il vescovo e la provocazione: il missionario radicale o i poveri radicali?

Palermo

il vescovo Lorefice:

Biagio Conte, una provocazione per noi

oltre 4mila firme in meno di 24 ore alla petizione per i senzatetto, che nel capoluogo siciliano sono più di 400

L’arcivescovo Lorefice porge l’Eucarestia a fratel Biagio Conte

l’arcivescovo Lorefice porge l’Eucarestia a fratel Biagio Conte

Alessandra Turrisi

La Chiesa di Palermo è con Biagio Conte. In realtà lo è sempre stata, visto che la missione ‘Speranza e Carità’, che ospita da oltre 25 anni mille persone senza più nulla, è una testimonianza viva dell’amore preferenziale per i poveri.

Ma ieri questa vicinanza si è resa più visibile con l’arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice, in ginocchio accanto al missionario laico, mano nella mano, in ascolto reciproco, in preghiera. È durato 40 minuti l’incontro tra Lorefice e Biagio sotto il colonnato delle Poste centrali di via Roma, a Palermo. Il missionario col saio verde, avvolto nelle coperte, è prostrato da sei giorni di digiuno, di veglia, di freddo e intemperie. L’arcivescovo gli ha portato l’eucaristia e Biagio si è commosso fino alle lacrime.

Nessuna parola a caldo per commentare l’insolita forma di protesta che, da quasi una settimana, ha schiaffeggiato l’indifferenza della città verso chi muore per strada da solo, chi non ha una casa, chi non ha un lavoro. «Custodiamola nel cuore», dice sulle prime l’arcivescovo. Poi, dopo aver metabolizzato i contenuti dell’incontro, don Corrado ammette l’importanza dell’azione di fratel Biagio che «pro-voca e interpella tutti, anche noi cristiani, le nostre comunità, il vescovo, non solo le istituzioni e l’amministrazione comunale. Ci vorrebbero veri cristiani e uomini e donne di buona volontà impegnati in politica unicamente per il bene comune, preparati e audaci, liberi da altri interessi come il pozzallese Giorgio La Pira, veramente determinati a guardare la città dal basso. Un piano lavoro. Un piano case. Un piano pane da condividere dignitosamente nelle famiglie. Spazi di confronto per risolvere i veri problemi lontani dalla demagogia o dalle beghe agitate per distogliere dai bisogni della gente».

La vicinanza della Chiesa a fratel Biagio non è mai mancata. La presenza continua di sacerdoti, gruppi di laici, religiose, anche l’arrivo silenzioso del cardinale Paolo Romeo, arcivescovo emerito di Palermo, sabato sera. Domenica è passato don Elisée Ake Brou, sacerdote della diocesi di Monreale che trovò proprio nella missione Speranza e Carità il primo approdo dopo la fuga dalla Costa d’Avorio, tanti anni fa. È stata lanciata una raccolta firme su Change.org per unirsi all’appello di Biagio e impegnare tutte le istituzioni a dare corso ad azioni concrete in favore di famiglie e persone senza alloggio: oltre 4 mila firme in meno di 24 ore.

Ma Biagio Conte resta lì, al freddo. I senzatetto di tutta la città hanno appreso che il missionario ha deciso di vivere come loro, disteso a terra sui cartoni, senza il minimo vitale, e lo vanno a trovare, gli raccontano le loro storie. Le critiche, anche aspre sui social, non mancano; le accuse di esibizionismo e fanatismo. Molti chiedono: ma insomma, cosa vuole ottenere questa volta Conte? Niente in particolare e tutto. Lo sintetizza uno dei volontari storici, il medico Francesco Russo: «Potremmo dire che fratel Biagio chiede che nella società e nel mondo aumentino la bontà e la tenerezza verso Dio, verso se stessi e verso il prossimo, e il mondo possa essere così un posto migliore».

«Tutti sappiamo che c’è tanta gente che dorme per strada, a Palermo sono più di 400 – dichiara il senatore di Mdp Francesco Campanella –. Biagio Conte, come usa fare, rompe gli schemi e, con il suo forte gesto di andare a dormire per strada come un senzatetto, ci mette di fronte al fatto che quelle persone sono fatte di carne e di sangue come noi. Come i nostri cari».




una teologia preoccupante e antievangelica

 

 

la teologia che sembra sostenere il pensiero di Trump

un importante esponente della teologia della prosperità, Fillmore, riscrisse il Salmo 23, inserendovi questi versi:

“il Signore è il mio banchiere/ il mio credito è buono”

Riccardo Cristiano giornalista 

Molti in questi giorni hanno sostenuto che le parole attribuite al presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sui “paesi cesso” dai quali non vorrebbe più immigrazione, siano state il solito scivolone, una gaffe insomma. In certo parzialissimo modo lo ha confermato lui stesso, rinnegando la forma-“paesi-cesso” o “paesi-merdaio” a seconda della traduzione di shithole countries che si ritenga più appropriata- ma non la sostanza. Ma la discussione a mio avviso non riguarda solo loro, perché in quelle parole, al di là della forma, c’è un messaggio autentico, sincero e profondo. E lo possiamo desumere dalla teologia alla quale Trump fa in certo qual modo riferimento. E’ la teologia della prosperità.


Una figura di assoluto rilievo nel panorama della teologia della prosperità è il pastore Norman Vincent Peale, il quale ha officiato il rito funebre dei genitori di Donald Trump. Apprezzato anche da Richard Nixon e Ronald Reagan, gli va riconosciuto di essere stato un predicatore di enorme successo. Il libro che scrisse già nel 1952, “Il potere del pensiero positivo”, ha venduto milioni di copie. E che cosa ha scritto Norman Vincent Peale in questo volume? Ha scritto che se credi in qualcosa la otterrai, che se ti dici che Dio è con te nulla ti fermerà. E anche altro ovviamente.
La teologia della prosperità oggi, sostengono studi autorevoli, convince il 17% degli americani. E buona parte di questo 17%, protestanti o cattolici che siano, vota per Trump. E se il suo attacco si radicasse  in questo pensiero Trump potrebbe comunicare a costoro: hanno creduto in qualcosa gli abitanti di paesi oggettivamente privi di prosperità?
In un paese dove Dio conta, eccome, tanto che sulla banconota americana è scritto “In Dio crediamo” avere una teologia sulla quale basarsi è importante. In un saggio al riguardo apparso su Vox e relativo a Joel Osteen, esponente di spicco della teologia della prosperità e intitolato “ Perché Joel Osteen crede che le preghiere ti possano rendere ricco” Tara Isabella Burton ha scritto che un altro importante esponente della teologia della prosperità, Fillmore, riscrisse il Salmo 23, inserendovi questi versi: “il Signore è il mio banchiere/ il mio credito è buono”.

Centrale nella visione della teologia della prosperità è l’idea di dare parte dei propri averi alla propria chiesa come forma di investimento: dimostrando la propria fede, o fiducia, il parrocchiano riceverebbe cento volte il suo investimento, visto che nel Vangelo di Marco si assicura che colui che soffrirà per Cristo otterrà una ricompensa cento volte maggiore. Al di là di quanto a noi possa apparire curioso o “strumentale”, per così dire, di tale teologia, il suo punto rilevante è che legittima un’economia basata sulla speculazione finanziaria e su guadagni forse eccessivi. Il letteralismo può condurre molto lontano, magari complice una lettura non proprio “letterale” del Salmo 23, ma è una teologia che aleggia negli ambienti più cari a Donald Trump e in cui il molto citato Steve Bannon ha elaborato la sua visione dei rapporti tra culture, e persone.
Probabilmente è anche per questo che il cardinale Cupich, arcivescovo di Chicago, in queste ore ha voluto ricordare e ringraziare Jean Baptiste Point Du Sable, fondatore della città dove lui svolge il suo ministero, immigrato da Haiti negli Usa. Per tenere la sua religione fuori da questa deriva.

Scrivere tutto questo nel giorno in cui papa Francesco officia in San Pietro la messa per rifugiati, asilanti, migranti e tanti altri mi conferma che quella frasetta “Bergoglio o barbarie”, non è una battuta, è la fotografia della realtà nella quale ci troviamo.




le parole rivoluzionarie di papa Francesco

papa Francesco scuote la Chiesa

“no al clericalismo,

non siamo una élite di consacrati”

il papa parla ai vescovi cileni:

“non potremmo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere Popolo”

Il Papa

Parole davvero rivoluzionarie e che scuotono la Chiesa dal suo interno: 

“La Chiesa non è e non sarà mai un’élite di consacrati, sacerdoti o vescovi. Non potremmo sostenere la nostra vita, la nostra vocazione o ministero senza questa coscienza di essere Popolo”.

