il business della sofferenza in Libia e i governi europei

lettera aperta di Medici senza Frontiere

i governi europei alimentano il business della sofferenza in Libia

Lettera aperta di Medici senza Frontiere: i governi europei alimentano il business della sofferenza in Libia

MSF ha inviato oggi una lettera aperta ai leader degli Stati membri e alle istituzioni dell’Unione Europea per denunciare le atroci sofferenze che le loro politiche sulla migrazione stanno alimentando in Libia.

Nella lettera, inviata anche al presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, MSF denuncia la determinazione dell’Europa nel bloccare le persone in Libia a qualunque costo e chiede che gli inaccettabili abusi contro le persone trattenute arbitrariamente nei centri di detenzione cessino al più presto.

Un sistema criminale di abusi

“Il dramma che migranti e rifugiati stanno vivendo in Libia dovrebbe scioccare la coscienza collettiva dei cittadini e dei leader dell’Europa” si legge nella lettera, firmata dalla dott.ssa Joanne Liu, presidente internazionale di MSF e da Loris De Filippi, presidente di MSF in Italia. “Accecati dall’obiettivo di tenere le persone fuori dall’Europa, le politiche e i finanziamenti europei stanno contribuendo a fermare i barconi in partenza dalla Libia, ma in questo modo non fanno che alimentare un sistema criminale di abusi.”

MSF assiste le persone nei centri di detenzione di Tripoli da più di un anno e ha visto con i propri occhi questo schema di detenzione arbitraria, estorsioni, abusi fisici e privazione dei servizi di base che uomini, donne e bambini subiscono in questi centri.

“La detenzione di migranti e rifugiati in Libia è vergognosa. Dobbiamo avere il coraggio di chiamarla per quello che realmente è: un’attività fiorente che lucra su rapimenti, torture ed estorsioni” continua la lettera aperta di MSF. “Le persone sono trattate come merci da sfruttare. Ammassate in stanze buie e sudicie, prive di ventilazione, costrette a vivere una sopra l’altra. Le donne vengono violentate e poi obbligate a chiamare le proprie famiglie e chiedere soldi per essere liberate. La loro disperazione è sconvolgente.”

La complicità dell’Europa

La riduzione delle partenze dalle coste libiche è stata celebrata come un successo nel prevenire le morti in mare e combattere le reti di trafficanti. Ma per MSF questa celebrazione è da considerarsi nella migliore delle ipotesi pura ipocrisia o, nella peggiore, cinica complicità con il business criminale che riduce gli esseri umani a mercanzia nelle mani dei trafficanti.

“Chi è davvero complice dei trafficanti: chi cerca di salvare vite umane oppure chi consente che le persone vengano trattate come merci da cui trarre profitto?” si domanda nella lettera di MSF. “La Libia è solo l’esempio più recente ed estremo di politiche migratorie europee che da diversi anni hanno come principale obiettivo quello di allontanare le persone dalla nostra vista. Tutto questo toglie qualunque alternativa alle persone che cercano modi sicuri e legali di raggiungere l’Europa e le spinge sempre più in quelle reti di trafficanti che i leader europei dichiarano insistentemente di voler smantellare.”

Per MSF, vie legali e sicure perché le persone possano raggiungere paesi sicuri sono l’unico modo per proteggere i diritti delle persone in fuga, assicurare un controllo legale delle frontiere europee e rimuovere quei perversi incentivi che consentono ai trafficanti di prosperare: “Le persone intrappolate in queste ben note condizioni da incubo hanno disperato bisogno di una via di uscita. Devono poter accedere a protezione, asilo e quando possibile a migliori procedure di rimpatrio volontario. Hanno bisogno di un’uscita di emergenza verso la sicurezza, attraverso canali sicuri e legali.”

“Non possiamo dire che non sapevamo quello che stava accadendo. Non possiamo continuare a tollerare questo vergognoso accanimento sulla miseria e la sofferenza delle persone in Libia” conclude la lettera di MSF. “Permettere che esseri umani siano destinati a subire stupri, torture e schiavitù è davvero il prezzo che, per fermare i flussi, i governi europei sono disposti a pagare?”

