ancora stragi di migranti

Il naufragio senza fine dell’Unione europea

Non si fermano le stragi di migranti nel Mediterraneo. Colpa di politiche di accoglienza inefficaci

 

 

 naufragio
Se non fosse una tragedia ci sarebbe quasi da sbuffare: ancora? Di nuovo gli stessi argomenti? Ma quante volte ne abbiamo già parlato? Quante volte abbiamo già parlato dei migranti che affrontano sforzi inenarrabili per fuggire dai propri paesi in guerra e arrivare sulle sponde del Mediterraneo in cerca del “miracolo” di un barcone sfasciato sul quale vendere a caro prezzo ai trafficanti il sogno di una vita nuova in un luogo in pace? E quante volte abbiamo fatto la conta di quelli  che si è presi il mare, anche se sarebbe più esatto dire che se li è presi l’avidità di alcuni e l’indifferenza di altri? “Vergogna”, ha detto solo Papa Francesco quando nello scorso ottobre ebbe notizia dell’ennesimo naufragio: morirono 366 persone e ancora il mare sta restituendo altri corpi. Eppure la strage non si ferma: il 12 maggio un altro barcone è naufragato a un centinaio di miglia a sud di Lampedusa e i mezzi navali dell’operazione “Mare nostrum” che pattugliano la zona proprio per intercettare i natanti con il loro carico umano, sono riusciti a portare in salvo circa 200 persone mentre almeno 40 sono i morti accertati. Aleteia è andata ancora una volta a bussare al Centro Astalli per i rifugiati dei gesuiti, a Roma, e a interrogare il suo responsabile, p. Giovanni La Manna.
 
 
L’ennesima tragedia di migranti morti in mare: non era stato detto “mai più”?

La Manna: Il “mai più” lo devono realizzare quanti hanno la responsabilità di governare questo fenomeno. E’ veramente triste in queste ore assistere al rimpallo di responsabilità tra l’Unione europea e l’Italia. E’ preoccupante che la Commissione europea affermi di aver chiesto all’Italia “cosa fare”: non dovrebbe essere in grado di valutare il fenomeno in modo autonomo? Il 3 ottobre 2013, dopo la tragedia dei 366 immigrati morti al largo di Lampedusa, la Commissione si è recata sull’isola e cosa ha capito? Vedendo le salme di tutte quelle persone sul molo e nel capannone l’Unione europea quale opinione si è fatta di questo problema? Non si è posta la domanda su cosa fare per evitare queste tragedie? Non se lo è chiesto e per questo le tragedie si ripetono.

Cosa dovrebbe fare?

La Manna: L’Unione europea, piuttosto che perdersi in polemiche ed esprimere frasi fatte di cordoglio e commozione, deve agire con giustizia e dignità. L’unica strada degna che deve percorrere – sebbene sia già in ritardo – è quella della creazione di corridoi umanitari attraverso i quali far arrivare in sicurezza in Europa i profughi, specialmente quelli siriani, per poi distribuirli in modo equo tra i vari stati. I numeri che possono spaventare una nazione in difficoltà non possono spaventare l’Unione europea nel suo complesso. Solo così si possono sottrarre i profughi che scappano dai conflitti e dalle persecuzioni allo sfruttamento dei trafficanti. E’ tempo di agire. Basta morti in mare. “Mare nostrum” è uno strumento che riesce a salvare delle vite ma non tutte e sono evidenti i limiti di una operazione che pure è positiva.

Eppure qualcuno, proprio in questi giorni, ha definito “Mare nostrum” un’operazione “cretina”…

La Manna: Sono esternazioni che nemmeno voglio prendere in considerazione, frutto della povertà culturale e umana che stiamo vivendo. Un tempo ci si sarebbe vergognati di pensare ed affermare una cosa del genere.

L’idea dei canali umanitari è nuova?

La Manna: L’Unione europea prevede già dei programmi grazie ai quali dai campi profughi le persone vengono portate in salvo nei paesi che attivano questi programmi di reinsediamento. Però siamo ancora troppo timidi o impauriti o indifferenti. Occorre intensificarli. Tutti i Paesi europei riconoscono il diritto all’asilo politico ma come fanno le persone ad arrivare nei nostri paesi per esercitare il diritto che riconosciamo loro? Oggi l’unico strumento per sfuggire dal proprio paese per un siriano è affidarsi a un trafficante e sperare che, prima di affondare, il barcone incontri una delle navi di Mare nostrum. Si conta che in Libano ci siano un milione di siriani: quanto inciderebbe la loro presenza sui 500 milioni che costituiscono la popolazione europea? E’ triste che l’Europa non senta il peso di tante morti sulla coscienza. Forse sono troppo lontani.

Al Centro Astalli c’è stato un aumento dei profughi che chiedono aiuto?

