).Vorremmo davvero che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere.
Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio ( “prima gli italiani” – quali italiani? – o “prima l’umanità”?!), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere – per sé e per tutta l’Europa – pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa.
Con ogni augurio e molta solidarietà.
Albiano d’Ivrea, 2 luglio 2018 + Luigi Bettazzi
vescovo emerito di Ivrea



linguaggio inaccettabile e disumano nei confronti dei migranti

rifugiati:

non “turismo” ma fuga

di: Claus Pfuff

padre Claus Pfuff è il nuovo direttore del “Servizio per i rifugiati”, della Compagnia di Gesù per la Germania. In un contributo a katholisch.de, del 20 giugno, ha lamentato l’imbarbarimento del linguaggio riguardante i profughi che si è instaurato da un po’ di tempo anche in Germania.

rifugiati

Ho trascorso l’anno passato all’estero. Avevo lasciato la Germania come un paese ammirato in tutto il mondo per la sua cultura di accoglienza e che si compiaceva per la sua umanità. Ma il clima delle discussioni è cambiato.

Dopo il mio ritorno, mi spaventa la freddezza con cui si parla della sorte delle persone in fuga. Alcuni paragoni umiliano la loro dignità ed evocano un senso di minaccia – quando per esempio i profughi sono equiparati alle catastrofi della natura. Altri minimizzano le sofferenze della loro fuga.

Purtroppo, ci sono anche esponenti di primo piano dei partiti cristiani, che fanno degli slogan estremisti una componente quotidiana del nostro linguaggio. Ma un linguaggio che soffoca la nostra compassione nasconde dei pericoli per l’intera società,

Anche se i richiedenti asilo e i profughi riconosciuti come tali costituiscono solo il 2% della popolazione, tutta l’attenzione è rivolta a difendersi da loro e a criminalizzarli. Dei 68,5 milioni di persone in fuga in tutto il mondo, nello scorso anno meno, di 200 mila sono venuti in Germania – un numero ridotto per un paese così grande ed economicamente forte.

Ancora minore è il numero di coloro attorno a cui gira la disputa tra CSU e CDU: secondo i dati del governo federale, nel 2017, ai confini tedeschi le domande di asilo sono state 15.414.

Una minoranza radicale determina il clima politico

Non riesco a capire come qualche migliaio di richiedenti asilo servano da pretesto per una crisi di governo. Infatti, se un ministro degli interni costringe il governo far dipendere tutto da questo unico tema, la situazione politica va fuori controllo. In questo modo la politica sembra non avere altri compiti – parliamo di alloggi, istruzione, sicurezza pensionistica, salute, digitalizzazione e cambiamento climatico. Ma se il nazionalismo e una presunta identità unitaria, per la quale è strumentalizzata persino la croce, deve essere la risposta ai problemi del nostro tempo: allora ci incamminiamo su un sentiero scosceso. Anche perché è preoccupante che il sentimento della compassione scompaia dal dibattito pubblico.

Il patrimonio di empatia fa parte dell’essere umano: noi soffriamo quando vediamo gli altri nel bisogno, e desideriamo andare loro in aiuto. Ne abbiamo già fatto l’esperienza nell’autunno del 2015, e oggi l’impegno del volontariato nel campo dei profughi è enorme. Tuttavia, invece di favorire questa disponibilità, a decidere il clima politico è una minoranza radicale. I loro slogan entrano nella nostra vita quotidiana: sono parole che negano i bisogni esistenziali, criminalizzano degli innocenti e giustificano la durezza di cuore. Questo linguaggio coopera a far sì che il prossimo non sia più percepito come un nostro pari, ma tutto viene messo in un cassetto ed etichettato con pregiudizi minacciosi.

