sconcerto dopo la sentenza

 

 

 

gatti rosaI

 

la reazione di Berlusconi e di tanti, troppi, italiani (quasi la metà del  Paese!) alla sentenza della Cassazione lascia semplicemente sconcertati

siamo al cospetto del mondo intero che ride di noi e non ci capisce affatto

questo sconcerto è ben raccontato in questo articolo di B. Severgnini uscito nel ‘Corriere della Sera’ del 4.8. 2013:

ll mondo ci guarda (e non capisce) 

Giovedì sera, pochi minuti dopo la pronuncia della Corte di cassazione, sulle frequenze di Bbc World Service è andata in onda una curiosa conversazione. Lucio Malan, senatore del Pdl, spiegava con convinzione che la condanna era ingiusta e Silvio Berlusconi era innocente. Il conduttore, serafico, ha ribattuto: «Mi scusi, ma come può dir questo? Tre gradi di giudizio hanno stabilito il contrario». Nella sua semplicità, lo scambio illustra il nostro vero, grande rischio nazionale: all’estero non capiscono. Non capisce l’opinione pubblica internazionale. Non capiscono i giornali, le televisioni, le radio e i siti web. Non capiscono i conservatori, i liberali e i socialisti. Nessuno capisce come, in una democrazia, una parte del potere politico possa rivoltarsi contro il potere giudiziario, pur di difendere il proprio capo. È un coro unanime. The Independent (inglese): «Berlusconi come Al Capone». Süddeutsche Zeitung (tedesco): «Machiavelli di celluloide». Libération (francese): «Berlusconi, naufragio all’italiana». Washington Post (americano) si chiede quale villa Berlusconi sceglierà per la reclusione. The Guardian, da Londra: «Silvio Berlusconi ai domiciliari, forse nella villa del bunga- bunga». El País, da Madrid: «È così la vecchia volpe (el viejo zorro), grande conoscitore dell’idiosincrasia italiana, ha ottenuto quello che sarebbe difficilmente immaginabile in ogni altro Paese del mondo: convertire i panni sporchi giudiziari in combustibile per l’ultima tappa della carriera politica. La cosa più allucinante, e anche la più triste per l’Italia, è che il trucco funziona». Vignette, grafici, cronologie giudiziarie, commenti. Nel duello, riassunto da Luigi Ferrarella, «tra la volontà della magistratura di applicare a Berlusconi le regole valide per tutti e la sua pretesa di esserne esonerato a causa del consenso», i media del mondo non sembrano aver dubbi: stavolta, e non per la prima volta, stanno con la magistratura. Il potere giudiziario — da Washington a Londra, da Berlino a Tokyo — è considerato l’arbitro della vita civile. Un arbitro discusso e discutibile: ma comunque l’arbitro. E se tre arbitri, uno dopo l’altro, decidono che una persona è colpevole, significa colpevolezza: il giudizio umano, oltre, non può andare. Le nostre diatribe italiane sull’accanimento giudiziario risultano incomprensibili. «Berlusconi è stato indagato e processato come nessun altro!», protestano i sostenitori in Italia. La reazione, fuori d’Italia, si può riassumere così: «Bene. Ora processate anche gli altri». Opinioni brutali? Considerazioni sempliciste? Ma l’opinione pubblica internazionale è, spesso, brutale e semplicista. Pensate a quanto sappiamo noi sul funzionamento della democrazia americana o tedesca (l’equilibrio tra i poteri, i controlli incrociati). I cittadini tedeschi e americani sanno altrettanto (poco) della democrazia italiana. Sanno però che il legislatore legifera, il governo governa e il potere giudiziario giudica. Ogni interferenza appare sospetta. Le norme spinte in Parlamento per alleggerire la propria posizione processuale, durante gli anni di governo: questo sì, di Silvio Berlusconi, viene spesso ricordato. All’agenzia Nuova Cina o al quotidiano giapponese Asahi Shimbun non interessa se la magistratura italiana ha un’agenda politica. Quest’ultimo si limita a scrivere che «un ex premier è stato condannato per frode fiscale» (è l’unico che non mette il nome di Berlusconi nel titolo). Solo il quotidiano russo Kommersant si schiera dalla parte del condannato. Titola: «Berlusconi non è stato scomunicato dalla politica» e definisce la sentenza «scandalosa» perché mira a terminarne la carriera politica. La vulgata berlusconiana, raffinata negli anni dai media di proprietà, è che esista una cricca di italiani — giornalisti, accademici, qualche politico — in grado di influenzare le opinioni nei luoghi che contano, Londra e New York in particolare. Considerato l’accesso alle informazioni nel XXI secolo, questa spiegazione appare surreale, astuta o infantile (fate voi). È più logico e più semplice accettare l’evidenza. Sono ormai molti, all’estero, a condividere l’opinione sintetizzata in un titolo
dell’Economist nel 2001: Berlusconi è inadatto a guidare l’Italia. Certo, i media più influenti — quelli che i mercati consultano e gli investitori ascoltano — non hanno mai mostrato indulgenza per il personaggio. Dopo otto di governo inefficace, quattro anni di scandali sessuali, una dozzina di processi, sette prescrizioni e una condanna, sembrano aver perso la pazienza. «Cala il sipario sul buffone di Roma», è il titolo spietato del Financial Times. Il New York Times, secondo cui la vicenda «mette il fragile governo italiano sulla strada della crisi», scrive: «È opinione diffusa che Mr. Berlusconi voglia conservare un ruolo pubblico nella speranza di esercitare l’influenza politica di cui ha bisogno per proteggere i propri interessi economici». Certo dev’essere sgradevole, per un elettore di centrodestra, leggere opinioni tanto sfavorevoli; ed è doloroso, per ogni italiano, sapere che l’opinione negativa su un leader ricade anche, inevitabilmente, sul Paese che rappresenta. Ma bisogna prenderne atto, e mantenere la calma. Se un uomo mite come Sandro Bondi evoca «il rischio di guerra civile» non dobbiamo stupirci se i media internazionali ci trattano talvolta con fastidio. Una dichiarazione irresponsabile, dal satellite e sulla banda larga, viaggia più veloce del magnifico lavoro di tanti connazionali, in ogni campo. Pdl significa Popolo della Libertà, non Perdere di Lucidità. Qualcuno, nel partito, trovi il coraggio di spiegare al padre-padrone che non può trascinare con sé tutta l’Italia. I nostri amici nel mondo non capirebbero; e i nostri avversari non aspettano altro.