La Manna: Sì ed è drammatico. Non c’è un sistema unitario e questo penalizza le persone che poi non trovando posto finiscono negli stabili occupati in città in condizioni indegne dal punto di vista della sicurezza e dell’igiene. In Italia c’è un sistema pensato per affrontare sempre il problema con un’ottica emergenziale: ricerca di posti per tre mesi e 30 euro al giorno. Che progettualità c’è in un’accoglienza del genere? In tre mesi una persona cosa può fare per inventarsi un futuro? Se invece, come noi richiediamo da sempre, il sistema di accoglienza fosse pensato con un’ottica progettuale si potrebbero porre da subito le condizioni per l’autonomia delle persone e una vera integrazione. Oggi, invece, si sprecano risorse senza costruire nulla.
  

sources: ALETEIA

Lettera dal fondale del Mediterraneo 

di Hamid Barole Abdu:

Cara mamma, ti scrivo da un acquario/ uno spazio infinito senza mormorio /dove tutti dormono sonni profondi/ come le mummie dei faraoni. /Qui il tempo non è scandito da notte e dì/ C’è tanta pace, è una vita da angeli/ un vero Paradiso nel fondale marino,/ si vive senza acqua e senza cibo/ non si lavora e non si fa alcuna attività/ ci si rilassa in eternità.
Cara mamma, ti chiedo scusa / quando me ne andai non dissi nulla / la partenza fu per me uno scherzo/ avrei voluto salutarti e darti tanti baci,/ farmi stringere dai tuoi abbracci/ come hai sempre fatto prima che io uscissi/ per andare a scuola o per giocare./ So che mi perdonerai/ nelle preghiere mi ricorderai.
Cara mamma, ho tanta voglia di scriverti,/ le mie avventure sono tante:/ era la prima volta che salpavo sul barcone/ con altri coetanei del quartiere./ Il mare era sereno con un bel sole/ l’alba silenziosa senza parole/ gabbiani sopra le nostre teste volavano /a modo loro ci auguravano buon viaggio./ Dopo alcuni giorni senza acqua né cibo/ con gli occhi sbarrati notte e giorno./ Il barcone in mezzo al mare/ il motore smise di funzionare./ Le nostre risate furono interrotte dal panico/ onde alte iniziarono a farci sollevare,/ e tutti coperti dal barcone rovesciato/ nessuno di noi sapeva nuotare/ e così fummo risucchiati in fondo al mare.
Cara mamma, ti ricordi quando ero bambino,/ una gran paura avevo dell’acqua/ persino nella bacinella non volevo lavarmi/
mi versavi l’acqua con i piedi inchiodati per terra.
Cara mamma, ti scrivo da qui: dal fondale abitato da gente di tutto il mondo/ piccoli, adulti e famiglie intere/ una grande comunità/ scheletri nel limbo in fondo al mare.
 
(lettera pubblicata sul sito web Combonifem)
 

 

gli auguri pasquali di Erri De Luca

 pasqua: festa  per migratori che si affrettano al viaggio non per tranquilli residenti

 

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Pasqua è voce del verbo ebraico “ pèsah “, passare.
 Non è festa per i residenti, ma per i migratori che si affrettano al viaggio.
 Da non credente vedo le persone di fede così, non impiantate in un
 centro della loro certezza
 ma continuamente in movimento sulle piste.
 Chi crede è in cerca di un rinnovo quotidiano dell’energia di credere,
 scruta perciò ogni segno di presenza.
 Chi crede, insegue, perseguita il suo creatore
 costringendolo a manifestarsi.
 Perciò vedo chi crede come uno che sta sempre su un suo “ pèsah “, passaggio.
 Mentre con generosità si attribuisce al non credente un suo cammino di ricerca,
è piuttosto vero che il non credente è chi non parte mai,
 chi non s’azzarda nell’altrove assetato del credente.
 Ogni volta che è Pasqua, urto contro la doppia notizia delle sacre  scritture,
 l’uscita dall’Egitto e il patibolo romano della croce piantata sopra
Gerusalemme.
 Sono due scatti verso l’ignoto.
 Il primo è un tuffo nel deserto per agguantare un’altra terra e una
 nuova libertà.
 Il secondo è un salto mortale oltre il corpo e la vita uccisa,
 verso la più integrale resurrezione.> Pasqua / pèsah è sbaraglio prescritto, unico azzardo
 sicuro perché affidato alla perfetta fede di giungere.
 Inciampo e resto fermo, il Sinai e il Golgota non sono scalabili da
 uno come me, che pure in vita sua ha salito e sale cime celebri e
 immense.
 Restano inaccessibili le alture della fede.
 Allora sia Pasqua piena per voi che fabbricate passaggi
 dove ci sono muri e sbarramenti, per voi apertori di brecce,
 saltatori di ostacoli, corrieri ad ogni costo,
 atleti della parola pace.