“Immigrazione illegale” è una di queste parole volutamente dure. Infatti, che cosa dovrebbe significare ciò in un tempo in cui non esistono più vie percorribili per le persone che sono in fuga? Anche l’etichetta “centri di ancoraggio” progettati come alloggiamenti di massa per richiedenti asilo è altrettanto fuorviante: l’àncora – simbolo cristiano di speranza – promette affidabilità e sicurezza. In realtà, questi centri di raccolta sono una beffa. I richiedenti asilo vengono isolati e anche il contatto con l’ambiente è reso difficile, così come l’accesso ai centri autonomi di consulenza.

Da alcuni giorni la parola – o meglio la non-parola – “asilo turistico” dalle pagine-marron dell’internet è entrata nel telegiornale. Nessuno ha contestato, nessuno ha commentato. Purtroppo anche questa volta è stato un politico del partito cristiano ad avanzare questo linguaggio manipolatore. Le persone che rischiano la loro vita per salvarsi, perché l’Europa continua ad essere sempre più preclusa, non sono dei vacanzieri. Anche in Europa per molti l’incubo non è ancora finito.

Il Servizio dei gesuiti per i rifugiati sostiene molti centri di asilo della Chiesa che riguardano i rimpatri all’interno dell’Europa. Una donna nera sola fu costretta alla prostituzione in Italia. Un yazidi dell’Iraq, sfuggito ai massacri dell’Isis, è fuggito verso i parenti che da molto tempo abitano a Monaco. In Bulgaria, uno studente della Siria è stato maltrattato e torturato. In Grecia, un artigiano africano ha sofferto la violenza, la fame e la mancanza di alloggio. Salvarsi da queste situazioni non è “turismo”. È fuga. Coloro che non si lasciano ingannare dal chiasso e dalle vuote parole delle campagne elettorali, ma guardano alla singola persona, vedono il bisogno e agiscono di conseguenza.

Un ulteriore deragliamento verbale degli ultimi tempi: “l’industria anti respingimenti”. È pericoloso quando un rappresentante della nostra democrazia mina un pilastro del nostro stato di diritto: la possibilità che un tribunale riveda l’operato delle autorità. In realtà, non esiste un’“industria” del genere, ma singoli avvocati impegnati o luoghi di consulenza che spesso con passione e poco denaro cercano di aiutare i richiedenti asilo nel loro diritto.

Anche il Servizio per i rifugiati dei gesuiti con il suo fondo di assistenza e la consulenza legale aiuta a far rivedere in tribunale le decisioni, spesso con successo. Ciò fa parte della nostra convinzione, che fede e giustizia devono camminare insieme.

Sul piano nazionale, nel 2017, sono state corrette dai tribunali amministrativi a favore dei richiedenti asilo 31.000 decisioni sbagliate. Ciò significa: decisioni sbagliate a carico di 31.000 persone di cui spesso era in gioco la vita! Questa notizia però non ha avuto nessun grande titolo nei media.

Siamo diventati indifferenti. Le vittime di questo abbrutimento non sono soltanto le persone in fuga. Infatti, questa mancanza di solidarietà non si ferma soltanto a un singolo gruppo di emarginati. Ha degli effetti sull’intera società. Oggi colpisce soprattutto i richiedenti asilo e le persone di fede musulmana o ritenute tali. Domani o dopodomani questa esclusione e mancanza di empatia può riguardare anche chiunque altro.

Percepire il prossimo nella sua unicità

Anziché fare della croce un simbolo di esclusione imposto dallo Stato, il riferimento all’esempio di Cristo può invece significare: avere davanti allo sguardo ogni singola persona e non lasciarsi guidare da chiusure e preconcetti. Invece di lasciaci abbagliare dalle parole, possiamo volgerci al nostro prossimo per riconoscerlo nella sua unicità – con le sue forze, esperienze, debolezze e possibilità.