un equilibrio a soqquadro

 

 

 

 

 

 

il cane di Obama

La globalizzazione finanziaria

ha messo a soqquadro

un equilibrio costruito

nell’ultimo secolo attraverso

sindacati e forze progressiste.

E’ così che le disuguaglianze

sono aumentate.

Alain Touraine




p. Maggi commenta il vangelo di domani: lc.12,13-21

bel crocifisso

domenica 17° del tempo ordinario

commento al vangelo della liturgia di domani: il ricco stolto – Lc. 12,13-21: “quello che hai preparato di chi sarà?”

 

 

Lc 12,13-21
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.
Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Mentre Gesù sta parlando di fiducia nel Padre viene interrotto da chi invece la fiducia la pone nel denaro. Gesù parla di sicurezza in Dio e c’è chi invece la sicurezza la pone nei suoi beni. Sentiamo il Vangelo di Luca.
“Uno della folla gli disse: «Maestro»” e il verbo è all’imperativo, “«dì a mio fratello che divida con me l’eredità»”. Quindi il problema è la solita antica questione della spartizione dell’eredità. Ma Gesù rifiuta. Per Gesù ogni eredità è frutto dell’avarizia e della cupidigia, atteggiamenti che chiudono irrimediabilmente l’uomo a Dio. Allora Gesù gli risponde “« O uomo, chi mi ha costituito giudice o divisore…»” – è la stessa risposta a quel verbo che è stato richiesto “divida con me l’eredità” – “«… sopra di voi?»”.
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Poi si rivolge ai discepoli, e quindi Gesù rifiuta di porsi come mediatore in questioni di eredità e di interesse, poi mette in guardia i discepoli con queste parole molto severe. “E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontano da ogni cupidigia»”.
Gesù pone con molta severità questo richiamo, l’ingordigia, l’accumulo dei beni. Perché? Dice Gesù: “«Anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni»”. E qui l’evangelista mette tre volte questo termine sintomo dell’avere, la cupidigia, l’abbondanza, i beni.
La vita di un uomo non dipende da quello che ha, ma da quello che da. “Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé.»“ – attenzione su questo verbo ‘ragionare’ che Gesù poi ridicolizzerà. Lui pensa di ragionare tra sé. Come pensa il ricco? Il ricco pensa sempre per sé, pensa che tutto gli sia dovuto. Non pensa minimamente che possa regalare, o almeno condividere o far servire questa abbondanza per aiutare gli altri.
“«Che farò poiché non ho dove mettere i miei raccolti?»” Allora lo sappiamo qual è il suo ragionamento, “«demolisco i miei magazzini e ne costruisco di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni»”.
Ecco di nuovo questa ossessione dei beni, della roba che uno ha. “’Poi dirò’”, letteralmente ‘”Anima mia…’”. – anima significa la persona stessa – “…hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e divertiti!’”
Quindi pensa esclusivamente a sé, al suo tornaconto, al suo interesse. Ecco la sorpresa, tanto più sorprendente in un ambiente culturale dove si pensava che la ricchezza fosse una benedizione divina. Il ricco era colui che era benedetto da Dio, e il povero maledetto. Ed ecco il Dio di Gesù completamente diverso.
“Ma Dio gli disse: «Scemo»”. So che i traduttori traducono con ‘stolto’, ma stolto è troppo leggero; il termine adoperato dall’evangelista è molto forte. Noi non diciamo a una persona ‘stolto’, ma scemo. E dice scemo a quello che pensava di ragionare.
Quindi i ragionamenti del ricco sono ragionamenti di uno scemo. “«Scemo! Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato per chi sarà?»”’
Quindi tutta questa tua fatica, tutto questo tuo avere, tutta questa tua bramosia, e poi? Questo termine scemo Gesù l’ha adoperato già per i farisei che ha rimproverato perché fanno tutto per il proprio interesse, e anche se dall’aspetto sembrano puri, dice “il loro interno è pieno di rapina e di iniquità”.
Quindi il richiamo è a questa categoria di persone religiose che sanno però al contempo essere anche tanto attaccate ai soldi, tra un salmo e l’altro controllare la cassa era un esercizio che le persone religiose, le persone pie , sanno fare.
Ed ecco allora il monito finale di Gesù, “«Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio»”. Il tesoro è quello che da la fiducia: o uno mette la fiducia nel Padre e quindi liberamente mette la propria vita – con quello che è e quello che ha – a servizio degli altri o lo mette nei suoi beni. La conclusione l’abbiamo vista.
 




