il grido di R. Saviamo: proteggere la democrazia

 

 

 

bacino

Saviano lancia un vero allarme sulla necessità di proteggere la democrazia

alla mafia non interessano i soldi dei politici ma i soldi che i politici fanno guadagnare loro: la politica è solo un mezzo per velocizzare il profitto

è importante tener di conto questo mentre al senato sta votandosi il testo del nuovo articolo che regola in maniera complessiva i rapporti della politica con la mafia

(vedi link qui sotto)

 

PPROTEGGERE LA DEMOCRAZIA (Roberto Saviano)..

lo ‘stile informale’ di papa Francesco

 

il papa bacia il bambino

sicuramente non si era mai visto un papa così: non perché faccia delle cose straordinarie ma perché fa cose ordinarissime con assoluta normalità

questo la dice lunga sulle nostre tradizionali rappresentazioni della figura del papa più costruzione di culto della personalità che espressione di spirito evangelico

ciò è importante per un ripensamento globale non solo del modo di essere chiesa nel mondo e del potere spirituale delle gerarchie religiose, ma anche dell’uso del potere politico nella nostra società

una bella riflessione in merito da parte di A. Serra nella sua ‘amaca’ odierna:

 

Se fa tanta impressione lo “stile informale” di Bergoglio, che sale sull’aereo con la sua valigetta in mano, è perché fin qui il Papa è stato assai più un re che un prete. Lo sfarzo e la pompa controriformista hanno tracciato un segno ininterrotto, e dagli abiti paludatissimi al protocollo sempre solenne ogni Papa è apparso al popolo come un’altissima autorità secolare anche quando tentava di esercitare la sua funzione spirituale. Anche a queste ragioni è dovuta la simpatia quasi “a prescindere” che il Dalai Lama e altri esponenti delle religioni e delle filosofie orientali riscuotono in Occidente da molti anni: un capo spirituale che mostra semplicità di modi e di abbigliamento è meno confondibile con i potenti e con i ricchi (l’abito fa il monaco…).
Anche per i non credenti diventa piuttosto appassionante capire se e quanto questa rivoluzione formale potrà incidere sulla Chiesa di Roma, smantellarne almeno in parte la greve presenza secolare e gli enormi interessi economici. È comunque una lezione per la politica, che deve molta della sua impopolarità all’incauto uso del potere e alla distanza dagli umili.

Da La Repubblica del 23/07/2013.

l’importanza delle vacanze

perché si va in vacanza? chiaramente per ‘staccare’, perché si è stanchi e si ha bisogno di operare un distacco con ciò che la quotidianità ti offre in modo monotono logorandoti nella tua creatività e voglia di nuovo

andare in vacanza è quindi un modo per migliorarsi, per scoprire nuovi aspetti di noi, per fare nuovi progetti innovativi per la nostra vita, sempre che la vacanza sia vissuta in modo significativo e liberante

il sito di psicologia ‘pollicino era un grande’ offre una bella riflessione in questo senso che merita leggere

(vedi link qui sotto?

Il Bisogno di “staccare” – Psicologia del “Sì” alla Vacanza e alla Natura!.

a proposito di ‘senso di responsabilità’

 

 

 

orchidee

il ‘senso di responsabilità’ cui ogni giorno Napolitano richiama le varie forze politiche è senz’altro di primaria importanza nella vita politica, ma quando rischia di coincidere col suo opposto perché inteso in modo tale che in suo nome si debba chiudere tutti e due gli occhi su situazioni di grande scandalo interno e internazionale allora …

in questo senso la bella ‘amaca’ odierna di M. Serra:
L’AMACA del 19/07/2013 (Michele Serra).

 

Il “senso di responsabilità” del quale il presidente Napolitano è il più autorevole e tenace depositario è un sentimento importante e rispettabile. Ha però un limite: non riconosce doveri fuori da se stesso. Non tollera smentite, non conosce eccezioni. Se — per esempio — la solidità di un governo viene considerata coincidente con il “senso di responsabilità”, allontanare un ministro che si è reso colpevole di una paurosa lesione del diritto democratico diventa, automaticamente, cosa contraria al “senso di responsabilità”. La vecchia destra comunista — fucina di notevoli personalità politiche, da Amendola a Chiaromonte allo stesso Napolitano — è stata, del “senso di responsabilità”, formidabile latrice. Ma ogni impennata etica, ogni accelerazione sociale, ogni eccessiva movimentazione del paesaggio politico veniva (e viene ancora) vista come una pericolosa, incontrollabile incrinatura del “senso di responsabilità”. Il caso Alfano non è il primo né l’ultimo nel quale viene da domandarsi quante giuste cause, quanti sacrosanti obiettivi, quanti atti di coraggio, quanti germi di novità sono stati scannati come agnelli sacrificali sull’ara del “senso di responsabilità”.