So questo per esperienza: l’incontro con le persone cambia il mio modo di pensare, i sentimenti e, alla fine, anche il mio linguaggio nei suoi riguardi. Il modo di parlare può, al contrario, facilitare anche l’incontro: parlare «con calma, con attenzione e con amore» ha raccomandato ai suoi compagni, nel secolo 16°, il fondatore dell’ordine, Ignazio di Loyola, per le discussioni di politica ecclesiastica. Questa triplice raccomandazione porterebbe i suoi benefici anche nei tempi di internet e della campagna elettorale. Se i cristiani scegliessero più spesso di parlare “con calma, con attenzione e con amore”, allora anche la società potrebbe diventare più accogliente e vivibile.




a fianco degli oppressi, nel cammino di liberazione

Dio ci precede

Uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, ti seguirò dovunque tu vada». Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo»

Matteo 8,18-22

 

Quando ci poniamo a fianco degli oppressi, nel cammino di liberazione, Dio si mette in testa*. Ma non è propriamente una marcia trionfale. Sta lì per ripararci se possibile dai rischi e per prendersi per primo gli insulti quando va bene, gli sputi quando va male. Con la croce come vessillo ascolta i ragionamenti forbiti (pieni di citazioni) dei “dissuasori”. I soliti “benpensanti”, denominati in altra epoca anche scribi e farisei, che vorrebbero convincerci a non prestare servizio ai poveri (o semplicemente a stare con loro) per giustificare il sonno indifferente della loro coscienza. Il solo fatto della presenza, al di là della semplicità dei gesti, è come il suono della sveglia mattutina: fastidioso ma efficace. E c’è da comprenderli perché dopo occorre molto tempo e soprattutto lunghi discorsi di autocompiacimento per farla riaddormentare. Voler piantare la croce di Dio non sul marmo, tra i fiori e i dipinti, e soprattutto tra gli ori, ma nelle baracche, tra i cartoni, nella disperazione incolpevole ed anche in quella colpevole scandalizza. Tra i marmi, con un po’ di musichina e l’incenso lo spettacolo è sicuramente più gradevole rispetto alle piaghe, ma il Signore non ci chiede di scrivere copioni o di organizzare recite e passerelle. Le bellezze artistiche non si armonizzano con il Vangelo come le cerimonie sontuose e dalla raffinata coreografia.

Il Vangelo vive nella polvere, è sporco del sangue dei poveri, è bagnato dalle lacrime degli esclusi, è stonato per le grida dei violentati, è stropicciato perché pure se lo leggiamo non lo capiamo, è segnato più volte con la matita perché quelle frasi hanno significati infiniti. Quando lo apriamo ci ripugna a causa della nostra formazione borghese, elitaria e spudoratamente superficiale. E così deve essere! Altrimenti stiamo leggendo la sua interpretazione o meglio la sua deformazione.

Il Vangelo non è il manuale di morale del piccolo e triste borghese e neanche un romanzo. Il Vangelo è una “tragedia”: quella dell’uomo che non comprende il sogno di Dio e per questo si condanna all’infelicità, all’inutilità, al non-senso, alla violenza.

* “Io marcerò davanti a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. Ti consegnerò tesori nascosti e le ricchezze ben celate, perché tu sappia che io sono il Signore, Dio di Israele, che ti chiamo per nome”. (Isaia 45, 2-3)




non è tuo figlio quindi puoi alzare benissimo le spalle …

se fosse tuo figlio …
“Se fosse tuo figlio
riempiresti il mare di navi
di qualsiasi bandiera.

Vorresti che tutte insieme
a milioni
facessero da ponte
per farlo passare.

Premuroso,
non lo lasceresti mai da solo
faresti ombra
per non far bruciare i suoi occhi,
lo copriresti
per non farlo bagnare
dagli schizzi d’acqua salata.

Se fosse tuo figlio ti getteresti in mare,
uccideresti il pescatore
che non presta la barca,
urleresti per chiedere aiuto,
busseresti alle porte dei governi
per rivendicare la vita.