condannato! la fine di un’epoca!

 

 

bel buquet

è la notizia che si è diffusa in un istante in tutto il mondo

S. Berlusconi è stato condannato definitivamente, dalla Cassazione, ieri, per evasione fiscale protrattasi anche negli anni in cui era presidente del Consiglio dei ministri rappresentando ai massimi livelli le Istituzioni

questo sito non ha un intento in primo luogo ‘informativo’ per cui non si dilunga in dettagliate informazioni su un fatto che purtuttavia ha una rilevanza di primissimo piano per il nostro paese che deve prendere atto che per un ventennio è stato governato da un delinquente

si limita a prendere atto con sollievo che è indubbiamente  finita un’epoca e lo fa prendendo a prestito le parole amare ma vere dal sito ‘il mondo di Galatea’:

Lo han condannato. E a me non è venuto nemmeno da scrivere un post in diretta, mentre Porta a Porta mandava in onda una puntata in cui non c’era un plastico costruito ad hoc, ma la sua faccia, però in un video di qualche tempo fa ripescato; e a In Onda, causa l’afa e le ferie, non trovavano nessuno cui far commentare la cosa se non Briatore.

E’ da queste cose che si capisce che, bene o male, è proprio finita un’epoca.




la chiesa dell’ ‘empatia’

 

 

empatia

ogni giorno di più, ad ogni esprimersi del papa, si delinea un’idea nuova di chiesa

si avverte nelle parole di papa Francesco un senso di novità e di innovazione nonostante le sue parole nei contenuti non modificano in nulla la tradizionale impostazione etico-dogmatica cattolica

anche ieri si è espresso con tono nuovo nei confronti della donna nella chiesa, dei divorziati e dei gay

la novità sta nel vivere i problemi della gente con ‘patos’, con ‘empatia’, quasi rappresentando la ‘passione di Dio per il mondo’

così V. Mancuso in un bell’articolo su La Repubblica odierna:

 

E’ molto probabile che i commenti alle dichiarazioni del Papa sulle persone omosessuali si dividano in due correnti tra loro contrapposte. Da un lato coloro che desiderano una decisa riforma delle posizioni della Chiesa cattolica intenderanno le parole del Papa come rivoluzionarie, diverse, foriere di cambiamenti. Dall’altro lato coloro che intendono conservare lo status quo leggeranno le stesse parole del Papa come del tutto coerenti con le posizioni di sempre, quelle ribadite più volte da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. E occorre dire in verità che, in assenza di atti effettivi di governo da parte di papa Francesco volti a modificare la legislazione canonica vigente, entrambe le posizioni hanno una loro legittimità. Il Papa infatti non ha detto nulla che anche Benedetto XVI non avrebbe sottoscritto, dicendo che: 1) le persone omosessuali in quanto tali vanno accolte e per nulla discriminate, mentre gli atti sessuali delle stesse non possono trovare accoglienza all’interno dell’etica cattolica; 2) per i divorziati risposati il primato deve essere assegnato alla misericordia; 3) la donna deve avere più spazio nel governo della Chiesa, anche se la Chiesa non potrà giungere a concederle l’ammissione al sacerdozio, alle donne cattoliche definitivamente precluso.

Perché allora da parte di tutti nel mondo si avverte nelle parole del Papa un senso di novità e di speranza, di innovazioni? Perché questo entusiasmo per parole che nei contenuti non modificano in nulla la tradizionale impostazione etica e dogmatica cattolica? Io penso che sia per il clima di empatia che circonda la persona del Pontefice e per il bisogno di cambiamento e di riforma che i cattolici di tutto il mondo avvertono. Ma soprattutto per la frase, questa sì del tutto innovativa per un Papa, “chi sono io per giudicare?”. Una frase che, a mio avviso, né Benedetto XVI né Giovanni Paolo II avrebbero mai potuto o voluto pronunciare.

