ventennio leghista e cattolicesimo veneto

anemoni gialli con farfalla

una riflessione responsabile e puntuale e critica su un ventennio di convivenza tra la Lega Nord e il cattolicesimo veneto da parte di un sacerdote di Treviso, don Giorgio Morlin, a partire da questo interrogativo: “perché nel ricco nord-est, erede di una grande tradizione cattolica e di un’efficienza industriale senza rivali nel mondo, continua ad imperversare una deprimente povertà culturale e una colpevole dissipazione del patrimonio etico che i nostri padri ci hanno lasciato?”

 

Fine di una stagione?

Ventennio leghista e cattolicesimo veneto

La debacle politica dello schieramento berlusconiano-leghista nelle ultime consultazioni amministrative, che hanno coinvolto quasi 7 milioni di elettori in 564 comuni italiani, ha registrato un’autentica Caporetto anche a Tre- viso, da circa 20 anni amministrata e diventata indiscusso feudo leghista del sindaco Gian- Carlo Gentilini, assurto nell’immaginario nazionale a macchietta umoristica di sindaco sceriffo. Vorrei porre alcune mie considerazioni a proposito di una stagione che, probabilmente, si è chiusa per sempre e che merita un’analisi di tipo culturale oltre che politico. L’ex sindaco di Treviso, Gentilini, figura dal linguaggio eccentrico e spesso becero, diventa un caso nazionale nell’ottobre 1997 quando to- glie le panchine della stazione ferroviaria per allontanare «negri e perdigiorno», o quando, nel 2004, in un’intervista alla stampa, spara contro gli omosessuali dicendo: «Darò disposizione ai vigili affinché facciano pulizia etnica dei culatoni!», oppure nel 2005 quando attacca gli immigrati presenti in città affermando perento- rio: «Bisognerebbe vestirli da leprotti per fare pim pum pam con il fucile!». E quando, molto timidamente qualche parroco trevigiano, in nome del vangelo, parla di tolleranza, di accoglienza e di fraternità, il nostro sceriffo punta simboli- camente  il fucile contro «i preti rossi che sono da mandar via a furor di popolo!». A Treviso, durante il ventennio leghista, il linguaggio gentiliniano registra un crescendo misto di folklore truce e di arroganza impunita che incrementa l’immagine popolana e vincente
dello sceriffo,il quale si presenta come paladino della città per difenderla da «comunisti, negri e omosessuali». Un sindaco che, per quanto ri- guarda dichiarazioni ad effetto, fa scuola e moltiplica attorno a sé numerosi proseliti. Come, ad esempio, avviene con il consigliere comunale leghista Bettio il quale, in un’intervista alla stampa del 2004, ha l’impudenza di affermare: «Sarebbe giusto far capire agli immigrati come ci si comporta usando gli stessi metodi nazisti. Per ogni trevigiano a cui recano danno o disturbo, vengono puniti 10 extracomunitari!» (cfr. Repubblica del 4 dicembre 2004). E da ultimo, nell’amarezza della sconfitta all’indomani dei negativi risultati elettorali del giugno 2013, il sindaco, richiamandosi addirittura a Gesù Cristo e al van- gelo, si lascia prendere dalla foga anticomunista di sempre: «Mi sento come un secondo Gesù Cristo che ha parlato nel deserto. Il mio Vangelo non l’hanno capito; la sinistra è come l’Islam che pensa di risolvere i problemi uccidendo e massacrando gli infedeli». Con simili linguaggi e con i molteplici gesti provocatori che conosciamo, in questa lunga stagione si è assistito ad un progressivo e triste dissolvimento di un humus culturale ed etico che, a Treviso, aveva plasmato il tessuto di una convivenza civile e solidale a partire dal dopo- guerra fino ai primissimi anni ’90. Lentamente è andato mutando il dna antropologico della società trevigiana che, nel giro di appena 20 anni, non solo ha fatto una chiara opzione politica per la Lega, arrivando a percentuali bulgare che sfiorano o superano il 50% dei con- sensi ma che sembra anche aver cambiato i suoi valori etico-culturali di riferimento. Cosa e per- ché è accaduto di talmente nefasto nella Marca Trevigiana, conosciuta fin dal medioevo come «la marca gioiosa e amorosa», da diventare nel giro di due decenni «la marca rabbiosa e ranco- rosa»? Cosa e perché è accaduto che la sola parola clandestino, com’era successo per la parola ebreo 60 anni prima, venisse considerata reato e colpisse gli immigrati come una condanna già emessa e pronta ad essere eseguita? Cosa e
perché è accaduto che un territorio, da sempre considerato la sacrestia d’Italia per la sua capillare cultura cattolica e la sua diffusa pratica re ligiosa, entrasse nell’immaginario collettivo italiano come la patria della xenofobia nazionale? E l’ultima ciliegina sulla torta della vergogna padana la possiamo leggere in una pagina Facebook del 13 giugno 2013, dove la militante leghista di Padova, Dolores Calandro, scrive la seguente infamia riferita alla neoministra ita- liana di colore Cécile Kyenge: «Ma non c’è mai nessuno che se la stupri?…». Perché nel ricco Nordest, erede di una grande tradizione cattolica e di un’efficienza industriale senza rivali nel mondo, continua ad imperversare una deprimente povertà cult rale e una colpevole dissipazione del patrimonio etico che i nostri padri ci hanno lasciato? Sono interrogativi quanto mai angoscianti per tutti. Dopo l’attraversamento del lungo tunnel che si spera di lasciare alle spalle, con quest’ultimo passaggio viene oggi posta l’attenzione non solo sull’appartenenza politica ma anche sulla coscienza ecclesiale ed etica di un popolo, quello trevigiano, che si professa cattolico. Una coscienza che, anche a livello di presbiterio diocesano e di comunità parrocchiali nel loro complesso, probabilmente è rimasta latitante proprio nel momento in cui il virus letale entrava subdolamente in circolo nel corpo sociale a corrompere e a dissolvere il tessuto connettivo di una realtà popolare che ha secoli di storia solidale. Nel corso degli anni, senza percepire la gravità del fenomeno degenerativo, è avvenuta al- l’interno di questa realtà una lenta ma micidiale metabolizzazione per cui, ad esempio, si me- scolava banalmente, come niente fosse, la blasfema espressione del cosiddetto dio Po, gene- rata dalla dissacrante e idiota ritualità celtico- leghista, con la fede nel Dio di Gesù Cristo, la sola che qualifica l’identità del cristiano.
don Giorgio Morlin (Treviso)