“il vostro parlare sia ‘sì – sì’, ‘no – no'”

elogio della trasparenza

di José María Castillo

Secondo il Dizionario della RAE (Real Academia Española, ndt), il termine “trasparenza” deriva dall’aggettivo “trasparente”, che in senso figurato indica quello che è chiaro ed evidente. Detto ciò, ha sempre richiamato la mia attenzione l’insegnamento insistente di Gesù nei vangeli sull’importanza della trasparenza nelle nostre vite, specialmente nella vita dei cristiani. Così come la necessità di evitare l’occultamento di tante cose che in alcun modo non vogliamo che si sappiano. Debbo avvertire innanzitutto che il problema che si pone a noi cristiani con il tema della trasparenza, non è semplicemente il problema della sincerità, ma qualcosa di molto più serio. Quello che sta in gioco, quando si tratta di questa questione, è il problema della nostra autenticità. Un cristiano autentico è una persona trasparente. E, se non lo è, per qualsiasi motivo, smette di essere cristiano. Così in maniera seria e forte si pongono il tema ed il problema della trasparenza per chi dice di credere in Cristo e di essere quindi un cristiano al cento per cento. Se non è trasparente, non basta esserlo con le convinzioni e le osservanze religiose. Perché dico questo? Gesù afferma che noi cristiani siamo “la luce del mondo” (Mt 5, 14). La luce non si accende per nasconderla, ma perché la vedano tutti. Perché vedano cosa? “Le vostre buone opere” (Mt 5, 16). Cioè il vostro comportamento. Con questo Gesù ci vuole dire: non abbiate nulla da nascondere nella vostra vita. Ossia, che la vostra vita nella sua interezza sia trasparente. Proprio per questo, è curioso e strano quello che lo stesso Gesù dice a noi cristiani di dover nascondere. La nostra onestà e la nostra bontà? No. Questo lo vedono tutti. Quello che dobbiamo nascondere sono le elemosine che diamo (Mt 6, 2-4), le preghiere che facciamo (Mt 6, 5-6) e i digiuni o le pie privazioni che ci imponiamo (Mt 6, 16-18). Ossia, è esattamente il contrario di quello che tante volte si fa nella Chiesa. La rettitudine e l’onestà calpestate si coprono il più possibile. Perché “i panni sporchi della madre-Chiesa si lavano in casa”, non si spifferano. E con quest’argomento, così potente ed “evangelico”, per secoli si sono nascosti autentici delitti che a volte non possiamo neanche immaginare. Non voglio rendermi noioso. Ma c’è un fatto che non posso tacere. Quando il vangelo di Giovanni racconta la passione del Signore, ci ricorda che il sommo sacerdote chiese a Gesù cos’era quello che aveva insegnato (“tês didachês autoû”) (Gv 18,19); la risposta di Gesù fu immediata e netta: “egò parresía leláleka tô kósmô”, “Io ho parlato apertamente al mondo” (Gv 18, 20). La chiave è il termine “parrhesía”, che è la libertà per dire tutto (“pan, rêsis”). È la libertà di cui godono i cittadini liberi (Demostene, Or. 111, 3 s). Ossia, dire tutto quello che bisogna dire. E dirlo con totale libertà, senza tacere nulla. È quello che facevano i primi cristiani di Gerusalemme quando ricevevano lo Spirito (At 4, 28.31). Dove non c’è piena trasparenza non può essere presente ed operante lo Spirito di Dio. E quindi in un ambiente così non può essere presente il Vangelo di Gesù. O la sua vera Chiesa. Anzi, solo dove si vive quest’ideale o si lotta per ottenerlo, è possibile affermare veramente che si ama la Chiesa e che si soffre per mano sua e per il suo bene.
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Articolo pubblicato il 1.9.2017 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com ) 

