“mio figlio è gay”

due omo

molti ragazzi lo vivono ancora come un grosso problema scoprirsi gay ed accettarsi come tali

anche le famiglie fanno fatica e sembrano del tutto impreparate ad accettare questa realtà quando i figli decidono di fare il salto difficile di comunicarsi ai genitori

prendo dal sito ‘pollicinoeraungrande’ questa bella puntualizzazione su questa problematica:

Mio figlio è gay! Come reagisce un genitore?

Preferirei essere negro piuttosto che gay, perché se sei negro non lo devi dire a tua madre!

Charles Pierce

I figli crescono e scoprono il sesso e la sessualità, il piacere e il desiderio. Si innamorano a scoprono cosa significa sognare di stringere una mano o di fare l’amore, attendere uno sguardo o essere toccati. I genitori questo lo temono e insieme ne sono emozionati, il bambino che hanno cresciuto diventa grande, ama. Ma cosa accade nelle famiglie quando ci sono ragazzi che amano ragazzi, ragazze che amano ragazze?

E’ normale che in adolescenza ci si interroghi sulla propria sessualità, si sperimenti il proprio corpo, si provino attrazioni diverse. Moltissimi ragazzi si sentono inizialmente portati a pensare a qualcuno dello stesso sesso,nelle ragazze poi è comunemente accettato che vadano in giro mano nella mano, dormano insieme, si carezzino. A volte sono emozioni passeggere altre volte no. Quando ci si accorge poi di amare persone dello stesso sesso, non tutti i ragazzi trovano accanto un genitore in grado di approfondire, parlare con loro. E se questo è già vero per gli adolescenti eterosessuali, per gli omosessuali diventa anche più complesso e spinoso. Eppure, secondo le stime adottate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) sulla popolazione umana, la percentuale degli omosessuali è almeno del 5%. Non un numero piccolo piccolo, quindi. Cosa accade in un genitore? L’argomento sesso è sempre spinoso e per i genitori, nel caso abbiano un figlio gay le fasi sono due, ben distinti e fondamentali: c’è un PRIMA e un DOPO.

PRIMA. E’ il momento del dubbio, del sospetto, quando i ragazzi non parlano ma non ci sono “prove” della loro sessualità, quando non escono con persone dell’altro sesso, quando non danno prova della loro “normalità”. Nei genitori, spesso, davanti alla ritrosia dei figli che non parlano, si fanno avanti due strade possibili. Quella del far finta di niente ( “è timido, esce solo con gli amici, prima o poi troverà la ragazza giusta”) o quella che li vede mettersi a fare il detective alla ricerca di segnali che siano in una direzione o l’altra. Ecco allora che si gira nella stanza dei figli in preda ad una fame di indizi, si spia persino il diario o il cellulare, facebook, magari si fanno domande agli amici ma non al diretto interessato. Questo crea distanza, il ragazzo che dovesse scoprirlo si sentirà tradito, non accettato, di certo non avrà voglia di trovare le parole giuste per parlare con i propri genitori, sebbene siano le madri le maggiormente addette alla ricerca di prove. La terza via, di solito, viene messa in secondo poco calcolata, lasciata in disparte. Si tratta del dialogo, della comprensione, di cercare di permettere al figlio di trovare le parole per raccontarsi. Battute a sfondo etero per “stanare” il macho della situazione porteranno solo dolore, o peggio, finzione. Far capire che si può parlare di sesso e che è possibile anche essere omosessuali, aiuterà i figli a sentirsi capaci di dire. Senza bisogno di sfide o pedinamenti, una atmosfera intrisa di possibilità fare in modo che si possa trovare come dire la propria scelta sessuale, senza tutta la paura de giudizio che accompagna le prime esperienze di tanti ragazzi.

Ma per poter accogliere un figlio, ogni genitore di certo dovrebbe sapere cosa pensa, cosa prova di fronte ad argomenti delicati come la sessualità. Come si sentono loro genitori per primi, cosa pensano, di quali stereotipi sono vittime, quanta libertà hanno di pensare serenamente ad una sana sessualità omosessuale o prima ancora ad una sana e semplice sessualità. O anche, quanto ne sanno davvero sull’omosessualità, come la immaginano, è una figura dell’immaginario o sanno distinguere da quanto si vede in TV quanto invece è vita reale? Molti genitori sono ancora sicuri che se il loro ragazzo fosse gay si dovrebbe trattare con delicatezza e poi andrebbe curato, come fosse malato. Sono spaventati dal mondo esterno, dai pregiudizi, da come la prenderanno fuori nel mondo, ma il mondo inizia dentro casa e comunicare “Mamma, papà sono gay!” non è ancora facile anche perché la famiglia non è sempre pronta.

DOPO. E se poi è lo stesso ragazzo a comunicare la propria omosessualità? Quando dovesse arrivare il cosiddetto Coming Out ( dall’inglese, significa “uscire fuori”) le cose si fanno, volendo, anche più difficili. Una volta che il proprio figlio abbia trovato il modo di comunicare chiaramente di essere omosessuale, magari dopo anni e anni di silenzio, sarà importante essere disponibili ad un incontro dove sia possibile guardare il mondo con gli occhi di un figlio, ascoltare senza giudicare, accettare e proteggere il legame con lui, evitando che le scelte rispetto alla sessualità siano scelte di rottura con la famiglia, e per questo spesso che si decide di non dire niente a casa, per non dover scegliere di essere soli.

