il no del sindaco alle ‘casette in legno’ per i sinti

 

Tambellini blocca la riqualificazione del Campo nomadi

 

«Ritengo che sia il momento di sgombrare il campo da tutte le ipotesi più o meno fantasiose che ho letto sugli organi di stampa a proposito del campo di accoglienza, erroneamente definito ‘Campo nomadi’»

«Non ci sono le condizioni tecniche, urbanistiche e finanziarie per proseguire con questo progetto»

 

A parlare in una nota diffusa alla stampa è il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini. «L’ipotesi di intercettare un finanziamento regionale ad hoc per riqualificare l’area attualmente utilizzata come campo di transito e per dotarla di strutture destinate all’accoglienza provvisoria è stata attentamente vagliata dall’Amministrazione.

Dopo aver appreso tramite gli uffici comunali dell’esistenza di una linea di finanziamento regionale a ciò specificatamente destinata ho dato mandato agli uffici competenti, che ringrazio per l’ottimo lavoro fatto, di esplorare la fattibilità e gli eventuali costi dell’operazione. Questo perché ritengo che la decennale vergogna del grave livello di degrado raggiunto dalle aree sulle quali oggi insistono i campi nomadi del nostro territorio andasse risolta una volta per tutte in modo strutturale. Fino ad oggi, infatti, tutte le Amministrazioni che si sono succedute hanno accuratamente fatto finta di non vedere la situazione presente a due passi dalle mura urbane e nel bel mezzo del parco fluviale.

Per questo motivo, ho ritenuto fosse doveroso studiare la questione per valutare se l’opportunità del finanziamento potesse rappresentare l’occasione giusta per riqualificare l’area. Tuttavia, dalle analisi fatte è emerso che, allo stato, non ci sono le condizioni tecniche, urbanistiche e finanziarie per proseguire con questo progetto.

Ciò detto, non intendo nascondere che resta irrisolto un problema che, comunque non può più continuare ad essere ignorato. Purtroppo, spesso la discussione su questo tema trascende e compaiono toni forti e polemici che raggiungono talvolta il livello della discriminazione, facendo perdere di vista la vera criticità. Tutte le città che hanno affrontato scelte innovative su questi temi hanno impegnato energie e lunghi periodi di sperimentazione, ma è su questo che si qualificano le politiche di inclusione e coesione sociale. Manterremo quindi un confronto aperto su questi temi econclude il primo cittadino – invitiamo la città, in tutte le sue articolazioni, a passare ad un livello propositivo e a collaborare con l’amministrazione per risolvere quello che è un problema di tutti».

@loschermo

ma l’assessore cerca una soluzione

Il sindaco cancella il progetto casette, ma la Vietina convoca per oggi la maggioranza con un consulente esterno

Lucca, 30 dicembre 2013

RETROMARCIA innestata. Almeno per ora. Anche perché il rischio di trovarsi nell’ennesimo vicolo cieco politico era davvero alto. Il sindaco Tambellini, sulla contestatissima vicenda delle casette in legno per i nomadi di via delle Tagliate, stretto dalle polemiche di queste settimane, ha preferito dare l’alt, affermando che per il progetto non ci sono le condizioni tecniche, urbanistiche e finanziarie, per quanto la Regione si fosse dichiarata disponibile a stanziare circa 7-800mila euro. Segno che sarebbe costato molto di più.

E sarebbero stati soldi di palazzo Orsetti. In realtà su questa ipotesi si erano addensate anche le riserve di tanti esponenti della maggioranza, pronti a mettere in discussione la scelta nel Consiglio del 7 gennaio prossimo. Il sindaco ha però aggiunto che il problema resta irrisolto. Come a dire che la questione non finisce qui, lasciando spazio a nuove soluzioni.
«TUTTE le città – ha spiegato Tambellini – che hanno affrontato scelte innovative su questi temi hanno impegnato energie e lunghi periodi di sperimentazione, ma è su questo che si qualificano le politiche di inclusione e coesione sociale. Manterremo quindi un confronto aperto su questi temi e invitiamo la città, in tutte le sue articolazioni, a passare ad un livello propositivo e a collaborare con l’amministrazione per risolvere quello che è un problema di tutti».
PER ORA è sicuramente un problema della sua maggioranza, che sul tema appare molto divisa. Nonostante il vice sindaco Ilaria Vietina si sia spesa e si stia spendendo in prima persona. Vietina, però, non si dà per vinta. Per oggi pomeriggio ha infatti convocato in tutta fretta un tavolo aperto a tutti i consiglieri comunali di maggioranza e agli assessori.

Non nasconde che le posizioni sul tema sono molto differenziate, arrivando a parlare di «orizzonti culturali» molto diversi nella stessa maggioranza che sostiene il sindaco. Ecco allora un incontro di approfondimento per creare un gruppo di lavoro in grado di arrivare a una nuova proposta sul tema. E per farlo l’assessore chiama un esperto sulla tematica nomadi. Sergio Bontempelli, ex Democrazia Proletaria, poi in Rifondazione Comunista e Collettivo Studentesco, ora impegnato sui temi dell’immigrazione e particolare attenzione per Rom e Sinti.

A Pisa, Bontempelli si è impegnato in alcune vertenze proprio per il diritto alla casa per i Rom. Vietina, dunque, prova a rilanciare, dopo aver ottenuto una sorta di via libera da Tambellini a ripartire da zero su un tema che ha scatenato una raffica di posizioni contrarie in città.  

Fabrizio Vincenti

l’assessore Vietina ormai l’ha presa di petto, meglio a cuore, e va avanti costi quello che costi, anche la contrapposizione al Sindaco, realizzando immediatamente una riunione di tutti i consiglieri comunali della maggioranza e degli assessori competenti, anche se la fretta nel convocarla durante queste feste ha permesso la presenza di pochissimi all’incontro col Bontempelli:

Nomadi, l’assessore Vietina va avanti. Martinelli attacca: «Aiutate i lucchesi»

Pochi alla riunione per studiare soluzioni alle Tagliate

funerale di transessuale

 

Transessuale picchiata e uccisa a Termini

funerali al femminile nella Chiesa del Gesù

Transessuale picchiata e uccisa a Termini funerali al femminile nella Chiesa del Gesù                            

Oggi l’ultimo saluto ad Andrea, la trans colombiana trovata morta la notte tra il 28 e il 29 luglio sul binario 10 della stazione. Nessuno aveva richiesto la salma. Oltre 100 i presenti tra cui il ministro Kyenge e il sindaco Marino e Vladimir Luxuria. Durante l’omelia il nome della vittima declinato con il “lei”

Un rito funebre tra rose bianche e centinaia di persone. Così, si sono svolti questo pomeriggio nella Chiesa del Gesù, i funerali di Andrea Quintero, la transessuale uccisa nella  notte fra il 28 e il 29 luglio scorso alla stazione Termini. Tra i presenti alla cerimonia il ministro dell’Integrazione Cecile  Kyenge, il sindaco Ignazio Marino, i rappresentanti del Consolato della  Colombia, Vladimir Luxuria, i volontari della Caritas, della Croce Rossa e del Cesv e  tanti compagni di strada. E in chiesa gli officianti le hanno dato del “lei”.