le 10 regole per capire come i potenti ci ingannano

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Noam Chomsky

Chomsky

Le 10 regole per capire come i potenti ci ingannano

Avram Noam Chomsky è il più grande intellettuale vivente, o almeno così è come lo definisce il New York Times.

Nel 1957 pubblica il volume Syntactic structures (Le strutture della sintassi), che contiene in nuce la sua teoria rivoluzionaria sulla grammatica generativo-trasformazionale. Il 16 aprile 2004 ha ricevuto la Laurea honoris causa in Lettere dall’ateneo fiorentino, “quale riconoscimento allo studioso eminente nel campo delle scienze del linguaggio e delle capacità cognitive e all’intellettuale da sempre impegnato in difesa della libertà di pensiero”.

ecco le 10 regole che i potenti usano, attraverso i grandi mezzi di comunicazione, per filtrare e far arrivare alla gente solo determinate informazioni o messaggi.

Conoscendo queste regole possiamo renderci conto di come le nostre menti vengono manipolate ogni giorno.

1 -La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.
Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).

2 – Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.

3 – La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.

4 – La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.

5 – Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).

6 – Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.

7 – Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.

8 – Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …

9 – Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!

10 – Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

 

luciana littizzetto e il linguaggio dei maschi

Gli uomini fanno fatica a dire ti amo.