il degrado di Napoli non è colpa dei rom – parola dei parroci di Miano

Miano
parroci invitano a superare gli stereotipi sui rom    versione testuale
“Il degrado a Miano non lo porteranno i rom, ma ha cause fortemente radicate in una criminalità organizzata che ha occupato, poi gestito, spazi vuoti”
Lo scrivono, in una nota inviata al Sir, i parroci di Miano (diocesi di Napoli), don Francesco Minervino, padre Lillo Di Rosa, don Salvatore Cinque, fra Gerardo Ciufo, padre Carlo De Angelis, dopo la decisione delle autorità competenti di sistemare dei rom “profughi” dall’incendiato campo di Scampia nell’ex caserma Boscariello a Miano e la protesta da parte di alcuni cittadini. “La gente del nostro quartiere è brava gente solidale e accogliente verso tutti e particolarmente verso coloro che sono in stato di disagio – sottolineano i parroci -. A Miano il degrado ha una storia antica fatta di non gestione, non soluzioni, rimandi. Questo intossica la convivenza e si arriva paradossalmente a prendersela con il più debole. Come in tutte le situazioni che non si affrontano, si accumula delusione e la delusione ha un prezzo: diventano tutti più elettrici, offensivi, difensivi. Ci sono situazioni che durano da anni e che la politica non risolve, distratta e troppo assente”. Di fronte “alle molteplici emergenze del nostro territorio, la Chiesa oggi si sente sotto pressione, perché chiamata a fare da ‘supplente’ in diverse emergenze. La Chiesa è accanto ai poveri, ma non ha il potere di sradicare la povertà. Alle politiche sociali, quando mancano o sono carenti, non è possibile rispondere in termini di supplenza”, evidenziano i sacerdoti. “Come normali cittadini e ancor più come cattolici siamo tenuti a superare e a far superare stereotipi e slogan che non fanno altro che diffondere pregiudizi e soprattutto non bisogna soffiare sul fuoco dell’odio razziale. Dobbiamo essere convinti che ogni essere umano, come ogni vita umana, merita sempre e comunque rispetto, anche chi questo rispetto sembra non meritarlo o volerlo. Può sembrare per alcuni un limite, ma segna la civiltà di un popolo”.
 

gli scemi e i furbi – dove porterà la logica del ‘mica siamo scemi!”?

gli scemi del mediterraneo

 Renato Sacco

(coordinatore Nazionale di Pax Christi)

“non siamo gli scemi del Mediterraneo, dobbiamo difendere i nostri interessi in Egitto e anche in Libia, investimenti italiani compresi”

Questi in sintesi i concetti espressi da Alfano, Cicchitto, Casini durante l’audizione dello scorso 4 settembre, davanti alle Commissioni Esteri di Camera e Senato sul ritorno del nostro Ambasciatore in Egitto, dopo l’uccisione di Giulio Regeni.
Mica siamo scemi, dobbiamo pensare ai nostri interessi. E quindi all’Egitto continuiamo a vendere armi, e con la Libia facciamo accordi anche se sappiamo di fosse comuni con migranti torturati e uccisi, come scrive Nello Scavo sull’Avvenire di oggi.
Ma noi mica siamo gli scemi del Mediterraneo.
E a Regeni, che non era in Egitto per studiare !! (come sostiene il deputato Pini) possiamo dedicare una scuola, dice il ministro Alfano.  
            Mica sono scemo, potrà allora dire tranquillamente il figlio ai genitori che gli fanno le raccomandazioni, adesso che inizia la scuola: io penso ai fatti miei. 
            Mica sono scemo, risponderanno gli alunni agli insegnanti che a scuola cercheranno di educare alla Costituzione, ad alcuni valori fondamentali della vita.
E così potremmo andare avanti: mica sono scemo a pagare le tasse;  mica sono scemo a fare la pace, possono dire Trump, Putin, Assad o il Coreano Kim Jong-un.
            E così la politica, invece di trasmetterci i grandi ideali su cui fondare la convivenza umana, ci trasmette la logica del mica sono scemo.
Dove ci porta questa strada?
Domenica scorsa abbiamo pregato per Giulio, a 19 mesi dalla sua morte, e per lui continuiamo a chiedere verità; non vorremmo aver scoperto un’altra tragica verità su cui si poggia certa politica, quella del mica sono scemo.

no. non ci rassegniamo a questa logica.
a costo di passare per scemi.