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 Oggi pomeriggio nella Chiesa del Gesù, l’ultimo  saluto ad Andrea  Olivero, la transessuale colombiana senza fissa dimora,  il cui corpo  privo di vita fu ritrovato con ecchimosi la mattina del 29  luglio  scorso al binario 10 della stazione Termini. Durante i funerali,  organizzati  dal Centro servizi volontariato del Lazio e dalla Caritas di  Roma, gli  officianti hanno ricordato Andrea declinando il suo nome al femminile

       

Andrea, transessuale colombiana di 31 anni, con problemi di tossicodipendenza e senza fissa dimora, è stata uccisa all’interno della stazione, dove qualcuno l’ha picchiata, con bastone e forse coltelli, fino ad ucciderla. Il suo cadavere fu ritrovato con ecchimosi la mattina del 29 luglio, accanto al binario 10. Per cinque mesi nessuno ha reclamato la sua salma.
“Sono sicuro che Dio dirà ‘tu sei figlia mia perché tutti siamo figli di Dio’. Stiamo qui per testimoniare l’affetto, anche per gli ultimi di questa città – ha detto nell’omelia monsignor Feroci – perché sono nostri fratelli e non possiamo trattarli in questo modo, come le settemila persone che a Roma dormono all’aperto. Domandiamo al signore che questa città diventi sempre più una città accogliente verso coloro che sono in difficoltà”.
“E’ molto importante – ha detto il sindaco Ignazio Marino – che la Chiesa, attraverso la voce di monsignor Feroci e padre La Manna, abbia declinato durante l’omelia il nome di Andrea utilizzando il lei. E’ un gesto forte, un gesto di una Chiesa che si rinnova sotto la guida di Papa Francesco”. E ancora: “In questa chiesa solo pochi mesi fa il Papa ha voluto incontrare i poveri, i rifugiati e i più deboli”. “E’ stato un crimine d’odio accecante –  ha sottolineato Vladimir Luxuria, l’ex parlamentare di Rifondazione comunista – colgo però almeno una luce di speranza per questi funerali celebrati in un’importante chiesa”. A mia memoria – ha concluso – è la prima volta che a Roma per un trans ucciso vengono celebrati questo tipo di funerali”.

anche questo è stato il natale!

ECCO  L’ALTRO NATALE!

(Fonte e Foto ANSA.it)

    Documentato in alcune immagini l’altro Natale: omicidi in Honduras, fame e miseria in Grecia, in Italia, in Polonia e  in Francia), tifone nelle Filippine. TANTE LACRIME A NATALE NEL MONDO!

     La foto più chockante è quella scattata in una delle strade di Tegucigalpa in Honduras: il cadavere di un uomo con la scritta “””Buon Natale scassinatori””” dove almeno altre 20 persone sono state uccise in quel Paese la notte di Natale per lo stesso motivo!

20 people violently dead and 15 wounded during Christmas eve in Honduras

In questo caso, MISERIA materiale e morale si sono incontrate!

Christmas meals for people in need and homeless in Athens                      (Atene-Pranzo di Natale dei senza tetto nello stadio)

Christmas distribution of gifts for the children of homeless and precarious families in Paris

(Parigi: distribuzione di piccoli pacchi dono ai bambini poveri)

Natale: Roma;in 550 a pranzo poveri a S. Maria in Trastevere

                    (Roma: pranzo per 550 poveri in Santa Maria in Trastevere)
17th Christmas Eve to the Needy
                                   (Polonia: un pasto caldo per la strada ai senza tetto a Cracovia)
NATO soldiers celebrate Christmas in Kabul
                                                (Kabul: pranzo di Natale dei soldati NATO)
Christmas in Al Hamra Street in Beirut
          (Beirut: distribuzione di dolci e giocattoli dei volontari ai bambini profughi siriani e libanesi)
Christmas in Typhoon devasted Province of Leyte
                                                           (Filippine: Natale dopo il tifone!)
Christmas time at the Tacumbu prison in Asuncion, Paraguay
                              (Paraguay: Natale dei detenuti in una prigione di Asuncion)
Christmas in Typhoon devastated Province of Leyte              (NATALE DI SOLIDARIETA’ nelle Filippine per i medici tedeschi volontari dopo il tifone)

twitt cretino della questura

 

la Questura di Roma twitta  contro i ROM (ma poi cancella)

dall’account  twitter uffciale della Questura di Roma parte un tweet contro i Rom

La Questura di Roma twitta contro i ROM (ma poi cancella).

E’ di poche ore fa un tweet  fatto dall’account ufficiale della Questura di Roma.

Una  battuta di dubbio gusto in cui l’autore paragona la sistemazione del ripostiglio  allo sgombero di un campo Rom. Il tweet viene subito cancellato ma un’utente risponde e salva l’immagine.

E’ la stessa utente che fa notare all’autore del tweet che paragonare la  sistemazione di pacchi et similia allo sgombero di essere umani non è  esattamente la stessa cosa. Intanto in rete monta la polemica. L’Ufficio stampa  della Questura capitolina ha diffuso un messaggio – sempre via Twitter – nel  quale prendeva le distanze dal tweet precedente e dispone verifiche per  accertare le responsabilità.

continua su: http://www.fanpage.it/la-questura-di-roma-twitta-contro-i-rom-ma-poi-cancella/#ixzz2ocDpfZ9U http://www.fanpage.it

Lettera alla Questura di Roma da parte dell’Associazione 21 luglio per il tweet anti rom

venerdì, 27 dicembre, 2013

L’associazione 21 luglio, che con il suo Osservatorio nazionale sull’incitamento alla discriminazione e all’odio razziale monitora dichiarazioni, comizi e interviste  su giornali locali, nazionali e sul web, ha inviato alla Questura di Roma una lettera nella quale sottolinea la gravità delle asserzioni a scapito delle popolazioni rom e il loro contenuto razziale, discriminatorio e lesivo della dignità umana.

