50 anni fà: “i have a dream”

bel giglio

Cinquant’anni fa, il 28 agosto 1963 a conclusione di una marcia sui diritti civili a Washington, Martin Luther King tenne il suo famoso discorso :

«I have a dream».

Sono orgoglioso di unirmi a voi oggi in quella che passerà alla storia come la piú grande manifestazione per la libertà nella storia del nostro paese.

Cento anni fa, un grande Americano, sulla cui ombra simbolica ci troviamo oggi, firmó la Proclamazione per l’ Emancipazione. Questo decreto importantissimo arrivò come un faro di speranza per milioni di schiavi Negri bruciati dalle fiamme di questa raggelante ingiustizia. Arrivó come una gioiosa aurora dopo una lunga notte di schiavitú.

Peró cento anni dopo, il Negro non è ancora libero; cento anni dopo, la vita del Negro è ancora dolorosamente segnata dai ferri della segregazione e dalle catene della discriminazione; cento anni dopo, il Negro vive in un’ isola deserta in mezzo a un immenso oceano di prosperità materiale; cento anni dopo, il Negro tuttora langue negli angoli della società americana e si trova in esilio nella propria terra.

Cosí siamo venuti qui oggi a denunciare una condizione vergognosa. In un certo senso siamo venuti nella capitale del nostro paese per incassare un assegno. Quando gli artefici della nostra repubblica scrissero le magnifiche parole della Costituzione e della Dichiarazione d’Indipendenza, stavano firmando una cambiale di cui ogni americano era garante. Questa cambiale era la promessa che tutti gli uomini, sia, l’uomo negro e l’uomo bianco, avrebbero avuto garantiti i diritti inalienabili alla vita, alla libertà, e al perseguimento della felicità.

È ovvio oggi che l’America è venuta meno a questa promessa per quanto riguarda i suoi cittadini di colore. Invece di onorare questo obbligo sacro, l’America ha dato alla gente negra un assegno a vuoto; un assegno che è tornato indietro con il timbro fondi insufficienti. Peró ci rifiutiamo di credere che la Banca della Giustizia sia fallita. Ci rifiutiamo di credere che non ci siano fondi sufficienti nelle grandi casseforti dell’opportunità di questo paese. E allora siamo venuti a incassare quest’assegno, l’assegno che ci darà a richiesta le ricchezze della libertà e la sicurezza della giustizia.

Inoltre siamo venuti in questo luogo sacro per ricordare all’America l’urgenza impetuosa del momento presente. Questo non è il momento di raffreddarsi o prendere i tranquillanti della gradualità. Ora è il momento di realizzare le promesse di Democrazia; ora è il momento di uscire dall’oscura e desolata valle della segregazione verso il cammino illuminato della giustizia razziale; ora è il momento di tirar fuori il nostro paese dalle sabbie mobili dell’ingiustizia razziale sul terreno solido della fraternità; ora è il momento di fare della giustizia una realtà per tutti i figli di Dio. Sarebbe fatale per la nazione passar sopra l’urgenza di questo momento. Quest’estate soffocante per il malcontento legittimo del Negro non terminerà fino a quando non venga un autunno vigoroso di libertà e uguaglianza.

Il 1963 non è una fine, ma un principio. E coloro che speravano che il Negro avesse bisogno di sfogarsi per essere contento, avranno un duro risveglio se il paese ritornerà alla solita situazione. Non ci sarà riposo né tranquillità in America fino a quando al Negro non verranno garantiti i suoi diritti di cittadino. Il turbine della ribellione continuerà a scuotere le basi della nostra nazione fino a che non sorgerà il giorno splendente della giustizia.

Però c’è qualcosa che io debbo dire alla mia gente, che sta sulla soglia logora che conduce al palazzo di giustizia. Nel processo di conquista del posto che ci spetta, non dobbiamo essere colpevoli di azioni inique. Non cerchiamo di soddisfare la nostra sete di libertà bevendo alla tazza del rancore e dell’odio. Dobbiamo sempre condurre la nostra lotta su un piano di dignità e disciplina. Non dobbiamo permettere che le nostre proteste creative degenerino in violenza fisica. Ancora una volta dobbiamo elevarci alle altezze maestose dell’incontro tra forza fisica e forza dell’anima. La nuova meravigliosa militanza, che ha inghiottito la comunità negra, non dovrà condurci a diffidare di tutta la gente bianca. In quanto parecchi dei nostri fratelli bianchi, come oggi si vede dalla loro presenza qui, si sono resi conto che il loro destino è legato al nostro. E si sono resi conto che la loro libertà è inestricabilmente legata alla nostra. Non possiamo camminare soli. E camminando, dobbiamo fare la promessa che marceremo sempre in avanti. Non possiamo tornare indietro.