 

 

 

la traversata dello stretto di Gibilterra delle équipe di Emmaüs France

Emmaüs e la causa dei migranti

di Mégane de Amorim
in “La Croix” del 4 settembre 2017 (traduzione: www.finesettimana.org)

“Le équipe di Emmaüs France si preparano a compiere una traversata dello stretto di Gibilterra, allo scopo di promuovere il diritto alla libera circolazione… insistono sulla necessità di una “svolta a 180 gradi della politica migratoria del governo francese”

 

Le équipe di Emmaüs France si stabiliscono a Tenerifa (Spagna) in vista di una traversata dello stretto di Gibilterra entro questa settimana. Il movimento intende promuovere il diritto alla libera circolazione. Una posizione opposta a quella del governo francese che vuole “dissuadere” le migrazioni.

Remeranno o nuoteranno per più di cinque ore per raggiungere la spiaggia marocchina di Dalla, dalla città di Tenerifa. In totale, 43 membri volontari o stipendiati del movimento Emmaüs si stabiliscono oggi in Spagna per essere pronti a iniziare la traversata giovedì, sempre che le condizioni meteorologiche lo permettano.
Damien Carême, sindaco di Grande-Synthe (dipartimento Nord) e Thierry Kuhn, presidente di Emmaüs France, parteciperanno a questa azione di sensibilizzazione. “L’idea di questa traversata è rendere omaggio alle migliaia di persone morte nel Mediterraneo e soprattutto rivendicare la libera circolazione delle persone”, riassume Maria Guerra, coordinatrice del progetto.
Questo evento fa parte di una vasta campagna di Emmaüs France sul diritto alla libera circolazione. Si basa sull’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani, secondo il quale “ogni persona ha il diritto di circolare liberamente” e “di lasciare qualsiasi paese, anche il proprio”. Per Frédéric Amiel, avvocato a Emmaüs, “questa traversata militante è il simbolo della libertà di circolazione” e dell’“ideale sostenuto da anni secondo il quale ognuno deve avere la possibilità di trovare protezione nel paese in cui si reca”.
“A suo tempo, l’abbé Pierre sosteneva già l’idea di una cittadinanza universale, ricorda Maria Guerra. La sua lotta acquista senso oggi, con migranti che arrivano sempre più numerosi e con la riflessione che si accentua sul problema delle frontiere”. Secondo Maria Guerra, originaria della Spagna, c’è “un vero dibattito all’interno della società tra coloro che vogliono costringere le persone a rimanere nel loro paese e mantenere i confini, e coloro che difendono la libera circolazione”.
In effetti, l’iniziativa di questa traversata del Mediterraneo ha scatenato vive reazioni. “Abbiamo ricevuto osservazioni molto dure, ma anche manifestazioni di solidarietà: significa che la libera circolazione pone profondi interrogativi alle persone”, sottolinea.
Frédéric Amiel, a nome di Emmaüs France, insiste sulla necessità di una “svolta a 180 gradi della politica migratoria del governo francese”. “Bisogna permettere alle persone di attraversare legalmente le frontiere, perché chiudendole si condannano i migranti all’annegamento”, sostiene.
All’opposto, il governo sembra piuttosto impegnato in una politica di “dissuasione migratoria”. Emmanuel Macron del resto ha affermato di essere a favore di una procedura d’asilo “fin dal territorio africano” nel vertice sulla crisi migratoria che ha riunito alcuni capi di Stato europei e africani lunedì scorso.

il messaggio diGesù inequivocabilmente ‘antirazzista’

 

rifugiati migranti

‘ero straniero e mi avete accolto’

la grande attualità del messaggio ‘antirazzista’ di Gesù

Quello dell’accoglienza dei migranti è un tema cruciale della nostra epoca. E se quotidianamente si sente purtroppo parlare di razzismo, su ilLibraio.it il biblista Alberto Maggi riparte dal messaggio di Gesù