«Dichiarazioni di tale tenore – si legge nella lettera dell’Associazione 21 luglio – sono suscettibili di veicolare messaggi con effetti dannosi non solo per i gruppi “target” ma anche per la popolazione maggioritaria che viene “impregnata” di stereotipi e pregiudizi. Le stesse provenendo poi da un organo di Stato hanno il duplice effetto di rendere concepibili e tollerabili esternazioni di tal fatta».

L’Associazione 21 luglio ha quindi specificato che l’episodio non può ritenersi risolto con la semplice rimozione e divulgazione di una comunicazione di verifiche in corso.

Pertanto ha chiesto alla Questura di Roma «di procedere tempestivamente e senza ritardi alle verifiche predisposte e di divulgare nel più breve tempo possibile l’esito degli accertamenti e delle relative misure correttive intraprese».

natale: dove nascerebbe oggi il bambino?

 

 

 

natività

Il bambino oggi sarebbe nato in un campo profughi

Il Medioriente sull’orlo dell’abisso

 in un poco più che ‘biglietto natalizio’, nel suo Huffigton Post, Lucia Annunziata tenta di rispondere alla domanda: Gesù bambino dove nascerebbe oggi?

” queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo”

Il bambino la cui nascita festeggiamo, sarebbe nato oggi in un campo profughi. E non si parla qui di buoni sentimenti natalizi. E nemmeno si parla qui di cattolici e mussulmani, di ebrei e palestinesi, sunniti e sciiti.

I Maria e i Giuseppe odierni, in fuga dai despoti di turno, gli Erode sempre in forza in Medioriente, qualunque sia la loro denominazione, non avrebbero certo modo di  raggiungere l’Egitto da Betlemme, o il Libano dalla Siria, o la Giordania dall’Iraq, o, se è per questo, l’Italia dalle spiagge della Libia. Ed è probabile che la loro vita finirebbe con l’essere quella delle centinaia di migliaia di rifugiati che in questo momento sono sospesi fra confini nazionali e religiosi ormai collassati.

Mai come in questo Natale è evidente che i luoghi dov’è nata una buona parte della identità, volere o meno, del mondo in cui viviamo, sono vicini alla loro scomparsa. Il Medioriente come lo conosciamo è sull’orlo dell’abisso. In decenni di conflitti, terrorismo e guerre internazionali, pure non si è mai verificata la situazione attuale con ben quattro grandi stati, Iraq, Siria, Egitto e Libia, contemporaneamente e di fatto in piena guerra civile.

Il giorno della nascita del bambino di Betlemme ha fornito – involontariamente – il termometro di quanto alta sia la temperatura. In Egitto un’auto bomba contro le forze di sicurezza ha ucciso alla vigilia del Natale 13 persone e ne ha ferito 134. L’auto bomba, tragico simbolo delle guerre fratricide mediorientali, arma resa famosa dalla guerra in Libano negli anni Ottanta, rispunta ora in varie altre nazioni, come una rondine di una nuova tragica primavera.

L’auto di cui parliamo è esplosa nella città di Mansoura, nel Delta del Nilo. Ma di esplosioni in Egitto se ne contano ormai molte, dopo la cacciata del Presidente Morsi, e il  ritorno al potere dei militari. Molti degli attentati sono avvenuti in Sinai, ma il 5 Settembre è al Cairo che una bomba contro il convoglio in cui viaggiava quasi uccide il Ministro degli Interni Mohamed Ibrahim.

Rimanendo in argomento, è sempre un’auto bomba, la prima, quella usata in Libia alcuni giorni fa per attaccare a 50 chilometri da Bengazi, in direzione del confine con l’Egitto, un checkpoint militare. Sette le vittime.

Natale è stato invece festeggiato in Siria (e sì, ci sono ancora cristiani in quella nazione) da botti speciali: il 23 dicembre è stato il decimo giorno di bombardamenti sull’antica città di Aleppo. Impiegate, come si diceva, bombe speciali, si chiamano barrel bomb e sono semplici barili imbottiti di esplosivo e ogni sorta di pezzi di metallo, che rilasciano una micidiale pioggia di schegge all’impatto. Vengono buttate dagli elicotteri, costano molto poco, sono facili da fare, e non sono nella lista delle armi bandite dalle convenzioni internazionali, come quelle chimiche (su cui il mese prossimo si dovrebbe tenere una prima conferenza internazionale).

Secondo l’Osservatorio Siriano dei Diritti Umani, organizzazione basata a Londra, nell’ultima settimana in Siria le vittime del conflitto sarebbero 1,460. Ad Aleppo le vittime sarebbero 364, di cui 105 bambini. E ancora un’altra strage, questa volta a Bagdad, nel giorno di Natale, con un’autobomba che è esplosa vicino a una chiesa nel sud della città subito dopo una funzione di natale. I morti sarebbero almeno 15.

Mi fermo qui.

Non voglio neppure toccare il perché e il per come di quanto accade. Di libri e analisi sul Medioriente ne abbiamo pieni gli scaffali, e senza grande utilità, in verità. Prova che il sapere non porta necessariamente a soluzioni.

Diciamo che queste righe sono solo un cartoncino natalizio, una nota per ricordare a noi stessi dove siamo. E magari per ricordarlo anche ai nostri politici. In effetti sarebbe bello se ogni tanto alzassero il naso dalle claustrofobiche battaglie italiane e ci facessero sapere cosa pensano del mondo grande in cui viviamo.

natale mistico

 

presepe a Lucca

la fede una cosa da bambini? la fede ridotta ad una combinazione  di sentimento e fantasia dal momento che l’approccio critico al testo sacro evidenzia sempre più che la trdizionale ‘storia della salvezza’ che si riteneva poggiasse su fatti storici in realtà si rivela come una costruzione mitico-teologica?