Perchè è tanto difficile? Ci sono le aspettative dei genitori, quello che si vorrebbe per i figli prima ancora di conoscere il figlio, queste pesano sempre, anche se si sogna un figlio dottore e quello vuole diventare pittore edile. Alcuni genitori, poi, sono realmente e sinceramente terrorizzati dalla possibilità di un figlio gay, davanti anche alla dichiarazione, dicono a se stessi che si tratta di un periodo di transizione verso la “normalità” magari sperando di poterli “curare” con un colloquio dallo psicologo, ritenendo sia possibile aiutarli con il loro problema. Sulle prime sono molte le emozioni che un genitore si trova ad affrontare. Sono increduli, spaventati, pieni di imbarazzo. E’ importante che si prendano il loro tempo, che facciano i conti con le emozioni che provano, con i timori ma anche le loro storie familiari prima di rispondere velocemente e male. Solo quando si avrà in qualche modo fatta propria la notizia, allora sarà possibile incontrare il proprio pargolo tutto intero, non più diviso dalle aspettative di un tempo, dai sogni di matrimonio eterosessuale, visto con gli occhi con cui lo si guardava da piccolo ma come una persona essenzialmente uguale ma in parte nuova.

Le paure sono presenti da tutte e due le parti, non facciamo che minino un rapporto importante come quello tra figli e genitori. Se non si riesce da soli come famiglia è bene chiedere aiuto ad un professionista ma l’importante e riuscire ad andare al di là di quella iniziale vergogna che arriva spesso con le dichiarazioni di omosessualità.

E poi? Parlare con i propri figli perché sono i propri figli e come tutti i figli fanno, spesso non sono quello che si sognava quando li si portava in grembo o ci si fantasticava su, ma sono anche molto altro, di fantastico e speciale e hanno bisogno del genitore che hanno di fronte, per crescere, vivere e non sentirsi malati.

Gli etero non saranno mai realmente liberi finché non lo saranno i gay; e questo vale, ovviamente, per ogni altro schieramento sui due versanti di un muro di discriminazione.

 

papa Francesco e le donne

 

margheritona

non c’è molto feeling tra le donne, meglio tra le femministe, in specie tre le teologhe, con papa Francesco

riporto, qui sotto, le ‘preoccupazioni’ di Ivonne Gebara nei confronti della ‘teologia delle donne’ di papa Francesco:

“Papa Francesco e la teologia delle donne: alcune preoccupazioni”

di Ivone Gebara

Papa Francesco, per favore, si informi su Google su alcuni aspetti della teologia femminista, almeno nel mondo cattolico. Forse questo interessamento potrebbe aprire altre strade per realizzare il pluralismo di genere nella produzione teologica!

Dato il largo successo e la valutazione positiva della prima visita di Papa Francesco in Brasile in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù (GMG), qualsiasi critica potrebbe non essere bene accolta. Ma dopo tanti anni di lotta, “Guai a me se taccio”. Così saranno qui solo poche righe alcune brevi riflessioni, solo per condividere alcuni spunti a partire dalla posizione delle donne.
Non voglio commentare i discorsi di Papa Francesco né la gioia che molti di noi hanno sperimentato davanti alla simpatia, affetto e vicinanza di Francesco. Né voglio parlare di alcune prese di posizione coerenti annunciate in relazione alle strutture della Curia Romana. Voglio solo fare due brevi osservazioni. La prima riguarda l’intervista del Papa sull’aereo di ritorno a Roma, alla domanda circa l’ordinazione delle donne, in cui ha detto che la questione è stata chiusa, pertanto era NO. Ha aggiunto che doveva essere fatta una “teologia della donna” e che la Vergine Maria è stata superiore agli apostoli, quindi nessuno chieda un posto diverso per le donne.

La seconda osservazione ha a che fare con l’identificazione di un nuovo cattolicesimo giovanile con una certa tendenza carismatica molto in voga nella Chiesa cattolica oggi. Questo dovrebbe indurci a porre domande molto serie, anche indipendenti dalla nostra posizione, sull’avere dei leader che parlino al nostro cuore e rinuncino ai discorsi teologici razionalistici e dogmatici del passato.