“Prima noi”, è il mantra con il quale si mascherano spietati egoismi e si giustificano inaudite durezze di cuore. È la formula magica di quanti chiariscono subito “non sono razzista, però…”, un “però” eretto come un invalicabile muro a difesa del “noi”, pronome che include, a secondo degli interessi, un popolo o la famiglia, una religione o un quartiere. Mentre per “prima” s’intende l’accesso e l’esclusiva precedenza a tutto quel che permette alla vita di essere dignitosa, dalla casa al lavoro, dall’assistenza sanitaria alla scuola; beni e valori che, sono fuori discussione, devono essere riservati per primi a chi ne ha pienamente diritto per questioni di lignaggio. Ovviamente, al “noi” si contrappone il “loro”, che include per escluderli, tutti quelli che non appartengono allo stesso popolo, alla stessa cultura, società, religione, o famiglia.   

In questo ambiente stupisce il comportamento del Cristo che da una parte arriva a identificarsi con gli ultimi della società (“Ero straniero e mi avete accolto”, Mt 25,35.43), e proclama benedetti quanti avranno ospitato lo straniero  (“Venite benedetti del Padre mio”¸ Mt 25,34), dall’altra, Gesù accusa con parole tremende quelli che non lo fanno (“Via, lontano da me, maledetti… perché ero straniero e non mi avete accolto”, Mt 25,41.43), con una maledizione che richiama quella del primo assassino della Bibbia, il fratricida Caino (“Ora sii maledetto”, Gen 4,11). Se la risposta alle altrui necessità era un fattore di vita, la mancata risposta è causa di morte. Per Gesù negare l’aiuto all’altro è come ucciderlo.

Gesù non solo si identifica nello straniero, ma nei vangeli il suo elogio va proprio per i pagani, personaggi tutti positivi (eccetto Pilato in quanto incarnazione del potere) e portatori di ricchezza. Si teme sempre cosa e quanto si debba dare allo straniero e non si riconosce quel che si riceve dallo stesso. Nella sua attività Gesù si troverà di fronte ottusità e incredulità persino da parte della sua famiglia e dei suoi stessi paesani, ma resterà ammirato dalla fede di uno straniero, il Centurione, e annuncerà che mentre i pagani entreranno nel suo regno, gli israeliti ne resteranno esclusi (Mt 8,5-13; Mt 27,54).

L’AUTORE

Alberto Maggi, frate dell’Ordine dei Servi di Maria, ha studiato nelle Pontificie Facoltà Teologiche Marianum e Gregoriana di Roma e all’École Biblique et Archéologique française di Gerusalemme. Fondatore del Centro Studi Biblici«G. Vannucci» a Montefano (Macerata), cura la divulgazione delle sacre scritture interpretandole sempre al servizio della giustizia, mai del potere. Ha pubblicato, tra gli altri: Chi non muore si rivede – Il mio viaggio di fede e allegria tra il dolore e la vita, Roba da preti; Nostra Signora degli eretici; Come leggere il Vangelo (e non perdere la fede); Parabole come pietre; La follia di Dio e Versetti pericolosi. E’ da poco uscito per Garzanti L’ultima beatitudine – La morte come pienezza di vita.

Boff: viviamo una stridente mancanza di solidarietà

solidarietà’

percorsi dimenticati

 

C’è una stridente mancanza di solidarietà nel momento attuale della nostra storia. Ci informano che in questo esatto istante 20 milioni di persone sono minacciate di morire letteralmente di fame: nello Yemen, in Somalia, nel Sudan del Sud e in Nigeria. Il grido degli affamati si dirige al cielo e in tutte le direzioni. Ma chi lo ascolta? In piccola parte l’Onu e soltanto alcune coraggiose agenzie umanitarie.

Nel nostro paese a causa i ritocchi promossi dagli attuali governanti che hanno fatto un golpe parlamentare, con l’intenzione di imporre la loro agenda neoliberale, ci sono almeno 500 mila famiglie che hanno perso la “Bolsa fami’lia”. I poveri stanno piombando nella miseria da cui erano usciti e i miserabili stanno diventando straccioni. Non sono pochi coloro che vengono alla nostra ONG a Petropolis (centro per la difesa dei diritti umani), che esiste da 40 anni, chiedendo da mangiare. E’ possibile negare il pane a una mano distesa e ai suoi occhi supplichevoli senza essere disumano e senza pietà?