Se fosse tuo figlio oggi saresti a lutto,
odieresti il mondo, odieresti i porti
pieni di navi attraccate.
Odieresti chi le tiene ferme e lontane
Da chi, nel frattempo
sostituisce le urla
Con acqua di mare.

Se fosse tuo figlio li chiameresti
vigliacchi disumani,
sputeresti loro addosso.
Dovrebbero fermarti, tenerti, bloccarti
vorresti spaccar loro la faccia,
annegarli tutti nello stesso mare.

Ma stai tranquillo, nella tua tiepida casa
non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Puoi dormire tranquillo
E soprattutto sicuro.
Non è tuo figlio.

È solo un figlio dell’umanità perduta,
dell’umanità sporca, che non fa rumore.

Non è tuo figlio, non è tuo figlio.
Dormi tranquillo, certamente
non è il tuo”



cos’ è vera ‘conversione’ per il vangelo

conversione

da ‘Altranarrazione’

«Don Milani è un uomo in lotta per il povero: non certo perché il povero diventi ricco, ma perché diventi un uomo libero,  uno che conquisti da sé la sua libertà.  Perciò egli vuole restituire ai poveri la parola»

D.M.Turoldo

 

La scelta dei poveri non rappresenta una delle tante sensibilità del cristiano ma è il segno concreto ed inequivocabile della conversione. Se non scegliamo i poveri significa semplicemente che Dio deve ancora fare irruzione nella nostra vita. Magari abbiamo sentito parlare di Lui ma senza farne esperienza(1). C’è scritto nel Vangelo e nel resto della Sacra Scrittura, ma noi non leggiamo né il Vangelo né il resto della Sacra Scrittura(2). Ci accontentiamo del foglietto della domenica e delle interpretazioni disincarnate, asettiche, di routine spendibili in tutte le epoche storiche ed in ogni luogo della terra. Per comprendere la nostra relazione con Dio ci affidiamo ai professionisti spirituali come ci si affida al commercialista per le pratiche fiscali a all’avvocato per le fondamentali questioni condominiali: tipo il colore degli zerbini. Certo li scegliamo accuratamente gli esperti cioè ci rivolgiamo a quelli in grado di raggiungere i nostri obiettivi: pagare meno tasse possibile, imporre qualcosa agli altri condòmini e continuare a servire Mammona da cattolici praticanti. È una delega in bianco: siamo disposti a pagare qualsiasi compenso od elemosina purché collaborino alla nostra scalata sociale. Evitiamo accuratamente quelli che ci parlano di coscienza sociale, di responsabilità, di condivisione dei beni materiali con gli ultimi sia innocenti sia colpevoli. Meglio quelli che giustificano l’accumulo e il consumismo purché sia fatto per la propria famigliola.

I profeti infatti infastidiscono, rompono l’inconfessabile idillio tra trono e altare. Utilizzano un linguaggio duro, scorretto(3) per chi opprime direttamente o collaborando ma non lo ammette. Occorre attendere che muoiano (naturalmente o meno), poi far passare un po’ di tempo per disinnescare la potenzialità sovversiva del loro messaggio e recuperarli, in una fase storica successiva, alla narrazione funzionale alle strutture e relative gerarchie. Ecco perché di solito i profeti subiscono una doppia violenza: in vita (fisica o psicologica) e nella memoria (strumentalizzando e standardizzando la testimonianza). Due esempi per tutti: Oscar Romero e Don Milani.