coccinelle

Lo dicono solo in caso di estrema necessità, tipo quando proprio non ne possono fare a meno, sennò dicono dei surrogati. Dei derivati del ti amo. Che fanno danni come i derivati delle banche. Dite delle cose tipo: sei molto importante per me. E cosa vuol dire molto importante? Anche non pestare una cacca di cane prima di portare le scarpe al calzolaio è molto importante, ma non è mica la stessa cosa che dire ti amo. Dite cose tipo: Mi fai stare bene.
Ma mi fai stare bene lascialo dire a Biagio Antonacci. Dillo al tuo medico Shiatzu quando ti schiaccia i piedi per metterti a posto la cervicale. Oppure sprecate quelle parole tipo tesoro, meraviglia, splendore. Ma splendore cosa? Guardami. Splendo?
Non sono mica una plafoniera? Ma dite ti amo, pezzi di cretini! Se la prima volta vi vergognate mettete la testa nel sacchetto del pane?! Dite “ti amo” mentre vi lavate i denti? Sglrlb? Va bene anche quello. Poi al limite cambiate idea. Dire una volta ti amo non crea nè impotenza nè assuefazione.
Poi il bello è che non capite nulla anche quando siamo noi a dirvi parole d’amore. Se vi diciamo cose romantiche tipo: Amore, guarda che luna.. voi rispondete: Minchia l’una? Pensavo fossero le undici. Andiamo che mi è scaduto il parcheggio. Ma noi vi amiamo lo stesso. Cosi come siete.
Vi amiamo anche quando…vi vantate di aver scritto il vostro nome facendo pipì sulla neve, amiamo i vostri piedi anche se sono armi di distruzione di massa, vi amiamo anche se di notte russate che ci sembra di dormire ai piedi dello Stromboli, vi amiamo anche se per trovarvi per casa basta seguire le tracce come per gli animali servatici, giacca, camicia, canotta, tutto lasciato per terra finchè sul divano non trovi un tizio con la felpa della Sampdoria che gioca alla Playstation, vi amiamo quando per fare un caffè ne spargete un quarto sul tappetino e due quarti sul gas. E poi dite che viene leggero.
Vi amiamo quando avvitate la caffettiera fino allo spasimo che per aprirla dobbiamo chiamare i pompieri, e poi non chiudete i barattoli, appoggiate solo il coperchio sopra cosi appena lo prendi sbadabam cade tutto. Vi amiamo quando sparecchiate la tavola con la tecnica del discobolo, mettendo in frigo la pentola della minestra che poggia su due mandarini.
Vi amiamo quando a Natale scavate il panettone con le dita, quando per farvi un caffè sporcate la cucina che neanche 10 Benedette Parodi.. e pure quando per farvi la doccia allagate il bagno e lasciate la malloppa di peli nello scarico, che sembra di stare insieme a un setter irlandese! Vi amiamo quando diciamo voglio un figlio da te e voi rispondete “Magari un cane” e noi vorremmo abbandonare VOI in autostrada non il cane.
Vi amiamo quando andate a lavare la macchina e ci chiudete dentro coi finestrini aperti, vi amiamo quando fate quelle battute tipo prima di fidanzarti guarda la madre, perché la figlia diventerà cosi, Voi no. Voi spesso siete pirla fin da subito. Vi amiamo quando mettete nella lavastoviglie i coltelli di punta, che quando noi la svuotiamo ci scarnifichiamo, e quando invece di sostituire il rotolo finito della carta igienica usate il tubetto di cartone grigio come cannocchiale.
E’ per amore vostro che facciamo finta di addormentarci abbracciati anche se dormire sul vostro omero ci dà un po’ la sensazione di appoggiare la mandibola su un ramo secco di castagno, e vi amiamo anche se considerate come dogma assoluto che l’arrosto della mamma è più buono di quello che facciamo noi. Il creatore non ha detto: E la suocera fece l’arrosto fatelo sempre cosi in memoria di me.
Insomma, noi vi amiamo anche quando date il peggio, vi amiamo nella buona ma soprattutto nella schifosa sorte. Vi amiamo perché amiamo l’amore che è un apostrofo rosa tra le parole: E’ irrecuperabile.. ma quasi quasi me lo tengo.
Perchè San valentino è la festa dell’amore, declinato in tutte le sue forme. L’amore delle persone che si amano. Anche delle donne che amano le donne e degli uomini che amano gli uomini. MA CHE CI INTERESSA QUELLO CHE FANNO A LETTO.. L’IMPORTANTE E’ CHE LE PERSONE SI VOGLIANO BENE, SOLO QUESTO CONTA.
Pensa che bello sarebbe vivere in un paese dove tutti i diritti fossero riconosciuti. Ma non solo i diritti dei soldi. Quelli dell’anima. Quelli che mi dicono che posso vegliare la persona che ho amato per anni in un letto d’ospedale senza nessuno che mi cacci via perchè non siamo parenti. E poi vorremmo un san valentino dove nessun uomo per farci i complimenti dicesse che siamo donne con le palle. Dirci che siamo donne con le palle non è un complimento. Non le vogliamo. Abbiamo già le tette. Tra l’altro sono due e sferiche anche quelle. Vogliamo solo rispetto. In Italia in media ogni due o tre giorni un uomo uccide una donna, compagna, figlia, amante, sorella, ex.
Magari in famiglia. Perché non è che la famiglia sia sempre, per forza, quel luogo magico in cui tutto è amore.
La uccide perché la considera una sua proprietà. Perché non concepisce che una donna appartenga a se stessa, sia libera di vivere come vuole lei e persino di innamorarsi di un altro.. E noi che siamo ingenue spesso scambiamo tutto per amore, ma l’amore con la violenza e le botte non c’entrano un tubo. L’amore, con gli schiaffi e i pugni c’entra come la libertà con la prigione. Noi a Torino, che risentiamo della nobiltà reale, diciamo che è come passare dal risotto alla merda.
Un uomo che ci mena non ci ama. Mettiamocelo in testa. Salviamolo nell’hard disk. Vogliamo credere che ci ami? Bene. Allora ci ama MALE. Non è questo l’amore. Un uomo che ci picchia è uno stronzo. Sempre. E dobbiamo capirlo subito. Al primo schiaffo. Perché tanto arriverà anche il secondo, e poi un terzo e un quarto. L’amore rende felici e riempie il cuore, non rompe costole e non lascia lividi sulla faccia. Pensiamo mica di avere sette vite come i gatti? No. Ne abbiamo una sola. Non buttiamola via.