M. Vannini, in questo bell’articolo apparso su ‘la Repubblica’ la vigilia di natale sostiene invece che “la fede non produce affatto credenze ma al contrario le toglie via tutte!:

Natale mistico

 

di Marco Vannini

in “la Repubblica” del 24 dicembre 2013

 

La nascita di Gesù fu posta dalla Chiesa latina al solstizio di inverno perché in quella data i romani

festeggiavano il sol invictus, ovvero il sole che, giunto al punto più basso del suo corso nel cielo,

non scompare, ma sembra fermarsi in attesa, e riprende da allora in poi vigore. Come molte altre,

questa festività cristiana prese così il posto di una pagana: Cristo, sole di giustizia, sostituì la

precedente divinità astrale.

In questi giorni del solstizio tutti provano comunque una sensazione di pace, che invita al

raccoglimento, alla meditazione, e non v’è dubbio che la stagione astronomica e meteorologica sia

per questo determinante: il tempo sembra fermarsi, la natura sembra silenziosa, in ascolto, la

vegetazione in attesa di rinascita. Oltre alla natura però contribuisce potentemente a questa

sensazione la cultura, ovvero il passato cristiano, la cui influenza continua a farsi sentire nella

nostra società post-cristiana: anche molti secoli dopo che Buddha era morto, come ricorda

Nietzsche, la sua ombra continuò ad essere presente.

E non meraviglia che sia così: quel passato era infatti ricco, forte, tanto – ad esempio – da dare a un

oscuro maestro elementare e a un povero parroco di villaggio l’ispirazione per quella

Stille Nacht, la cui struggente melodia, colma di nostalgia, muove tutti gli animi alla pace,

all’amore, indipendentemente da ogni religione.

Si capisce allora come la Chiesa cerchi di far leva su questo sentimento per cercare di ravvivare la

fede che una volta si riteneva fondata su reali eventi storici, ovvero sulla “storia della salvezza” che

da Adamo procede verso Cristo. Oggi, però, dal momento che quella storia appare per ciò che è, una

mera costruzione mitico-teologica, la fede si è ridotta a una combinazione di sentimento più

fantasia: una cosa da bambini, dunque. Non a caso ai nostri giorni il Natale è festa non solo per un

Bambino, ma soprattutto per bambini.

La fede è infatti in questo caso una credenza, che si difende con una sorta di infantile testardaggine,

ignorando la realtà, tanto storica quanto psicologica. Se invece la fede è volontà di verità, essa

guarda in faccia la realtà, scoprendo che quella credenza è desiderio di consolazione e

rassicurazione, frutto del desiderio di permanenza di un ego che si sente debole e incerto e che

perciò cerca “salvezza” nel rimando ad altro fuori di sé, restando così sempre nell’attesa,

nell’anelito. La fede allora non produce affatto credenze ma, al contrario, le toglie via tutte,

smascherando come menzogna anche l’immaginazione teologica. La fede – scrive san Giovanni

della Croce – «non solo non produce nozione e scienza, ma anzi accieca e priva l’anima di

qualunque altra notizia e conoscenza: la fede è notte oscura per l’anima e, quanto più la ottenebra,

tanto maggiore è la luce che le comunica». Fede come notte, dunque, ma una notte che mentre

libera da ogni presunto sapere di verità esteriori, fa risplendere una luce interiore, sapere non di

altro ma di se stessa, sapere che è un essere: questa, possiamo dire, è la vera stille nacht, heilige

nacht, notte silenziosa, notte santa.

La notte in cui Dio nasce nell’umanità è la notte prodotta dalla fede, ovvero il silenzio, il vuoto che

l’intelligenza ha fatto nell’anima. Il Natale, riferimento a una nascita del divino nel tempo, ha

dunque il senso di ri-cordare, nel suo senso etimologico di riportare all’interiorità, risvegliare

nell’anima nostra ciò che le è proprio ed essenziale: il divino che è nel suo fondo più intimo. Questo

è il passaggio

aus historie ins wesen, dalla storia all’essenza, come dicevano i mistici tedeschi,

ovvero da una verità esteriore, che non ha alcun effetto, a una verità interiore, che salva davvero.

La salvezza non è infatti dal peccato di un altro, Adamo, da cui un altro, Cristo, ti deve liberare, ma

da quel peccato davvero “originale” che è l’amore di sé. In te è Adamo, in te è Cristo, ovvero tanto

l’amore di te stesso quanto l’amore del Bene, e la salvezza ti appare nella sua realtà, non futura ma

presente, non sperata ma reale, quando il bene degli altri ti è caro quanto il tuo, assolutamente, in

nulla di meno. Niente può turbare allora la pace dell’anima: non a caso i mistici ripetono la

cosiddetta supposizione impossibile: se anche Dio mi destinasse all’inferno, sarei comunque

“salvo”.

Il senso vero del Natale non va dunque cercato all’esterno ma in se stessi, non in una costruzione

teologica, ma nel vuoto, nel distacco. Questo è anche il senso profondo della storia che precede e

rende possibile la nascita del Figlio, come del resto ogni nascita umana, ovvero la storia della

Madre: Maria fu capace di generare il divino per la sua umiltà, per la sua verginità, che non

significa una condizione fisica, ma il vuoto fatto in se stessa. Il Logos nasce infatti nell’anima di

ciascuno di noi quando essa è come Maria: distaccata, ovvero libera, spoglia di ogni preteso valore

e preteso sapere. Il mistico poeta Angelus Silesius perciò recita: «Davvero ancor oggi è generato il

Logos eterno! Dove? Qui, se in te hai dimenticato te stesso».

Il mistero del Natale si svela infatti quando si comprende il significato non blasfemo, ma al

contrario profondamente spirituale -anzi, esso solo cristiano, senza il quale la religione resta

superstizione, la fede credenza infantile – del principio che innerva la mistica: tutto quello che la

Sacra Scrittura dice di Cristo, si verifica totalmente anche in ogni uomo buono e divino.

Purtroppo tale principio fu condannato come eretico da uno di quei papi avignonesi che Dante

definisce “lupi rapaci”, separando così divino da umano, sacro da profano, avocando alla chiesa il

monopolio del sacro e con questo ribadendo la divisione ragione-fede, scienza-religione che perdura

ancora oggi e che costringe i “credenti” in quella condizione di minorità da cui l’illuminismo,

secondo le celebri parole kantiane, ha inteso togliere l’uomo occidentale.