E’ urgente riscattare il significato antropologico fondamentale della solidarietà. Essa è antisistemica, perché il sistema imperante capitalista e individualista si regge sulla concorrenza e non sulla solidarietà e cooperazione. Questo va contro il senso della natura.

Ci dicono gli etno-antropologi che è stata la solidarietà a farci passare dall’ordine dei Primati all’ordine degli umani. Quando i nostri antenati antropoidi uscivano in cerca di alimenti, non li mangiavano ognuno per conto suo. Li portavano al gruppo per mangiarli insieme. Vivevano la commensalità, propria degli umani. Pertanto la solidarietà sta alla radice della nostra ominazione.

Il filosofo francese Pierre Leroux a metà del secolo XIX quando nascevano le prime associazioni di lavoratori contro la primitività del mercato, riscatto’ politicamente questa teoria della solidarietà. Era cristiano ma disse: “dobbiamo intendere la carità cristiana oggi come solidarietà mutua tra esseri umani” (Cf. Jean-Louis Laville, L’ économie solidaire: une perspective internationale, 1994, 25 ss ).

La solidarietà implica reciprocità fra tutti come un fatto sociale elementare. E’ qui che è nata l’economia del dono mutuo, tanto bene analizzata da Marcel Mauss.

Se guardiamo bene, la natura non ha creato un essere per se stesso, ma tutti gli esseri uno per l’altro. Ha stabilito tra loro lacci di mutualità e reti di relazioni solidarie. La solidarietà originaria ci fa tutti fratelli e sorelle dentro alla nostra specie

La solidarietà pertanto è indissociabile dalla natura umana, in quanto umana. Se non ci fosse solidarietà, non avremmo condizioni di sopravvivere. Non possediamo nessun organo specializzato (Mangelwesen de A. Gehlen) che garantisce la nostra sussistenza. Per sopravvivere dipendiamo dalle attenzioni e dalla solidarietà degli altri. Essa è un fatto innegabile per il passato e anche al giorno d’oggi.

Ma dobbiamo essere realisti ci avverte E. Morin. Siamo simultaneamente sapiens e demens, non come decadenza dalla realtà ma come espressione della nostra condizione umana. Possiamo essere sapienti e solidali e creare lacci di umanizzazione. Ma possiamo anche essere dementi e distruggere la solidarietà, e possiamo essere tagliagola come fanno i militanti dell’esercito islamico o bruciandole sotto una montagna di pneumatici come fa la mafia con la droga.

A causa di questo nostro momento demente che Hobbes e Rousseau intravidero la necessità di un contratto sociale che ci permettesse di convivere e di evitare di divorarsi a vicenda.

Il contratto sociale non ci dispensa dall’avere da riscattare in continuazione la solidarietà che ci umanizza e senza la quale il lato demente prevarrebbe su quello sapiente.

E’ quello che stiamo vivendo a livello mondiale o anche nazionale, dato che pochissimi controllano le finanze e l’accesso ai beni e servizi naturali, lasciando metà dell’umanità nell’indigenza. Bene diceva il Papa Francesco: il sistema imperante è assassino e antivita.

Tra noi gli attuali politici di ritocchi fiscali stanno pesando specialmente sui poveri e beneficiando quelli che controllano i flussi finanziari. Lo Stato indebolito dalla corruzione non riesce a frenare la voracità dell’accumulazione illimitata delle oligarchie.

C’è stato Qualcuno che è stato solidale con noi. Non volle servirsi della sua condizione divina. Anzi per solidarietà si è presentato come semplice uomo (Flp 2,7) e morì crocifisso. Questa solidarietà ci ha ridato l’umanità (ci ha salvati) e continua a farci coraggio e a coltivare gli stessi sentimenti che ebbe Lui (Flp 2,5).