(Luciana Littizzetto)

p. Zanotelli e il no alla guerra!

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GLOBALIZZIAMO LA PACE!

di Alex Zanotelli

“NO alla guerra!”, ha gridato Papa Francesco per bloccare l’attacco militare alla Siria e ha indetto per il 7 settembre una giornata di preghiera e di digiuno, per scongiurare il flagello di un’altra guerra che potrebbe diventare mondiale .

Il nostro è un NO secco alla guerra in Siria. Dovremmo aver capito dalle guerre in Iraq, Afghanistan, Libia e Mali che questi interventi armati, che hanno costato la vita a milioni di civili innocenti, donne e bambini, non hanno risolto nulla. Basta con la GUERRA! “L’intervento americano in Siria nasce nell’illusione di una ‘guerra lampo’- ha scritto il massimo poeta arabo, il siriano Adonis. Rischia invece di sfuggire di mano, di aizzare il conflitto e di ripetere il peccato mortale in cui sono scivolati sia l’opposizione armata, sia il regime siriano. La guerra è un’attrazione demoniaca.” Per questo ascoltiamo il grido accorato di Papa Francesco: “Con tutta la mia forza, chiedo alle parti in conflitto di ascoltare la voce della propria coscienza, di non chiudersi nei propri interessi, ma di guardare all’altro come a un fratello e di intraprendere con coraggio e con decisione la via dell’incontro e del negoziato, superando la cieca contrapposizione.” Ed esorta la comunità internazionale “a fare ogni sforzo per promuovere, senza ulteriore indugio, iniziative chiare per la pace in Siria, basate sul dialogo e sul negoziato, per il bene dell’intera popolazione siriana.”

Anche noi oggi ci uniamo a Papa Francesco e a tutti gli uomini/donne di buona volontà per dire NO a un attacco militare contro la Siria che mieterebbe altre vittime innocenti oltre i centomila morti e i sei milioni di rifugiati siriani. “Troppi interessi di parte –ha scritto il Papa a Putin- hanno impedito finora l’inutile massacro!”

Il presidente degli USA, B. Obama ha già deciso l’attacco. Aspetta solo il consenso del Congresso. (Non così Hollande che è già pronto). Purtroppo il Presidente statunitense è prigioniero del “Complesso Militar-Industriale americano”(così lo definiva Eisenhower), che investe oltre 700 miliardi di dollari all’anno in Difesa. Queste armi servono a difendere lo stile di vita del 20% del mondo che consuma l’80% delle risorse del Pianeta. La guerra è insita in questo nostro Sistema di morte.

Ma noi non ci rassegniamo, siamo anche noi prigionieri di quell’antico Sogno del profeta Isaia: “Una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, non impareranno più l’arte della guerra.”

Per questo, credenti e non credenti, ma amanti della pace, accogliamo l’invito di Papa Francesco a digiunare, possibilmente insieme, davanti alle chiese o nelle piazze. E i credenti di tutte le religioni si ritrovino nelle chiese, nei luoghi di culto, nelle sinagoghe e nelle moschee, a pregare l’unico Dio, che è il Dio della vita e non della morte.

Ma non basta per noi italiani, pregare e digiunare se non ci impegniamo a costruire la pace nella quotidianità con un impegno serio a:

-accettare la nonviolenza attiva e viverla nelle nostre relazioni familiari, sociali, culturali, religiose;

-premere perché il governo italiano non accetti di partecipare alla guerra in Siria e non permetta l’uso delle nostre basi militari per questo attacco;

-rifiutare che il governo italiano spenda 26 miliardi di euro in Difesa come ha fatto lo scorso anno (3 milioni di euro ogni ora!);

-annullare l’acquisto dei 90 F35, che ci costeranno 15 miliardi di euro;

-rifiutare che Sigonella (Sicilia) diventi la capitale mondiale dei droni e Niscemi (Sicilia) diventi il più importante centro mondiale delle comunicazioni militari.

Solo così questa giornata di preghiera e di digiuno, indetta da Papa Francesco, potrà essere efficace e far ripartire con forza in questo paese, un movimento unitario per la pace (non è concepibile che le varie realtà che operano in Italia per la pace non riescono a creare un unico grande movimento!).

La Pace può e deve sbocciare sulla faccia della Terra.