Queste parole collocano il Papa non più tra i capi di Stato e i potenti di questo mondo che per definizione giudicano, ma tra i discepoli di Gesù attenti a mettere in pratica le parole del maestro: “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati, perdonate e sarete perdonati” (Luca 6,37). Da tutto questo però deve scaturire una conseguente azione di governo finalmente all’insegna della novità evangelica (così come lo sono i gesti straordinariamente semplici e potentissimi di questo Papa).

Ho parlato prima di empatia e vorrei sottolineare che l’empatia è molto importante, non solo, com’è ovvio, a livello psicologico, ma anche a livello teologico. Il termine infatti rimanda alla parola greca pathos,che significa passione, e che costituisce uno dei concetti centrali del cristianesimo, a partire dalla passione di Cristo e dall’amore che definisce l’essenza di Dio, amore che a sua volta è passione e genera passione. Il fatto che papa Francesco sia circondato da un abbraccio di empatia a livello mondiale non si spiega solo a livello umano per la sua carica personale e per la spontaneità e la semplicità dei suoi gesti; si spiega anche a livello teologico e spirituale per il suo essere in grado di rappresentare la passione di Dio per il mondo. Quindi l’empatia che circonda il Papa (e che porta a vedere in ogni sua parola qualcosa di nuovo anche quando di per sé non c’è nessuna novità) è estremamente preziosa, è un segno dello Spirito si direbbe nel linguaggio teologico. E il Papa non la deve deludere, deve esserne all’altezza fino in fondo, venendo incontro al bisogno di cambiamento che la gran parte dei cattolici nel mondo avverte riguardo alla Chiesa.

È infatti insostenibile la posizione cattolica tradizionale riguardo sia alle persone omosessuali, sia alle persone divorziate, sia al ruolo attualmente ricoperto dalle donne all’interno del governo della Chiesa. E occorre coerenza: non si può proclamare a parole il rispetto per le persone omosessuali e la pari loro dignità di figli di Dio e poi giudicare la loro condizione come condannata dalla legge naturale e dalla Bibbia; al contrario, se veramente si vuole mostrare in modo concreto il rispetto di cui si parla nei loro confronti, occorre mettere in atto ermeneutiche conseguenti sia della legge naturale (da intendersi in senso formale come armonia delle relazioni e non come definizioni di ruoli e di comportamenti) sia delle pagine bibliche che condannano le persone omosessuali relegando tali pagine accanto a quelle che favoriscono la guerra o l’inimicizia verso le altre religioni (e che non meritano di essere più prese in considerazione).

Occorre cioè giungere all’evangelico “non giudicare” e “non condannare”. Allo stesso modo se veramente si vuole che sia la misericordia ad avere il primato per i divorziati risposati occorre mettere in atto una disciplina canonica dei sacramenti che conceda loro di accostarvisi senza nessuna discriminazione (segnalo al riguardo il recente libro di Oliviero Arzuffi,Caro papa Francesco. Lettera di un divorziato,Oltre edizioni). Allo stesso modo, infine, se veramente si vuole che la donna abbia maggiore potere all’interno della Chiesa si deve procedere di conseguenza e, anche senza giungere all’ordinazione sacerdotale, si deve permettere che le donne diventino cardinali e ministri con pieni poteri del governo della Chiesa (oggi per accedere al cardinalato occorre essere diaconi o sacerdoti, e le donne possono accedere al diaconato, lo testimonia il Nuovo Testamento, basta leggerlo e applicarlo).

“Chi sono io per giudicare?”, ha detto il Papa e in questo si è fatto discepolo di Gesù. Ma Jorge Mario Bergoglio in quanto pontefice regnante può far sì che questa mentalità non giudicante diventi la prassi corrente della Chiesa in ordine alle persone omosessuali e ai divorziati risposati. Di fronte a lui sta il compito di non deludere l’empatia che lo circonda e le speranze di rinnovamento evangelico di molti credenti e “uomini di buona volontà”.




la chiesa che sogna papa Francesco

 

 

pellerossa

la chiesa che ha in mente papa Francesco non è affatto la chiesa dalle grandi strutture e che si impone per la sua solennità ieratica ma lontana dai problemi della gente

delinea con chiarezza una ‘chiesa di strada’ che si fa prossima ai poveri e ai lontani: “i ‘vip’ da invitare in parrocchia sono i poveri e i lontani”

così a Rio de Janeiro in occasione della giornata  mondiale della gioventù:

 

 La cattedrale è a forma di piramide Maya, una struttura grandiosa di 80 metri, ma celebrando davanti a un migliaio di vescovi da tutto il mondo il Papa afferma che i veri «vip» da invitare in parrocchia sono «i poveri e i lontani». Nel Teatro municipale davanti a politici, diplomatici, imprenditori e intellettuali chiede una «visione umanistica dell’economia e una politica che realizzi partecipazione», contro gli elitarismi, e per «sradicare la povertà».

Tra gli orgogli architettonici della Chiesa e della società brasiliane papa Francesco propone la sua visione della convivenza sociale che non escluda nessuno. Ma è poche ore dopo, durante il pranzo nel palazzo arcivescovile Sao Joaquin con i cardinali del Brasile, la presidenza della Conferenza episcopale e i vescovi della regione, che traccia il suo sogno di una «chiesa di strada» in grado di fronteggiare il «lato oscuro della globalizzazione» e di tornare a parlare a quelli che si sono allontanati.

