LAMPEDUSA
DISINFETTATI COME ANIMALI
cose inverosimili, eppure succedono: la realtà più macabra supera la immaginazione più crudele, i nostri centri di accoglienza si manifestano ancora una volta dei veri campi di concentramento di infelice memoria
vedere per credere le immagini di un servizio trasmesso lunedì sera dal Tg2 (autore Valerio Cataldi), girate con un telefonino da un immigrato rinchiuso nel Centro di accoglienza. “Trattati come animali – racconta il ragazzo che ha fissato la barbarie sul suo cellulare – Ho visto tante cose in sei mesi, le persone che arrivano qui pensano che sia questa l’Italia”.
qui sotto la ricostruzione che del fatto fa E. Fierro su ‘il Fatto quotidiano’ e a seguire una riflessione su questo fatto vergognoso di A. Prosperi per ‘la Repubblica’ odierna, e infine una richiesta di perdono che Toni dell’Olio rivolge direttamente ad Ahmed: “Ti chiedo perdono, caro Ahmed, per tutto il trattamento inumano che ti abbiamo riservato soprattutto da quando sei arrivato in Italia. I fatti del CIE di Lampedusa documentati furtivamente con un telefonino offendono e umiliano non soltanto le persone migranti, ma anche ciascun cittadino di questo Paese. Offendono l’umanità. Si è detto che è una vergogna. Ma è molto di più”
UN VIDEO DEL TG2 MOSTRA COME, NEL CENTRO DI ACCOGLIENZA SULL’ISOLA, CON UNA MOTOPOMPA VIENE SPRUZZATO IL FARMACO CONTRO LA SCABBIA SUI CORPI DI MIGRANTI NUDI E AL GELO. BOLDRINI: “È INDEGNO”.
Un ragazzo dalla pelle scura nudo, al freddo, altri che aspettano, nudi e in fila. Un uomo con una tuta gialla e una “motopompa” che spruzza il disinfettante contro la scabbia. Non si fa così neppure con i cavalli. Con gli uomini sì, e non siamo in un lager nazista o della Siberia staliniana, siamo in Italia, a Lampedusa. Sono queste le immagini di un servizio trasmesso lunedì sera dal Tg2 (autore Valerio Cataldi), girate con un telefonino da un immigrato rinchiuso nel Centro di accoglienza. “Trattati come animali – racconta il ragazzo che ha fissato la barbarie sul suo cellulare – Ho visto tante cose in sei mesi, le persone che arrivano qui pensano che sia questa l’Italia”.
Le altre immagini mostrano operatori del Centro che urlano, altri che distribuiscono vestiti lanciandoli in aria, e sempre quella maledetta motopompa che disinfetta gli uomini nell’anno del Signore 2013, esattamente come si faceva agli inizi del Novecento su un’altra isola maledetta, Ellis Island, Usa, dove sbarcavano affamati e lerci gli italiani del Sud. Il servizio del Tg2, rilanciato dal web, ha provocato lo sdegno dell’intero mondo politico. Ministri e parlamentari hanno pubblicato comunicati grondanti sdegno e amarezza, fioccheranno le interrogazioni parlamentari. Ma sono parole vuote, tardive e false. Perché tutti sapevano, almeno da ottobre, quando c’è stata l’ultima ecatombe del mare con 600 morti, quali erano le condizioni dei vivi, di quei disperati costretti nel Centro di accoglienza di Lampedusa.
Quando ci fu il primo naufragio con 300 morti, il nostro giornale, le telecamere del nostro sito e quelle dei network di tutto il mondo, documentarono le condizioni di vita dei superstiti. Uomini e donne costretti a vivere all’aperto, bambini che dormivano su materassi di spugna lerci, capanne improvvisate con i sacchi della spazzatura. Cibo scarso e di pessima qualità. In quei capannoni dove potevano essere ospitate al massimo 300 persone, ne dormivano fino a mille. Un bagno solo per centinaia di uomini e donne. Queste cose le hanno viste tutti. Anche Letta e Alfano, arrivati a Lampedusa per un summit e portati per pochi minuti a visitare il Centro. Quelle donne mortificate e i bambini costretti a convivere con i cani randagi sono stati visti anche dalla ministra Kashetu Cécile Kyenge. Quando chiedemmo all’assessore alla Sanità della Regione Sicilia, Lucia Borsellino, cosa aveva visto scoppiò in lacrime. Tutti hanno promesso miracoli, quando a luglio è arrivato sull’isola Papa Francesco e ha gridato forte il suo “mai più”, tutti si sono asciugati le lacrime. Nessuno ha mosso un dito. Le condizioni del Centro sono rimaste come prima, se possibile, peggiorate. Passata l’onda mediatica, andati via giornalisti e tv, su Lampedusa e le sue miserie è calata una pietra tombale. Le uniche indignazioni che vale la pena rappresentare, sono quelle di chi sull’isola vive e da anni offre tutto se stesso per accudire, assistere, consolare gli immigrati venuti dal mare. E allora in questo articolo non leggerete per esteso dichiarazioni di ministri e politici (hanno parlato tutti. Boldrini: “trattamento indegno di un Paese civile”, Kyenge: “Tutto ciò è inaccettabile in uno Stato democratico”), ma quella del dottor Pietro Bartolo sì. L’ultima volta che lo abbiamo incontrato era il mese di ottobre, era sul molo Favarolo a occuparsi dei vivi, e dei morti.