Alex Zanotelli

p. Maggi commenta il vangelo

croce
Commento al vangelo della XXIIIa domenica del tempo ordinario di p. Alberto Maggi
Lc 14,25-33: “CHI NON RINUNCIA A TUTTI I SUOI AVERI NON PUO’ ESSERE MIO DISCEPOLO”

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Nel vangelo di questa domenica Luca presenta le tre radicali condizioni che Gesù ha posto a quanti lo vogliono seguire.
Il contesto qual è? Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che, per un malinteso senso del messia, lo segue pensando poi di andare a spartirsi il potere e il bottino. Pensano che Gesù sia il glorioso messia, il figlio di Davide, che va a restaurare il defunto regno di Israele, e non hanno compreso che Gesù è il figlio di Dio, quello che non va a togliere il potere, ma a donare la propria vita a Gerusalemme.
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E scrive l’evangelista, vangelo di Luca, cap 14 versetti 25-33, che “una folla numerosa”, molta folla, “andava con lui”. Allora Gesù, sentendo questo equivoco, questa gente che lo segue per un malinteso senso, per l’interesse, “si voltò e disse loro …”, ed è la prima radicale condizione, “«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita…»”, in greco adopera il termine ‘psyché’ che significa ‘se stesso’, “«non può essere mio discepolo».
Gesù in precedenza denunciando, al pranzo con il fariseo, i legami di interesse che legavano questa cricca, questa setta, e i legami dettati dall’amicizia, dalla parentela, dagli interessi, ebbene, nel gruppo di Gesù tutto questo deve essere sciolto.
Talmente sciolto che l’adesione a Gesù deve andare al di là dei vincoli familiari, e, in particolare, c’è l’immagine della moglie perché nella parabola che Gesù in precedenza ha comunicato ai suoi, uno degli ostacoli che uno presenta per andare a questo banchetto del regno è “ho preso moglie perciò non posso venire”.
Quindi la prima condizione radicale è che l’adesione a lui deve andare al di sopra dei vincoli familiari, tutto il contrario di quello della cricca, della setta dei farisei, dove tutto si faceva per l’interesse del gruppo.
La seconda condizione radicale è l’accettazione del disprezzo della società e quindi la grande solitudine. Infatti, afferma Gesù, “«Colui che non porta la propria croce»”, letteralmente “chi non solleva la propria croce”, “«E non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»”.
E’ la seconda volta che appare il tema della croce, tema che, ricordo, non riguarda mai la sofferenza, i momenti tristi che la vita inevitabilmente fa incontrare, mai la croce nei vangeli ha questo significato, ma sollevare la croce significa accettare il disprezzo della società perché quelli che venivano condannati a questa infamia erano considerati la feccia della società.
E, in particolare, Gesù si rifà al momento preciso in cui il condannato doveva lui sollevare l’asse orizzontale della croce. Da quel momento doveva andare verso il luogo dell’esecuzione circondato da ali di folla per le quali era un dovere religioso insultare e malmenare il condannato.
Quindi la seconda condizione radicale è accettare la solitudine e il disprezzo da parte della società. Poi Gesù, con due esempi che riguardano la torre e la guerra, chiede di calcolare le proprie forze però, ed è questo l’importante, non vuole scoraggiare chi non ha forza, ma di mettere la propria forza nell’azione dello Spirito.
Quindi sapere i propri limiti e proprio per questo contare su quella che è la potenza per eccellenza di Gesù, la forza dello Spirito.
E lo shock, la sorpresa finale, a quanti lo seguono per spartirsi il bottino dichiara: “«Così chiunque di voi»”, e qui a chi si attendeva chissà quale consiglio spirituale, chissà quale norma ascetica, Gesù pone come condizione per essere discepolo, la terza, “«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»”. La rinuncia a tutto quello che si possiede, non mettere la sicurezza in quello che si ha, ma mettere la propria sicurezza in quello
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che si da, perché Gesù vuole al suo seguito soltanto persone libere. Infatti le tre condizioni per la sequela sono tutte scelte di libertà e per la libertà.
In particolare questo fatto della rinuncia agli averi si rifà a quanto Gesù aveva detto in precedenza nella parabole, dove tra i pretesti per non partecipare a questo banchetto c’era quello che ha detto “ho comprato un campo” e l’altro “ho comprato cinque paia di buoi.
Quindi il possesso degli averi di quello che si ha è un impedimento. Bene, allora sono tre condizioni radicali, tutte quante all’insegna della libertà; soltanto chi è pienamente libero può seguire il Signore. Gli altri? Gli altri tutti a casa.

a proposito del digiuno contro la guerra

Don-Farinella

ha molte ragioni don Paolo Farinella nell’esprimere le sue riserve ad una adesione entusiasta e convinta ad una iniziativa, il digiuno organizzato dal papa per sabato prossimo contro la guerra, iniziativa in sé molto opportuna e significativa ma di fatto inquinata dalla presenza di personaggi non proprio amanti della pace …

DIGIUNO PER LA PACE!
di Paolo Farinella, prete

 

 

NEL RISPETTO ASSOLUTO PER PAPA FRANCESCO,

 DICO NO!