Lo ha detto Papa Francesco nell’incontro con i vescovi cileni nella cattedrale di Santiago. Tra loro anche monsignor Bernardino Pinera Cavallo, che quest’anno compie 60 anni di episcopato: a 102 anni è il vescovo più anziano del mondo.

“Uno dei problemi che affrontano oggigiorno le nostre società – spiega il Pontefice – è il sentimento di essere orfani, ovvero, sentire di non appartenere a nessuno. Questo sentire “postmoderno” può penetrare in noi e nel nostro clero”.

“La mancanza di consapevolezza di appartenere al Popolo di Dio come servitori, e non come padroni, ci può portare a una delle tentazioni che arrecano maggior danno al dinamismo missionario che siamo chiamati a promuovere: il clericalismo, che risulta una caricatura della vocazione ricevuta“.




la lettera alla città e a papa Francesco del missionario che che si è fatto ultimo tra gli ultimi

“caro Francesco ti scrivo…”

Biagio Conte, che si appresta a passare la terza notte all’addiaccio, si appella a Papa Francesco per risolvere il problema dell’emergenza abitativa a Palermo

Gli occhi di Biagio Conte guardano il cielo. È un cielo uggioso, quello di Palermo, che inzuppa la città di quella pioggerellina che passa oltre i vestiti e inumidisce anche le ossa. “Trovo assurdo – continua a ripetere alla folla sparuta ma costante che si avvicina a lui, sotto i portici delle Poste – che 27 anni dopo io debba tornare in strada per le stesse battaglie. Questa città non può voltarsi ancora dall’altra parte”.

Ha scritto una nuova lettera, questo pomeriggio. C’è l’impegno del deputato Udc Vincenzo Figuccia di portarla all’Assemblea e leggerla ai 70 deputati che rappresentano i siciliani a Sala d’Ercole. “L’umanità – scrive Biagio Conte nella missiva – deve essere solidale verso chi è privo di beni essenziali e muore di fame, verso chi profugo dalla patria, cerca un rifugio per sé e per i suoi bambini, che saranno gli uomini e le donne del futuro. Ogni essere vivente deve avere la sua identità, un riconoscimento, un documento, una residenza, una integrazione per poter ricominciare una nuova vita”.

“È nostro dovere – aggiunge, di suo pugno, la penna blu, le mani spaccate dal freddo – ascoltare il grido di chi è rimasto senza occupazione e vede pericolosamente minacciato il proprio domani, la perdita della casa, della propria famiglia e della sua dignità”.

Così l’appello si allarga. E arriva fino a Papa Francesco: “Fratel Biagio pieno di speranza invita il nostro Papa, il nostro vescovo, le varie religioni, il nostro sindaco, il nostro presidente della Regione, il nostro presidente dello Stato e tutti i cittadini a rispondere al male con la preghiera, il digiuno e le opere, prima che sia troppo tardi”. Firmato “Pace e speranza, Fratel Biagio, piccolo servo inutile”.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone che dormono e persone sedute

fratel Biagio invita all’accoglienza

lettera aperta alla città

Biagio Conte, dopo l’ultima morte di freddo avvenuta a Palermo di Giuseppe, che era stato portato in ospedale dai suoi volontari della missione ‘Speranza e Carità’, ha deciso di dormire per strada, scrivendo una lettera aperta alla città, da cui ha lanciato un grido di allarme contro l’indifferenza:

“Vivo un profondo disagio: non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare, sapendo che ancora ad oggi tante persone vivono per strada. Tante famiglie sono sfrattate e non hanno la casa, tante persone non hanno lavoro. La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi sono molto diffusi, mi inducono a rispondere al male con il bene.

Per queste ingiustizie mi abbandono anch’io per strada, per solidarizzare con chi è morto per strada, per chi ancora dorme per strada. Mi sosterranno la preghiera e il digiuno, affinché i cuori e le coscienze si scuotano e si sensibilizzino verso i più bisognosi”.

Biagio Conte ha spiegato il suo gesto nella lettera: “Non riesco ancora ad accettare che ci possano essere tanti ancora che vivono queste profonde sofferenze nella loro vita dovuti principalmente all’indifferenza e che continuano a vivere e morire per strada non riesco ancora ad accettare l’idea che tanti ancora siano senza lavoro, senza casa e devono morire per strada, voglio condividere questa vita con loro, stare insieme a loro, così è nata la Missione di Speranza e Carità e questo è il cammino che sento di portare avanti”.

Biagio Conte è consapevole che nella missione ‘Speranza e Carità’ sono ospitate tante persone, ma moltissime non possono essere accolte: “I fratelli e le sorelle sono al riparo nella struttura della Missione che è pienissima e i bisogni sono tanti ma molti ancora sono per strada c’è bisogno di aiuto, c’è bisogno di sostegno profondo, vero, sincero, ognuno deve fare la sua parte prima che sia troppo tardi”.

Quindi nella sua missiva ha lanciato un appello: “Il povero ha bisogno di noi, ma anche noi abbiamo bisogno di loro ‘ricchi e poveri insieme’, chi ha e non dona nulla al bisognoso, al più debole e all’indigente, non può essere un uomo o una donna di giustizia, di pace e di speranza.

Autorità e singoli cittadini, chi ha la possibilità di donare una casa, è doveroso donarla in modo di aiutare chi non ha un riparo, un tetto. Chi non dona e non aiuta contribuisce all’impoverimento della nostra società: è urgentissimo rispondere ai bisogni della gente. Questo prezioso appello è rivolto a tutte le città e a tutte le regioni d’ Italia”.

E durante il suo pellegrinaggio nelle città italiane a settembre fratel Biagio aveva visitato Amatrice ed Arquata del Tronto, raccogliendo il grido di dolore degli abitanti colpiti dal terremoto, ed ha invitato gli italiani a non dimenticare le sofferenze di queste popolazioni.




la ‘lettera di natale’ dei preti del triveneto

 

Una rinnovata passione per Dio e per l'uomo

una rinnovata passione per Dio e per l’uomo

 
 

 la “lettera di natale 2017” di un gruppo di preti del triveneto

(pubblicata, come ogni anno, sul sito del Centro Balducci)

una rinnovata passione per Dio e per l’uomo insieme a papa Francesco 

Care amiche e cari amici il saluto più cordiale e amichevole a tutte voi, a tutti voi.

Ci sentiamo sollecitati, anche quest’anno, in prossimità del Natale, a condividere con voi esperienze, riflessioni, dubbi, preoccupazioni, interrogativi e l’esistenza di una possibile speranza. Siamo preoccupati come tanti di voi, per la situazione del mondo attuale, considerando insieme le nostre comunità locali e quella planetaria, nell’interdipendenza sempre più evidente e quotidiana della famiglia umana. Lo siamo anche come uomini e preti per lo scarto evidente tra il segno straordinario della presenza, delle parole e dei gesti di papa Francesco e la scarsa ricaduta nelle Diocesi e nelle parrocchie in diverse delle quali si procede come se il Vescovo di Roma non ci fosse. 

I MOTIVI DI PREOCCUPAZIONE

La condivisione delle preoccupazioni di tante persone che incontriamo in situazioni di povertà, di tribolazione, di abbandono si congiunge con le cause strutturali dell’impoverimento, della fame, delle oppressioni, della violazione dei diritti umani, delle guerre, della distruzione della Madre Terra e di tante espressioni della vita; dei diffusi atteggiamenti di pregiudizio, discriminazione e razzismo nei confronti dei diversi, in modo particolare degli immigrati. Avvertiamo la distanza abissale fra la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, di cui il prossimo 2018 si celebrerà il 70° anniversario, la nostra Costituzione, i principi ispiratori delle religioni, in particolare per quanto ci riguarda il Vangelo di Gesù di Nazaret e le diffuse e persistenti situazioni drammatiche che permangono su scala planetaria e che riguardano la vita di centinaia di milioni di persone. Le tante iniziative ed esperienze positive, per altro indispensabili e ammirevoli, pare non favoriscano processi di cambiamento strutturale di fronte alla forza straripante delle multinazionali, delle concentrazioni finanziarie, dell’esaltazione in varie forme del capitalismo, che per perseguire il suo fine perverso opprime, impoverisce, distrugge. Appunto ci preoccupa la mancanza di cambiamenti significativi che può indurre pericolosamente a fatalismo, rassegnazione e chiusura in ambiti individualistici. Siamo preoccupati della situazione attuale della politica, della crisi profonda di progetti, di contenuti, di rappresentanza, di metodo, sia a livello regionale sia nazionale, europeo e mondiale. La passione per il bene comune, la dedizione, la competenza nell’affrontare le questioni, la sperimentazione “dell’arte di uscire insieme dai problemi”, come don Milani e i suoi alunni hanno definito la politica, troppe volte sono assenti, per il prevalere di incompetenza, approssimazione, affidamento alla forza delle immagini e degli slogan gridati, che sostituiscono analisi, riflessioni e proposte serie. La dimensione gravemente mancante è soprattutto quella che dovrebbe sempre caratterizzare la politica, che è indispensabile per il governo della polis ai diversi livelli: il rapporto stretto, continuo, di ascolto e di partecipazione con i cittadini. Si potrebbe dire: meno riunioni nelle stanze riservate della politica e molti più incontri con le persone dei paesi, dei quartieri, delle città per percepire in diretta le situazioni, le storie delle persone, i bisogni, le attese, le speranze. 