(1) “Io ti conoscevo per sentito dire, ma ora i miei occhi ti vedono” (Giobbe 42,5)

(2)“A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato; vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!” (Vangelo di Luca 7, 31-32)

(3) Ci vuole una parola dura ,affilata, che spezzi e ferisca, cioè una parola concreta[…] La famiglia cristiana dell’operaio e del contadino ha bisogno di un prete povero, giusto, onesto, distaccato dal danaro e dalla potenza, dal Governo, capace di dir pane al pane senza prudenza, senza educazione, senza pietà, senza tatto, senza politica, così come sapevano fare i profeti o Giovanni il Battista.
(Don Lorenzo Milani, Lettere di Don Lorenzo Milani, Priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo-Milano 2007, p.103)




le chiese unite a favore dei migranti

l’appello di tutte le Chiese cristiane:

aprite i porti ai migranti

un manifesto firmato dalle Chiese cattoliche, valdesi e romene di Viareggio riporta le parole del Vangelo: “ero straniero e mi avete ospitato”

Il manifesto

il manifesto

Le Chiese cristiane (cattolica, valdese, ortodossa e romena) chiedono tutte insieme la riapertura dei porti ai migranti. Un manifesto pro accoglienza è stato appeso a Viareggio nei rispettivi luoghi di culto:

“Di fronte alla drammatica questione dei migranti ed al recente comportamento del governo italiano – si legge nel manifesto -, le chiese ricordano che per i cristiani il Vangelo è l’unico criterio per le loro scelte. Esso indica ripetutamente la via dell’accoglienza dello straniero e della condivisione dei beni con i poveri, dice infatti Gesù: ‘Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete ospitato'”. “Ricordiamo le parole di Papa Francesco e della Chiesa Valdese – prosegue il manifesto -, che in numerose occasioni hanno preso posizione sulla questione migranti invitando tra l’altro ad un cambiamento di mentalità”.

Rivolto anche un invito

“all’Europa e all’Occidente a farsi carico delle proprie responsabilità, ricordando che nei secoli passati hanno sfruttato il continente africano, depredandolo delle sue ricchezze e non preoccupandosi della popolazione che ha sostenuto lotte lunghe e difficili per affrancarsi dal colonialismo e dalla soggezione alle potenze europee”.

 




“Dio stesso viaggia sui barconi dei migranti”

l’arcivescovo di Agrigento:

“a venire da noi su un barcone è Dio, non accogliere è non credere”

Il cardinale Montenegro festeggia S. Calogero, santo nero venuto dall’Africa e lancia un monito

Francesco Montenegro

Durante i festeggiamenti per S. Calogero, l’arcivescovo Montenegro di Agrigento ha lanciato un commovente monito, particolarmente significativo dato che S. Calogero è un santo nero, taumaturgo della Chiesa e particolarmente amato in Sicilia e in particolare nell’agrigentino:

“I migranti, i poveri sono un termometro per la nostra fede. Non accoglierli, soprattutto chiudendo loro il cuore, è non credere in Dio. È Gesù a venire da noi su un barcone, è lui nell’uomo o nel bambino che muore annegato, è Gesù che rovista nei cassonetti per trovare un po’ di cibo. Sì, è lo stesso Gesù che è presente nell’Eucaristia. Un migrante alla fine del suo lungo viaggio, dopo aver subito violenze e visto sabbia, lacrime, paura, cadaveri … esclamò nel mattino in cui fu salvato: “Nulla è più bello al mondo del sorgere del sole”. Il sole illumina i volti di tutti gli uomini, non solo i nostri. Ogni migrante è una storia e una vita che, ci piaccia o no, s’intreccia con la nostra. I poveri e i migranti hanno un nome come noi, sognano come noi, sono pieni di paure come noi, sperano come noi, vogliono una famiglia come noi, – un minorenne mi ha detto che ciò che gli manca è la carezza della mamma – credono in qualcosa o in qualcuno come noi, osano come o più di noi, desiderano essere trattati come noi. Anche per loro, e non solo per noi, Gesù e si è lasciato inchiodare sulla croce. Lasciamoci scuotere la coscienza dal fatto che tanti bambini, uomini, donne, perdano la vita in mare. Fu un immigrato, il centurione romano, a riconoscere nel crocifisso il Figlio di Dio. Un detto ebraico dice: chi salva un solo uomo, salva il mondo intero.”