 

  Volevo anche io aderire all’invito di Francesco papa per un giorno di digiuno per la Pace in Siria, sabato 7 settembre 2013, mentre i G20 a San Pietroburgo, mangiano caviale e salmone e decidono la guerra o meglio la vendita di armi, sempre redditizia. Poi leggo che vi aderiscono: Mario Mauro, ministro italiano della guerra, sempre in quota CL, già Pdl ora montiano e favorevole alla grazia per Berlusconi; Formigoni Roberto, CL celestiale, non nuovo ai rapporti con i Dittatori e indagato anche lui e strenuo difensore di Berlusconi.

 Potrei continuare nella litania dei colpevoli che non dovrebbero nemmeno farsi vedere, se avessero un minimo di coscienza e di dignità. Invece …

A questo punto più che un digiuno per la pace mi pare un coffe break dalle larghe intese con delinquenti e guerrafondai e immorali in passerella da primo piano. No, il casino non fa per me! A tutti un abbraccio affettuoso.

 

L’intenzione di papa Francesco è evangelica perché certi demoni si scacciano solo con la penitenza, il digiuno e la preghiera. La guerra è sempre un demone che nasce dalla pazzia e sfocia nella pazzia senza ritorno. Avrei preferito che avesse posto qualche condizione, del tipo: chi partecipa al digiuno non può fare scelte di guerra; i politici che vi partecipano devo impegnarsi a non vendere armi per fare cassa o semplicemente per mercato d’interesse; chi fa digiuno deve fare pubblicamente dichiarazione di rispetto della legalità sempre, senza eccezioni; chi digiuna deve sempre dire e servire la verità, ecc. ecc.
Capisco che il papa non può controllare tutto e quindi il valore del digiuno è simbolico, cioè un richiamo a tutti a «pensare» sulle scelte e forse anche un invito a fare pressione presso i propri governi.
Nel momento in cui il papa o un altro invita a digiuno «pubblico», questo e la preghiera che lo circonda non sono più «privati», gesti di una coscienza individuale, ma sono atti pubblici che si svolgono in pubblico, con la partecipazione di pubblico. A Genova il cardinale Bagnasco ha convocato la diocesi in cattedrale per le ore 19,00 e fino alle ore 23,00. Se fosse un atto privato, bastava che ognuno entrasse nella propria stanza, dove nessuno lo vede, tranne il Padre, e lì pregasse per conto proprio, anche idealmente unito a milioni forse miliardi di persone.
Quello che si celebra sabato è un «atto pubblico» a tutti gli effetti che ha incidenze pubbliche e anche personali. Io penso che sia un atto spirituale di pressione politica, senza nulla togliere al valore e all’importanza del gesto in sé. Dico che è legittimo.
La preghiera non è mai privata, perché sarebbe intimismo, ma la preghiera è sempre un atto «ecclesiale», cioè comunitario, anche quando si fa da soli. Pregare non è dire formule, ma illimpidirsi lo sguardo per essere capaci di vedere la realtà con gli occhi di Dio, aiutarsi a rispondere alla domanda: se Gesù fosse al mio posto, che cosa farebbe? Se pregare è dire un rosario, cioè meditare alcuni misteri e appagarsi, allora è vuota. Pregare è amare e lasciarsi amare e in questo contesto perdere tempo per chi si ama. A volte ho la sensazione che preghiamo come ultima spiaggia perché «non c’è altro da fare», squalificando così la preghiera come fallimento e impotenza. Pregare è impegnarsi a «cambiare testa/pensiero/modo di vedere e di scegliere».
In questo senso sono d’accordo con chi dice che la presenza strumentale di certi figuri, denigra loro stessi, anche se questi hanno la faccia di bronzo e non si denigrano affatto, ma ne sfruttano l’occasione proprio perché senza coscienza. Nello stesso tempo, voglio dirlo chiaro: chi è fuori posto sono loro che sono la negazione del digiuno in sé e specialmente del digiuno che abbia come obiettivo la Pace.
Proprio in questi giorni è «scaduto» come ordinario militare, il generale di corpo di armata, mons. Pelvi, capo dei cappellani militari che parteciperanno in massa al digiuno e alle celebrazioni con papa. Sono quelli che chiamano la guerra «missione di pace» e parlano di «carità profetica» degli eserciti, dei soldati che fanno della vita e che il servizio militare non è compreso «da coloro che esaltano la pace ad oltranza». Costoro insieme a molti partecipanti al digiuno hanno sempre fatto scelte «politiche» di guerre. Sempre. Volevo solo dire che come la Costituzione m’impone e il Vangelo mi obbliga «ripudio la guerra», ma ripudio anche loro, in quanto rappresentanti di una politica e di una religione che non mi appartengono.
Certo, pregare è un valore, un altissimo valore, ma come nei primi secoli, si allontanavano i catecumeni dalla Eucaristia perché non ancora battezzati, sarebbe stato bello e sarebbe bello se, come ha fatto a Lampedusa (dove non ha voluto Al Fano che scalpitava per essere accanto al papa e servirsene come propaganda), il papa avesse detto: Indico una giornata di digiuno riservata ai cattolici, ai cristiani, ai laici. Non sono invitati i politici, che in quanto tali, hanno le mani in pasta e nemmeno i cappellani militari, i vescovi militari in corso, in congedo o defunti perché chiunque indossa una mimetica non può pregare per la Pace, né digiunare contro la Guerra.
Tutto qui. Non una virgola di meno né di più. E’ così fuori dalla logica?