1 – Come può il papa Francesco semplicemente ignorare la forza del movimento femminista e la sua espressione nella teologia femminista cattolica da oltre trenta / quaranta anni, a seconda dei luoghi? Mi ha stupito anche il fatto che egli ha dichiarato che potremmo anche avere più spazio nella pastorale, quando, in realtà, in tutte le parrocchie cattoliche sono per lo più donne che portano avanti i numerosi progetti di missione. Sono consapevole che quelle poche parole in relazione alle donne, poche parole senza dubbio limitate a un viaggio di ritorno a casa, non possono e non dovrebbero creare ombre su una visita di tanto successo. Tuttavia, sono i piccoli gesti che facciamo, i nostri gap che svelano il lato nascosto, il lato d’ombra che è anche in noi. Questi sono piccoli gesti che aprono le porte della riflessione per cercare di andare un po’ oltre rispetto alla prima impressione.
La teologia femminista ha una lunga storia in molti paesi del mondo e una storia lunga e marginalizzata nelle istituzioni cattoliche, soprattutto in America Latina. Pubblicazioni su Bibbia, Teologia, Liturgia, Etica, Storia della Chiesa hanno popolato le librerie di molte scuole di teologia in diversi paesi. Sono circolate anche in molti ambienti laici interessati dalla novità, portatrice di nuovi significati. Ma questi testi non sono studiati nelle principali facoltà teologiche, specialmente nella formazione dei futuri sacerdoti e degli istituti di vita consacrata. L’ufficialità della Chiesa non ha dato loro il diritto di cittadinanza, perché la produzione intellettuale delle donne è ancora considerata inadeguata per la razionalità teologica maschile. E, inoltre, appare come una minaccia per il potere maschile prevalente nelle chiese. La maggior parte non sa che esiste né come pubblicazioni a stampa né come formazione alternativa organizzata, così come sono sconosciuti i nuovi paradigmi proposti da queste teologie plurali e contestuali. Ne ignora la forza e e l’appello inclusivo alla responsabilità storica per le nostre azioni. La maggior parte degli uomini di Chiesa e dei fedeli vive ancora come se la teologia fosse una scienza eterna basata su verità eterne e insegnata in primo luogo da uomini e in seconda battuta da donne che seguono la scienza maschile prestabilita. Negano la storicità dei testi, la contestualità delle posizioni e delle ragioni. Ignorano le nuove filosofie che informano il pensiero teologico femminista come l’ ermeneutica biblica e i nuovi approcci etici.

Papa Francesco, per favore, si informi su Google su alcuni aspetti della teologia femminista, almeno nel mondo cattolico. Forse questo interessamento potrebbe aprire altre strade per realizzare il pluralismo di genere nella produzione teologica!

Quanto al dire, magari in forma di consolazione, che la Vergine Maria è superiore agli apostoli è, ancora una volta, l’espressione di una teologia maschile di astratta consolazione. Amare la Vergine tanto distante quanto vicina all’intimità personale, ma non sentire le grida delle donne in carne e ossa. E’ più facile fare poesie alla Vergine e inginocchiarsi davanti alla sua immagine che essere attenti a ciò che accade alle donne in molti angoli del nostro mondo. Tuttavia, se gli uomini vogliono affermare l’eccellenza della Vergine Maria dovranno combattere perché i diritti delle donne siano rispettati, estirpando molte forme di violenza contro di loro. Dovranno anche essere consapevoli del fatto che le istituzioni religiose e il contenuto teologico e morale che veicolano non solo possono rafforzare, ma anche generare altre forme di violenza contro le donne.

Temo che molti fedeli e pastori che hanno bisogno della figura del papa buono, del padre spirituale, del papa che ama tutti, si arrendano alla figura amichevole e amorevole di Francesco e rafforzino così un nuovo clericalismo maschile e una nuova forma di adulazione del papato. Papa Ratzinger ci ha portato a una critica del clericalismo e dell’istituzione del papato attraverso le sue posizioni rigide. Ma ora, con Francesco, sembra che i nostri fantasmi del passato ritornino, ora addolciti con la semplice e forte figura di un papa capace di rinunciare al lusso dei palazzi e dei privilegi connessi. Un papa che sembra introdurre un nuovo volto pubblico per l’istituzione che ha fatto la storia, e non sempre una bella storia in passato. Il momento richiede prudenza e vigilanza critica, non per non riconoscere il papa, ma per aiutarlo a essere sempre di più con noi, la Chiesa, una Chiesa plurale e rispettosa dei suoi tanti volti.

2 – Il mio secondo breve commento è in relazione alla necessità di identificare la maggior parte dei gruppi giovanili presenti nella Jornada a applaudire calorosamente il papa. In che Vangelo e in che teologia che sono stati formati? Da dove vengono? Sono in ricerca di che? Non ho risposte chiare. Solo sospetti e intuizioni per quanto riguarda la presenza di una marcata tendenza più conservatrice carismatica e più celebrativa nella linea Gospel. Le manifestazioni di passione per il papa, di amore intenso e improvviso che porta alle lacrime, a volerlo toccare, a vivere i miracoli improvvisi, a ballare e scuotere il corpo sono stati comuni anche nel movimento neo-pentecostale nelle sue molteplici manifestazioni. Senza fare sociologia della religione, penso che sappiamo che questi movimenti cercano la stabilità sociale ben più delle trasformazioni politiche in vista del diritto e della giustizia per tutti i cittadini. Credo che corrispondano senza dubbio al momento presente in cui viviamo e rispondano ad alcune esigenze immediate del popolo. Tuttavia, vi è un altro volto del cristianesimo che quasi non si è potuto manifestare nella Jornada. Cristianesimo che ancora ispira i movimenti lotta sociale per le case, le terre, i diritti LGBT, i diritti delle donne, dei bambini, degli anziani, ecc. Il cristianesimo delle comunità cristiane di base (CEBS), le iniziative ispirate alla teologia della liberazione e alla teologia femminista della liberazione. Questi, pur presenti, erano quasi soffocati a forza da ciò che la stampa ha voluto rafforzare in quanto corrispondeva ai suoi interessi. Tutto questo ci invita a pensare.

