di Gianni Geraci
Scusami Dio se ho l’ardire di scriverti.
Scusami Dio se ho l’ardire di scriverti per rimproverarti.
Scusami Dio se ho l’ardire di scriverti per rimproverarti quello che sta succedendo su questa nostra povera terra.
Lo so che sei onnisciente e quindi lo sai già, ma voglio parlarti di quello che sta succedendo a Charlie Gard, quel bambino di dieci mesi a cui i medici hanno diagnosticato una sindrome da deplazione del DNA mitocondriale. Tu sai sicuramente di cosa si tratta. Io, prima che le polemiche infuriassero intorno alla sua culla non sapevo proprio di cosa si trattasse. Adesso mi pare di aver capito che si tratta di una malattia incurabile che porta sempre alla morte.
Se non ci fossero tutte quelle macchine che la medicina ha inventato per tenere vivi i malati gravi in attesa di intervenire per salvarli Charlie Gard sarebbe già morto.
E ci sono centinaia di migliaia di persone che si stanno coprendo di insulti perché hanno idee diverse in merito all’opportunità di tenere comunque accese queste macchine (come vorrebbero i genitori) piuttosto che spegnerle (come invece dicono i medici che hanno in cura il bambino e i giudici a cui si sono rivolti i genitori per impedire loro di farlo).
Il fatto è, caro il mio Dio, che l’idea che un bambino di dieci mesi debba morire per una malattia incurabile, fa davvero inorridire. Non ha fatto niente questo bambino per meritarsi un destino come questo. E anche i suoi genitori! Perché debbono straziarsi il cuore nel vedere un figlio che resta in vita solo perché ci sono delle macchine che gli prolungano una vita che, quasi sicuramente, è comunque destinata a terminare tra non molto.
Lo so che non è molto rispettoso.
Lo so che i benpensanti si stracceranno le vesti.
Ma io ti prendo troppo sul serio per non chiederti ragione di questa tragedia.
Sì, caro mio Dio. Ti chiamo in causa perché se c’è qualcuno che può dirci qualcosa sul male che sta uccidendo Charlie Gard, che sta straziando i suoi genitori, che sta provocando litigi e inimicizie tra le persone, questo qualcuno non puoi che essere tu.
Sì, perché il mondo, mio caro Dio, con le sue leggi in cui c’è posto anche per queste tragedie, l’hai creato tu. Lo dico tutte le domeniche e ci credo: “Credo in un solo Dio creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili”. E quindi ti scrivo per chiederti quello che mi sta tormentando da giorni.
Cosa debbo dire quando mi accorgo che in questa creazione c’è così tanto male?
Lo so che molto di quel male è colpa nostra: siamo stati bravissimi a usare i doni che ci hai fatto per dare sfogo alla nostra cattiveria e al nostro pessimo carattere. Ma c’è un male di cui non me la sento di dare la colpa agli uomini, perché non dipende dalla volontà di nessuno. E’ il male che ha ossessionato centinaia di uomini di fede e che li ha spinti a gettare lo sguardo su quell’abisso che inizia con la domanda: “Unde malum?”.
Hanno dato anche un nome a questa scelta di non svicolare di fronte a una domanda del genere e l’hanno chiamata Teodicea. Ma al di là del nome che le diamo, la questione che pone è drammatica e, di fronte a un bambino di dieci mesi che sta morendo, mentre intorno al suo capezzale si combatte una battaglia che sembra aggiungere male al male, direi che diventa addirittura angosciante.
Lo so che anche tu, nella persona di Gesù, hai accettato di essere travolto da questo male.
Lo so che anche tu, su quella croce, con la sua voce, hai urlato quelle parole disperate: “Mio Dio! Mio Dio! Perché mi hai abbandonato?”.
Lo so che Gesù, incarnandosi e accettando di vivere le tante soffrire la tante piccole torture che il male sparge nelle nostre vite, anche se ci da una risposta ci aiuta a sopportarle dicendoci: “Anche se non ti posso dare una risposta che capisci, ti vengo vicino e soffro con te, soffro come te, soffro più di te”.