CAMMINIAMO CON PAPA FRANCESCO

Abbiamo interamente dedicato a lui la lettera del Natale del 2013. La sua presenza come Vescovo di Roma e Papa ci ha fin dall’inizio incoraggiato e sostenuto; abbiamo percepito, in linea con papa Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II, la Chiesa in cui crediamo e per cui ci impegniamo: in mezzo alla gente, povera e dei poveri, al servizio umile e disinteressato dell’umanità, liberandosi da ogni volontà di dominio e di prestigio, di alleanze con i poteri di questo mondo. Papa Francesco esprime con le parole quello che vive e il suo stile di vita rende credibili i suoi messaggi. Parole e gesti si intrecciano, si richiamano gli uni negli altri. La sua proposta non è ristretta nell’ambito di una Chiesa autoreferenziale, bensì percepita da tutta l’umanità. La fede nel Dio di Gesù e il riferimento continuo al suo Vangelo, l’attenzione ai poveri, ai migranti; la denuncia della follia di ogni guerra, dei produttori e dei commercianti di armi, le chiare prese di posizione contro la corruzione e le organizzazioni criminali delle mafie, l’attenzione agli operai, la condivisione esplicita delle lotte dei movimenti popolari mondiali, l’Enciclica Laudato si’ sulla custodia e la cura della casa comune sono alcune indicazioni del suo insegnamento. A proposito della Laudato si’, esprimiamo la nostra delusione per come, dopo poco tempo, nella Chiesa, salvo rare eccezioni, non abbia più alcuna attenzione. Noi pensavamo che per le Diocesi diventasse un testo di riflessione e di riferimento per un tempo significativo e nei seminari di studio e approfondimento per coloro che si preparano a diventare preti. Abbiamo registrato un totale disinteresse anche nel mondo politico: data la sua articolazione e ampiezza il testo avrebbe, a nostro avviso, costituito un’interessante riflessione su una questione decisiva

della nostra vita e di quella delle generazione future. Ci interroghiamo sul perché papa Francesco sia amato e sostenuto nella Chiesa e da tante persone che non si riferiscono ad essa e sia invece osteggiato e criticato da tante persone della Chiesa, anche preti, vescovi, cardinali, dai potentati finanziari e dai gruppi di potere mondiali e da chi prende da lui le distanze per la sua continua insistenza sull’attenzione ai poveri, ai deboli, ai migranti, per uno stile di vita sobrio ed essenziale. Papa Francesco cerca di liberare la Chiesa dal potere dottrinale: la dottrina è certo importante ma sempre in relazione con le storie delle persone. Gesù di Nazaret non ha annunciato una dottrina, bensì ha proposto un nuovo modo di essere con se stessi, con gli altri, con Dio, con il denaro e con tutte le realtà del mondo. Chi identifica la fede con la dottrina ritiene che il papa sia in essa incerto, con riferimento alle indicazioni etiche, in particolar modo a quelle riferite ai rapporti di amore e alla sessualità. Papa Francesco cerca di liberare la Chiesa dal potere centralizzato, a cominciare da quello inquietante della curia romana, con riferimento a tutte le concentrazioni di potere piccole o grandi nelle Diocesi e nelle parrocchie, per riproporre la Chiesa popolo di Dio in cammino nella storia, sinodale in cui il dialogo, il confronto, le decisioni sono comuni, non del vescovo o del prete e di alcuni collaboratori scelti a propria immagine e somiglianza. Non una Chiesa gerarchica, bensì di comunione, dove l’autorità svolge il suo compito che si caratterizza per un servizio umile e disinteressato alla comunità. Papa Francesco cerca di liberare le Chiesa dall’intreccio fra potere economico e politico. Le concentrazioni finanziarie delle IOR con i poteri occulti coinvolti, gravissimo scandalo per la Chiesa, rimesse in discussione certo con fatica e con tempi lunghi; la prospettiva riguarda le Diocesi e le parrocchie e chiede un rapporto trasparente con il denaro finalizzato alla vita delle comunità e a un’autentica, non occasionale, solidarietà con i poveri. Lo stesso orientamento riguarda anche uno stile di vita semplice, sobrio, essenziale; abitazioni dignitose, ma non lussuose e ricercate; auto utilitarie, frequentazioni di persone semplici.

Per quanto riguarda il potere politico, la presenza di papa Francesco ha liberato con evidenza la Chiesa italiana dall’abbraccio compiacente con il potere; le stagioni del progetto politico della Chiesa in Italia hanno supportato rappresentanti e scelte politiche lontani dal Vangelo, ricevendone appoggio e sostegno economico. Il terreno dei cosiddetti “valori non negoziabili” è diventato di reciproche e strumentali compiacenze. La Chiesa è chiamata sempre a schierarsi, a prendere la parte dei poveri e dei deboli, senza identificarsi con una forza politica, perché, nell’incarnazione della storia, dovrebbe sempre esprimere quell’ulteriorità che porta a scorgere i poveri, i fragili, i deboli, dei quali anche un programma di schieramento rischia di non porli come priorità, se non addirittura di dimenticarsene. Perché, come ci ricorda il Papa, “la Chiesa è davvero viva se, formando un solo essere vivente con Cristo, è portatrice di vita, è materna, è missionaria, esce incontro al prossimo, sollecita a servire senza seguire poteri mondani che la rendono sterile”. Nella lunga campagna elettorale già iniziata per le elezioni regionali e politiche nella primavera del 2018, anche se non in modo evidente, espressioni della Chiesa saranno cercate. Sarà sempre importante non lasciarsi catturare da nessuno per poter vivere con libertà e coraggio la profezia della denuncia e della proposta dei diritti umani uguali per tutti o non più tali, per ogni situazione che offende la dignità delle persone; con una attenzione particolare a un fenomeno già perdurante: quello di utilizzare la religione strumentalmente per finalità di consenso, per acquisire voti. Papa Francesco cerca di liberare la Chiesa dal potere liturgico, cioè da una liturgia autoreferenziale, che pretende la solennità esteriore. Celebra in modo semplice, con paramenti semplici, con il commento diretto e comprensibile del Vangelo. Ci pare importante ricordare la sua scelta molto significativa di celebrare ogni mattina l’Eucarestia a Santa Marta, con la comunità che si raccoglie, non nella cappella privata come i suoi predecessori, di aprire il Vangelo e commentarlo. Si può dire che questa modalità di essere non riguarda le singole giornate, ma l’intero progetto di Chiesa: Vangelo e vita, vita e Vangelo. La semplificazione nel senso positivo di avvicinarsi alle dimensioni più importanti, a quelle del mistero è criticata da coloro che, funzionari della religione, attendono il palcoscenico per l’esibizione. Papa Francesco non ha certo bisogno della nostra difesa; noi ancora una volta vogliamo pubblicamente dichiarare che camminiamo con lui per riformare la Chiesa. Fra le altre scorgiamo la motivazione fondamentale: lui ha parlato nuovamente al mondo di Dio, del Dio di Gesù che è misericordia, che è attento, si prende a cuore e si prende cura di tutte le persone qualsiasi siano le loro situazioni e condizioni. E’ questo il fondamento della “rivoluzione”, proprio perché la vera, grande questione riguarda Dio, la sua immagine, la sua percezione! Quale Dio dunque, dato che così facilmente oltre a poter essere insignificante è così spesso strumentalizzato per legittimare capitalismo, violenze, armi, guerre, razzismo, distruzione dell’ambiente?

Gesù di Nazaret ci libera da ogni possibile strumentalizzazione di Dio: il Vangelo delle Beatitudini e l’invito perentorio a riconoscerlo e ad accoglierlo nel più piccolo dei fratelli in difficoltà sono inequivocabili e non ammettono alibi. 