Accanto a un Natale storico, nel quale una sola volta, in un solo luogo e in una sola persona, il

divino è nato sulla terra, c’è dunque un Natale eterno, per cui, secondo le parole di Origene, il

divino si genera nell’anima non una volta soltanto, ma in ogni istante, in ogni luogo e in ogni uomo,

in ogni pensiero che egli rivolge a Dio con purezza, in ogni gesto di amore che compie.

Anche se non legata al solstizio d’inverno, la nascita di Gesù è comunque un evento reale, non un

mito. In quanto ha a che fare con realtà profonde ed universali dell’anima umana, il mito riguarda

ciò che non è mai avvenuto ma in eterno avviene, come diceva un filosofo pagano, mentre per il

Natale noi dobbiamo dire: ciò che è avvenuto una volta e in eterno avviene. Attenzione però:

avviene solo se avviene. Perciò lo stesso poeta mistico che abbiamo prima citato lancia al suo

lettore un avvertimento davvero terribile: «Nascesse mille volte Cristo in Betlemme, se in te non

nasce, sei perduto in eterno».

riflessioni dall’ ‘inferno’

 

migranti-tuttacronaca

 

Vi racconto l’inferno

 

di Khalid Chaouki

Qui a Lampedusa è notte ormai. Mi appresto ad andare nella stanza dove un gruppo di profughi

siriani mi hanno offerto ospitalità.

Questa è loro malgrado la loro casa e io sono loro ospite. Mi è stato consegnato dal direttore del

Centro il kit dei profughi. Asciugamani, un lenzuolo, spazzolino da denti e una coperta. Stare qui

insieme ai profughi e insieme ai volontari di questo Centro è stata una scelta estrema, forte e

difficile. Ma non me la sono sentita. Per l’ennesima volta di salutare e tornarmene a casa. Fare

qualche comunicato, denunciare via Facebook e depositate un’interrogazione. La nostra routine di

palazzo qui non regge più. Come non regge nemmeno a ponte Galeria o al Cara di Mineo. Serve

un’azione concreta da parte delle Istituzioni. Qui ho conosciuto e sto scoprendo storie e volti segnati

dalla guerra e dalle persecuzioni. Siria, Somalia ed Eritrea, tre Paesi rappresentati qui tra le 219

persone, tra cui sette scampati alla tragedia dello scorso 3 ottobre.

 

Il gesto di un nuovo italiano che spalanca la porta sull’orrore

di Gad Lerner

in “la Repubblica” del 23 dicembre 2013

Un gesto davvero onorevole perché nobilita la funzione del parlamentare, chiamato a farsi prossimo

di una sofferenza che ha generato scalpore ma che finora non ha rotto il muro d’indifferenza delle

istituzioni.

Chaouki è un giovane cittadino italiano nato in Marocco di fede musulmana, da tempo impegnato

nel dialogo contro ogni forma di integralismo. Non stupisce che incontrando i superstiti del

naufragio del 3 ottobre scorso ancora detenuti a Lampedusa, e gli altri migranti in sciopero della

fame contro il trattamento umiliante che loro stessi hanno filmato, sia scattato in lui un impulso

d’immedesimazione. Non lo aveva programmato, aveva in tasca il biglietto aereo di ritorno a Roma.

Proverà cosa vuol dire dormire al freddo e nella sporcizia di quella struttura diroccata che in troppi

visitano per poi voltarle le spalle. Il suo esempio testimonia quant’è importante che sia approdata in

Parlamento l’esperienza di vita dei nuovi italiani, ormai una percentuale significativa della nostra

popolazione. Ma sarebbe miope relegare la sistematica violazione dei diritti umani dei migranti a

questione marginale, riguardante solo una sia pur cospicua minoranza. La negligenza delle strutture

amministrative coordinate dal ministero degli Interni nel tutelare profughi e richiedenti asilo, così

come la prolungata reclusione nei Centri di Identificazione e Espulsione di cittadini stranieri privi di

documenti in regola, configura un degrado di civiltà cui sarebbe pericoloso assuefarsi. Deturpa la

natura democratica dello Stato e quindi incrina i pilastri della nostra convivenza civile.

Già la legge Bossi-Fini e i suoi successivi inasprimenti col reato di clandestinità e con la proroga

dei limiti di detenzione nei Cie, ha trasformato questi Centri in focolai di disperazione. Se otto

ragazzi di vent’anni senza pendenze giudiziarie sono giunti a cucirsi la bocca per protesta nel Cie

romano di Ponte Galeria, significa che l’infezione è degenerata, senza che le ripetute denunce

abbiano mosso il governo a intervenire.

Decenni di allarmismo e propaganda hanno costruito purtroppo un vasto consenso intorno alle

misure discriminatorie varate dai governi di destra. Ancora ieri c’è chi ha reagito con stizza alla

protesta del deputato Chaouki, compiacendosi che sia tornato “fra i suoi simili” perché non riescono

ad accettare l’idea che un nativo del Maghreb possa diventare cittadino italiano e addirittura

rappresentante del popolo. Soffriamo un ritardo culturale drammatico che ha incentivato la pavidità

delle istituzioni. Il ministro Alfano è ancora lì che adopera espressioni anacronistiche come “prima

gli italiani” per giustificare le sue inadempienze. Fingendo di ignorare che il flusso migratorio ci ha

già profondamente trasformati come nazione, e che il riconoscimento dei diritti dei migranti e dei

profughi rappresenta un’urgenza dell’intera comunità italiana.

Chaouki è giunto a Lampedusa all’indomani della visita del segretario del suo partito, Matteo Renzi

che vuole modificare la legge Bossi-Fini. Ma nel frattempo? Ci era già andato in pellegrinaggio

papa Francesco, scuotendo le coscienze. Il presidente della Commissione europea Barroso e il

premier Letta vi hanno versato lacrime di indignazione. Com’è possibile che in tutti questi mesi la

situazione non sia cambiata, anzi, se possibile, è peggiorata? Sorge legittimo il sospetto che la

nomina di un ministro dell’integrazione nella persona significativa di Cécile Kyenge sia stata

escogitata come mero atto dimostrativo. Possibile che in tutti questi mesi nulla sia stato fatto per

correggere l’obbrobrio dei Cie e del Centro di Lampedusa? Possibile che il governo non abbia

varato alcuna modifica della Bossi-Fini e neppure un disegno di legge per la cittadinanza dei minori

figli di immigrati?