E’ urgente rispettare il paradigma di base della nostra umanità, tanto dimenticato, la solidarietà essenziale. Fuori di questa svuoteremmo la nostra umanità e quella degli altri.

*Leonardo Boff, columnist del JB on line, teologo, filosofo, scrittore

traduzione di Romano Baraglia e Lidia Arato

a questo punto l’umanità è proprio perduta

multato dai vigili chiamati dal disabile lascia cartello shock:

“sei un povero handicappato e sono contento”

Multato dai vigili chiamati dal disabile lascia cartello shock: "Sei un povero handicappato e sono contento"

“a te che per non fare due metri in più…”

sdegno per il messaggio lasciato dall’automobilista nel parking interrato del centro commerciale Carosello di Carugate, nel Milanese. La direzione: “Atto vergognoso”. La condanna sui social

 

“Ci dissociamo da questo gesto, non è mai accaduto nulla di simile prima d’ora nel nostro centro commerciale, ne siamo scioccati. E’ un atto vergognoso”, commentano dalla direzione del Carosello che ha visionato anche le telecamere del parking. E assicurano di aver rimosso il cartello non appena lo hanno visto. Inoltre, la direzione, ci tiene a precisare che, trattandosi di un sabato di agosto, “di certo non c’era mancanza di parcheggi, visto che molti dei nostri clienti sono in vacanza. Non era quindi difficile trovare un altro parcheggio, che non fosse destinato ai disabili”.

La foto, postata sulla propria pagina Facebook da un altro cliente del mall, Claudio Sala, ha fatto rapidamente il giro del web, scatenando l’indignazione non solo di altri frequentatori del Carosello ma anche di tante altre persone che hanno definito “indecente” o “vergognoso” il cartello. E in molti hanno fatto ironia anche sugli errori ortografici dell’autore del testo.

scusate se esistiamo!

Scusate se siamo fuggiti
dalle guerre che voi nutrite
con le vostre stesse armi
Scusate se ci siamo avvelenati
con i rifiuti tossici sotterrati
dalle vostre potenti industrie
Scusate se avete dissanguato
la nostra terra, deprivandoci
di ogni possibile risorsa
Scusate la nostra povertà
figlia della vostra ricchezza
dei vostri neo-colonialismi

Scusate,

se veniamo massacrati
e disturbiamo le vostre vacanze
col nostro sangue invisibile
Scusate se occupiamo
coi nostri sudici corpi
i vostri centri di detenzione
Scusate se ci spezziamo la schiena
nei vostri campi di pomodoro
schiavi senza alcun diritto
Scusate se viviamo nelle
vostre baracche di lamiera
ammucchiati come bestie
Scusate per la nostra presenza
che causa ogni vostra crisi
e non vi fa vivere bene
Scusate se le vostre leggi
non sono abbastanza severe
e molti di voi vorrebbero la forca
Scusate se esistiamo
se respiriamo, se mangiamo
persino se osiamo sognare
Scusate se non siamo morti in mare
e se invece lo siamo, scusate ancora
l’impudenza d’avervelo fatto sapere.

di Marco Cinque

papa Francesco chiede ancora perdono

«chiedo perdono per i preti pedofili»

di papa Francesco


 “Corriere della Sera” del 17 agosto 2017

papa Francesco nell’introduzione al libro ‘Mon père je vous pardonne’ di Daniel Pittet abusato da giovanissimo da un sacerdote:

Per le vittime di violenza pedofila è una sfida davvero grande prendere la parola e raccontare quanto abbiano dovuto patire, riuscire a descrivere come le esperienze traumatiche di anni addietro continuino a tormentarli anche a distanza di tempo. Per questo motivo la testimonianza di Daniel Pittet è così necessaria, preziosa e coraggiosa. Ho conosciuto Daniel Pittet in Vaticano nel 2015, anno della Vita Consacrata. All’epoca Daniel era tutto preso dalla pubblicazione di un libro dal titolo Vivere vuol dire dare tutto .