LA QUESTIONE DEI MIGRANTI

Già nella lettera dello scorso Natale abbiamo condiviso con voi alcune riflessioni sulla questione che non è una tra le importanti, bensì la più importante, quella decisiva, dirimente ogni altra anche perché ne assume in sé altre importanti, che sono le cause strutturali delle migrazioni forzate: impoverimento, dittature, violazione dei diritti umani, armi, guerre, disastri ambientali. Ricordiamo alcune connotazioni fondamentali: le migrazioni, sempre costanti nella storia dell’umanità, oggi hanno assunto una dimensione planetaria. Coloro che giungono fra noi ci rivelano qual è la situazione del mondo; chi sono loro; chi siamo noi: quali sono la nostra sensibilità, la nostra cultura, etica, politica, legislazione; qual è la nostra fede; ci rivelano la nostra storia. Un esempio: mai si ricorda negli incontri, tanto meno nei tanti strumentali dibattiti televisivi, che gli italiani del fascismo hanno usato i gas in Etiopia e bruciato nelle loro capanne donne e bambini. Quando arrivano oggi gli etiopi, dovremmo abbassare lo sguardo, provare vergogna e chiedere profondamente perdono. E’ fondamentale lo sguardo su coloro che arrivano perché questo esprime i vissuti e i pensieri del cuore. Perché nei paesi poveri dell’Africa, come ad esempio l’Uganda o in altri come il Pakistan o il Bangladesh, si accolgono i profughi con le risposte precarie possibili, senza muri, fili spinati, avversione pregiudiziale e altrettanto non avviene in Europa, in Italia, in Friuli Venezia Giulia e nel Veneto? Non intendiamo nascondere le complessità, ma questo non ci esime dall’esprimere un giudizio severo sulle istituzioni, sulla politica, sulla mentalità diffusa in una parte della popolazione, sugli inquietanti e pericolosi segnali di modi di pensare e di agire, come quelli dei gruppi neofascisti, che esprimono odio e pretendono che le persone diverse, in particolare i migranti, non siano presenti fra di noi. Il nostro paese al riguardo ha una memoria storica dolorosa se pensiamo alle leggi razziali del 1938 L’Europa ha dimostrato il suo volto peggiore; l’Italia ha il grande merito di aver salvato in mare decine e decine di migliaia di persone, ma non ha potuto evitare, anche perché lasciata sola, che in questi anni nel Mediterraneo i morti siano oltre a 40 mila. Durante la scorsa estate abbiamo constatato la criminalizzazione delle ONG, in generale della solidarietà e le scelte politiche del governo italiano nei confronti delle quali esprimiamo tutta la nostra contrarietà: per le modalità, i finanziamenti a gruppi motivati unicamente da interessi economici, le conseguenze di far continuare la prigionia dei migranti nei lager della Libia o di farli in essi ritornare, con torture e angherie di ogni genere e anche, come è stato documentato ultimamente, con la tratta degli schiavi. Il fatto che i migranti non arrivino o arrivino in numero minore si è trasformato in un cinico sollievo di una parte della popolazione italiana. La contrapposizione all’approvazione dello ius soli temperato ci pare veramente pretestuosa, faziosa, senza fondamenti credibili, un pretesto per l’avversione. Ci soffermiamo un momento sulla situazione delle regioni del nordest, con attenzione alla nostra, per rimarcare alcuni atteggiamenti e situazioni concrete che ci hanno addolorato e sdegnato. Ci chiediamo: perché la memoria storica dell’emigrazione di decine e decine di migliaia di emigranti friulani e giuliani insegna così poco? Perché la memoria storica della straordinaria solidarietà vissuta nel dopo terremoto non si trasforma in sensibilità dell’accoglienza E’ per noi sconcertante che l’annunciato arrivo di 10, 15, 18, 25 persone in un paese susciti reazioni viscerali di rifiuto a prescindere. E questo con l’invocazione della identità, della cultura, dell’essere a casa propria, dell’essere cristiani e cattolici. Certamente le istituzioni e la politica hanno le loro responsabilità nel non progettare, informare, predisporre, accompagnare, sostenere. Ma ugualmente queste reazioni di emotività irrazionale attengono all’antropologia, al nostro essere donne e uomini, in relazione con gli altri, nella storia in divenire. A proposito di progetti, nella Lettera di Natale 2016 ci siamo permessi di indicare le zone di montagna come possibilità di inserimenti progettuali di migranti a beneficio di tutti con il coinvolgimento di italiani. Auspichiamo che la politica finalmente possa porre attenzione a queste prospettive a cominciare dai programmi delle prossime elezioni con l’impegno di attuarli. Sentiamo l’esigenza di un salto di spiritualità incarnata nella storia, di cultura, di ripresa dei diritti umani fondamentali, di una politica seria che assuma le questioni e non le faccia diventare motivo di contesa e di lotta, senza costruire possibili risposte positive. Le paure indotte da diverse concause, i problemi sociali irrisolti degli italiani favoriscono un conflitto con chi arriva e l’indicazione di loro come responsabili dei problemi e delle mancate soluzioni. Papa Francesco nel messaggio per la celebrazione della 51a Giornata Mondiale della Pace, il 1o gennaio 2018, propone a tutta l’umanità una riflessione su migranti e rifugiati: “Uomini e donne in cerca di pace” ricordando che “quanti fomentano la paura nei confronti dei migranti, magari a fini politici, anziché costruire la pace seminano violenza, discriminazione razziale e xenofobia, che sono fonte di grande preoccupazione per tutti coloro che hanno a cuore la tutela di ogni essere umano” e indica le quattro pietre miliari per l’azione: “accogliere, proteggere, promuovere, integrare”. Se poi nella nostra Regione si verificano in continuità con gli anni precedenti situazioni, come avvenuto nel periodo appena trascorso, di persone che dormono all’addiaccio (stranieri e italiani), a Pordenone, Trieste, Udine, Gorizia, della scandalosa condizione di coloro che in questa città hanno trovato l’unico riparo nella Galleria Bombi, allora significa che ci sono carenze e inadempienze a livello strutturale. Quella in cui stiamo vivendo è una situazione nuova in cui si prepara una nuova umanità di convivenza fra le persone diverse: dipenderà anche dalle scelte di oggi la qualità della convivenza del futuro. 

ATTENZIONE E PREMURA NEI CONFRONTI DEI POVERI, DEI DIVERSI, DEI CARCERATI 

Ci sentiamo preoccupati e addolorati per la mentalità che si diffonde nella nostra società di indifferenza e disprezzo nei confronti delle persone etichettate come diverse, del fastidio che si manifesta nei confronti dei deboli e dei poveri, della mentalità escludente e vendicativa nei confronti dei carcerati. Ogni volta che questo accade nelle città e nei paesi, constatiamo che vengono stracciate la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, la nostra Costituzione, il Vangelo di Gesù di Nazaret, i principi ispiratori delle diverse religioni. Avvertiamo urgente e indispensabile una rinascita spirituale profonda, la crescita della cultura e della pratica dei Diritti Umani, il riferimento al Vangelo accolto in tutta la sua provocazione, il suo sostegno e conforto. In particolare, per quanto riguarda i carcerati, da tempo abbiamo appreso la Dichiarazione che “la civiltà di un paese si misura dalle condizioni delle carceri”. Applicata all’Italia ci lascia sgomenti. La certezza della pena è indubbiamente importante ma non può significare la sepoltura delle persone nella colpa in situazioni di disumanità, bensì configurare percorsi rieducativi come afferma la Costituzione, umani e umanizzanti. 

VIVERE E MORIRE CON DIGNITÀ

Desideriamo condividere con voi alcune considerazioni sul vivere e morire con dignità, suggerite dall’incontro con le storie di sofferenza di tante persone e anche dalle recenti riflessioni di papa Francesco e dalle dichiarazioni di Michele Gesualdi, discepolo di don Lorenzo Milani, uomo di fede e di servizio agli altri. La questione è molto delicata perché in essa si concentrano dimensioni diverse. Ogni persona umana deve essere sempre rispettata nella sua dignità e libertà, nella sua storia e nelle situazioni di sofferenza e malattia. Quando queste diventano estreme, il rispetto richiede il non accanimento terapeutico, l’assecondare la volontà del malato e dei suoi famigliari. Così papa Francesco: “… occorre un supplemento di saggezza perché oggi è più insidiosa la tentazione di insistere con trattamenti che producono potenti effetti sul corpo, ma talora non giovano al bene integrale della persona.” Già Pio XII, 60 anni fa, in un discorso ad anestesisti e rianimatori, ha affermato che non c’è l’obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene. Ancora papa Francesco: “E se sappiamo che dalla malattia non possiamo sempre garantire la guarigione, della persona vivente possiamo e dobbiamo sempre prenderci cura: senza abbreviare noi stessi la sua vita, ma anche senza accanirci inutilmente contro la sua morte”. Nessuno deve sollecitare o indurre a morire qualcuno ed egualmente nessuno deve costringerlo a vivere in condizioni disumanizzanti.