Ci sono coloro che stanno chiedendo ai devoti dei Diritti Civili, Quando sarete soddisfatti? Non potremo mai essere soddisfatti finché il Negro sarà vittima degli orrori indescrivibili della crudeltà poliziesca; non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri corpi, pesanti per la stanchezza del viaggio, non potranno riposare negli alberghi delle autostrade e delle città; non potremo mai essere soddisfatti finché la possibiltà di movimento del Negro sarà da un piccolo ghetto ad uno piú grande; non potremo mai essere soddisfatti finché i nostri figli saranno privati della propria personalità e derubati della dignità da un avviso scritto Solo Per Bianchi; non potremo mai essere soddisfatti finché il Negro del Mississippi non potrà votare ed il Negro di New York crederà di non avere nessuno per cui votare. No! No, non siamo soddisfatti, e non saremo soddisfatti fino a quando la giustizia non scorrerà come l’acqua e la rettitudine come una forte corrente.

Sono ben consapevole che alcuni di voi son venuti fin qui con grandi dolori e tribolazioni. Alcuni sono arrivati freschi da anguste celle di prigione. Alcuni di voi sono venuti da luoghi dove la ricerca della libertà li ha lasciati colpiti dalla tormenta della persecuzione e barcollanti per i venti della brutalità poliziesca. Voialtri siete i veterani della sofferenza creativa. Continuate a lavorare con la fede che le sofferenze immeritate redimono. Tornate nel Mississippi; tornate in Alabama; tornate nella Carolina del Sud; tornate in Georgia; tornate in Louisiana; tornate nei tuguri e nei ghetti delle nostre città del Nord, sapendo che in un modo o nell’altro questa situazione può essere e sarà cambiata. Non ci rotoliamo nella valle della disperazione.

Per cui vi dico, amici miei, che anche se affronteremo le difficoltà di oggi e di domani, ancora io ho un sogno. È un sogno profondamente radicato nel sogno Americano, che un giorno questa nazione si solleverà e vivrà nel vero significato del suo credo, noialtri manteniamo questa verità evidente, che tutti gli uomini sono creati uguali. Io sogno che nella terra rossa di Georgia, i figli di quelli che erano schiavi ed i figli di quelli che erano padroni degli schiavi si potranno sedere assieme alla tavola della fraternità. Io sogno che un giorno anche lo stato di Mississippi, uno stato ardente per il calore della giustizia, ardente per il calore dell’oppressione, sarà trasformato in un oasi di libertà e giustizia. Io sogno che i miei quattro figli piccoli un giorno vivranno in una nazione dove non saranno giudicati per il colore della pelle, ma per il contenuto della loro personalità.

Oggi ho un sogno!

Sogno che un giorno in Alabama, con i suoi razzisti immorali, con un Governatore dalle labbra sgocciolanti parole d’interposizione e annullamento, un giorno, là in Alabama, piccoli Negri, bambini e bambine, potranno unire le loro mani con piccoli bianchi, bambini e bambine, come fratelli e sorelle.

Oggi ho un sogno!

Sogno che un giorno ogni valle sarà elevata, ed ogni collina e montagna sarà spianata. I luoghi asperi saranno piani ed i luoghi tortuosi saranno diritti, e la gloria del Signore sarà rivelata ed il genere umano sarà riunito.

Questa è la nostra speranza. Questa è la fede con cui ritorno al Sud. Con questa fede potremo tagliare una pietra di speranza dalla montagna della disperazione. Con questa fede potremo trasformare il suono dissonante della nostra nazione in un armoniosa sinfonia di fraternità. Con questa fede potremo lavorare insieme, pregare insieme, lottare insieme, andare in carcere insieme, sollevarci insieme per la libertà, sapendo che un giorno saremo liberi, e questo è il giorno. Questo sarà il giorno in cui tutti i figli di Dio potranno cantare con nuovo significato Il mio paese è tuo, dolce terra di libertà, di te io canto. Terra dove è morto mio padre, terra orgoglio del pellegrino, da ogni lato della montagna facciamo risuonare la libertà. E se l’America sarà una grande nazione, questo si deve avverare.