All’interno di quel libro erano state raccolte testimonianze di religiosi di ambo i sessi, sacerdoti e monaci. Che questo cristiano così fervente fosse stato oggetto di abuso sessuale proprio da parte di un sacerdote mi sembrava davvero cosa impossibile, eppure era proprio quello che mi aveva raccontato. La storia delle sue sofferenze mi ha colpito e commosso nel profondo: sono arrivato a capire quali siano i danni terribili che possono essere provocati da un abuso sessuale e quanto lungo e doloroso sia il cammino che si prospetta alle vittime. Sono felice che ora la testimonianza di Daniel sia stata resa accessibile anche ad altre persone, cosicché noi tutti ora possiamo arrivare a comprendere quanto in profondità il Male possa andare ad insinuarsi nel cuore di un servitore della Chiesa. Come potrebbe altrimenti un sacerdote, uno che si è consacrato a Cristo ed alla Sua Chiesa, arrivare al punto di provocare tali disgrazie? Come potrebbe altrimenti questa persona, uno il cui compito è quello di condurre i bambini verso Dio, andare ad attirare uno di questi bambini verso ciò che già ho avuto occasione di chiamare «sacrificio diabolico», a causa del quale non sarà soltanto il bambino a rimanerne ferito, bensì la stessa esistenza della Chiesa? Alcune delle vittime, alla fine, si sono addirittura tolte la vita. Queste morti pesano sul mio cuore, sulla mia coscienza e su quella di tutta la Chiesa. Alle loro famiglie vorrei esprimere il mio amore ed il mio dolore, così come in tutta umiltà vorrei chiedere loro perdono. Si tratta di qualcosa di assolutamente spaventoso, di un peccato gravissimo che contraddice tutti gli insegnamenti della Chiesa. Gesù lancia parole severe contro coloro che arrecano dolore ai bambini: «Chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, meglio per lui sarebbe che gli fosse appesa al collo una macina da mulino e fosse gettato in fondo al mare» ( Matteo 18, 6). Come ho ricordato nella mia Lettera Apostolica del 4 giugno 2016 «Come una madre amorevole», compito della nostra Chiesa è prendersi cura e proteggere i deboli ed i bisognosi d’aiuto. Ho dichiarato che contrasteremo con la massima severità i sacerdoti che abbiano tradito la propria missione. Questo vale anche per vescovi e cardinali che, come avvenuto ripetutamente nel passato, prendano quei sacerdoti sotto la propria tutela e difesa.

In tutta quella sua sofferenza, tuttavia, Daniel Pittet è comunque riuscito a scoprire per sé un altro lato della Chiesa. Un lato che gli ha permesso di arrivare a non dubitare degli uomini e dello stesso Dio. Mi riferisco, per esempio, alla forza della preghiera che non lo ha mai abbandonato e che lo ha sostenuto e guidato durante le ore più buie. Dopo quarantaquattro anni Daniel ha deciso di andare a rintracciare il suo aguzzino, quell’uomo che gli ha portato dolore fin nel profondo dell’anima, di guardarlo negli occhi… e di stringergli la mano! Quel bambino ferito è oggi un uomo che cammina a testa alta. Può essere ferito, ma camminerà sempre a testa alta. Le sue parole mi hanno davvero commosso: «Molte sono le persone che non riescono a capire come io possa non provare odio nei suoi confronti. Io l’ho perdonato ed ho ricostruito la mia vita sulle fondamenta di quel perdono». Io vorrei ringraziare Daniel, perché sono testimonianze come la sua che rendono possibile passare oltre il plumbeo silenzio che circonda i dolori e gli scandali, testimonianze che vanno a portare luce all’interno di tenebre spaventose che si celano nella vita della Chiesa. Sono testimonianze come questa che aprono la strada ad un adeguato risarcimento, una strada che porta alla grazia della riconciliazione. Per chi ha commesso abusi di pedofilia conducono inoltre alla presa di coscienza della spaventosa portata delle proprie azioni. Prego per Daniel e per tutti quelli che nella loro innocenza sono stati feriti. Che Dio possa aiutarli a rialzarsi ed a guarire. Possa Egli perdonarci tutti ed essere misericordioso.

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