Siamo anche favorevoli all’autodeterminazione della persona malata espressa in condizioni di buona salute o nella situazione di sofferenza; se questo non è possibile tramite un’altra persona delegata. Qualcuno osserva che l’autodeterminazione si porrebbe contro Dio che ci ha donato la vita. Consideriamo che il dono della vita comporta libertà e responsabilità. L’autodeterminazione non è quindi contro Dio ma invece può essere vissuta di fronte a Lui, in dialogo con Lui, affidandosi pienamente a Lui, anche perché la vita non è l’assoluto biologico della stessa e noi saremo accolti nel suo Mistero di vita. Speriamo quindi che la legge sul biotestamento, passata alla Camera e ora ferma al Senato, sia stata approvata quando questa nostra lettera sarà pubblica, se non lo fosse sarebbe un segno negativo. 

LE RAGIONI DELLA SPERANZA

E’ possibile sperare? Quali le motivazioni, quali le ragioni? E’ possibile scorgendo quotidianamente fra le tribolazioni, i dolori, le diverse difficoltà i segni positivi di persone, di gruppi, di comunità che, animati da ideali, da fede, dalla disponibilità alla concreta prossimità, si dedicano con passione, gratuità e perseveranza. Insegnanti, amministratori, professionisti, medici, infermieri che vivono la loro competenza in modo veramente umano; tante persone coscientemente volontarie. E questo in ogni parte del mondo. Consideriamo un segno di speranza l’assegnazione del Nobel per la Pace 2017 a ICAN per la campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari.

La prossima memoria viva del Natale è motivo di speranza. Gesù di Nazaret è venuto, uomo fra noi, per annunciare la speranza del Regno di Dio, di una nuova umanità di fratelli e sorelle, di giustizia e di pace: questo è il sogno di Dio sull’umanità; Lui ci propone di coinvolgerci per contribuire a realizzarlo, assicurandoci la sua presenza come riferimento, guida e sostegno.

Il bambino del Natale è l’incarnazione di Dio, che ha scelto la carne dei poveri e che nella carne dei poveri verrà ucciso, che ci giudicherà sui nostri atti di solidarietà nei confronti dei poveri. Vivente oltre la morte, ci accompagna, come i due viandanti di Emmaus, oggi sulle strade delle nostre vite. La memoria viva dell’autentico Natale ci dice che le speranze che più sembrano impossibili sono rese possibili da Dio, dalla fiducia in Lui nel credere che questo può avvenire ogni giorno. Questa speranza assume tutte quelle che nascono dal dolore, dalla fame e sete di giustizia, non può che essere una speranza condivisa con gli altri, che ci avvicina come fratelli e sorelle, come compagni nel cammino della vita.

 

I preti firmatari

 

Pierluigi Di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Pierino Ruffato, Paolo Iannaccone, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Renzo De Ros, Luigi Fontanot, Alberto De Nadai, Albino Bizzotto, Antonio Santini.

 

CONVOCAZIONE ASSEMBLEA 

Noi firmatari della lettera di Natale invitiamo tutte le persone, della nostra Regione e anche di altre, di diverse ispirazioni e percorsi, che hanno a cuore l’insegnamento di papa Francesco e le riflessioni proposte in questa lettera a partecipare a una pubblica assemblea che intitoliamo

“Una rinnovata passione per Dio e per l’uomo insieme a papa Francesco”

che si svolgerà nel Centro di accoglienza e di promozione culturale “Ernesto Balducci” di Zugliano (Udine) Sabato 17 febbraio 2018 dalle ore 9.30 alle 16.00

L’assemblea è aperta a tutti, la partecipazione è libera. Sarà reso noto successivamente il programma dettagliato della giornata. Si chiede la cortesia di segnalare la propria presenza personale o del gruppo e comunità di appartenenza, indicando possibilmente il numero delle persone partecipanti, scrivendo o telefonando alla segreteria del Centro Balducci entro mercoledì 31 gennaio.   

e-mail: segreteria@centrobalducci.org

 

Telefono: 0432-560699

* foto di Pietro Piupparco, tratta da Flickr, immagine originale e licenza




il missionario che si fa radicalmente ‘come loro’

Palermo

fratel Biagio in strada

«Come chi non ha nulla»


Alessandra Turrisi 
il missionario laico di Palermo
tanti senza casa, le coscienze si scuotano

Il giaciglio, tra coperte e cartoni, di fratel Biagio Conte

il giaciglio, tra coperte e cartoni, di fratel Biagio Conte

L’ultimo “residente della strada” che ha accompagnato fino alla fine si chiamava Giuseppe. Barba incolta, 57 anni che valevano il doppio, senza la forza neppure di parlare, si era ricavato un giaciglio in un anfratto del popolare mercato del Capo, alle spalle del Palazzo di giustizia di Palermo. Il missionario laico Biagio Conte e i suoi volontari lo hanno raccolto e portato in ospedale e un paio di giorni fa è morto, «ma almeno non è rimasto per strada».

Piange fratel Biagio, l’uomo col saio verde e gli occhi azzurri, nel toccare con mano la povertà nera, aumentata esponenzialmente negli ultimi anni, «ancora di più di quando cominciai sotto i portici della Stazione Centrale con i fratelli che vivevano lì negli anni Novanta», ma soprattutto nel guardare in faccia l’indifferenza. Quella che uccide. Come ha ucciso i numerosi senzatetto di Palermo, morti negli ultimi mesi in un angolo di strada, fino al caso di Amor il pomeriggio di Capodanno. Loro sono la prova che qualcosa non va, che le ingiustizie sociali stanno relegando ai margini uomini soli, famiglie con figli, anziani, nell’indifferenza generale. E Biagio Conte, che da oltre 25 anni ospita mille persone senza più nulla, italiani e migranti senza distinzione, in tre strutture che fanno di Palermo la città dell’accoglienza, ha deciso di farsi come loro.

Così, mercoledì sera ha preso un paio di coperte, la Bibbia, il breviario, ha raccolto per strada un cartone robusto e ha sistemato il suo giaciglio di protesta sotto i portici delle Poste centrali di via Roma. Proprio dove qualche anno fa emise l’ultimo respiro Vincenzo, un senza dimora che la missione ‘Speranza e Carità’ ha assistito e accompagnato verso la morte, facendogli sentire l’affetto e l’attenzione che per una vita gli erano stati negati. Ha trascorso lì la notte tra mercoledì e giovedì, informando della sua decisione solo il suo braccio destro padre Pino Vitrano. Nessuna spiegazione, solo una lunga lettera scritta a mano, da cui traspare un travaglio, maturato dopo il suo rientro, a metà settembre, dal pellegrinaggio che gli ha permesso di toccare tutte le regioni d’Italia, toccando infinite forme di povertà e di bisogno estremo. Tornato a Palermo, si è trovato davanti una situazione gravemente peggiorata. «Vivo un profondo disagio: non riesco a essere tranquillo, non dormo e non riesco a mangiare, sapendo che ancora ad oggi tante persone vivono per strada» scrive con dolore. «Tante famiglie sono sfrattate e non hanno la casa, tante persone non hanno lavoro.

La forte indifferenza e il profondo egoismo ancora oggi sono molto diffusi, mi inducono a rispondere al male con il bene. Per queste ingiustizie mi abbandono anch’io per strada, per solidarizzare con chi è morto per strada, per chi ancora dorme per strada. Mi sosterranno la preghiera e il digiuno, affinché i cuori e le coscienze si scuotano e si sensibilizzino verso i più bisognosi » dice, firmandosi «piccolo servo inutile». E piccolo lo appare davvero, imbacuccato per difendersi dall’umidità sotto quelle imponenti colonne di epoca fascista che nascondono il difensore degli ‘ultimi’.