Il papa ha viaggiato non più di una settimana fa e i giornali e le reti televisive ormai ben poco ne parlano. E cosa accade nelle comunità cattoliche, dopo questa apoteosi? Mentre continuiamo i nostri viaggi di tutti i giorni?

Oltre alla visita del Papa e a una possibile nuova forma del papato di Francesco, siamo insieme invitate/i a pensare la vita, a pensare il corso della nostra storia e a salvaguardare quanto vi è di più forte e prezioso nell’etica liberante dei Vangeli. Non basta dire che Gesù ci ama. Abbiamo bisogno di capire come noi amiamo e cosa stiamo facendo per crescere nella costruzione di relazioni più eque e solidali.

p. Maggi: il potere religioso

 

 

p. Maggi

IL POTERE RELIGIOSO

Il più pericoloso di tutti.
Gli altri poteri -anche il più crudeli- comandano in nome di un uomo, e da un uomo ci si può sempre difendere, fuggire… . Il potere religioso domina in nome di Dio:
– mai si comanda sentendosi tanto a posto con la coscienza come quando si comanda in nome di Dio…
– mai si chiedono tanto facilmente sacrifici come quando si chiedono in nome di Dio,
– mai si uccide con tanto gusto come quando si uccide in nome di Dio…
Gesù – continuando nella linea dei profeti- denuncia il colpo di stato perpetrato dagli uomini della religione: hanno scalzato il Dio creatore e liberatore, ed al suo posto hanno intronizzato un Dio legislatore.
Al Dio che crea e che continuamente comunica vita all’uomo, – e la libertà è condizione indispensabile di questa vita- hanno sostituito un Dio legislatore, terribile nelle sue ire, che chiede la morte per chi osa trasgredire le sue leggi (Esd. 7,26) e si vendica punendo le colpe dei padri nei figli fino alla quarta generazione! (Dt.5,9).
Al Dio che libera il popolo oppresso in Egitto hanno sostituito un Dio mille volte più duro del Faraone nelle sue pretese (Es. 32,25-29).
Alla schiavitù dell’Egitto, la schiavitù della Legge.
E sono riusciti a far credere che tutto questo è giusto, che viene da Dio, e che quindi per l’uomo è un bene stare sottomesso, che bisogna obbedire al Sommo Sacerdote, perchè di-subbidire a lui significa disubbidire a Dio stesso…
Gesù, figlio di quel Dio che da sempre libera l’uomo dalle catene (Es.3,8), fa evadere l’uomo della prigione della religione: “Sapranno che io sono il Signore, quando avrò spezzato le spranghe del loro giogo e li avrò liberati dalle mani di coloro che li tiranneggiano” (Ez.34,27).
Vero pastore d’Israele, Gesù difende con la vita il suo gregge dall’assalto delle bestie feroci e lo mette in guardia dai “lupi travestiti da agnelli” (Mt.7,15): le autorità religiose, che vengono “solo per rubare, uccidere, distruggere!” (Cfr. Gv. 10,10).
Queste autorità sono riuscite a far credere al popolo che il Sommo Sacerdote rappresenta Dio sulla terra, ed è l’interprete della sua volontà.
Nulla di più falso -denuncia il vangelo-: proprio il Sommo Sacerdote, appellandosi alla Legge di Dio, chiederà ed otterrà la pena di morte per il Figlio di Dio. (Mt.26,63-66).
I Teologi (scribi) hanno l’autorizzazione da Dio per insegnare in nome suo?
Ebbene, dice Gesù, non ascoltateli e non imitateli: insegnano dottrine che non sono altro che precetti che essi stessi si sono inventati. La parola di Dio l’hanno abbandonata e l’hanno sostituita con le proprie povere idee!…(Mt. 15,1ss.). Pretendono guidare il popolo, ma sono ciechi: chi li segue non solo non compie la volontà di Dio, ma finisce nella rovina con loro (Mt.15,14;Mc.7,8-13).
Ambiziosi, arrivisti, ipocriti, sudicioni, pazzi ed assassini… gente pericolosa di cui è meglio non fidarsi… (Mt. 15,1ss; 23,1ss).
(Da “Dio ha messo l’eterno nel cuore dell’uomo”, libera trasposizione)

Alberto Maggi

il metodo di papa Francesco: lontano dalle grandi ecicliche?

papa veglia

A. Prosperi ne ‘la Repubblica’ di oggi riflette sul metodo umanissimo di papa Francesco che sconvolge ogni ritualità e formalismo:

 