digiuno ipocrita: armi italiane ad Assad, e tante!

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L’Italia ha venduto armi ad Assad

Mentre i ministri digiunano e si lavora per una “soluzione politica” in Siria, il nostro Paese si attesta come il primo fornitore europeo per le spese belliche del regime nell’ultimo decennio

armi italiane

Il governo italiano lavora per una “soluzione politica” alla crisi in Siria, con tanto di ministri pronti a seguire l’esempio di Papa Francesco, aderendo allo sciopero della fame. Compreso il ministro della Difesa Mario Mauro, lo stesso che in Parlamento si batteva per difendere l’acquisto dei cacciabombardieri F35. Non proprio degli strumenti di pace. Eppure i numeri relativi alle armi e alle esportazioni – disponibili anche sul portale ufficiale dell’Unione Europea, ndr – mostrano l’atteggiamento ipocrita del nostro Paese. Nell’ultimo decennio, Roma è stato il primo fornitore europeo per le spese belliche del regime di Assad. In particolare, come spiega la Stampa, sono stati modernizzati i tank del raiss. Dal 2001 la Siria – come sottolinea anche Wired – ha potenziato il proprio arsenale militare, comprando in licenza armi in Europa per 27 milioni e 700mila euro. Ben 17 arrivano proprio dal nostro Paese.

L’ITALIA E LE ARMI IN SIRIA 

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Se il maggior partner resta comunque la Russia, che ha venduto a Damasco carri armati, missili e aerei da caccia (78% delle armi per l’esercito di Assad) – come ricorda Grignetti sul quotidiano torinese – l’Italia non è comunque rimasta a guardare. Basta ricordare la maxi commessa da 400 miliardi di lire (ben 206 milioni di euro), la maggiore italiana di tutti gli anni ’90, poi proseguita fino al 2009, con direzione Damasco. Assad è stato rifornito con 500 sistemi di puntamento Turms, allora prodotti dalle Officine Galileo (oggi Selex Ed, del gruppo Finmeccanica, ndr). Dispositivi necessari per ammodernare i carri armati T72 di fabbricazione sovietica: gli stessi utilizzati adesso dai lealisti contro civili e ribelli. In pratica, un atteggiamento quantomeno ipocrita, di fronte agli afflati pacifisti degli ultimi tempi. Certo, quando l’Italia stipulò patti per vendere armi in Siria, era ancora il 1998, con il giovane Assad considerato dagli Stati Uniti come il politico che avrebbe riportato il proprio Paese tra i “paesi democratici” ed alleati. E l’Italia approfittò di questa situazione, riuscendo a stringere accordi economici non certo irrilevanti. Basta confrontare la commessa già citata da 400 miliardi con le armi acquistate da Francia (che si fermò a 241 miliardi) e Stati Uniti (poco più di 150). Nel 1998 la quota rilevante delle esportazioni di armamenti italiani si concentrò principalmente verso un solo paese: la Siria di Assad.