E quindi lasciate risuonare la libertà dalle cime dei prodigiosi monti del New Hampshire.
Lasciate risuonare la libertà dalle poderose montagne di New York.
Lasciate risuonare la libertà dalle altitudini degli Alleghenies della Pennsylvania.
Lasciate risuonare la libertà dalle rocce coperte di neve di Colorado.
Lasciate risuonare la libertà dalle coste tortuose della California.
Ma non solo.
Lasciate risuonare la libertà dalla Montagna di Pietra della Georgia.
Lasciate risuonare la libertà dalla montagna Lookout del Tennessee.

Lasciate risuonare la libertà da ogni collina e montagna del Mississippi, da ogni lato della montagna lasciate risuonare la libertà. E quando questo accadrà, e quando lasceremo risuonare la libertà, quando la lasceremo risuonare da ogni villaggio e da ogni casale, da ogni stato e da ogni città, saremo capaci di anticipare il giorno in cui tutti i figli di Dio, uomo Negro e uomo Bianco, Ebreo e Cristiano, Protestante e Cattolico, potremo unire le nostre mani a cantare le parole del vecchio spiritual Negro: Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie

Dio Onnipotente, siamo finalmente liberi.




tempi cambiati, in peggio!

il male profondo che sta vivendo la politica italiana: il trionfo dell’irrazionalità, della prepotenza, dell’irresponsabilità, ben espressi da M. Serra nell’ ‘amaca’ odierna:

 

atene
L’AMACA del 28/08/2013

(Michele Serra).

 

Vent’anni fa si spariva dalla vita politica per un avviso di garanzia. Oggi nemmeno una condanna in Cassazione viene considerata quanto basta (e avanza) per levarsi di torno. È questo vero e proprio precipizio a descrivere meglio di ogni altra cosa il male profondo che Berlusconi e la sua sconcia claque hanno fatto all’Italia e agli italiani.
Così, mentre Luciano Violante – per fortuna a nome personale – e Mario Monti, con accenti non dissimili, giustificano eventuali cavilli per non trarre le ovvie conseguenze dalla condanna di Berlusconi, si ripensa alla vicenda di Josefa Idem, della quale nessuno parla più perché a nessuno conviene parlarne. Si è dimessa per una multa da tremila euro, come era doveroso fare e come ha fatto. Ha pagato un prezzo pieno per un errore che, al cospetto della fedina penale di Berlusconi, è meno di zero. Le hanno dato addosso, anche insultandola, molti dei farisei che oggi considerano del tutto normale che Berlusconi continui a fare politica e non decada da senatore. Siamo, e da un bel pezzo, dentro l’apologo del lupo e dell’agnello. Con il lupo che fa la vittima, e l’agnello già mangiato e digerito da un paese smemorato, ipnotizzato, incapace di ritrovare il bandolo della propria dignità.

Da La Repubblica del 28/08/2013.




“voglio giustizia!”

sparo

“la ragione è mia, sempre mia, Dio me l’ha data, guai chi me la toglie!”

 




per un consumo responsabile

 

bei fiori

Dal digiuno straordinario al consumo responsabile ordinario per custodire il nostro territorio
La scelta straordinaria di don Albino dei Beati i Costruttori di Pace, di mettere in atto il digiuno per richiamare l’attenzione della popolazione e delle autorità alla questione ambientale del nostro territorio, è una scelta davvero coraggiosa con una bella testimonianza. Dobbiamo ringraziarlo per il coraggio e per aver suscitato confronto, dibattito e unione di forze attorno alla questione del territorio del Veneto, fortemente a rischio a causa di varie grandi opere volute dall’economia del profitto.

Questa azione rimane, tuttavia, straordinaria sia perché pochi la possono mettere in atto e sia perché il digiuno (sciopero della fame) è uno strumento da utilizzarsi in caso di urgenza e di emergenza. Da questa forma straordinaria bisogna passare ad una azione ordinaria: possibile a tutti i cittadini e concreta nella propria vita quotidiana. La possiamo individuare nell’impegno del consumo responsabile, critico e solidale che può essere messo in atto ogni giorno, quando compriamo cioè nell’andare a fare la spesa. Ecco una proposta quotidiana che risponde alla domanda che mi hanno fatto varie persone in questi giorni: “Noi cosa possiamo fare per custodire il nostro territorio?”.