Molti di quanti hanno lasciato la Chiesa cattolica brasiliana sono confluiti nelle sette e movimenti pentecostali: in Brasile i cattolici praticanti sono oggi attorno al 64 per cento, 8 anni fa, in occasione della visita di Benedetto XVI, le statistiche li davano a più dell’80 per cento. Ma papa Bergoglio non nomina le sette nè cita le statistiche. Piuttosto offre una riflessione molto articolata, innervata nel documento di Aparecida, la V assemblea di tutti i vescovi latinoamericani, alla cui stesura ha collaborato da cardinale, nel 2007.

È il suo sogno di una chiesa aperta, che vada verso le periferie, agli «incroci», «una Chiesa di ‘riconciliazione’, ‘di strada’ , non un ‘transatlantico alla deriva’, ma una ‘bussola’ per l’uomo contemporaneo, che ha «smarrito senso, non ha un nido, subisce violenze sottili e rotture interiori, solitudine e abbandono».

Papa Francesco denuncia «il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che – dice – dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa, la loro Gerusalemme, non possa offrire più qualcosa di significativo e importante, e allora vanno per strada da soli, con la loro delusione».

Tanti se ne sono andati, ricorda, «perchè chiedono qualcosa di più alto, di più forte, di più veloce». Il Papa chiede ai vescovi di imparare dai pescatori (il miracolo di Aparecida è collegato a alcuni pescatori, ndr) e dai poveri la capacità di «parlare del mistero», di lavorare contro «muri, abissi, distanze», di ricordare che «le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate, e la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani». Questa Chiesa deve reimparare «la grammatica della semplicità».

«Priorità della formazione», «collegialità e solidarietà», «stato permanente di missione e conversione pastorale», ha detto, sono le «sfide» per la Chiesa, che deve essere «capace di riscoprire le viscere materne della misericordia». E se non vuole rischiare la «sterilità» deve smettere di «ridurre l’impegno attivo delle donne nella Chiesa, bensì promuovere il loro ruolo». Infine l’esempio della Chiesa in Amazzonia, dove non va «con la valigia in mano per andarsene dopo aver sfruttato». «Educazione, salute e pace», le «urgenze brasiliane», interpellano la Chiesa in Brasile.




p. Maggi commenta il vangelo di domani : Lc 11, 1-13

bellissima

Commento al vangelo della diciassettesima domenica del tempo ordinario (28.7.2013) da parte di p. Maggi: “CHIEDETE E VI SARA’ DATO ” Lc 11,1-13

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
“Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano, e perdona a noi i nostri peccati, anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore, e non abbandonarci alla tentazione”».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».

Il Padre Nostro ci è giunto in tre versioni, quella di Matteo, quella di Luca, e una nel primo catechismo della chiesa, chiamato Didaché, cioè insegnamento.
Probabilmente – e adesso la vedremo – quella del Vangelo di Luca è la più antica, perché era caratteristica degli scrittori quella di aggiungere alle parole, all’insegnamento di Gesù, ma mai d

 togliere. E quella di Luca, come vedremo, è la più breve. Quindi forse qui abbiamo la preghiera originale insegnata da Gesù.
Il contesto qual è? Gesù sta in un luogo a pregare. L’evangelista Luca è quello che, più degli altri, presenta Gesù in preghiera, ma mai in sinagoga o nel tempio. Quando Gesù va nel tempio o nella sinagoga, va per insegnare e il suo insegnamento significa liberare le persone dalla dottrina religiosa che veniva loro imposta per aprirli all’amore del Padre.
Per farli passare dall’obbedienza alla legge, all’accoglienza del suo amore.
Ebbene i discepoli non chiedono a Gesù che insegni a pregare come lui prega e neanche pregano con lui, ma vogliono una preghiera come quella che Giovanni Battista ha insegnato ai suoi discepoli, che li distingua dagli altri.
Ebbene Gesù non da regole, non da formule, né orari, ma da uno stile di vita. Vediamolo.
Anzitutto, per rivolgersi a Dio, non ci si rivolge in maniera religiosa, con tutti quei titoli, quei termini altisonanti “Altissimo, Eccelso, ecc.”, ma nella comunità dei seguaci di Gesù ci rivolge a Dio chiamandolo “Padre”.
Dio non vuole dei sacerdoti incensanti, non vuole dei devoti, ma vuole dei figli. Padre, nella cultura dell’epoca, è colui che trasmette al figlio tutta la propria vita, tutta la propria esistenza. Quindi si riconosce in Dio la fonte della vita, allora ci si rivolge a lui chiamandolo “Padre”.
E la prima richiesta è “Sia santificato il tuo nome”. Il verbo “santificare” significa consacrare, cioè riconoscere il valore di qualcosa. Allora la comunità, nella preghiera che Gesù insegna, dice “sia riconosciuto questo tuo nome”, cioè Dio deve essere riconosciuto come Padre e il Padre che Gesù ha presentato è il Padre il cui amore non distingue tra buoni e cattivi, ma su tutti si riversa, il Padre che non guarda i meriti delle persone, ma guarda i bisogni.
Allora Gesù invita la comunità a chiedere “questo sia il nome con cui devi essere riconosciuto, cioè un Padre”, non il Dio che premia, che castiga, il Dio da temere, ma un Padre, il cui amore è incondizionato.
Poi la richiesta è non tanto “Venga il tuo Regno”, ma il verbo significa “si estenda questo tuo regno”. Dal momento che c’è una comunità di discepoli che ha accolto le beatitudini di Gesù, il Regno di Dio c’è già. Per “Regno di Dio”, si intende non naturalmente uno spazio geografico, ma quell’ambito dove Dio governa i suoi e Dio non governa imponendo leggi che devono osservare, ma Dio governa comunicando il suo Spirito, la sua stessa capacità d’amore.
Poi abbiamo detto che il Padre Nostro ci è stato consegnato in tre versioni, ebbene tutte e tre le versioni contengono una parola greca che, nella lingua greca, non esiste, e a tuttora non si sa cosa significhi. “Dacci oggi il nostro pane …” , e poi c’è un termine che Girolamo, il primo grande traduttore del Vangelo, tradusse nel Vangelo di Matteo con il termine “supersostanziale”, cioè un pane che va al di là della sostanza, nel Vangelo di Luca tradusse con “quotidiano”, il pane di ogni giorno, poi nella versione liturgica è stato scelto il Vangelo di Matteo, ma è stato
 