Il metodo di Francesco

di Adriano Prosperi
C’è una strategia che si dispiega sotto i nostri occhi negli atti e nelle parole di papa Francesco: fermarsi alla superficie, allo sconvolgimento delle forme rituali dei contatti e degli approcci, ci farebbe perdere di vista la sostanza. Un giornale gli pone alcune domande: e lui risponde con disponibilità larghissima di parole e spontanea e dimessa gentilezza di forme. Siamo lontani dall’epoca delle lettere encicliche. Lo dice un semplice confronto con l’ultima, appena uscita a due nomi, quello del papa dimissionario e quello di quest’uomo che non definiremo “pontefice regnante” ma piuttosto un uomo che tasta cautamente il terreno del governo della Chiesa ma che, intanto, guarda fuori dalle mura vaticane, saggia uomini e coglie occasioni. La lettera a Eugenio Scalfari arriva dopo la visita a Lampedusa; e dopo la parola sottolineata nella sua visita al Centro Astalli di Roma: “Solidarietà, questa parola che fa paura per il mondo sviluppato. Cercano di non dirla. È quasi una parolaccia per loro. Ma è la nostra parola”. Il dialogo con Scalfari è un esempio del metodo di Francesco. Un non credente di convinzioni illuministiche e razionaliste ha invitato il Papa a un dialogo, a un confronto di idee e di convinzioni intellettuali; e lui ha accolto immediatamente e con grandissima disponibilità l’invito. Ma come ha risposto? Ha aperto il suo cielo cristiano senza limiti a chi segue la retta coscienza e così ha spostato il terreno dalla teologia e dai dogmi alla morale. E ha dato una bella lezione a questa Italia di cui Leopardi scriveva che “non è luogo dove la religion cattolica, anzi la cristiana… sia più rilasciata nell’esterno ancora, e massime nell’interno”. Cioè poco creduta dentro e poco praticata fuori. Morale, non dogma. Nell’Italia dove i monsignori vaticani dovevano meditare non molto tempo fa se si poteva concedere l’Eucarestia a un divorziato molto ricco e molto potente, oggi si comincia a parlare un’altra lingua. Intorno alla solidarietà si gioca l’offerta di un gran pezzo di strada da fare insieme tra gli eredi della dichiarazione settecentesca dei diritti, dove la fraternità saldava il nodo tra libertà e uguaglianza, e gli eredi del celebre, indimenticabile elogio della carità di San Paolo. Che ce ne sia bisogno, in Italia, non c’è dubbio. Da quando il crollo del muro di Berlino ha seppellito l’idea della lotta per una maggiore giustizia sociale, rivolta a quelli che l’inno dei lavoratori di Filippo Turati chiamava “fratelli e compagni”, si è imposta una morale d’uso che vede dovunque “un mercato e in tutto la specolazione”, per dirla con le parole del giacobino Vincenzio Russo. In questa Italia d’oggi, la parola di papa Francesco comincia a scuotere un’opinione pubblica dove, come dicono i sondaggi, c’è un gran mucchio di persone che concepisce la libertà come qualcosa che va in direzione opposta rispetto all’uguaglianza. Qui, grazie a una poliennale e pervasiva educazione morale a mezzo televisione, al vincolo collettivo della solidarietà si oppone il diritto all’egoismo come esito necessario della libertà: libertà di godimento dei beni che mi so procurare; libertà di evadere anche il fisco; sacro egoismo in un mondo abitato dalla belva umana, che consapevole della brevità della vita vuole godere di tutto quello che si offre ai suoi appetiti e attraversa ogni volta che può le barriere fissate dalla legge. E se i giudici lo condannano, noi vediamo quello che fa. La partita che si è aperta è questa: riguarda la morale. La loro morale e la nostra, si potrebbe dire con un celebre scritto di Lev Trotzski (molto favorevole ai gesuiti). Fu su questo terreno che le avanguardie missionarie del cristianesimo europeo varcarono i limiti teologici tra cristianesimo e cultura cinese. Poi però ci fu nella Chiesa chi li condannò come eretici. Oggi un gesuita è diventato papa. Ma intanto molte cose sono cambiate. Tra la morale della Chiesa quale abbiamo visto all’opera in tanti recenti e laceranti conflitti nel paese Italia, dominato ancora dalle regole del Concordato del 1929, e quella dei diritti di libertà sanciti nelle costituzioni moderne a partire dal 1789, esistono fratture profonde. A questo ha fatto una delicata allusione ieri su la Repubblica
Umberto Veronesi. Ma la cosa è così importante che bisogna ricordarla ancora, a rischio di sembrare importuni. È qui che aspettiamo alla prova quest’uomo di buona volontà che oggi siede sul trono di Pietro.

p. Maggi commenta il vangelo

 

 

XXIV DOMENICA DEL  TEMPO ORDINARIO

15 settembre 2013

croce

CI SARA’ GIOIA IN CIELO PER UN SOLO PECCATORE CHE SI CONVERTE Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 15,1-32
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

 Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi.
Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