La prima domanda da farsi è: dove andiamo fare la spesa? La scelta di andare nei grandi centri commerciali, oppure negli ipermercati, non è la stessa cosa come quando si va a fare la spesa nei negozi o direttamente dai produttori, come fanno i gruppi di acquisto solidale (G.A.S.). La prima significa sostenere l’economia dei colossi e delle grandi multinazionali che sono i responsabili delle grandi opere che vogliamo realizzare oggi, distruggendo tutto il tessuto socio- culturale e umano di un territorio. La seconda scelta significa promuovere un’economia alternativa, sostenendo tutti i piccoli e medi negozi che riescono ad occupare molta più gente a livello lavorativo e che sono il tessuto di relazioni sociali e umane dei nostri paesi, oppure organizzandosi e andare direttamente dai produttori per sostenere il loro lavoro e il loro impegno di produrre nel pieno rispetto dell’ambiente. Vandana Shiva, scienziata, economista e ambientalista indiana, denunciava fortemente come il grande colosso della Coca-Cola si era appropriata dell’acqua di una regione dell’India prosciugando le falde acquifere della zona nel giro di soli due anni, costringendo migliaia di donne a fare centinaia di chilometri per andare a provvisionarsi di acqua. È bene prendere coscienza, che questa azione distruttrice della multinazionale viene sostenuta da chi fa uso dei suoi prodotti e non ha il coraggio di fare una scelta alternativa.

La seconda domanda da farsi è: di chi sono i prodotti che compriamo? Comprare prodotti di grandi imprese che sono responsabili dell’inquinamento dell’ambiente, non è la stessa cosa acquistare prodotti della filiera che ha una grande attenzione verso l’agricoltura naturale e biologica. La prima filiera di produzione è altamente distruttrice dell’ambiente perché fa uso di molti diserbanti, pesticidi e agro tossici; mentre la seconda è molto attenta al rispetto della natura e del territorio. La scelta della filiera etica di produzione è molto importante: per poter rispettare l’ambiente, pagare un prezzo giusto ai produttori e rispettare i diritti dei lavoratori, così come fa il commercio equo e solidale. Come scrisse l’economista Leonardo Becchetti, noi cittadini come consumatori abbiamo il “voto nel portafoglio”. È vero, ogni volta che compriamo votiamo col nostro portafoglio. Questo è un potere enorme nelle mani dei cittadini. Lo sappiamo utilizzare? Ed è uno strumento quotidiano che ci pone davanti ad un bivio: continuare a sostenere l’attuale economia di profitto, nelle mani delle multinazionali (pensiamo al business mondiale del cibo che viene gestito da un pugno di transnazionali); oppure promuovere un’economia alternativa, quella etica, che mette al centro l’umanità e la terra, con una grande attenzione all’ambiente, offrendoci inoltre prodotti di qualità che ci fanno bene alla salute. Qui sta l’azione quotidiana che ci permette di indebolire, minando dal basso, il potere dei grandi colossi economici che oggi vogliono usare il territorio veneto, cementificandolo enormemente e realizzando una lunga lista di grandi opere. Dobbiamo ricordare che dietro a questi grandi gruppi c’è la finanza speculativa, come pure, spesso, anche la corruzione. Per far capire meglio questo potere del cittadino come consumatore, voglio ricordare che è stata sufficiente la riduzione dei consumi di appena 3 o 4% per mettere in ginocchio grandi multinazionali, come la Coca-Cola, dimostrandosi poi disponibili a discutere. Recentemente, l’azione di una percentuale non rilevante di cittadini del nostro territorio che hanno fatto la scelta di non andare a fare la spesa alla domenica nei grandi centri commerciali, per poter vivere la domenica delle 3 erre (relazioni, riposo e Risorto), ha contagiato la grande catena di supermercati Famila, del colosso Gdo, facendo la scelta di non aprire più alla domenica, mossi dalla convenienza economica ma riscoprendo pure l’etica nel rispettare il diritto del riposo domenicale dei propri lavoratori e nel rispetto dell’ambiente.

Questa azione quotidiana, possibile a tutti, deve essere vissuta a tre livelli: personale mediante una spesa giusta, etica e solidale; comunitario nell’organizzarsi come cittadini, così come fanno i gruppi di acquisto solidale o i distretti di economia solidale; istituzionale con l’impegno politico e di fare pressione alle istituzioni locali, regionali e nazionali, così come fanno i tanti comitati e presidi per la difesa del territorio. Credo sempre più, che questo sia lo strumento potente, non violento e quotidiano che tutti possono e devono utilizzare per custodire il proprio territorio: il consumo responsabile e la finanza etica.