sostituito il “supersostanziale” con il più facile “quotidiano”, che però crea l’equivoco come se a Dio bisognasse chiedere il pane.
E Gesù l’ha detto chiaramente “non preoccupatevi di quello che mangerete”. Allora questo pane che va al di là della sostanza, chi è? E’ la figura di Gesù. Gesù è a la fonte di vita della comunità; fonte di vita come Parola e come pane nell’Eucaristia. E poi la richiesta di cancellare quelle che sono le colpe e i peccati degli uomini, motivandoli dal fatto che vengono cancellate non le colpe degli altri nei nostri confronti, ma cancellati i debiti dei debitori.
Qui si tratta proprio di debiti materiali. Una comunità che ha ricevuto e raccolto il messaggio delle Beatitudini non può essere composta da debitori e creditori, ma tutti fratelli che condividono quello che hanno gli uni con gli altri. Allora la prova, la sicurezza, che si è a posto con Dio, che c’è la presenza di Dio, è che al nostro interno non esistono debitori e creditori, ma tutti fratelli.
E infine, l’ultima richiesta, “non abbandonarci nella tentazione”, letteralmente “la prova”. Qual è questa prova nella quale la comunità chiede di non essere abbandonata? E’ la prova nella quale è caduta. Gesù aveva chiesto ai discepoli, portandoli al monte degli ulivi, di stare con lui, di pregare con lui per essergli vicini per affrontare il momento della cattura e della morte, e hanno fallito tutti quanti.
Allora la comunità, cosciente di tutto questo, chiede di non essere abbandonata nel momento della prova e della persecuzione. E poi tutto l’insegnamento di Gesù continua invitando ad avere una piena fiducia nell’amore del Padre e, moltiplicando i verbi per tre volte – il “tre” significa quello che è pieno, definitivo – dirà “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto”.
Quindi piena fiducia nel Signore, ma Gesù dice anche che cos’è che bisogna chiedere, che cos’è che lui garantisce verrà esaudito. “«Se dunque voi che siete cattivi»”, cattivi in rapporto all’amore del Padre, “«sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà Spirito Santo a quelli che glielo chiedono»”.
Ecco, qui Gesù si impegna, garantisce, che venga dato nella preghiera. Che cos’è lo Spirito Santo? E’ la forza che serve per realizzare il progetto del Padre. Come abbiamo detto Dio non governa gli uomini emanando leggi, ma comunicando il suo Spirito.
Allora Gesù garantisce che questa richiesta dello Spirito, questa verrà senz’altro esaudita. Tutte le altre sono già esaudite perché il Padre, un Padre che è buono nei confronti dei figli, si preoccupa già di loro prima che questi glielo vadano a richiedere.




crisi del clero nella chiesa

 

 

spunti e indicazioni (tratti da Adista) per meglio mettere a fuoco il problema ormai annoso che vede il clero cattolico in profonda crisi:

Per risolvere la crisi dei preti nella chiesa non basta farli sposare, anzi sarebbe un peggiorare la situazione. Occorre ridefinire prima di tutto la missione e l’identità della chiesa e all’interno di essa concepire una nuova situazione, completamente diversa dall’attuale, dei preti. Può essere molto illuminante questa proposta del Gruppo Advent.

Che tipo di prete vogliamo?