“Siate santi perché io sono santo”. E’ questo l’imperativo che cadenza i libri dell’Antico Testamento. Ebbene, quest’invito alla santità mai risuona, stranamente, nelle parole di Gesù. Mai Gesù invita gli uomini alla santità. Perché?
La santità intesa come osservanza di regole, di leggi, di precetti, che, se messi in pratica poi allontanano dal resto della gente, non fa parte del panorama dell’invito di Gesù. Gesù sostituisce “siate santi” col “siate compassionevoli”. Mentre la santità separa dal resto delle persone, la compassione è ciò che avvicina.
Le persone, attraverso la santità, attraverso l’accumulo di preghiere, di devozioni, pensano di salire per poter raggiungere il Signore. E, d’altro canto il Signore è sceso proprio per incontrare gli uomini, allora le persone pie, le persone religiose, salgono per incontrare il Signore, e non lo incontrano mai perché il Signore è sceso per incontrare gli uomini.
Da qui è l’incompatibilità, e poi l’ostilità, tra il mondo della religione, delle persone religiose, e Gesù. E’ quello che ci insegna questo bellissimo brano, il capitolo 15 del vangelo di Luca di questa domenica. Scrive l’evangelista, “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”. Gesù ha appena posto le tre radicali condizioni per seguirlo, essere liberi dagli affetti, dai vincoli familiari, libertà dalla propria reputazione, prendere la croce, liberi dal possesso dei beni. 2
Quindi sono condizioni abbastanza severe, dure, e aveva concluso il suo insegnamento con le parole “chi ha orecchie per ascoltare ascolti”. Quelli che hanno orecchie per ascoltare si sentono attratti da questo messaggio anche se molto impegnativo, molto severo, sono i rifiuti della società: i pubblicani, gli esattori del dazio, che erano considerati irrimediabilmente impuri, e i peccatori. Peccatori in generale si intende tutti quelli che non vogliono o non possono osservare tutti i comandi della legge.
Ebbene, bisognerebbe rallegrarsi che finalmente questa gente che si è sentita sempre emarginata, esclusa e che vive indubbiamente nell’inganno e vive nel peccato, accorra a Gesù. No! Le persone religiose di questo non si rallegrano. Lo zelo della loro dottrina, lo zelo che mettono nella difesa della legge è come una trave conficcata nel loro occhio che impedisce di scorgere quell’unico sguardo possibile, quello dell’amore, della compassione.
Infatti ecco la reazione, “I farisei”, pii laici che mettevano in pratica tutti i precetti della legge, “e gli scribi”, zelanti custodi dell’ortodossia, “mormoravano” – non sono d’accordo, mormorano – “«Costui …»” Queste persone pie, è una costante dei vangeli, si rivolgono a Gesù sempre con un’espressione carica di astio e di disprezzo, mai lo nominano, evitano sempre di nominare Gesù. Costui, questo. “«… Accoglie i peccatori e mangia con loro»”.
Sono due crimini intollerabili. I peccatori non vanno accolti, ma vanno evitati, non vanno accolti ma bisogna minacciarli. E Gesù, non soltanto li accoglie, mangia con loro. Mangiare con una persona che è impura significa che la sua impurità si trasmette agli altri. Le persone religiose non hanno capito che con Gesù è finita l’epoca in cui i peccatori devono purificarsi per accogliere il Signore, ma è iniziata quella in cui l’accoglienza del Signore è quello che purifica. Ma non lo capiscono.
Ebbene, a loro – quindi non è rivolta al gruppo di discepoli – Gesù dice una parabola che è articolata in tre parti, la prima è quella del pastore che perde una pecora sui monti e lascia le novantanove in cerca della pecora perduta e, dice l’evangelista “Quando l’ha trovata, pieno di gioia”, e la gioia sarà la caratteristica di tutto questo brano, sarà ripetuto il termine “gioia” e l’espressione “rallegrarsi”.
Quello che farisei e scribi non hanno mai capito è che Dio, anziché preoccuparsi di essere obbedito e rispettato, è preoccupato per la felicità degli esseri umani. E’ questo che il Signore ha a cuore. Quindi, “pieno di gioia, se la carica sulle spalle”. La pecora perduta è immagine di un peccatore che se ne è andato. Ebbene, quando il pastore la trova, non la minaccia, non la prende a calci nel sedere, ma se la mette sulle spalle, cioè le comunica la sua forza a colei che forza non ha.
E poi chiama tutti gli amici per rallegrarsi. Ugualmente per la parabola della moneta perduta, anche questa accomunata dalla stessa espressione dell’invito alla gioia. E infine, la terza, la più articolata, dove si parla di quel figlio scellerato che torna dal padre non perché gli mancasse il padre, ma gli mancava il pane; non per il rimorso, ma per il morso della fame.
Ebbene torna e non trova un giudice, ma trova quasi una figura materna, piena d’amore. E il padre, nella sequela di azioni che l’evangelista elenca, il vestito, l’anello e i sandali, vuole
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restituire al figlio un’autorità più grande di quella che aveva avuto prima, una dignità come mai aveva conosciuto, e una grande libertà.
Perché questo è Dio, Dio comunica amore e lo comunica in una maniera assoluta. Il Dio di Gesù non è buono, ma è esclusivamente buono.
Ebbene, qual è la reazione a tutto questo? Gesù ce lo dice nel finale di questa parabola dove presenta il figlio più grande che si trovava nel campo. Torna a casa, sente gioia nella casa del lutto, avrebbe dovuto precipitarsi, ma no, nella casa del padre c’è soltanto serietà e mestizia, lui non capisce cosa sia la gioia, la felicità.
E non vuole entrare, manda un servo a chiedere. E il servo gli dice che è tornato il fratello. Mentre il padre, espressione dell’amore di Dio, si rallegra, questo fratello maggiore, immagine di scribi e farisei, si indigna. Ecco, come si diceva prima, è lo zelo per la dottrina che acceca le persone e impedisce loro di guardare a situazioni e avvenimenti con l’unico occhio con cui è possibile guardare, quello della carità.
Gesù ridicolizza l’atteggiamento di questo figlio e ne fa una caricatura di come la religione possa rendere infantili le persone. Ed ecco come piagnucola questo figlio maggiore, “«Io ti servo da tanti anni, non ho mai disobbedito a un tuo comando e non mi hai dato mai un capretto»”.
E’ l’immagine della persone che serve Dio, non ha la relazione del figlio con il padre, ma quella di un servo. E per questo obbedisce a suo padre e non gli assomiglia nel comportamento. Il Dio di Gesù non chiede obbedienza, ma chiede assomiglianza al suo amore.
E per questo si aspetta la ricompensa, lui non collabora all’azione del padre. Quindi è una caricatura molto feroce che Gesù fa delle persone religiose che rimangono sempre in una condizione di infantilismo e per questo spiano e sono gelosi della libertà che il Signore concede a quanti lo accolgono.
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Paoli
Fratel Arturo Paoli