La stessa Kyenge dovrebbe finalmente battere il pugno sul tavolo, se non vuole apparire una foglia

di fico del menefreghismo altrui, come le ha ricordato nei giorni scorsi Chaouki. Ma intanto c’è da

augurarsi che l’esempio di quest’ultimo sia seguito da altri parlamentari, non solo “nuovi italiani”,

perché la violazione dei diritti umani è una vergogna che tutti ci accomuna

il ‘vangelo’ di natale

 

NATALE

 UN DIO DAL VOLTO UMANO

 

Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e “diventerete come Dio” è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli (“Non è forse Dio nell’alto dei cieli?”, Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti (“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo”, Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.
Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la “follia di Dio” (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore “spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7).
Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.
Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.
Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, “nella profondità dell’abisso” (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).
Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.
Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere (“A quanti l’hanno accolto…”, Gv 1,12). Lui è il “Dio con noi” (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.
In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore

Alberto Maggi

 

NATALE: UN DIO DAL VOLTO UMANO<br /><br /><br />
Di Alberto Maggi </p><br /><br />
<p>Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e "diventerete come Dio" è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli ("Non è forse Dio nell’alto dei cieli?", Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti ("Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo", Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.</p><br /><br />
<p>Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la "follia di Dio" (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore "spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini" (Fil 2,7).</p><br /><br />
<p>Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.</p><br /><br />
<p>Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.</p><br /><br />
<p>Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, "nella profondità dell’abisso" (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).</p><br /><br />
<p>Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.</p><br /><br />
<p>Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere ("A quanti l’hanno accolto…", Gv 1,12). Lui è il "Dio con noi" (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.</p><br /><br />
<p>In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore.<br /><br /><br />
(Natale 2012)

muti e ammutoliti dall’orrore

Bocche cucite

la protesta shock di quattro migranti

cie-protesta-tuttacronaca

 

Mentre il neosegretario dei Democrat Matteo Renzi è in visita al centro di accoglienza immigrati di Lampedusa, giunge la notizia della clamorosa protesta in atto al Cie di Ponte Galeria a Roma. Qui quattro magrebini, ospiti della struttura, si sono cuciti la bocca per protestare contro il protrarsi della permanenza nel centro.

NOI E LORO MUTI D’ORRORE

un bel pezzo su ‘la Repubblica ‘ odierna di Concita de Gregorio a commento (si fa per dire!) della gravissima situazione e delle condizioni disumane di vita che i migranti stanno vivendo nei nostri Cie o comunque si chiamino … nessun commento ma forte presa d’atto di un orrore che ammutolisce loro ma deve ammutolire anche noi e la nostra logica egocentrica del ‘prima noi e i nostri, poi si vedrà’

 

Dice: sono marocchini, tunisini. Se ne stiano al paese loro. Cosa volete che ce ne importi degli africani, non vedete che non c’è da mangiare per noi. Dice: non li vedete i forconi in piazza, e voi ancora lì al tepore delle vostre belle case a menarla con la solidarietà, con l’accoglienza. Dice: pensate agli italiani, prima. Va bene, allora cominciamo da qui. Da una conversazione qualsiasi di quelle che toccano ogni giorno, a volerle ancora sostenere.

Quando sei in fila all’Agenzia delle entrate o alle Poste a pagare un bollettino, al forno a comprare il pane. Non ce n’è per noi, cosa volete che ce ne importi di quelli, che poi alla fine sono anche mezzi criminali. Sempre, quasi sempre. Va bene. Allora diciamo che sì, è così: se non ti salvi tu non puoi salvare gli altri, te lo spiegano bene ogni volta che l’aereo decolla. Prima assicurati di aver messo la tua maschera di ossigeno e il tuo giubbotto, poi aiuta il vicino. Il bambino, la donna incinta, il vecchio. Non importa. Prima metti al sicuro te stesso. Perfetto, è giusto. Se poi c’è di mezzo la paura, la diffidenza, il sospetto che il vicino possa essere o diventare un nemico, figuriamoci se c’è bisogno di dirlo. Sono anche mezzi criminali, quasi sempre. La tua maschera di ossigeno, prima. Però poi arriva, un giorno, il gesto che azzera la rabbia livida del tuo personale benessere negato, il gesto che ti ricorda cosa siamo, tutti, prima dei nomi che ci danno e che ci diamo: esseri umani, siamo. Lo riconosci, quel gesto, perché lascia muti. La conversazione consueta si spegne in uno sguardo che si abbassa, una voce che borbotta, la replica che tarda ad arrivare, non arriva. Cos’hanno fatto? Si sono cuciti la bocca. Come cuciti? Cuciti. Ma le labbra? Le labbra, una insieme all’altra. E come? Con una specie di ago ricavato dal ferro di un accendino, e col filo di una coperta. Otto hai detto? Otto. Quattro tunisini e quattro marocchini. I nomi no, non li so. Non li dicono mai i nomi degli stranieri, solo il numero. C’è una ragione. Il nome ti porta diritto dentro una storia, dentro una vita. Il numero fa numero, e basta. Però dicono l’età. Questi sono ragazzi: vent’anni i più giovani, trenta i più vecchi. Hai detto venti? Venti, sì. Ce l’avete un nipote di vent’anni? Come vi sentireste se tornando a casa lo trovaste con la bocca cucita con ago e filo? Ve lo riuscite ad immaginare? Ecco, così. Tornate e lo trovate col sangue che cola dalla bocca cucita. Allora magari uno torna a casa e va a vedere su Internet le foto del posto dove è successo, il Cie di Porta Galeria a Roma. Cie, che vuol dire Centro di identificazione ed espulsione. Ci si può stare fino a un anno e mezzo in quel posto lì, con le sbarre delle gabbie ricurve verso l’interno, come quelle delle bestie pericolose in certi zoo. Che ora si chiamano bioparchi, in genere, e quelle gabbie non ci sono più nemmeno per le tigri. Allora magari anche se è il sabato prima di Natale e devi andare a comprare il bagnoschiuma per tua nuora, con quei pochi soldi che hai, ecco magari allora ci pensi che in Italia c’è una legge che si chiama Bossi-Fini (ha proprio i nomi di quelli che l’hanno fatta, Bossi e Fini, se ti concentri te li ricordi tutti e due) che autorizza a tenere in quel lager degli esseri umani che hanno l’età di tuo figlio, di tuo nipote, e certo anche tuo figlio e tuo nipote non hanno lavoro ma almeno non vengono annaffiati nudi d’inverno con una sistola, almeno parlano una lingua che la gente intorno capisce, almeno hanno te e se sono in pericolo ti possono chiamare al telefono, vienimi a prendere che c’è un problema serio. Loro no. Quelli che si sono presi le labbra con la mano sinistra e con la destra se le sono cucite non hanno nessuno da chiamare: si possono solo dare fuoco, e certo anche gli italiani lo fanno a volte, si possono ammazzare, anche questo capita senza bisogno di venire dall’Africa, o anche — ti possono dire con questo speciale martirio di ago e filo — nemmeno la parola gli è rimasta più per gridare. La parola, che viene dal pensiero e distingue l’uomo dalla bestia. Non serve più a niente nemmeno quella. Ecco, magari dieci minuti, allora, prima di uscire a comprare il pandoro, ci pensi.