Lancia un appello accorato alla città, alle autorità e ai singoli cittadini: «Chi ha e non dona nulla al bisognoso, al più debole, all’indigente, non può essere un uomo o una donna di giustizia, di pace, di speranza. Questo appello è rivolto a tutte le città e regioni d’Italia: è urgente aiutare chi non ha la casa, il lavoro». Il primo a reagire è il presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci: «Nei prossimi giorni incontrerò il missionario per esprimere la vicinanza del governo regionale e concordare possibili e concrete iniziative a sostegno del proprio impegno sociale».




il Brasile nomina Camara patrono dei diritti umani

HÉLDER CÂMARA PATRONO DEI DIRITTI UMANI

l’ha stabilito il governo del Brasile in una delle ultime sedute del 2017

Dom Hélder Câmara

dom Hélder Câmara

I diritti umani avranno il loro protettore, almeno in Brasile, dove il Parlamento ha scelto di concludere un complicato 2017 all’insegna di una proclamazione che ha preso di sorpresa la Chiesa brasiliana, quella di dom Hélder Câmara “Patrono de los Derechos Humanos”. In un decreto di fine anno apparso sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione, che fa seguito ad una legge decretata dal Congresso nazionale pubblicata il 27 dicembre, il governo brasiliano ha riconosciuto nella figura di Câmara l’emblema di chi si è distinto nella difesa dei diritti dei più svantaggiati, in particolare nel periodo della dittatura militare, quando era arcivescovo di Olinda e Recife nominato in quella sede proprio da Paolo VI nel marzo 1964. La reazione del neo-arcivescovo fu di ripudio all’ascesa dei militari al potere e di forte sostegno all’Azione Cattolica diocesana che aveva condannato il golpe e ciò, ovviamene, gli valse da subito l’accusa di “comunista, demagogo e libertino” da parte delle nuove autorità militari. Tanto che il governatore locale gli proibì di parlare in pubblico, al di fuori delle mura della chiesa, e ogni volta che predicava le sue omelie erano provocatoriamente registrate dalla polizia politica che si sistemava con il registratore ben visibile a poca distanza dell’arcivescovo. A questo punto – ricorda Luis Badilla sull’agenzia vaticana Il Sismografo – “Câmara scelse una nuova via: scrivere e fare conferenze all’estero”. Pubblicò 23 libri tradotti in oltre 20 lingue. Prese parte a decine di incontri e conferenze in giro per il mondo e nel 1970, a Parigi, ebbe il grande coraggio di denunciare l’uso sistematico della tortura nel suo Paese così come l’esistenza di migliaia di prigionieri politici, molti dei quali rinchiusi nell’anonimato. Lasciò la diocesi il 2 aprile 1985, per raggiunti limiti di età continuando a vivere nella casa popolare in cui si era trasferito all’inizio del suo ministero episcopale, a Recife, fino alla morte avvenuta il 27 agosto 1999 quando aveva 90 anni.

Una biografia per così dire autorizzata del “vescovo rosso”, come veniva apostrofato dai militari negli anni della dittatura, è contenuta nella lettera ufficiale con cui la Chiesa brasiliana chiese l’avvio del processo di canonizzazione nel 2014 ricevendo in Vaticano un primo parere favorevole che gli ha aperto la strada verso gli altari. L’allegato alla lettera ricordava il lavoro sociale di dom Hélder Câmara – nei “movimenti studenteschi e operai, leghe comunitarie contro la fame e la miseria” – che gli costò l’ostracismo del governo militare brasiliano. Nel 1970 Sunday Times lo definì “l’uomo più influente dell’America Latina dopo Fidel Castro”. Dom Hélder Câmara fu uno dei pochi vescovi latinoamericani a partecipare al Concilio Vaticano II dove si fece portavoce di una Chiesa maggiormente preoccupata del “sociale”. Di lui si ricorda un accenno al celibato sacerdotale in questi termini. “Va bene discutere del celibato, senza però trascurare argomenti più essenziali come fame e libertà”. «Lo infastidivano la “pompa eccessiva” e il progressivo distanziamento della Chiesa dalle questioni sociali» ricorda l’allegato alla lettera destinata alla Congregazione per le cause dei santi. «Disse una volta: “Quando do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando dico che i poveri non hanno da mangiare, tutti mi danno del comunista». Il testo fa notare la coincidenza con Papa Francisco che due anni fa è stato tacciato di marxista dalla stampa statunitense.

Nessuno, tantomeno i vertici della Chiesa brasiliana, si aspettava che anche dal governo Michel Temer, in esercizio dall’agosto del 2016, potesse provenire un riconoscimento laico di tale prestigio verso una figura come dom Hélder Câmara e in un momento in cui i rapporti con l’episcopato della nazione sudamericana manifestano molti punti di tensione. “È strano” si legge sulla stampa nazionale “che uno dei governi che ha fatto di più per porre fine ai diritti della popolazione in poco più di un anno di mandato, sia quello che assegna un tale riconoscimento ufficiale”. Sui tagli sociali, la riforma del lavoro e quella previdenziale disegnate dagli uomini di Temer la Chiesa brasiliana si è mostrata molto critica. Ma forse proprio qui c’è chi vede la ragione dell’atto di fine legislatura 2017. “Un tentativo di riconciliazione con la Chiesa cattolica che ha ripetutamente criticato e condannato molte delle misure adottate dal governo, a cui attribuisce la responsabilità di restringere dei diritti che beneficiano i più vulnerabili della società”.




anche la chiesa alla scuola della misericordia secondo il segretario dei vescovi italiani

la chiesa impari di più la misericordia

di Nunzio Galantino

in “Il Sole 24 Ore” del 30 dicembre 2017

“da troppi pulpiti viene diffuso il timore che l’accoglienza metta a rischio la nostra tenuta sociale, e si propone come rimedio la logica dei muri, per elevare da ogni parte divisori invalicabili, per tenere lontano chi è più povero e ciò che è diverso, cioè quanto potrebbe scomodarci o metterci in discussione. Non va forse in questa direzione la mancata approvazione in Senato all’antivigilia di Natale della legge sul diritto di cittadinanza? Una volta di più la miopia e il calcolo impediscono alla politica di muoversi secondo giustizia, di vedere l’instabilità di un mondo abitato da evidenti disuguaglianze e di non comprendere quanto sia precario un benessere non condiviso”