Ma anche se so tutto questo la domanda: “Unde malum?” non riesco a non farmela.
Qualche volta penso che ci debba essere qualcosa di bacato nella realtà e che il male sia qualcosa che sparirà solo quando il tuo disegno si sarà compiuto in maniera definitiva. Si tratta di qualcosa che magari ha a che fare con il mito del peccato originale che, nel capitolo 3 della Genesi, ci racconta di qualcosa che non è andato nel verso giusto e che ha introdotto un elemento di disordine in una creazione che altrimenti era perfetta (quante volte nel capitolo primo l’autore ripete che tutto quello che veniva creato “era cosa buona”?).
Forse, come dicono alcuni autori che a questo tema hanno dedicato tante riflessioni, tu devi affrontare da sempre e per sempre una fatica enorme che ha come obiettivo quello di non lasciare la realtà a se stessa, perché da sola, senza di te e senza la fatica che continuamente affronti per tenerla insieme, con quell’elemento di disordine che noi chiamiamo “peccato originale”, si sgretolerebbe e svanirebbe per sempre.
Di certo una risposta bella chiara che ci spieghi papale papale il motivo per cui, al mondo ci sono situazioni come quella che sta vivendo Charlie Gard, non ce l’abbiamo.
E anche tu, quando qualcuno ti ha chiamato in giudizio per chiederti ragione del male che c’è dietro a queste situazioni, tu gli hai risposto che le sue erano: “Parole prive di conoscenza” (Gb 38,29) e, non contento di averlo rimproverato, lo hai interrogato con la stessa veemenza che aveva usato lui: “Dov’eri tu quando io gettavo le fondamenta della terra? Dillo se hai tanta intelligenza!” (Gb 38,4) e, dopo avergli ricordato i tanti passaggi e le tante fatiche che ti è costato questo mondo, gli hai detto chiaramente se vuole per caso prendere il tuo posto: “Colui che contende con l’Onnipotente vuole forse correggerlo? Colui che rimprovera Dio risponda a questo” (Gb 40,2).
Lo so, mio Dio, che non sono nessuno per chiederti ragione della sofferenza di Charlie Gard.
Lo so, mio Dio, che non sono nessuno per chiederti ragione di tutte le altre innumerevoli sofferenze che ci sono nel mondo.
Ma proprio perché conosco il mio essere nulla, sono sicuro che, se ci sono, è perché tu mi hai voluto e mi hai creato con questa mia inguaribile voglia di capire e, nel vederti, in Cristo, soffrire con noi e per noi, oso chiederti quello che tanti hanno già chiesto a lui: “Guarisci Charlie Gard! Ridonalo ai suoi genitori. Spazza via con questo miracolo le discussioni e le liti che si sono accese intorno alla sua culla”.
Lo so che ti chiedo qualcosa che non ho il diritto di chiederti.
Ma io te la chiedo lo stesso, perché sarebbe davvero bellissimo, accorgerci che tu, ancora una volta, hai stravolto le leggi che governano la realtà solo perché ci vuoi un bene infinito e dopo aver gioito con Te, mio amatissimo Signore, con i genitori di Charlie e con tutto il mondo, addormentarci sereni e carichi: “del peso della felicità e della grandezza dei miracoli” (cfr. Joseph Roth, Giobbe).
E se il miracolo non dovesse arrivare? Si chiederà qualcuno?
Se anche non dovesse arrivare io credo che il chiedertelo sia comunque una confessione di fede nella tua onnipotenza e, in ogni caso, tornerei al mio posto, nell’abisso della mia meschinità di fronte all’abisso della tua onnipotenza, e ripeterei quello che ti ha detto Tobia nel momento della disperazione più profonda: “Tu sei giusto Signore e giuste sono tutte le tue opere. Ogni tua via è misericordia e verità”.
Perché alla fine, ancora più importante del nostro benessere, della nostra vita e della nostra felicità terrena c’è quella felicità eterna che ci hai guadagnato mandando tuo figlio a morire per noi.