Da La Repubblica del 22/12/2013

A Lampedusa c’è un lager

Il finto stupore, le consuete retoriche

la verità su Lampedusa al di là di tutte le retoriche, le bugie, le coperture per impedirci di vedere e conoscere come davvero stanno le cose, perché di questa ‘verità’ abbiamo paura e rifuggiamo dal conoscerla perché è davvero terribile, impronunciabile:

di Annamaria Rivera*

Oggi, perfino i media mainstream evocano i lager per definire le modalità del trattamento antiscabbia imposte ai profughi segregati nel Centro “di primo soccorso e accoglienza” di Lampedusa. In effetti, le immagini proposte dal servizio di Valerio Cataldi per il TG2, realizzate grazie al coraggio di uno degli “ospiti” di quel Centro, ricordano – anche nell’estetica, se così si può dire – le code degli internati nei campi di concentramento: la totale spersonalizzazione, l’umiliazione della nudità di massa, l’esposizione al freddo, perfino la presenza di un omone che dirige l’operazione con la brutalità di un kapò…
Eppure, sin da quando, nel 1998, usammo l’analogia dei lager per definire le strutture d’internamento extra ordinem, inaugurate dalla legge Turco-Napolitano con la sigla Cpt, da ogni parte si è obiettato, fino a ieri, che essa era impropria, iperbolica, infondata. Oggi, dopo un quindicennio di morti sospette, suicidi, maltrattamenti, violenze, rivolte, violazione dei diritti più elementari, qualcuno ammette ciò abbiamo sempre sostenuto: la detenzione e l’internamento amministrativi, avviati da quella legge e realizzati sotto svariate forme e sigle (Cie, Cara, Cpa, Cpsa…), hanno lo status proprio dei lager nazisti, pur con finalità assai differenti. Nel senso che, in via eccezionale e permanente, sospendono, per speciali categorie di persone, i diritti umani e i principi generali del diritto e della Costituzione. Basta dire che neppure a giornalisti e avvocati è consentito entrarvi liberamente. 
Quello di Lampedusa, certo, non è ufficialmente un Cie: ne è “solo” una delle tante metamorfosi, dal nome ingannevole. Ancor più deprecabile perché vi sono internate persone perlopiù in attesa di asilo o comunque di protezione, sopravvissute a conflitti, persecuzioni, traumi, sofferenze e in ogni caso al rischio mortale della traversata del Mediterraneo. Persone, quindi, meritevoli del massimo rispetto. E invece no: per lo Stato italiano e per ‘Lampedusa Accoglienza’, l’ente gestore del Cpsa, è normale che esse siano trattate al pari di accattoni molesti, private del comfort e della dignità più basilari, talvolta costrette a dormire e a mangiare per terra.
Nondimeno l’ente gestore – che fa parte di ‘Sisifo’, consorzio aderente alla Lega delle Cooperative– nel solo 2012 ha incassato dallo Stato italiano la somma considerevole di 3 milioni 116mila euro e tuttora continua a incassare somme calcolabili intorno ai 21mila euro al giorno, come ha documentato, tra gli altri, Fabrizio Gatti. Un business non da poco, che rende ancor più bieca questa vicenda vergognosa, il cui senso è restituito alla perfezione dalla replica dell’ente gestore: “Abbiamo seguito il protocollo”, frase che inconsapevolmente allude a ciò che Hannah Arendt definì la banalità del male.
Al contrario di ciò che ha affermato la ministra Cécile Kyenge, noi pensiamo che purtroppo quelle immagini siano degne di rappresentare l’Italia: nel senso che sono perfettamente coerenti con l’ideologia che ha ispirato la politica italiana sull’immigrazione e l’asilo. Nessun governo ne ha voluto non diciamo smantellare, neppure intaccare l’impianto. E’ improbabile che voglia farlo quello attuale, nonostante le buone intenzioni e le promesse di Kyenge, in realtà sempre più vaghe.
Vaga e disinformata è la proposizione, avanzata da giornalisti e commentatori vari, secondo cui tutto si risolverebbe “riformando” o abrogando la Bossi-Fini. Per tornare alla Turco-Napolitano? In realtà, sarebbe necessario un mutamento radicale della normativa italiana che regola l’immigrazione, l’asilo, la cittadinanza, nel contesto di un mutamento di rotta, altrettanto radicale, delle politiche dell’Europa-Fortezza, per usare una formula abusata.   
Certo, quel video, possibile, come abbiamo detto, solo grazie alle immagini catturate da Khalid,  giovane siriano internato in quel lager, ha ottenuto qualche effetto di rilievo: l’apertura di un fascicolo da parte della Procura della Repubblica di Agrigento, le minacce della commissaria europea per gli Affari Interni, Cecilia Malmström, di sospendere ogni aiuto all’Italia, qualche dichiarazione indignata di rappresentanti delle istituzioni, il suggerimento, da parte di ‘Sisifo’, “di rimuovere e rinnovare il management attuale” di ‘Lampedusa Accoglienza’.
E a tal proposito: come ricordano giuristi assai competenti quale l’avvocata Simonetta Crisci, sarebbe stato obbligo dello Stato impedire che quell’evento e altri simili si verificassero. Infatti, secondo l’art. 40, comma 2, del Codice Penale, non ostacolare un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo. Quindi, a questo punto non sarebbe forse obbligo dello Stato sollevare il Prefetto dalle sue funzioni? Non sarebbe altrettanto doveroso trasferire i profughi, con il loro consenso, in strutture aperte che garantiscano un’accoglienza autentica e il pieno rispetto dei loro diritti?   
Anche questa vicenda indegna potrebbe essere presto dimenticata, non appena si saranno spenti i riflettori dei media. Così come ormai archiviati sono la commozione e il “mai più” di circostanza, seguiti all’ecatombe di ottobre nel Canale di Sicilia: 648 vittime in appena otto giorni e la farsa dei finti funerali di Stato per le vittime della strage del 3 ottobre. Perciò auspichiamo che il movimento antirazzista e la società civile democratica moltiplichino le iniziative a sostegno del Comune di Lampedusa, della sua ottima sindaca, Giusi Nicolini, soprattutto dei profughi segregati in quel lager. E che per il momento si riesca almeno a garantire la protezione da ritorsioni a quelli fra loro che dall’interno ne denunciano le infamie, mostrando così ben più coraggio e senso civico di tante autorità, cittadini e politici italiani.
* versione aggiornata e modificata dell’editoriale del manifesto del 19 dicembre 2013 (19 dicembre 2013)