Non sono uso a guardare indietro né faccio troppi calcoli sul domani: piuttosto che soppesare e prevedere preferisco, quando e come mi riesce, l’impegno concreto e appassionato di ogni giorno. Detto questo, il passaggio al nuovo anno rappresenta comunque per tutti un momento di bilancio e di rilancio. Qui cerco di farlo gettando uno sguardo al recente cammino della Chiesa italiana, cercando di intravedere gli orizzonti che la attendono e gli obiettivi da raggiungere, a partire dalle sfide che la storia ci presenta. Negli ultimi anni, la vita della Chiesa è stata positivamente sconvolta dall’elezione di Papa Francesco, della quale sta per compiersi il quinto anniversario. Siamo riconoscenti anzitutto a lui, che con il suo progetto di riforma ha spinto a rimescolare le carte della Chiesa italiana, esortandola a ripensare sempre di più ai motivi che la spingono e le coordinate del suo vivere. Sulla scia del Concilio, ci ha indicato con forza la via della solidarietà con gli ultimi e della condivisione delle vicende umane, per far sì che la testimonianza evangelica sia autentica e non solo di facciata. Lo scossone è stato e rimane forte, diciamoci la verità. Francesco costringe la Chiesa, nella sua azione pastorale, ad assumere una prospettiva ampia, che la porti a guardare sempre più fuori di se stessa, verso il mondo e i poveri, per mantenere viva la sua identità profonda, segno di quell’amore di Dio per gli uomini che abbiamo appena celebrato nel Natale. È un impegno che – se la Chiesa italiana fa suo nella vita quotidiana delle comunità – è stato messo nuovamente a fuoco in occasione della Settimana sociale dei cattolici italiani, dedicata quest’anno al tema cruciale del lavoro. Perché non resti un convegno fine a se stesso occorre davvero che tale impegno divenga ogni giorno più pressante e spinga a una revisione delle attività e delle strutture ecclesiali, nell’ottica della missione e della carità. La Chiesa, del resto, non rimane se stessa se non si immerge nelle pieghe della storia, se non condivide con i poveri e non opera in ogni modo per favorire e costruire il bene comune. In quest’ottica, non è un caso che la pace sia l’obiettivo che ci poniamo fin dal primo giorno dell’anno con la Giornata mondiale, dedicata quest’anno ai migranti e ai rifugiati, cioè a tutti coloro che “fuggono dalla guerra e dalla fame o che sono costretti a lasciare le loro terre a causa di discriminazioni, povertà e degrado ambientale” (dal Messaggio di Papa Francesco). Qualcuno storcerà il naso, poi, nel vedere pochi giorni dopo – precisamente il 14 gennaio – la Chiesa celebrare anche la “Giornata mondiale del migrante e del rifugiato”, per rafforzare il nostro impegno nel tendere la mano a chi lascia la propria terra in cerca di una condizione più stabile, dignitosa e umana. Da troppi pulpiti viene diffuso il timore che l’accoglienza metta a rischio la nostra tenuta sociale, e si propone come rimedio la logica dei muri, per elevare da ogni parte divisori invalicabili, per tenere lontano chi è più povero e ciò che è diverso, cioè quanto potrebbe scomodarci o metterci in discussione. Non va forse in questa direzione la mancata approvazione in Senato all’antivigilia di Natale della legge sul diritto di cittadinanza? Una volta di più la miopia e il calcolo impediscono alla politica di muoversi secondo giustizia, di vedere l’instabilità di un mondo abitato da evidenti disuguaglianze e di non comprendere quanto sia precario un benessere non condiviso. La Chiesa non rimane alla finestra. Consapevole del suo dovere di solidarietà, e del fatto che senza inclusione non può darsi la pace, anche grazie ai fondi dell’otto per mille ha approntato anche quest’anno numerosi progetti, sia a sostegno di Paesi poveri e zone bisognose, sia al fine di realizzare una maggiore inclusione degli indigenti italiani e di quanti giungono in Italia fuggendo dalla miseria e dalla guerra. Le comunità e le associazioni sono impegnate su tutto il territorio in una quotidiana opera di assistenza, che muove migliaia di volontari e richiede mezzi ingenti. C’è da augurarsi e da lavorare perché il nuovo anno veda ridursi le chiusure egoistiche e porti un maggiore coinvolgimento da parte di tutti.
Un ultimo tema, tra i tanti che mi scorrono davanti, è quello dei giovani. Su iniziativa di Papa Francesco, l’anno che sta per iniziare vedrà impegnata la Chiesa anche in un Sinodo dedicato proprio a loro. Non si tratterà di un convegno realizzato da alcuni esperti né di un momento isolato, ma di un cammino che compiremo per i giovani e insieme ai giovani, per sintonizzarci insieme e comprendere il modo di rendere la Chiesa e la società più aperte. Attraverso queste e altre tappe, la Chiesa italiana si propone nel 2018 di crescere nella via del Vangelo e nella fedeltà alla storia. Si propone in altri termini di imparare sempre di più la misericordia, che non è un semplice sentimento, ma coinvolgimento nella sorte dell’altro, uscita da se stessi e impegno solidale. Sono queste le vie che ci proponiamo di percorrere insieme a tutta la società, in uno stile di confronto e collaborazione che ci ricordi la natura del bene comune, il quale come la tematica ambientale e gli stessi dati economici non mancano di ricordarci – non può essere raggiunto dagli uni a scapito di altri, ma nello spirito di chi cammina in cordata e avanza avendo cura di procedere insieme.

 Nunzio Galantino




non basta fare presepi per evitare un natale eretico!

La nascita di Gesù. Natali eretici?

la nascita di Gesù

natali eretici?

 da: Adista Segni Nuovi n° 45 del 30/12/2017
 

Cominciamo con il testo del disegno che credo fosse dell’ineffabile Cortés:

«Se la gente pensasse seriamente a quello che significa che Dio si incarna, che si pone radicalmente dalla parte dei più poveri e dimostra che l’unica religione vera è l’amore vero, se la gente pensasse veramente a cosa la impegna dire che Dio è nato a Betlemme…, probabilmente non sarebbe tanto contenta quando arriva Natale».

Quando Fidel Castro decise di sopprimere il Natale, mezzo mondo lo accusò di essere ateo e anticristiano. Concedo che misure di questo tipo non possano imporsi dittatorialmente, ma rimane un’altra domanda: era veramente una misura anticristiana? O, come succedeva quando accusavano Gesù di essere “blasfemo”, Fidel era più profondamente credente dei suoi accusatori? Vediamo un momento.

La nascita di Dio, proprio di Dio!, nella povertà e nell’abbandono che vivono molti esseri umani, l’abbiamo trasformata in un ammasso di consumo inutile, che non rivela niente della solidarietà di Dio con noi, ma rivela la nostra “insolidarietà” con gli altri. Visto da questo divino “amore fino all’estremo” (come dice un Vangelo), quello che dovrebbe essere la festa dell’umano, si è trasformato in festa dell’inumano. La stalla è diventata una “Corte inglese”; la compagnia del bue e dell’asinello è diventata la compagnia del maialino e di un buon vino. I disprezzati socialmente (i pastori) e gli stranieri (i magi), gli unici che, secondo il Vangelo, percepiscono e annunciano la nascita di Dio, sono oggi figure bucoliche ben vestite e “re”. Per questo non hanno nulla da annunciarci, se non che la vita manca di senso e che possiamo riempire questo vuoto solo consumando. La notte fuori città “senza luogo dove riposare”, si è mascherata da arterie ben illuminate, dove si spreca energia per incoraggiarci a sprecare denaro. La solidarietà di Dio che si rivela dandosi fino all’umiliazione, l’abbiamo pervertita in solidarietà artificiali che scimmiottano le celebrità. E invece di celebrare la nascita di Dio, celebriamo la nascita dello spreco. Ogni anno, le famiglie si riuniscono per inerzia, sotto lo slogan di celebrare l’affetto e l’unione familiare, si lasciano più estranee e in maggiore inimicizia, soprattutto se di mezzo ci sono i soldi. Alla fine, una pubblicità detestabile ci propina una brutta parodia di Gustavo Adolfo Bécquer dicendoci: «Il Natale sei tu». Ecco come la festa dell’amore si traveste da festa dell’egoismo.

Ciliegina di tutta questa perversione può essere quel tristemente celebre presepe dell’ospedale di Castellón, reso noto l’anno passato per queste feste: 90.000 mila euro annunciati da un angelo moderno, e non precisamente ai pastori o agli infermi… Se questo non è blasfemia ed eresia, che venga la Congregazione per la dottrina della fede e ce lo dica.

Concedo che non è stato sempre così. Molte canzoni riflettono ancora una poetica e, ingenuamente, l’incontro della migliore umanità con la semplicità, e dell’aspetto materiale come espressione (non come sostituzione) di quello spirituale. Quello che oggi denuncio è frutto di questa inevitabile “entropia”, che è anche una legge della storia e non solo della fisica. E che si acutizza con il decristianizzarsi della società.

In modo semplice e per niente aggressivo, è questo che dovrebbe preoccupare noi cristiani. Sarebbe assurdo che tutti quelli che credono nella (e celebrano la) nascita dello stesso Dio nell’abbandono e nella povertà trasformassero questi giorni sacri in giornate di totale rinuncia al consumo, di intensificazione della presenza solidale fra le vittime di questo mondo crudele, e di piena riconciliazione e perdono fra noi e con tutti gli esseri umani? Giorni nei quali ci ripetiamo alcune parole bibliche come: «Ascolta popolo credente, il nostro Dio è solamente uno; amalo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e tutte le tue forze»… O «gli dei e i signori della terra non mi soddisfano»? Lasciamo pacificamente che coloro che non hanno altri dei si dedichino al consumo sfrenato. Forse, se noi rinunciassimo seriamente a consumare in questi giorni, faremmo loro persino un favore perché, se diminuisce la domanda, si abbassa anche il prezzo dell’offerta.

Sognando, potrebbe succedere che le Chiese cristiane, che non devono pretendere di imporre la loro fede né cambiare le cose per forza come Fidel Castro, si interroghino seriamente sulla possibilità di abbandonare la data del 25 dicembre come celebrazione della nascita di Gesù di Nazareth. Di fatto, Gesù non è nato in questo giorno e non sappiamo in quale giorno ciò accadde. Si è scelta questa data per trasformare la festa pagana della nascita del sole. Ma forse è tempo di lasciare che la società non cristiana recuperi quella festa pagana e di trasferire il Natale cristiano ad un’altra data: magari un mese dopo, sul finire di gennaio.

Così, inoltre, le feste laiche del solstizio d’inverno passerebbero ad essere, per la liturgia cristiana, ulteriori giorni di “avvento” che preparano la nascita di un altro Sole che mai si raffredderà.