 

poveri, sempre più poveri!

 

 

bambino

secondo l’Istat 3 milioni di famiglie vivono in povertà

poveri, sempre più poveri : un milione e settecentoventicinquemila sono da considerarsi assolutamente povere

qui sotto una appropriata riflessione di Chiara Saraceno:

UN ARGINE ALLA POVERTÀ (Chiara Saraceno)

Per il secondo anno consecutivo, e in modo più accentuato, è aumentata sia la povertà relativa (cioè in riferimento al tenore di vita medio, per altro diminuito nel 2012 rispetto all’anno precedente) sia quella assoluta, che riguarda l’impossibilità di acquistare un paniere di beni essenziali. In entrambi i casi, il peggioramento riguarda tutte le aree territoriali (anche se nel Mezzogiorno l’incidenza della povertà relativa è oltre tre volte quella del Centro-Nord e quella assoluta quasi doppia) e quasi tutti i tipi di famiglie: le più giovani e le meno giovani, quelle più numerose e quelle più piccole, quelle in cui nessun adulto è occupato ma anche, in minor misura, quelle con occupati, le famiglie di operai e, in minor misura, quelle di impiegati. La disoccupazione ha ridotto il numero di percettori di reddito in famiglia, la riduzione dell’orario di lavoro e la cassa integrazione hanno ridotto il reddito degli occupati. Sono soprattutto le famiglie relativamente giovani e con figli minori quelle che hanno visto peggiorare maggiormente la propria situazione. Si trova in condizione di povertà assoluta, cioè non in grado di alimentarsi adeguatamente e di far fronte alle necessarie spese per l’abitazione, il 17,1% delle famiglie con tre o più figli minori (oltre il 6% in più dell’anno precedente), e il 10% (quasi il doppio dell’anno precedente) di quelle con due. Le percentuali sono più alte – rispettivamente 28,5 e 20,1 per cento – nel caso della povertà relativa. I minori e le loro famiglie si confermano così i soggetti più vulnerabili alla povertà nel nostro Paese. I minori in condizione di povertà assoluta sono un
milione e 58 mila, un quarto di tutte le persone in queste condizioni. Un dato impressionante in un Paese in cui periodicamente ci si lamenta per la bassa fecondità e ci si preoccupa, giustamente, dei Neet, dei giovani che non sono né a scuola né al lavoro, ma poco o nulla si fa per evitare che un’ampia porzione dei bambini che ci sono cresca in condizioni materiali inadeguate. La vulnerabilità dei minori è particolarmente alta se abitano nel Mezzogiorno e se nessun adulto in famiglia è occupato. Quasi la metà di tutti coloro che sono in condizioni di povertà assoluta, infatti, vive nel Mezzogiorno, dove è anche più alta l’incidenza di famiglie in cui nessuno è occupato o ritirato dal lavoro. Tra queste ultime, a livello nazionale si trova in povertà assoluta il 30,8% delle famiglie (l’8,5% in più rispetto all’anno prima). La mancanza di occupazione, e il suo prolungarsi senza speranza, sta diventando un disastro antropologico, che allarga le sue conseguenze dagli individui alle famiglie, dagli adulti ai più piccoli.
Solo per gli anziani che vivono da soli l’incidenza della povertà assoluta non è aumentata e quella della povertà relativa è diminuita un po’ (per effetto del peggioramento complessivo del restante della popolazione). È probabilmente l’effetto positivo del mantenimento dell’indicizzazione per le pensioni più basse. Stante l’elevato numero di coloro che – come segnalato ieri dal rapporto annuale Inps – hanno una pensione attorno, o inferiore, ai 500 euro, esso non è stato tuttavia sufficiente a ridurre la povertà degli anziani che vivono con altri e la cui pensione è talvolta l’unico reddito sicuro in
famiglia.
A parte le pensioni, ci si può interrogare sull’adeguatezza degli ammortizzatori sociali messi in campo. Sempre il rapporto Inps ha evidenziato che la spesa per il sostegno al reddito non è piccola: oltre 22 miliardi nel 2012, di cui sei per la sola cassa integrazione, il resto per indennità di disoccupazione e mobilità, invalidità civile, contributi figurativi e simili. Sicuramente queste misure di sostegno hanno impedito a molte famiglie di cadere in povertà assoluta. Ma, a fronte dell’aumento di quest’ultima e delle caratteristiche di chi la sperimenta, non ci si può esimere dal riflettere sui costi sociali della mancanza, nel nostro Paese, di due strumenti che in altri si sono rivelati piuttosto efficaci nel contrastare gli effetti più negativi della povertà. Il primo è l’assegno per i figli, che aiuti chi ha figli a sostenerne il costo, perciò impedendo che la scelta individuale di investire sul futuro si traduca in povertà per sé e per i propri figli. Il secondo è un reddito di garanzia per chi si trova, appunto, in povertà, integrato da misure di inclusione e attivazione. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei occidentali a non avere né l’uno né l’altro strumento, affidandosi invece a misure frammentate e categoriali, che, mentre lasciano molti, di solito i più deboli, scoperti, talvolta beneficiano chi invece non ne avrebbe bisogno. Sarebbe opportuno che la presa d’atto dell’emergenza sociale evidenziata dai dati sulla povertà sollecitasse in tutti la necessità di una revisione della spesa per il sostegno al reddito, in direzione di una maggiore equità ed efficacia.