Tramonte (Padova) 27/08/2013




tiro al bersaglio contro l’immigrato

immigrato

NAPOLI – Un immigrato vale l’altro, nel buio della mente dei balordi. Così, nelle sere d’agosto, tra i vicoli del centro antico, scatta il tiro al bersaglio sui ragazzi di colore. Passatempo criminale, lo sconvolgente “gioco” di un gruppo di giovanissimi. Due casi, avvenuti tra Forcella e il Duomo: due cittadini africani, un nigeriano e un senegalese, finiti sotto i proiettili di una banda, senza che vi fossero legami né liti pregresse tra vittime e aggressori. E ora l’associazione “3 Febbraio”, la rete antirazzista con sedi in tutta Italia, da sempre voce di chi è straniero e subisce soprusi, denuncia il preoccupante fenomeno. “Nelle ultime due settimane sono stati aggrediti con armi da fuoco due africani. Napoli non può fare finta che questo non accada – spiega Gianluca Petruzzo di “3F” – . Le forze dell’ordine fanno tutto quello che possono, ma c’è un problema di cultura e di sensibilità sul territorio. Abbiamo chiesto aiuto anche all’Arcigay, alla Cgil, ai presìdi di legalità e assistenza, purtroppo ad agosto tante finestre sono chiuse. Ora ci appelliamo anche al cardinale Sepe”.




a proposito degli insulti al ministro Kyenge

 

 

 

altro gatto fiorito

si ripetono quasi quotidianamente minacce, insulti, gesti razzistici, espressioni di volontà di stupro nei confronti della ministra Kyenge

a questo proposito un bell’articolo di M. Serra su ‘La Repubblica’ di oggi:
I politicamente scorretti che insultano la Kyenge

(Michele Serra).

 

Insultare Cecile Kyenge è diventato una forma di neoconformismo. Bastano una buona dose di razzismo volontario o involontario; una notevole mancanza di fantasia; e una pagina Facebook. Di suo il vicesindaco di Diano Marina, signor Cristiano Za Garibaldi (Pdl) ci ha messo un sovrappiù così surreale da risultare quasi divertente: scusandosi, ha spiegato di averlo fatto perché era stressato dalle tasse.
A ben vedere, nella sua caotica autodifesa il vicesindaco dice anche qualcosa di più: è irritato perché il ministro Kyenge ha accennato (solo accennato) alla possibilità di usare qualche alloggio vuoto e inutilizzato per i senza tetto e per i nomadi. Si capisce che in una terra come la Liguria, scempiata dalle seconde case, buona parte delle quali sfitte e in vendita, l’argomento non sia molto popolare. Anche perché costringe gli amministratori liguri, compreso il vicesindaco Za Garibaldi, a riflettere sulla pluridecennale svendita del loro territorio, massacrato dal cemento.

Ma sono, questi, solo dettagli, minime variazioni di un ritornello davvero monotono, quello che ha fatto del primo ministro afroitaliano il bersaglio di ogni sconcezza e di ogni sberleffo.
È già stato detto e scritto molte volte, in circostanze identiche a questa, che il bersaglio finale di queste esternazioni è il politicamente corretto, cioè quell’insieme di consuetudini e di inibizioni linguistiche utili a non offendere le minoranze razziali e non solo. Nato non per caso negli Stati Uniti, Paese che prima e più di ogni altro ha dovuto fare i conti con una composizione sociale multietnica e multireligiosa, una colossale immigrazione, le difficili convivenze che ne conseguono, le incomprensioni, gli scontri di sensibilità. Per quanto ipocrita, e spesso foriero di neologismi davvero goffi, il politicamente corretto discende da un’intenzione virtuosa, che è quella di far convivere le diversità, di renderle governabili. È esattamente per questo — non certo per scrupoli lessicali ai quali in genere non sono aduse — che le destre populiste di mezzo mondo, quella italiana in primo luogo, lo odiano. Perché lo vedono come il sintomo più evidente di una volontà di convivenza che non condividono e non vogliono. E così come per Bossi chiamare gli africani “bingo bongo” non era solamente una manifestazione del suo razzismo privato, ma anche un modo per far sapere ai suoi elettori terrorizzati dall’immigrazione e dal “mondialismo” che finalmente in Italia si poteva dare libero sfogo a qualunque fobia sociale, e anzi farne uno strumento di consenso e di governo; allo stesso modo l’avvento sulla scena politica di Kyenge è stata un’occasione imperdibile per chiarire una volta per sempre che no, un ministro nero non fa parte delle cose tollerabili.
Più in generale, insieme al fragile tappo del politicamente corretto made in Italy, saltato ormai da tempo, sono le buone maniere nel loro insieme a risultare di impiccio alla destra populista. Come molte delle regole in vigore, sono imputate di imbrigliare i cosiddetti “umori popolari”. Rifarsi alla orgogliosa maleducazione fascista, turpiloquente e manganellatrice, è probabilmente congruo ma rimanda troppo indietro nel tempo. Bastino, come esempio corrente, le interruzioni e le urla nei talk-show, il sorriso di scherno e lo scuotimento della testa mentre parla l’avversario, la totale mancanza di contraddittorio politico nel ventennale (e rudimentale) soliloquio berlusconiano, la titolazione incredibilmente becera e aggressiva dei due principali quotidiani di destra, l’odio di classe per “gli intellettuali” che parlano difficile, per la cultura “che non dà da mangiare”, nonché (cito dalla pagina Facebook del vicesindaco di Diano Marina) per “i benpensanti”.
Parola che, usata in quel contesto, e da una persona che ha appena insultato Cecile Kyenge, colpisce molto. Il termine “benpensanti” tanti anni fa serviva per indicare i borghesucci timorati e baciapile, quelli che votavano per la Dc e per i suoi alleati, e che oggi probabilmente votano per il vicesindaco di Diano Marina, il Pdl e la Lega. Oggi la parola viene torta al punto da indicare quelli che non ritengono normale né giusto insultare “i negri”, e ancora si sforzano di chiamarli “neri” o “africani” o “afroitaliani” (è il caso della signora Kyenge). Vedi come mutano i tempi: l’antirazzismo è nato rivoluzionario e per tanti versi lo è ancora, dovendo risalire una potente corrente contraria. Ma oggi i suoi nemici di destra, per deriderlo, per liberarsene, per non farci i conti, lo liquidano come “benpensante”.