1. Non vogliamo qualcuno che si senta una vocazione sacerdotale, che si senta chiamato da Dio.Non dobbiamo perdere di vista la base del ministero presbiterale che è la comunità. È la comunità che chiama per il servizio della comunità.

2. Non vogliamo qualcuno che è stato allontanato dalla comunità e isolato per i sei anni della formazione. La maturità appropriata a un leader della comunità non può che svilupparsi in seno alla comunità (…)

3. Non vogliamo qualcuno che sia paracadutato dall’esterno della comunità (…).La nostra teologia, la nostra spiritualità devono essere incarnate. Devono potersi sviluppare nel terreno della cultura particolare, nazionale e locale.

4. Non vogliamo un prete che si considera “in carica”.È la comunità ad avere “in carico” la propria vita (…). Troppi nostri preti sono oberati da un terribile senso di “responsabilità”.

5. Non vogliamo un prete che si veda come un manager della parrocchia.Il suo settore di attività è la preghiera e la crescita spirituale dei membri della comunità, prete incluso, affinché vivano la loro vita come membri del Regno di Dio.

6. Non vogliamo una persona che sia per forza altamente qualificata nei domini del diritto canonico, della storia o della teologia dogmatica.Dobbiamo riflettere su quali dovrebbero essere le esigenze di una teologia più “pastorale” (…).

7. Non vogliamo un prete il cui ruolo sia semplicemente quello di dire messa e amministrare i sacramenti.Di conseguenza, abbiamo bisogno di molti più preti scelti nella comunità, magari part time, affinché abbiano il tempo e la possibilità di condividere tutti i diversi aspetti della vita della comunità.

8. Non vogliamo un prete celibe. Il prete può essere celibe o no, ma questo dato non deve essere considerato parte del suo ministero. Psicologicamente questo lo taglia fuori da tante cose della vita della comunità.

9. Non vogliamo un prete che non sia rappresentativo della comunità. Contiamo la proporzione maschio/femmina tra i banchi delle chiese e finiamola con la discriminazione.

10. Non vogliamo un prete obbediente, una persona che dice sempre sì, rigida e inflessibile, Legge alla mano e agli ordini dei vescovi.Il Vangelo è un vangelo di libertà per il servizio. Abbiamo bisogno di una persona coraggiosa, pronta ad agire secondo la propria coscienza. La capacità di esprimersi e di dialogare, tanto con la comunità che con l’istituzione, è essenziale.

11. Non vogliamo un prete che “sa tutto”.Il prete deve essere allievo per tutta la sua vita, capace di unirsi alla comunità come il capo famiglia in Matteo 13, che trova «cose antiche e cose nuove» nella riserva del Regno di Dio.

12. Non vogliamo una persona che ostenta simboli di superiorità e isolamento.Il suo abito e il suo stile di vita dovrebbero essere quelli della comunità.

13. Non vogliamo un purista liturgico per il quale le categorie sono più importanti del contenuto.La flessibilità, la sperimentazione e l’apprendimento sul campo sono il solo modo di crescere insieme.

14. Non vogliamo un prete la cui visione è limitata a ciò che si è sempre fatto.L’immaginazione è necessaria, lo sguardo rivolto all’esterno, in modo tale che, con il senso della storia, noi possiamo affrontare ciò che accade, ciò che cambia nella realtà della nostra tradizione comunitaria. È necessaria una visione per proiettarsi con coraggio verso il futuro.

15. Non vogliamo qualcuno che si veda come alter Christus.Questa arroganza eleva il prete al di sopra del popolo di Dio, corpo di Cristo. Il prete presiede all’altare come rappresentante della comunità ed è quest’ultima a celebrare.
(DA “ADISTA” N. 27)




grazie Fiorella del tuo bello sguardo sulla realtà

 

cammino

una, per me, anonima Fiorella ha postato su fb questa bella descrizione: mi ha colpito molto fino a volerla abbracciare forte forte:

Io lo conosco…So che la mattina anche se non ha molta voglia, Lui si alza presto e dopo essersi lavato e aver pregato, prende il suo zaino e il suo motorino, se non ha un passaggio in auto, si reca sul luogo di lavoro. Qui “prepara” la sua merce,mettendola in bella mostra e inizia il suo percorso, a volte cambia direzione ma, dove cammina, è sempre il solito suolo, la sabbia. Lui ci tiene al suo lavoro, anche se si “vergogna” un pochino, perché trova persone che lo offendono dicendo anche solamente: non voglio nulla, siete troppi, non avete voglia di lavorare, ecc. ecc. Lui non spaccia droga, Lui non ruba alle vecchiette, Lui non fa del male a nessuno….Lui vuole guadagnare qualcosa dignitosamente, vuole aiutare la sua famiglia di quel poco che può, la sua famiglia in Senegal è troppo importante per Lui. Ogni tanto si riposa sotto una pineta per chiudere un pochino gli occhi, i suoi dolci occhi, e sogna un mondo “diverso”, dove la dignità regna sovrana, dove l’amore è puro, dove la vita è sacra.
Questo è il ” VU CUMPRA’ “….
Tu sei l’essere più bello al mondo, Tu sai dare serenità a chi non ce l’ha, Tu sai dare amore a chi l’amore l’aspetta da tempo…TU sei TU .
Con infinito affetto e amore.
  Fiorella




un papa ‘liberatore’ per L. Boff

albero fiorito

pur essendo ancora troppo presto per una valutazione-bilancio del pontificato di papa Francesco, L. Boff delineain punti chiava  rilevanti e velocissimi la fisionomia positiva del nuovo pontificato definendolo addirittura ‘liberatore’