Da La Repubblica del 18/07/2013.

legge per la cittadinanza

Chaouki

INTERVISTA A KALID CHAOUKI: “LA MIGLIORE RISPOSTA A CALDEROLI? LA LEGGE PER LA CITTADINANZA” 
17 luglio 2013

 

 

«Ho proposto al mio gruppo di uscire dall’aula quando Calderoli presiederà la seduta di Palazzo Madama». Comincia così il nostro colloquio con Khalid Chaouki, il giovane deputato del Pd, nato a Casablanca e emiliano d’adozione. E’ una buona idea, un gesto simbolico importante, naturalmente unito all’impegno per una legge, presto, sullo ius soli. Khalid Chaouki è nato a Casablanca nel 1983 ma è cresciuto in Emilia. Oggi è un giovane deputato del Pd. E’ anche responsabile «Nuovi italiani» del partito di Epifani. Un ruolo delicato perché spesso è proprio lì – nel suo partito – che nasce “il problema”. Il presente è quello che è, un disastro, ma è anche vero che Khalid Chaouki ha il futuro davanti.

Dici che le sparate leghiste fanno parte di una strategia e che si rischia la caccia all’immigrato, per questo inviti a disertare l’aula qualora Calderoli dovesse presiederla. Gesti simbolici importanti, poi non credi che l’unica cosa da fare per il Pd sia battersi per lo ius soli?
La battaglia per le dimissioni di Calderoli è importante, anche se purtroppo non abbiamo molti strumenti a disposizione, ma è chiaro che a questo punto la migliore risposta sia una legge sulla cittadinanza. Noi ci impegneremo fino in fondo. Per i diritti degli stranieri, e per far fare un salto di qualità all’Italia, siamo un paese multietnico e dobbiamo imparare ad accettarlo. Io – e tanti parlamentari la pensano come me – sono convinto che sia necessario battersi ora, durante questa legislatura. A tutti i costi.

Se dipendesse da te, minacceresti di far cadere il governo?
La posta in gioco vale questo rischio. Non vedo perché la legge sulla cittadinanza non possa essere una priorità come l’Imu o l’Iva, stiamo parlando di diritti umani e mi sembra decisamente più importante.