dialogo sull’uomo e su Dio

a Palazzo Ducale, Lucca
Giovedì, 12 Settembre 2013 

La riflessione sull’uomo e il suo viaggio interiore verso se stesso e verso Dio è stato il tema dell’incontro che si è svolto oggi (12 settembre), a Palazzo Ducale, organizzato da Provincia, Comune di Lucca e Scuola per la Pace. A introdurre l’incontro il presidente della Provincia Stefano Baccelli e il sindaco di Lucca Alessandro Tambellini. Dopo la proiezione del video dedicato al Volto Santo realizzato dalla giovane autrice Silvia Bellia, gli interventi dell’arcivescovo Italo Castellani e di fratel Arturo Paoli, moderati da Ilaria Vietina, vice-sindaco del Comune di Lucca, nonché coordinatrice della Scuola per la Pace.

 

il berlusconismo agli occhi di un poeta

 

 

mix floreale

Valerio Magrelli

Il berlusconismo, malattia senile/servile del comunismo: un acrostico (vedi le iniziali maiuscole dei versi)

Politica vuol dire, innanzitutto, non tradire il mandato
Dei propri elettori (specie se quel mandato è molto chiaro).

Politica, inoltre, significa combattere il devastatore
Delle istituzioni, e non certo allearcisi.

Politica, punto tre, sta nel capire la forza senza eguali
Del policida, senza stringere patti con chi nel patteggiare non ha eguali.

Possibile che siate giunti a tanto?
Deputati a punire l’eversore,
Lo avete tratto in salvo: Larghe Offese!

Pensare, poi, di toccare il Santo Graal della Costituzione,
Delegando un’impresa da giganti a uno stuolo di nani,
Lede non l’onestà, ma la decenza, squallida impresa violante.

San Giorgio non uccide più il Biscione, ma lo rimette in vita:
Incredibile scempio, sottomissione e smarrimento!
Liberatevi dalla sindrome di Hardcore,
Vergognatevi per la vostra defezione,
Ignobile o lucrosa, abietta resa,
O nulla potrà più sottrarvi alla penosa gogna della Storia.

la neolingua degli italiani

 

 

neolingua

Da “hashtag” a “rottamatore”
ecco la nuova lingua degli italiani

Il vocabolario Zingarelli nell’edizione 2014 propone 1500 new entry, che arrivano da mondi diversi. Tecnicismi, parlate dialettali e persino slang americano entrano nella vita quotidiana

interessante ricerca
di RAFFAELLA DE SANTIS su ‘La Repubblica’ odierna:

 

Dopo aver inflazionato la cronaca politica e le pagine dei giornali, ora il “rottamatore” entra tra le nuove voci dello Zingarelli 2014 con il significato figurato di “colui che si propone di allontanare e sostituire un gruppo dirigente considerato antiquato” (fino a ieri si riferiva a chi si occupa della rottamazione delle auto).

In genere le parole trovano posto nei vocabolari dopo tanti anni di rodaggio tra la gente, stavolta sono bastati tre anni a sdoganare la formula di Matteo Renzi. Ma se la scelta di inserire “rottamatore” non stupisce, altri vocaboli registrati tra le 1500 new entry del dizionario suonano meno familiari, come ad esempio “adultescente”, neologismo usato per indicare i giovani trentenni le cui condizioni di vita (studio, lavoro, casa) e la cui mentalità sono considerate simili a quelle di un adolescente. Un’evoluzione della sindrome di Peter
Pan, malattia inguaribile dell’Occidente: gli anglosassoni li chiamano “kidult”, i bambini adulti (kid+adult) e i francesi “adulescent” (contrazione dei termini “adult” e “adolescent”).

Ma come vengono selezionate le nuove voci? Massimo Arcangeli, direttore dell’Osservatorio linguistico Zanichelli, spiega: «Le parole sono simili ai fenomeni carsici, esplodono, si inabissano e poi magari si ripresentano. È importante tenerle a lungo sotto osservazione, valutarne la frequenza d’uso e anche il peso qualitativo e culturale. I mutamenti della lingua sono molto veloci, è naturale che a volte si arrivi in ritardo,
come nel caso di “videointervista” o “self-publishing”, in circolazione già da un po’».