AVEVA GLI OCCHI gonfi di lacrime per i troppi cadaveri di bambini e il corpo segnato da un recente ictus. Era in malattia, ma quel giorno decise di esserci e di fare la sua parte di medico. “È indegno di un Paese civile, un trattamento schifoso che viola la dignità umana. Ma perché non li hanno portati da me, li avrei curati nel mio studio rispettando la loro dignità di uomini e donne”. Giusi Nico-lini, sindaco dell’Isola che da anni si batte per la dignità dei suoi cittadini e dei migranti: “Che dire? Sono sconvolta, è una pratica degna di un lager”. Ora Enrico Letta promette un’inchiesta e minaccia sanzioni per i responsabili, ma è tardi. Perché la condizioni di quel centro e le modalità di gestione da parte di Lampedusa accoglienza, sono state ampiamente documentate da inchieste giornalistiche e reportage televisivi. Che attorno a Cie e Centri di accoglienza si sia organizzato un grande business è noto da anni. E allora, se una decisione va presa subito è quella di chiudere i Cie, di cancellare ogni tipo di contratto con cooperative e società non in grado di assicurare condizioni di vita umane in quelle strutture. Quando in ottobre intervistammo per il fattoquotidiano.it Cono Galipò, numero uno della società che gestisce il centro di Lampedusa, respinse ogni accusa e contestazione. Per lui le condizioni di vita nel centro erano più che accettabili, al solito erano i giornalisti a fare inutili polemiche. Chissà come commenterà ora queste immagini che fanno vergognare l’Italia di fronte al mondo intero.
Da Il Fatto Quotidiano del 18/12/2013.
LA NOSTRA VERGOGNA
A. Prosperi
Il telefono di Khalid ha catturato e messo in circolazione la scena di quello che accade da giorni abitualmente nel centro di accoglienza di Lampedusa. L’abbiamo visto tutti, non abbiamo scuse. Abbiamo visto come ogni giorno decine di uomini nudi vengano sottoposti al getto d’acqua di una pompa a motore, all’aperto, sotto il cielo dell’isola. Si tratta, dicono, di una pratica necessaria per disinfettare quei corpi. Per combattere in particolare il pericolo di un’epidemia di scabbia.
Giusto disinfettare, curare, garantire la salute — la nostra, perché è per questo che lo si fa. Del resto qualcuno ricorda ancora, in questo paese nostro che fu un tempo non lontano quello di un’emigrazione italiana di proporzioni bibliche, che cosa accadeva alla visita d’ingresso negli Stati Uniti, quando a Ellis Island i nostri antenati dovevano sottoporsi a rozzi, elementari esami fisici destinati a scoprire le eventuali malattie di cui erano portatori. Ma non venivano fatti oggetto di questa pratica brutale del denudarsi in pubblico per sottoporsi a un trattamento che disumanizza, degrada, porta automaticamente a una discesa dal livello della comune umanità a quello di cosa. Perché una cosa è chiara: non c’è nessuna ragione perché la disinfezione debba essere fatta così, collettivamente e all’aperto.
Denudare pubblicamente un essere umano vuol dire togliergli quella difesa elementare, quel segnale di umanità che consiste nel coprirsi, nel proteggere la propria nudità. Gli esseri umani si distinguono dalle bestie perché si coprono istintivamente. Dice la Bibbia che Adamo ed Eva, quando lasciarono l’Eden, scoprirono la loro umanità col senso di vergogna per il corpo nudo.