Un papa «liberatore»

di Leonardo Boff

  È azzardato fare un bilancio del pontificato di Francesco, è passato ancora troppo poco tempo per averne una visione d’insieme. In una sorta di lettura braille, che coglie solo i punti rilevanti, potremmo qui elencarne alcuni. 1. Dall’inverno ecclesiale alla primavera: veniamo da due pontificati che sono stati caratterizzati da un ritorno alla grande disciplina e dal controllo delle dottrine. Tale strategia ha dato luogo a una specie di inverno che ha congelato molte iniziative. Con Papa Francesco, venuto da fuori della vecchia cristianità europea, dal Terzo Mondo, è arrivata una ventata di speranza, di sollievo, di allegria di vivere e pensare la fede cristiana. La Chiesa è tornata ad essere una casa spirituale. 2. Da fortezza a casa aperta: i due Papi precedenti avevano lasciato l’impressione che la Chiesa fosse una fortezza, accerchiata da nemici dai quali avremmo dovuto difenderci, in particolare il relativismo, la modernità e la postmodernità. Papa Francesco ha detto chiaramente: «Chi si avvicina alla Chiesa deve trovare porte aperte, non dei doganieri della fede»; «Preferisco una Chiesa incidentata perché è uscita in strada a una Chiesa malata perché chiusa». Più fiducia, quindi, e meno paura. 3. Da Papa a vescovo di Roma: tutti i Pontefici precedenti si consideravano Papi della Chiesa universale, portatori del supremo potere su tutte le altre chiese e su tutti i fedeli. Francesco preferisce definirsi vescovo di Roma, recuperando la memoria più antica della Chiesa. Vuole presiedere nella carità e non come previsto dal diritto canonico, considerandosi solo il primo tra uguali. Rifiuta il titolo di Sua Santità, ricordando che «siamo tutti fratelli e sorelle». Si è spogliato di tutti i titoli di potere e onorifici. Il nuovo Annuario Pontificio appena uscito, sulla cui pagina iniziale dovrebbe esserci il nome del Papa con tutti i suoi titoli, reca semplicemente: Francesco, vescovo di Roma. 4. Dal palazzo al convitto: il nome Francesco è più che un nome, sta a indicare un altro progetto di Chiesa sulle orme di San Francesco d’Assisi: «Una Chiesa povera per i poveri», come ha detto, umile, semplice, con «l’odore delle pecore» e non dei fiori dell’altare. Per questo ha lasciato il palazzo apostolico per andare a vivere in un convitto, in una camera semplice, e mangia alla mensa con gli altri ospiti. 5. Dalla dottrina all’esperienza: Francesco non si presenta come dottore, ma come pastore. Parla partendo dalla sofferenza umana, dalla fame nel mondo, dagli immigrati africani sbarcati a Lampedusa. Denuncia il feticismo del denaro e il sistema finanziario mondiale che martirizza interi Paesi. Con questi atteggiamenti riprende le basi della teologia della liberazione, senza bisogno di citarla. Dice: «Oggi come oggi, se un cristiano non è un rivoluzionario, non è cristiano; deve essere rivoluzionario per la grazia». E continua: «Coinvolgersi in politica è un obbligo per il cristiano, perché la politica è una delle forme più alte di carità». E alla Presidente Cristina Kirchner ha detto: «È la prima volta che abbiamo un Papa peronista», non ha infatti mai nascosto la sua simpatia per il peronismo. I Papi precedenti gettavano una luce sospetta sulla politica, adducendo un’eventuale ideologizzazione della fede. 6. Dall’esclusività all’inclusione: i Papi precedenti, e in particolar modo Benedetto XVI, hanno enfatizzato l’esclusività della Chiesa Cattolica, unica erede di Cristo, al di fuori della quale si è a rischio di perdizione. Francesco, il vescovo di Roma, preferisce il dialogo tra le Chiese in una prospettiva di inclusione anche con le altre religioni, per rinsaldare la pace mondiale. 7. Dalla Chiesa al mondo: I Papi precedenti davano centralità alla Chiesa, rafforzandone le istituzioni e le dottrine. Per Papa Francesco i punti cardine sono: il mondo, i poveri, la tutela della Terra e l’attenzione nei confronti della vita. La questione è: come le Chiese aiutano a difendere la
vitalità della Terra e il futuro della vita? Come si percepisce, sono un nuovo vento, una nuova musica, nuove parole per i vecchi problemi, che ci permettono di pensare ad una nuova primavera della Chiesa.