Da La Repubblica del 26/08/2013.




vita spirituale: un cammino

 

 

il senso della vita

 

E’ bello pensare che il cammino spirituale non è lo sforzarsi verso un obiettivo lontano e difficile, ma un lasciarsi trasportare seguendo la corrente della Vita che non manca mai di lanciarti dei segnali molto chiari. E non è un arrivare ad impossessarsi di qualcosa che non ti appartiene, ma di fare una pulizia per togliere quello che ti nasconde la tua realtà più profonda che già ti appartiene. Mi piace molto quella pagina di Richard Bach (“gli abitanti del fiume di cristallo”) che ora riporto:

“C’era una volta un villaggio di creature che vivevano nel fondo di un grande fiume di cristallo. La corrente del fiume scorreva silenziosamente su tutte le creature, giovani e vecchie, ricche e povere, buone e malvagie, in quanto la corrente seguiva il suo corso, conscia soltanto della propria essenza di cristallo. Ogni creatura si avvinghiava strettamente, come poteva, alle radici e ai sassi del letto del fiume, poiché avvinghiarsi era il loro modo di vivere, e opporre resistenza alla corrente era ciò che ognuna di esse aveva imparato sin dalla nascita. Ma finalmente una delle creature disse: “Sono stanca di avvinghiarmi. Poiché, anche se non posso vederlo con i miei occhi, sono certa che la corrente sappia dove sta andando; lascerò la presa e consentirò che mi conduca dove vorrà. Continuando ad avvinghiarmi morirò di noia”. Le altre creature risero e dissero: “Sciocca, lasciati andare e la corrente che tu adori ti scaraventerà rotolandoti fracassata contro le rocce e tu morirai più rapidamente che per la noia”. Quella però non dette loro ascolto e, tratto un respiro, si lasciò andare e subito venne fatta rotolare dalla corrente e frantumata contro le rocce. Ciò nonostante, dopo qualche tempo poiché la creatura si rifiutava di tornare ad avvinghiarsi, la corrente la sollevò dal fondo, liberandola, ed essa non fu più né contusa né indolenzita. E le creature più a valle nel fiume, per le quali era un’estranea, gridarono: “Guardate, un miracolo! Una creatura come noi, eppure vola! Guardate il Messia venuto a salvarci tutte!” E la creatura, trascinata dalla corrente, disse: “Io non sono un Messia più di voi. Il fiume si compiace di sollevarci e liberarci, se soltanto osiamo lasciarci andare. La nostra missione vera è questo viaggio, questa avventura”.

Sarà per noi una nuova avventura questo lasciarsi andare lungo la corrente del “Dio in noi”, senza più avvinghiarci a quelle che abbiamo scambiato per delle sicurezze o degli strumenti di salvezza, mentre invece non sono altro che resistenze alla corrente. Allora cominceremo a capire come la vita è davvero una sfida, un gioco, un sogno, un’avventura meravigliosa.