Cécile Kyenge sarà anche il primo ministro nero della storia d’Italia, ma bisogna anche ammettere che fa parte di un governo che quasi nulla potrà concedere agli immigrati. La durata e la qualità politica delle “larghe intese” dipendono da Berlusconi e dalla peggior destra.
Lo so, questo è un governo che non ci piace. Ma il fatto che Cécile Kyenge ne faccia parte segnala comunque una rottura con i governi precedenti. Però non vorrei che, soprattutto a sinistra, lei diventi un simbolo per lavare la nostra coscienza. Noi ci impegniamo a sostenerla concretamente con il nostro lavoro, non ci accontentiamo di un simbolo, chiedo al governo di impegnarsi per riconoscerle un ruolo sempre più determinante. Roberto Calderoli non l’abbiamo scoperto ieri, portava i maiali a passeggiare davanti alle moschee, indossava magliette contro l’islam…

Il Pd, dopo venticinque anni di Lega, non ha alcuna responsabilità se oggi un personaggio simile è vice presidente del Senato?
Solo una premessa: questo incarico gli era dovuto per una questione di garanzia istituzionale. Detto questo, è evidente che negli anni il Pd ha colpevolmente sottovalutato il fenomeno Lega e il razzismo dei leghisti. Lo abbiamo scambiato per folklore, di più, alcuni nostri amministratori hanno scimmiottato la Lega sul tema della sicurezza. Ricordo il caso degli «stupratori rumeni»… e altri clamorosi errori di questo tipo. Adesso stiamo pagando un conto molto pesante per questo ritardo culturale. Ma le cose stanno cambiando al nostro interno, ci sono parlamentari nuovi, giovani, stiamo imparando a chiamare le cose con il loro nome: razzismo.

Non trovi che tutta questa indignazione sia un po’ ipocrita? Due anni fa, non venti, Pierluigi Bersani intervistato dalla Padania disse: «Non ho bisogno che qualcuno mi spieghi che la Lega non è razzista, lo so».
L’ho già detto, abbiamo commesso diversi errori. Nel passato, a più riprese, la Lega ha tentato di darsi un tono per recuperare credibilità, e noi ci siamo sempre augurati che quello fosse un partito diverso da quello che è. Invece le dichiarazioni di oggi, gli insulti al ministro, dimostrano che si tratta di una forza razzista con cui non possono esserci mediazioni.

Non ti senti un po’ isolato nel Pd?
La mia sfida è di fare da guida al partito su questi temi, siamo sempre di più, soprattutto tra i giovani, e confidiamo nella fiducia del segretario.

(da: “Il Manifesto”)

 

 

 

rossa bianchi

a proposito delle offese razziste del vicepresidente del senato Calderoli nei confronti della ministra Kienge l’0pinione di don Renato Sacco

una provvidenziale occasione sulle colpe anche delle nostre chiese locali che col loro silenzio sottovalutano e finiscono per legittimare

 Radici… cristiane? L’Opinione di… Renato Sacco

Nel 1977 esce il film ‘RADCI’, la storia di Kunta Kinte preso dal suo villaggio africano e portato schiavo in America.
In questi ultimi anni la Lega Nord ostenta le proprie ‘RADICI CRISTIANE’. Un binomio offensivo sia delle ‘radici’ che del ‘cristianesimo’. L’ultima conferma viene da Calderoli, vicepresidente del Senato, “Kyenge mi fa venire in mente un orango’. Non ci sono parole per commentare! Con buona pace del viaggio di Francesco a Lampedusa e della distribuzione a tappeto dei crocifissi, ecc.
Se una frase del genere fosse stata scritta in una tema da qualche studente, o detta da un professore cosa sarebbe successo? E se la dovessimo dire ad un carabiniere che ci ferma con la paletta per un controllo? Forse ci porterebbe direttamente in cella! E se lo dice il vicepresidente del Senato per insultare un ministro donna con la pelle nera? Tranquilli, sono le solite battute della Lega. E poi ha chiesto anche scusa. Non ci resta che aspettare la prossima.
Preoccupa anche quanto ha detto il Presidente del Piemonte Roberto Cota a proposito degli F35: “Per quanto riguarda le questioni etiche dobbiamo dire che se questi aerei non li facciamo noi, vuol dire che li produrranno altrove. Lasciamo quindi da parte certa ipocrisia”.
Ne viene fuori una bella linea educativa per i nostri ragazzi ai campi estivi! Un vero compendio di valori morali e cristiani oltre che civili e umani!
È un po’ come dire: ‘non porti troppe domande, tanto se una cosa brutta non la fai tu, la fa qualcun altro. Tu fai quello che ti conviene’. Forse, dirà qualcuno, anche questa frase va contestualizzata.
Sul sito di Famiglia Cristiana ho letto un bel commento di Francesco Anfossi. Come uomo e come parroco accolgo e condivido quanto ha scritto. “Calderoli si proclama cattolico e nessuno, nella comunità ecclesiale, si è mai scandalizzato per le sue affermazioni politiche. Nemmeno i parroci della sua terra, forse nel timore di perdere le pecorelle verdi del loro gregge. Per troppo tempo si è fatto finta di niente, covando nel silenzio l’anticristiana ideologia del “fuori chi mi dà fastidio, che siano uomini, donne e bambini”, spesso scambiandolo per la difesa di tradizioni pseudo cristiane. E così che questa sorta di veleno proto razzista è andato avanti, contaminando il Nord come i rifiuti tossici contaminano la Campania. Forse è venuto il momento, per tanta parte della Chiesa, per un’autocritica. E per levare una voce forte”.