consiglio comunale straordinario sulle casette per i sinti a Lucca

Dopo la Befana i nomadi arrivano in consiglio comunale

così titola il sito on line ‘lo Schermo’: “i nomadi (gente che è a Lucca da circa quarant’anni!) arrivano in consiglio comunale” alludendo alla polemica che nei giorni scorsi si è sviluppata a Lucca tra la gente e sui media, specie social media, in riferimento alla notizia di una ristrutturazione del ‘campo nomadi’(come in genere viene chiamato), o più propriamente (come il Comune lo ha sempre voluto) ‘campo sosta’ di via delle Tagliate: un’area di grande disagio dove tutto è fatiscente e richiede senz’altro una serie di migliorie (comprese le ‘casette in legno’ di cui si è parlato nei giorni scorsi, anche se certamente i sinti che abitano quest’area  correranno il grosso rischio (ancorché oggi si dicano contenti: sentir parlare di casette nuove non può che far contenti i beneficiati che da anni abitano roulotte alla meglio e comunque del tutto insufficienti a far fronte alle esigenze di famiglie a volte numerose) di vedere trasformata l’area da loro gestita in un’area come grande contenitore di disagio sociale perché raccoglitore di casi di sofferenza sociale o di tutta la realtà della migrazione accolti a Lucca (così come esplicitamente viene delineato da membri dell’amministrazione):

 

LUCCA, 19 dicembre 

Forza Italia parte al contrattacco sulle questioni legate al campo nomadi di via delle Tagliate. Il tema sarà discusso nel consiglio comunale di Lucca in programma per il 7 gennaio. E’ quanto è stato deciso oggi nel corso della conferenza dei presidenti dei gruppi consiliari. Dopo le prime indicazioni del consigliere Luca Leone (Impegno Comune) – interessato soprattutto a capire se l’amministrazione ha un progetto di lungo periodo sul campo di via delle Tagliate e se quello resterà il luogo permanente di abitazione – ecco che Marco Martinelli e Mauro Macera (Forza Italia) portano un ordine del giorno nel quale, oltre a invitare il Comune “a concentrare gli aiuti verso le giovani coppie, gli anziani e le famiglie lucchesi in difficoltà”, ricordano i 25mila euro richiesti in conferenza dei sindaci e dicono che “nonostante sia stato speso denaro pubblico (oltre 70mila euro) per lavori di sistemazione al campo nomadi, ancora regna incertezza sulla destinazione della struttura, nata come campo di transito e trasformatasi nella realtà in luogo di sosta permanente”.
Ecco, nel dettaglio, l’odg presentato da Forza Italia che sarà discusso il prossimo 7 gennaio.

Premesso che i riferimenti normativi attinenti al progetto di intervento relativo all’insediamento Rom di Lucca sono richiamati nella delibera di Giunta regionale 128/2013 istitutiva del “tavolo regionale per l’inclusione delle popolazioni Rom e Sinte”. Considerato che nell’ambito della applicazione di recenti indicazioni nazionali ed europee richiamate in tale delibera la Regione Toscana ha chiesto al competente organismo dell’UE una revisione del POR CREO nel contesto dell’asse V “Valorizzazione delle risorse endogene per lo sviluppo territoriale sostenibile”, “interventi di recupero e riqualificazione dell’ambiente urbano e delle aree da destinare a spazi e servizi a fruizione collettiva, al terziario avanzato, nonché alla realizzazione di infrastrutture e servizi alla persona”. Considerato che a seguito della prevista prossima approvazione della revisione del POR CREO e nell’ambito di tale revisione rientra la realizzazione di un intervento di qualificazione delle condizioni abitative dell’insediamento Rom di Lucca. Visto che nonostante sia stato speso denaro pubblico (oltre 70.000 euro) per lavori di sistemazione al campo nomadi, ancora regna incertezza sulla destinazione della struttura di Via delle Tagliate, nata come campo di transito e trasformatasi nella realtà in luogo di sosta permanente.                                                                                                Visto che in sede di conferenza dei sindaci il Comune di Lucca ha voluto fortemente destinare al campo rom altri 25.000 euro. Considerato che ogni giorno molte attività, sia nel centro storico, sia in periferia, sono costrette ad abbassare le saracinesche colpite da una crisi senza precedenti. Considerato che soprattutto in questo periodo di crisi economica è opportuno concentrare le risorse prima di tutto per aiutare le giovani coppie, gli anziani e le famiglie lucchesi in difficoltà.
Tutto ciò premesso e considerato, invita il Sindaco e la Giunta: – a chiarire al Consiglio Comunale se sia allo studio un progetto che mira alla creazione di strutture abitative per i nomadi e per gli immigrati; – a rendere noti nel dettaglio i lavori eseguiti al campo nomadi di Via delle Tagliate con una spesa di oltre 70.000 euro sostenuta dalla comunità lucchese; – a chiarire al Consiglio Comunale, se esiste la possibilità che il Comune, attraverso i  servizi sociali, si faccia carico delle eventuali morosità che si potrebbero verificare nel pagamento delle bollette dell’acqua, visto che sono stai attivati un numero di contatori pari a quante sono le piazzole di sosta presenti nel campo nomadi.
Impegna il Sindaco e la Giunta: – vista la crisi economica e la scarsità di risorse pubbliche a disposizione dell’Ente Comunale a concentrare gli aiuti verso le giovani coppie, gli anziani e le famiglie lucchesi in difficoltà.
Marco Martinelli e Mauro Macera (Forza Italia)
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