(una riflessione che traggo da Guido Mendagni: una miniera di belle e profonde riflessioni: grazie!)




contraddizione Italia (secondo Natalia Ginzburg)

tanti gatti

È un paese dove tutto funziona male, come si sa. È un paese dove regna il disordine, il cinismo, l’incompetenza, la confusione. E tuttavia, per le strade, si sente circolare l’intelligenza, come un vivido sangue. È un’intelligenza che, evidentemente, non serve a nulla. Essa non è spesa a beneficio di alcuna istituzione che possa migliorare di un poco la condizione umana. Tuttavia scalda il cuore e lo consola, se pure si tratta d’un ingannevole, e forse insensato, conforto.

 Natalia Ginzburg




p. Maggi commenta il vangelo di domani, 21 dom. t. o.

 

 

giglio rosso

XXI TEMPO ORDINARIO – 25 agosto 2013
VERRANNO DA ORIENTE E OCCIDENTE E SIEDERANNO A MENSA NEL REGNO DI DIO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Gesù sovverte la dottrina comune secondo la quale Israele si salva e i pagani no e annunzia un cambiamento dei valori. Vediamo nel capitolo 13 del vangelo di Luca dal versetto 22 al 30, l’insegnamento di Gesù.
“Gesù passava insegnando per città e villaggi”, Gesù insegna la novità della buona notizia del regno di Dio, “mentre era in cammino per Gerusalemme”. Gesù ha ormai l’intenzione di andare
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verso Gerusalemme per scontrarsi con i detentori del potere, coloro che avevano manipolato a proprio uso e consumo l’immagine di Dio, deturpandola.
“Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»” . La salvezza era considerata un privilegio di Israele, del popolo eletto, a scapito dei pagani. Allora questo individuo chiede “quanti sono quelli che si salvano?”
Ma Gesù non risponde su quanti sono quelli che si salvano, ma su chi sono quelli che si salvano. “Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno»”.
Qui l’evangelista non presenta un Gesù che propone un modello di ascetica, di rinunzia, di chissà quali sacrifici. Se molti non riusciranno ad entrare per questa porta che è stretta, non è perché sia difficile passarvi, a costo di chissà quali rinunzie, di chissà quali mortificazioni o sacrifici, ma perché la porta sarà chiusa.
Le scelte sbagliate compiute nel corso dell’esistenza impediranno l’accesso a questa pienezza di vita. E’ questo che l’evangelista ci vuol dire. Quindi non è difficile passarci, ma individuare questa porta stretta e se molti non riusciranno a entrarvi è perché sarà chiusa.
Infatti, dice Gesù, “«Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: ‘Signore, aprici!’»”
Quindi conoscono il Signore, conoscono Gesù, e Gesù risponderà “«Non so di dove siete»”, cioè “non vi conosco”. Allora questi cominceranno a rivendicare un rapporto esclusivo che hanno avuto con Gesù, “«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza»”, allusione all’Eucaristia, “«Tu hai insegnato nelle nostre piazze»”, l’accoglienza del suo messaggio, ma rivendicano un rapporto esclusivo con Gesù con tutte azioni rivolte verso il Signore e nessuna verso i fratelli.
Ecco perché Gesù gli risponde: “Ma egli vi dichiarerà: «Non so di dove siete»”, cioè “non vi conosco”. Gesù conosce quelli che mettono la propria vita a disposizione del bene degli altri, a servizio degli altri. Non gli interessa quello che viene fatto per lui, ma quello che con lui e come lui viene fatto per gli altri.
Ecco perché, citando un salmo, il salmo 6, versetto 8, “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia”. Quindi coloro che, pur avendo mangiato e bevuto insieme a Gesù, quindi un’allusione all’Eucaristia, coloro che ne hanno ascoltato l’insegnamento non lo hanno poi tradotto in atteggiamento di vita per gli altri, il Signore non li conosce.
Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri.
E dice Gesù, “«Là ci sarà pianto e stridore di denti»”, espressione tipica che indicava il fallimento, la constatazione del fallimento della propria esistenza, “«quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori»”.
Loro che pensavano di avere il privilegio di essere il popolo eletto e di essere per questo ammessi nel regno di Dio, proprio per il loro atteggiamento ne saranno cacciati fuori.” Ma non 2
solo! Mentre gli eletti sono cacciati fuori, quelli che erano gli esclusi diventano gli eletti. Infatti, conclude Gesù, “«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno»”, cioè da tutto il mondo pagano, “«e siederanno a mensa nel regno di Dio.»”
Quindi Gesù sovverte la dottrina comune secondo la quale Israele si salvava e i pagani no, e il regno di Dio è aperto a tutti coloro che mettono la propria vita a servizio del bene degli altri. Quindi Gesù non distingue pagani o altre categorie, ma il suo invito alla buona notizia è per tutti.
E poi la conclusione, “«Ed ecco, vi sono gli ultimi»”, cioè quelli che erano esclusi, “«che saranno i primi, e vi sono primi»”, quelli che erano gli eletti, “«che saranno ultimi»”.
E poi l’evangelista continuerà “In quel momento gli si avvicinarono i farisei”, ecco, i primi che diventano ultimi si avvicinano a Gesù.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».