per una rifondazione del cristianesimo: un nuovo concilio di Nicea?

nuovo concilio di Nicea
E’ il tempo di un nuovo concilio di Nicea

Quando l’imperatore romano Costantino convocò il Concilio di Nicea, nel 325 d.C., tanto la Chiesa quanto l’impero si trovavano in una situazione di incertezza e di instabilità. Poco più di un decennio prima, Costantino aveva legalizzato il cristianesimo, avendo riconosciuto il crescente potere sociale e finanziario dei cristiani all’interno dell’impero. Tuttavia, controversie, tumulti e violenze accompagnavano alcune questioni teologiche irrisolte, a cominciare da quella della relazione tra Dio Padre e Figlio. Come poteva il cristianesimo sostenere che Dio è uno e allo stesso tempo affermare la divinità del Figlio? In questo senso, come poteva il cristianesimo affermare che Gesù, un essere umano, era anche il divino Figlio di Dio?

I circa 300 vescovi che si riunirono a Nicea seguirono un cammino creativo per risolvere le questioni che avevano di fronte.

Per prima cosa, la necessità che coglievano di un’unità tra le diverse comunità cristiane dell’impero li condusse a creare formule del credo che escludessero il dissenso. I vescovi volevano promuovere l’unità nella Chiesa – e aiutare a mantenerla nell’impero – stabilendo chiaramente nel credo chi stava “nella” Chiesa e chi stava “fuori” di essa. Il Concilio optò per un cammino “o-o” per determinare chi potesse definirsi cristiano di fatto. Il messaggio era chiaro: o credete in questo modo, o state fuori.

In secondo luogo, l’ambiguità di certe affermazioni bibliche sulla relazione tra il Padre e il Figlio spinse i padri conciliari a incorporare creativamente nel credo categorie e termini filosofici, il più noto dei quali è homoousious, “consustanziale”, che i vescovi usavano per descrivere la relazione tra il Padre e il Figlio.

In terzo luogo, lo stesso fatto che i vescovi si riunissero rese il Concilio generale un modello per risolvere importanti questioni dottrinali nella Chiesa romana.

Ora, quasi 17 secoli dopo, ci troviamo nuovamente dinanzi a un bivio. I cattolici sono profondamente divisi su questioni relative alla teologia, all’autorità, all’interpretazione biblica, alla tradizione e al diritto canonico. I progressi realizzati in archeologia, nell’esegesi biblica, nella ricerca storica, in psicologia e in altre discipline mi inducono a chiedermi se il Credo Niceno sia sufficientemente elastico da incorporare le verità del cristianesimo così come queste – e i cristiani che lo professano – si sono evolute.

In questo momento della storia cristiana – iniziato con la saggia e coraggiosa rinuncia di papa Benedetto XVI –, abbiamo bisogno di un nuovo Concilio di Nicea, di un nuovo tentativo di unificare il popolo di Dio con coraggio e creatività utilizzando il veicolo di un Concilio generale.

La principale differenza tra il nuovo Concilio di Nicea e quello antico è che, questa volta, la Chiesa può costruire l’unità attraverso un approccio inclusivo “e-e”, anziché una posizione esclusivista “o-o”.