Dunque la domanda che viene spontanea è sempre quella formulata da Primo Levi: diteci, voi che siete al coperto nelle vostre tiepide case, se sono uomini questi esseri nudi nel dicembre che sa ormai di Natale, esposti al getto d’acqua che la pompa scarica sui loro corpi. E poiché la risposta è sì, né può essere diversa, bisogna passare all’altra domanda: dobbiamo chiederci chi siamo noi, responsabili in solido di questa riduzione a bestiame dell’umanità che sbarca a Lampedusa a rischio della vita e si aspetta di trovare da noi, se non le immagini dorate trasmesse dalla televisione, almeno non un simile livello di disumanità. Giusi Nicolini, la bravissima sindaca di Lampedusa, ha risposto per tutti noi: queste immagini ricordano i campi di concentramento. Nei lager non c’erano i telefonini. Oggiquesto strumento ci toglie l’ultimo alibi: la difesa del non vedere, del non sapere.
Ma se quello odierno è uno scandalo, si deve riconoscere che gli scandali sono necessari perché senza di essi non riusciamo ormai più ad aprire gli occhi. E speriamo che anche questa volta tutto non si riduca a un’emozione epidermica e che domani non ci si trovi di nuovo davanti all’impasto abituale di provocazioni leghiste e di politiche fatte di parole benevole quanto vane, di intenzioni mai seguite da fatti. Finora nemmeno l’escalation di quegli annegamenti di massa che hanno fatto del Mare di Sicilia un immenso cimitero marino è bastata a cambiare le cose.
L’episodio di Lampedusa, teatro all’aperto di ciò che l’Italia — ma anche, dietro di lei, l’Europa tutta — sa offrire a chi tenta di varcarne le soglie deve essere per una volta la scossa finale che porti una buona volta a raddrizzare il legno storto dei diritti così come vengono intesi e praticati da noi. Dobbiamo prendere atto che questo è solo l’ennesimo episodio di un sistema che ha preso forma di legge, si è radicato nel costume e nelle istituzioni: col risultato che l’umanità difettiva dell’immigrato rischia di apparirci di fatto come quella di un animale pericoloso, portatore di malattie: e questo perché sempre più decisamente si sono create da noi le premesse di una discriminazione sul terreno dei diritti primari che ha fatto scivolare sempre più l’Italia sulla china di un razzismo tanto più reale quanto meno confessato.
È tempo perché le chiacchiere buoniste, l’esibizione delle buone intenzioni, i rimedi della carità cedano il posto a misure di legge che riconoscendo dignità e diritti agli immigrati restituiscano anche a tutti noi la possibilità di non doverci ogni giorno vergognare.
Il dossier dei diritti civili deve essere riaperto subito. Non si può più rinviare la riforma della Bossi-Fini, perché mantenendola continueremmo a tenere in vita un sistema di disparità della popolazione della penisola italiana nel campo dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino che ha fatto regredire l’intero paese e ne ha alterato perfino il linguaggio: si pensi al significato che ha assunto oggi la parola “accoglienza” in un paese come il nostro che, con tutti i suoi difetti, era noto un tempo almeno per questa speciale virtù dei suoi abitanti.
Umiliati
Mosaico dei giorni
18 dicembre 2013 – Tonio Dell’Olio
Ti chiedo perdono, caro Ahmed, per tutto il trattamento inumano che ti abbiamo riservato soprattutto da quando sei arrivato in Italia. I fatti del CIE di Lampedusa documentati furtivamente con un telefonino offendono e umiliano non soltanto le persone migranti, ma anche ciascun cittadino di questo Paese. Offendono l’umanità. Si è detto che è una vergogna. Ma è molto di più. Sei eritreo, siriano, tunisno o sudanese. Forse nel centro di Aleppo avevi un negozietto di piccole cose e tiravi avanti, ma la guerra ti ha costretto a fuggire. Non hai trovato altro modo che affidarti agli uomini senza scrupoli dell’organizzazione dei viaggi clandestini. Tutti i tuoi risparmi sono finiti nelle loro mani. Sofferenze indicibili. Viaggio infinito. Umiliazioni per te, per tua moglie e per i tuoi bambini. Cose che a volte non hai nemmeno lo stomaco di raccontare. Poi l’ultimo tratto. Forse il più pericoloso. Il mare. Una volta toccato terra speravi di aver raggiunto la salvezza e invece è stato un altro calvario. Insieme a te contadini, studenti, professionisti, gente comune che in alcuni casi viveva dignitosamente nella propria terra e che ora è umiliata in condizioni subumane, che non hanno nulla a che vedere con l’accoglienza e non sono giustificabili né con il primo soccorso né con l’emergenza. Ti chiedo perdono. Non ho altre parole se non per gli operatori della cooperativa “Lampedusa accoglienza” del consorzio Sisifo che gestisce quel centro e che forse erano in piazza ad applaudire le parole del Papa nel corso della sua visita a Lampedusa. Per ciascuno di voi quella cooperativa incassa 30-40 euro al giorno. L’ultimo segmento della gestione mafiosa dei migranti.
http://www.peacelink.it/mosaico/a/39508.html