‘morto il re dei rom’?

 

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così, non appena è uscita la notizia sui mass media, Marcello Palagi ha tenuto a precisare:

La notizia che riporto qui sotto da euronews è una cazzata o, meglio, un insieme di cazzate.

«La comunità rom saluta il suo ‘re’, funerali solenni per Florin Cioaba
euronews
venerdì 23 agosto 2013 07:55 GMT
Funerali da capo di Stato per Florin Cioaba, l’autoproclamato re dei rom.
58 anni, romeno, Cioaba è morto di infarto in Turchia ed è stato seppellito a Sibiu, sua città d’origine. Nel 2003, fece molto discutere la sua decisione di concedere in sposa la figlia di 12 anni.
Il nuovo re della comunità, che conta oltre 600mila persone, sarà il figlio Dorin.
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I rom e i sinti non hanno re o regine. La loro è una società nata senza capi, egualitaria, solidale, nomade. Chi vive per la strada, all’interno di una società altra, ben più potente, deve poter accedere all’aiuto e alla solidarietà di chi ha gli stessi modi di vivere, senza la mediazione di strutture di potere. Il potere diversifica e divide, burocratizza e complica i rapporti, crea conflitti, invidie, odi, ingiustizie, sfruttamento. Per secoli la società stanziale, specie nell’Europa dell’est, sperando di poter controllare, regolamentare, sottomettere, “normalizzare” e assimilare i rom e i sinti ha tentato, tra il molto altro, tra esclusione, reclusione e inclusione, anche la via dell’imposizione di loro capi designati dall’esterno. Ma questi capi non hanno avuto l’approvazione dei loro sottoposti e hanno raccolto per lo più solo il loro disprezzo, sono stati cioè considerati dei traditori e dei servi.
Nonostante che gran parte dei rom e dei sinti si sia stanzializzata, sopravvive ancora in loro questa cultura del viaggio, della libertà, dell’autonomia e del rifiuto di gerarchie sia pure formalmente “democratiche” investite e inventate dall’esterno. E anche quando vengono tentate da loro stessi, forme di autoorganizzazione di più gruppi rom, in genere durano poco o restano sulla carta e non funzionano. Alcune riescono a farsi riconoscere dai gagé molto più di quanto non le riconoscano i rom e i sinti.
Si tratta dell’aggiornamento del vecchio meccanismo di controllo gagiò dei re e delle regine: si attribuisce cioè rappresentanza dall’alto, per investitura da parte dei poteri costituiti, a singoli o associazioni rom più intraprendenti,”affidabili” e conosciuti dai gagé e dalle loro organizzazioni beneficenti, sedicenti esperte del “bene degli zingari”. Designazioni dalla base, anche se formalmente vengono sbandierate, non ce ne sono.
Si arriva al limite estremo di gagè che si autoproclamano legali rappresentanti della nazione rom e l’associazionismo beneficente, qualche istituzione e molti giornalisti che non vanno a verificare niente, li accreditano come espressione di una nazione inesistente, presso l’opinione pubblica sempre facilona rispetto ai rom.
I motivi per cui sopravvive e continua a diffondersi la favola dell’esistenza dei re e delle regine rom sono complessi e non riducibili a una breve nota come questa. Basterebbe però che un giornalista si documentasse seriamente, senza limitarsi a registrare quel che gli viene detto a conferma dei suoi pregiudizi, per capire almeno che è un abbaglio grave basarsi su un funerale di lusso e spreco per ri-diffondere la bufala dell’esistenza di un re “zingaro”, sia pure “autoproclamatosi” e con erede designato, regnante su seicentomila sudditi. Senza contare che se, ogni anno, morissero re e regine rom nella percentuale registrata dai giornali, il loro sarebbe, dato il numero dei decessi, il mestiere di gran lunga più pericoloso e mortifero di qualsiasi altro al mondo.

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