Il mio elenco di punti nell’agenda del nuovo Concilio di Nicea è eccessivamente ambizioso. Ma l’occasione che tale agenda rappresenta per unificare e dare impulso alla Chiesa è ugualmente enorme. Essa comprende:

• Una visione più attualizzata di Dio. La nostra comprensione dell’universo, nuova e in rapido mutamento, la nostra conoscenza sempre più profonda delle immagini di Dio in altre tradizioni religiose, le questioni che così a fondo ci interpellano riguardo alla possibilità che Dio impedisca tanto i mali morali quanto quelli naturali, tutto ciò rappresenta per la Chiesa una sfida a concentrarsi più su Dio come mistero, sconosciuto e inconoscibile, che su Dio come Essere Supremo eternamente immobile, onnisciente e onnipotente del neoplatonismo del IV secolo.

• Una comprensione più ampia di Gesù. Gli studi biblici moderni hanno rivelato molto sulla vita e sul ministero di Gesù – come ebreo, come ribelle, come leader del movimento del Regno di Dio – e ciò deve trovare posto accanto alle affermazioni tradizionali sulla generazione, sulla consustanzialità e sull’incarnazione.

• Una comprensione più estesa della salvezza. L’ortodossia nicena si è concentrata sulla morte e sulla resurrezione di Gesù come eventi soteriologici definitivi. Era implicita in questa posizione la credenza che l’umanità dovesse essere salvata dal peccato mediante la croce e la resurrezione. Ma studi recenti ci hanno mostrato che la salvezza dal peccato mediante la morte e la resurrezione non era l’unico paradigma soteriologico esistente tra i primi cristiani. Allo stesso modo, la filosofia esistenzialista contemporanea e la psicologia clinica hanno fatto emergere un modello di integrità personale centrato sull’autoconoscenza mediante terapia e introspezione come chiave per la salute e il benessere mentali. Sulla base di tali progressi, si deve ampliare la nostra comprensione della salvezza includendo gli insegnamenti di Gesù sulla necessità di superare l’ignoranza su se stessi.

• Una comprensione più profonda della rivelazione. La Chiesa primitiva stabiliva che la rivelazione di Dio in Cristo si era conclusa con la morte dell’ultimo apostolo. Allo scopo di combattere la minaccia degli gnostici, la Chiesa delle origini affermava che gli insegnamenti autentici di Gesù erano stati ricevuti e compresi solo dagli apostoli, e che tali verità continuavano ad essere comunicate accuratamente e con autorità solo dai loro successori, i vescovi. Senza negare la successione apostolica, la Chiesa deve affermare che la volontà divina continua ad essere rivelata oggi a tutti coloro che cercano sinceramente Dio.

• Una comprensione più piena dell’autorità e del ministero. Scritti cristiani primitivi da poco scoperti, come il Vangelo di Maria, evidenziano come le donne svolgessero importanti ruoli di leadership nella Chiesa primitiva, ruoli che vennero soppressi nel corso del tempo. Il nuovo Concilio di Nicea potrebbe generare un nuovo sguardo su come e da chi deve essere esercitata l’autorità nella Chiesa e su chi può essere ordinato per il ministero liturgico.

• Un canone più esteso della Scrittura. Senza alterare il canone attuale, la Chiesa dovrebbe intraprendere un’attenta revisione di quei testi considerati eretici dalla Chiesa primitiva – per ragioni che all’epoca potevano avere un senso – ed espandere il canone delle Scritture cristiane includendo scritti che appaiono coerenti con le rinnovate interpretazioni su Dio, Gesù, la salvezza, la rivelazione e l’autorità sopra descritti.

• Un nuovo credo. Considerando tutto ciò che è stato detto, non sarebbe il momento, per la Chiesa, di formulare un nuovo Credo Niceno, un Credo per il XXI secolo, che articoli gli elementi centrali del cristianesimo nel modo in cui li abbiamo compresi e affermati a partire dalla conclusione del Credo di Nicea nel 381? Di fatto, il nuovo Credo Niceno non sarebbe assolutamente “nuovo”: incorporerebbe la comprensione più profonda e più completa dei misteri cristiani trasmessa da 17 secoli di ricerca, riflessione ed esperienza di vita, sotto l’orientamento e l’ispirazione dello Spirito Santo.

Un nuovo Concilio di Nicea è un’occasione d’oro perché la Chiesa renda i suoi principali insegnamenti più rilevanti, trasformatori e inclusivi. Questo è il momento: la nostra opportunità per costruire una mensa più grande per il banchetto del Signore.

di Mark Etling (da adista documenti 24)

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