*  José Ignacio González Faus è teologo gesuita spagnolo. uesto articolo è stato pubblicato su La Vanguardia del 18/12/17

* * Natività di Matthias Stomer, olio su tela (1640 ca.), Chiesa dei Cappuccini di Monreale (Pa), Creative Commons, GNU Free Documentation License




Cacciari contro le omelie dei preti

intervista HuffPost a Massimo Cacciari:

“le omelie di molti preti, spesso, sono delle lezioni di anti religione”

La parola del Vangelo l’ha ascoltata fuori dal tempio: “Le Chiese sono diventate delle grandi scuole di ateismo. Nella gran parte di esse, la forza paradossale del verbo di Cristo viene trasformata in un discorso catechistico e ripetitivo, un piccolo feticcio consolatorio e rassicurante, un idoletto. È l’opposto di ciò che insegnava Gesù domandando ai suoi discepoli: ‘Chi credete che io sia?'”. Massimo Cacciari era ancora uno studente al secondo anno di liceo quando, tra lo Zarathustra di Nietzsche e le prime letture di Hegel, aprì le pagine del Nuovo Testamento: “Fu entusiasmante sentire la straordinarietà di quel testo, la bellezza di una storia che induce ad andare alla ricerca, senza certezze, rischiando. Al novanta per cento, i preti sono incapaci di rendere la potenza di quel racconto. Le loro omelie, spesso, sono delle lezioni di anti religione”.   

Negli anni sessanta e settanta, mentre erano di moda i capelloni, Marx, i pantaloni a zampa d’elefante, Marcuse, l’eros e la civiltà, Kerouac, la Cina e Janis Joplin, Cacciari leggeva i testi della teologia cristiana: “Nelle riviste della sinistra non organiche al partito comunista – “Quaderni Rossi”, “Contropiano” – discutevamo della Santa Romana Chiesa insieme a Giorgio Agamben, Mario Tronti, Giacomo Marramao. Avevamo idee diverse, ma condividevamo le stesse letture: tutte abbastanza eretiche”. Il Natale degli alberi in pivvuccì, degli acquisti online e i centri commerciali aperti tutto il giorno; il Natale della neve luccicante incollata sulle vetrine, delle barbe bianche, delle renne e delle slitte, non lo scandalizza: “Basta sapere che la nascita di Cristo non ha niente a che vedere con quello che vediamo intorno a noi. Il Natale è diventato un festa per bambini e adulti un po’ scemi. Non c’è da levare alti lai contro il consumismo. C’è solo da riflettere, meditando con sobrietà e disincanto”. Nel suo libro, “Generare Dio” (Mulino), mostra – da laico – che nel mistero dell’incarnazione di Dio c’è un personaggio che abbiamo avuto sempre sotto gli occhi, eppure non siamo stati ancora in grado di vedere nella sua interezza: Maria.

Perché, professore?

Maria è stata pressoché ignorata anche dai filosofi che hanno interpretato l’Europa e la Cristianità, come Hegel e Schelling. Il discorso ha privilegiato il rapporto del padre con il figlio. Maria è stata ridotta a una figura di banale umiltà, un grembo remissivo e ubbidiente che si è fatto fecondare dallo spirito santo senza alcun turbamento.

 

Invece?

Quando l’Arcangelo Gabriele le annuncia che concepirà e partorirà un figlio e che egli sarà chiamato Figlio dell’Altissimo, Maria ha paura. Si ritrae, dubita, è assalita dall’angoscia, medita. Il suo sì non è affatto scontato. Nel momento in cui lo pronuncia, è un sì libero e potente, fondato sull’ascolto della parola. Perché Maria giunge a volere la volontà divina.

 

Nessuno se n’era accorto prima?

Nel pensiero, solo pochi autori – penso a Baltasar – hanno riflettuto sulla figura di Maria. È nella pittura – nella grande pittura occidentale – che Maria si innalza al ruolo di protagonista assoluta. Siamo di fronte a uno di quei casi in cui l’espressione figurativa è andata molto più in profondità del linguaggio.

Cosa riesce a mostrare?

Che se si toglie alla nascita di Cristo la scelta di questa donna che accoglie nel suo ventre il figlio di Dio e il suo Logos, l’incarnazione diventa una commedia. Maria è libera. Anzi, di più: il suo libero donarsi all’ascolto è in realtà un’iper libertà.

Perché iper?

Quando – nel giardino dell’Eden – Adamo mangia il frutto dell’albero della conoscenza obbedisce al proprio desiderio. La sua libertà è la libertà di soddisfare i propri impulsi. Maria, invece, riflette, s’interroga, soffre. Poi, fa la volontà dell’altro. La sua libertà è quella di far dono di sé. È come suo figlio: fa la volontà del padre. E qual è la libertà maggiore: quella che ti incatena a te stesso; oppure quella che ti libera dall’amor proprio?

Ma la libertà può essere slegata da ciò che si desidera?

Ma perché non si dovrebbe desiderare di donare se stessi agli altri? Perché non può essere questo l’oggetto del desiderio, anziché quello di soddisfare le proprie pulsioni?

Possiamo riuscirci?

Gesù, Maria, Francesco ci hanno dato degli esempi della libertà intesa come dono. È oltre umano seguirli? Può darsi. E può anche darsi che proprio qui s’incontrino la radicalità del messaggio cristiano e il super uomo di cui parlava l’anti cristiano Nietzsche: nell’impossibile.

Ma se è impossibile, perché provarci?

Perché l’impossibile non è una fantasia, un gioco inutile e vano. L’impossibile è l’estrema misura del possibile. E, se non orienti la tua vita in quella direzione, rimarrai prigioniero del tuo tempo. È questo il messaggio di Gesù: per essere libero, abbi come misura la mia impossibilità.

Se non possiamo essere come lui, perché Cristo si è fatto uomo?

Perché è necessario avere come misura qualcosa che ci oltrepassa per riuscire a spingerci altrove. Cristo non predicava nei templi: predicava fuori, nelle strade. I suoi discepoli dicevano: “È fuori”. Nel senso: “È fuori di testa, è pazzo”. Eppure, Gesù ha segnato un prima e un dopo nella storia dell’uomo, ha creato il mondo culturale e antropologico in cui viviamo. C’è qualcosa di più realistico di questo? Senza quell’impossibilità niente ci spingerebbe a uscire da noi, a ri-orientare diversamente le nostre vite.

Perché dovremmo farlo?

Per liberare il nostro tempo dalle sue miserie. Più la nostra epoca ci rinserra dentro di essa, più servono grandi idee, pensieri limite, parole ultime. Sono le uniche cose che ci possono sradicare dal tempo in cui ci viviamo.

Come lo definirebbe?

Osceno, nel senso letterale del termine: un tempo in cui tutto deve essere posto sulla scena: i nostri pensieri, le nostre fotografie, i nostro segreti. Niente deve stare in una zona scura. Invece, è proprio dal buio che proviene la luce che illumina e rivela. Pensi alla pittura d’Europa, la terra del tramonto: cosa raffigurerebbe senza il gioco dell’ombra?

È tutto davvero così esposto?

Al contrario. Quella della trasparenza è solo un’ideologia. Mai come oggi le potenze che governano il mondo sono state così nascoste. Al di là dell’apparenza, la nostra è l’epoca dell’occulto, dei poteri anonimi, di ciò che non si vede. Mentre, nel caso di Maria, la luce divina si copre d’ombra per manifestarsi nella realtà, nel nostro tempo l’oscuro si nasconde dietro la luminosità. Lucifero è negli inferi, però finge di essere portatore di chiarore. La nostra epoca è attraversata dallo spirito dell’anti-Cristo. Ci sono stati momenti in cui esso si è manifestato nella sua forma pura. Oggi, invece, circola mascherato.

Anche la politica avrebbe qualcosa da imparare da Maria?

Maria è una figura della libertà, non è il santino che raccontano i preti. La sua humilitas è meditazione e ascolto. Se leggessero ancora, i politici potrebbero imparare anche da lei. Se non altro, per essere più consapevoli della storia in cui si collocano. Il dramma, però, è che c’è stata una completa divaricazione tra il sapere e il potere.

Per quel che riguarda le figure religiose, i cristiani non potrebbero aiutarli?

I cristiani sono i primi ad aver dimenticato il Natale, smettendo di predicare la paradossalità del verbo.

Anche il Papa?

Il discorso è più complesso. Francesco si inscrive nella tradizione ignaziana, dove l’etica della fede si coniuga alla volontà di potenza e l’assoluta dirittura morale ed etica si combina a una grande capacità di catturare il mondo nelle proprie reti.

Perché neanche le femministe hanno riflettuto su Maria?

Perché anche loro – benché protagoniste dell’ultima vera rivoluzione degli ultimi decenni – sono rimaste vittime della lettura maschilista dell’incarnazione. Hanno guardato Maria come un figura servile, totalmente oscurata dal rapporto tra padre e figlio, non riuscendo a scorgere quello che c’è oltre.