Colpisce che i “cocoprò” siano entrati solo ora, mentre è cosa nota che il “posto fisso” ha fatto il suo tempo, nonostante la Lonely Planet continui a menzionarlo tra le caratteristiche dell’italian way of life, insieme al cornetto al bar e al cappuccino. «Le parole sono pesanti, rappresentano il reale», continua Arcangeli. Alcune ci ronzavano intorno da anni come il termine “rosicone”, diffuso soprattutto nell’Italia centrale per dire “invidioso” in una maniera più tormentata. L’aveva usato una volta Ilary Blasi affermando di essere “una tipa un po’ rosicona” e poi però se ne era appropriato un calabrese come Rino Gattuso dando dei “rosiconi” agli avversari della nazionale francese.

Altri modi di dire sembrano invece rinverdire il vecchio burocratese, sempre in agguato: da “pedaggiare” (sottoporre a un sistema di pedaggio) a “asteriscare” (contrassegnare con un asterisco), da “profilazione” (descrizione sintetica del profilo di una persona) allo “sbigliettamento” (emissione dei biglietti per uno
spettacolo). «Un dizionario registra la densità dei cambiamenti, dunque anche la rinascita del burocratese, per il quale ci sarà unritorno di

fiamma», spiega Arcangeli che cura sul sito Zanichelli il Dizionario del parlar
chiaro.

Certo, l’identikit dell’italiano che viene fuori dallo Zingarelli 2014 non è confortante: siamo “iperattivi”, vestiamo “bling bling”, cioè “in modo vistoso e ostentato” e sembriamo affetti da un crescente “nostalgismo”. Segno che nonostante la velocità dei cambiamenti, preferiamo vivere di rimpianti.

ancora sulla lettera del papa a Scalfari

 

papa veglia
Scalfari e la lettera di papa Francesco:
“Il coraggio che apre alla cultura moderna”

Il fondatore di Repubblica risponde, sul quotidiano in edicola, alla missiva del Pontefice sul rapporto tra fede e ragione: “Parole che fanno riflettere, una visione mai sentita dalla cattedra di San Pietro”. “Sta cercando di far prevalere la Chiesa missionaria su quella istituzionale, ma difficilmente ci sarà un Francesco II”

Le parole di papa Francesco nella sua lettera a Repubblica sono “al tempo stesso una rottura e un’apertura; rottura con una tradizione del passato, già effettuata dal Vaticano II voluto da papa Giovanni, ma poi trascurata se non addirittura contrastata dai due pontefici che precedono quello attuale; e apertura ad un dialogo senza più steccati”. Il fondatore Eugenio Scalfari risponde su Repubblica in edicola alla lettera inviata dal Pontefice come risposta e riflessione sul tema fede e ragione. E lo fa dicendo che “un’apertura verso la cultura moderna e laica di questa ampiezza, una visione così profonda tra la coscienza e la sua autonomia, non si era mai sentita finora dalla cattedra di San Pietro”.

“Leggendo le parole del Papa – spiega Scalfari – il nostro pensiero è chiamato e stimolato a riflettere di fronte alla concezione del tutto originale che papa Francesco esprime sul tema ‘fede e ragione'”. E continua: c’è un importante aspetto politico “quando il Papa scrive della distinzione tra la sfera religiosa e quella politica (….) La pastoralità, la Chiesa predicante e missionaria, c’è sempre stata e Francesco d’Assisi ne ha rappresentato la più fulgida ma non certo la sola manifestazione. Tuttavia non ha quasi mai avuto la prevalenza sulla Chiesa istituzionale. Papa Francesco ha interrotto e sta cercando di capovolgere questa situazione. La trasformazione in corso nella Curia e nella Segreteria di Stato sono segnali estremamente importanti. Temo però che molto difficilmente ci sarà un Francesco II e del resto non è un caso se quel nome non sia stato fin qui mai usato per il successore di Pietro”.

“Il Papa mi fa l’onore di voler fare un tratto di percorso insieme. Ne sarei felice. Anch’io vorrei che la luce riuscisse a penetrare e a dissolvere le tenebre anche se so che quelle che chiamiamo tenebre sono soltanto l’origine animale della nostra specie.

Più volte ho scritto che noi siamo una scimmia pensante. Guai quando incliniamo troppo verso la bestia da cui proveniamo, ma non saremo mai angeli perché non è nostra la natura angelica, ove mai esista”

CILE: 40 ANNI FA MORTE VIOLENTA DI SALVADOR ALLENDE E DELLA DEMOCRAZIA.

CILE: 40 ANNI FA MORTE VIOLENTA DI SALVADOR ALLENDE E DELLA DEMOCRAZIA..

dal blog ‘profumo di donna’ un bellissimo ‘memoriale’ di quei giorni tristi con prezioso materiale fotografico e filmico … compreso la scandalosa legittimazione data dal papa dal balcone con Pinochet (vedi link qui sopra)

Quarant’anni fa, l’11 settembre 1973, un golpe militare, con la complicità degli  Stati Uniti di Nixon e di Kissinger che, sottobanco, finanziò ed arruolò criminali che seminarono il terrore, destituì ed uccise Salvador Allende, il Presidente democraticamente eletto, ed, insieme a lui, il sogno della democrazia, e portò al potere il generale Augusto Pinochet, il più sanguinario tra i macellai golpisti.

 

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