QUELLE ARMI VENDUTE AD ASSAD 

Ma a cosa serve il Turms montato sui carri T72? Grignetti ricorda come il sistema permetta all’esercito siriano di sparare in movimento e colpire anche di notte. Ovviamente, sarebbe complicato chiudere una commessa da 500 dispositivi in un’unica tranche: per questo i sistemi furono consegnati nell’arco di tempi più lunghi e consegnati negli anni, fino agli anni più recenti. Tanto da far diventare l’Italia, anche negli anni Duemila, come il maggior fornitore europeo di armi per il paese siriano. Va poi ricordato come le statistiche ufficiali raccontino soltanto il quadro dei contratti registrati. Non sono compresi né il mercato grigio, né quello in nero. Nonostante l’embargo deciso dall’Unione Europea e tutti neghino – ufficialmente – di rifornire i ribelli siriani che combattono Assad, nel Paese martoriato ormai da due anni dalla guerra civile le armi non sembrano essere mai mancate. I sospetti si concentrano soprattutto verso un l’aumento dell’export di armi leggere (pistole, fucili e bombe a mano) verso la Turchia, un Paese che rifornirebbe poi gli stessi ribelli.

Resta soltanto un’ipotesi, ma Wired crede che, considerata la vasta mole dei 500 sistemi Turms, forse troppi anche per l’esercito siriano, parte di queste armi siano finite segretamente tra le mani di Saddam Hussein.

ITALIA A DUE VOLTI 

Se oggi i ministri digiunano, l’Italia faceva al contrario importanti affari, garantendosi introiti importanti fino a poco tempo fa. E in pochi avevano obiettato o ricordato le armi italiane vendute ad Assad. Tutto mentre in Siria da due anni divampa una guerra che ha già fatto migliaia di vittime, con o senza utilizzo di armi chimiche. Secondo i dati forniti da Unimondo.org, che riprende le cifre ufficiali dell’Alto Commissario dell’Onu, 93mila sono già stati i morti, ai quali si aggiungono due milioni di rifugiati nei paesi limitrofi A. Sofia)

‘normali’ o ‘supervisori’ dell’ordine mondiale?

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gli Stati Uniti accetteranno mai di essere una nazione ‘normale’ che non viva il suo rapporto col mondo, come una specie di ‘supervisione’ continua che la autorizza ad usare le armi ogniqualvolta ha la sensazione che il proprio ordine sia stato turbato?

su questo, una graffiante puntualizzazione di M. Serra su l’ ‘amaca’ odierna:

 

Molti, nel mondo, avevano sperato che con Obama gli Stati Uniti accettassero di essere una Nazione “normale”, potente ma normale, autorevole ma normale; ovvero una Nazione tra altre Nazioni, in grado di guardare agli altri popoli percependone varietà e complicazione, e persino considerando l’esistenza dell’Onu non come un fastidio burocratico, ma come un’occasione politica, un luogo nel quale confrontarsi e dal quale ricevere (o non ricevere) mandati un poco più collegiali di quanto viene deciso dalla sola Casa Bianca o dal Congresso americano. E lo storico discorso di Obama al Cairo nel 2009 («la democrazia non si può imporre») aveva confermato questa speranza.
Ma evidentemente avevamo capito male. Chiunque governi gli Stati Uniti si sente investito, prima o poi, di una sorta di supervisione planetaria, che lo autorizza a intervenire con le armi (con l’inglesino di turno al seguito) per ristabilire ordine o punire crimini (come in Siria). I risultati sono in genere catastrofici sotto il profilo politico e anche sotto quello umanitario, vedi l’Iraq dopo Saddam, terra di sangue e di caos. Ma deve scattare qualcosa di pavloviano, e di irresistibilmente
megalomane, quando ci si siede su quella poltrona.

Da La Repubblica del 04/09/2013.

domanda di grazia?

 

berlusconi

la situazione paradossale e da empasse in cui l’Italia si trova, ricattata in tutte le maniere da vent’anni per gli interessi di uno solo ben descritte dalla fine ed elegante ironia di Massimo Gramellini :

E così vorreste condannarlo ai domiciliari. Costringerlo a trascorrere un anno sul divano della trisnonna, intrappolato fra pareti color salmone, al lume fioco di una lampada a forma di fungo atomico, tra le braccia di una giovane donna che lo soffoca con promesse di amore eterno, quando lui chiede soltanto libertà.

Fanatici senza cuore, ma non vi tormenta il destino di quest’essere incolpevole che una serie inaudita di coincidenze ha trascinato negli abissi domestici documentati dalla foto? Abbiate il coraggio di guardarlo, tremate davanti al suo smarrimento, date sfogo all’imbarazzo e al rimorso che vi suscita il suo atteggiamento di resa. Dove sono l’antica fierezza, la passione per gli ambienti promiscui e la spregiudicatezza che gli consentiva di oltrepassare ogni porta socchiusa, infischiandosene di regole e divieti?

Neanche un mostro merita di finire così. E lui non è un mostro. Chiunque abbia lo sguardo puro di un Bondi lo troverà bellissimo. È solo troppo orgoglioso per chiedere la grazia. E allora la chiediamo noi: libertà per il cagnolino Dudù.

Da La Stampa del 04/09/2013.

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