                 Erri De Luca.

la bellezza di una vera carezza

 

una bella riflessione di L. Boff sulla carezza che quando è vera e autentica diventa ‘essenziale’, cioè veicola tutta la persona,”la carezza è essenziale quando si trasforma in una attitudine, in un modo-di-essere che qualifica la persona nella sua totalità, nella psiche, nel pensiero, nella volontà, nella interiorità, nelle relazioni”
“è urgente al giorno d’oggi riscattare negli esseri umani la dimensione della carezza essenziale”

  

Perché diciamo carezza essenziale? Perché vogliamo distinguerla dalla carezza come puro moto psicologico, in funzione di un volersi bene fugace e senza storia. La carezza-emozione non abbraccia tutta la persona. La carezza è essenziale quando si trasforma in una attitudine, in un modo-di-essere che qualifica la persona nella sua totalità, nella psiche, nel pensiero, nella volontà, nella interiorità, nelle relazioni.
L’organo della carezza è, fondamentalmente, la mano: la mano che tocca, la mano che consola, la mano che stabilisce relazioni, la mano che culla, la mano che porta serenità. Ma la mano è più che una mano. E’ l’intera persona che attraverso la mano e nella mano rivela un modo-di-essere affettuoso. La carezza tocca l’essere umano nel profondo, là dove è situato il Centro della persona. Affinché la carezza sia veramente essenziale dobbiamo coltivare l’io profondo, quella ricerca del più intimo e vero in noi e non soltanto l’ego superficiale della coscienza sempre piena di preoccupazioni.
La carezza che emerge dal Centro offre integrazione e fiducia. Da lì il significato di accarezzamento. Nell’atto di accarezzare un bambino, la madre gli comunica l’esperienza più orientatrice che esista: la fiducia fondamentale nella bontà della vita; la fiducia che, in fondo, nonostante le numerose distorsioni, tutto ha senso; la fiducia che è la pace, e non un incubo, la realtà più vera; la fiducia di essere accolti nel grande Utero.
Come anche la tenerezza, la carezza esige totale altruismo, rispetto per l’altro e rinuncia a qualsiasi altra intenzione che non sia quella dell’esperienza di voler bene e di amare. Non è un contatto di pelle, ma un investimento di carezza e di amore attraverso la mano e la pelle, pelle che è il nostro io concreto.
L’affetto non esiste senza carezze, tenerezza e premure, così come una stella ha bisogno di un’aura per brillare, allo stesso modo l’affetto ha bisogno della carezza per sopravvivere. E’ la carezza della pelle, dei capelli, delle mani, del viso, delle spalle, dell’intimità sessuale che dona concretezza all’affetto e all’amore. È la qualità della carezza che impedisce all’affetto di essere bugiardo, falso o dubbio. È la carezza essenziale come socchiudere dolcemente la porta. Non esiste carezza nella violenza quando si sfondano porte e finestre, cioè nell’invasione dell’intimità della persona.
Lo psichiatra colombiano Luis Carlos Restrepo, che ha scritto un bel libro su «Il diritto alla tenerezza» (Vozes 1998), dice con precisione: «La mano, organo umano per eccellenza serve tanto per accarezzare quanto per afferrare. Mano che afferra e mano che accarezza sono due facce estreme delle possibilità di un incontro Inter-humano”.
In una riflessione culturale più ampia, la mano che afferra dà corpo al modo-di-essere degli ultimi quattro secoli della cosiddetta modernità.
L’asse articolatore del paradigma moderno è la volontà di afferrare tutto per possedere e dominare. L’intero continente latino americano fu afferrato e praticamente decimato dall’aggressione militare e religiosa degli iberici. Poi venne l’Africa, la Cina, tutto quello che si può afferrare, fino alla Luna.
I moderni afferrano dominando la natura, sfruttando i suoi beni e servizi senza nessuna considerazione di rispetto dei suoi limiti e senza dar-le tempo di riposo per potere riprodurre. Oggi cogliamo i frutti avvelenati di questa pratica senza alcuna premura e lontana da qualsiasi sentimento di carezza verso quello che vive e è vulnerabile.
Afferrare è l’espressione di potere su, di inquadramento dell’altro o delle cose al mio modo-di-essere.
Se osserviamo attentamente, non è avvenuta una mondializzazione, nel rispetto delle culture nella loro ricca diversità. Quello che è avvenuto si chiama occidentalizzazione del mondo, e nella sua forma più pedissequa: una amburgherizzazione dello stile di vita nordamericano imposta a tutti i quadranti del pianeta.
La mano che accarezza rappresenta l’alternativa necessaria: il modo-di-essere-cura, dato che “la carezza è una mano rivestita di pazienza che tocca senza ferire e ti lascia per permettere la mobilitazione dell’essere con il quale entriamo in contatto” (Restrepo).
È urgente al giorno d’oggi riscattare negli esseri umani la dimensione della carezza essenziale.
Essa sta dentro di noi tutti, sebbene coperta da un grosso strato di cenere di materialismo, di consumismo e di futilità. La carezza essenziale ci restituisce la nostra umanità perduta. Nel suo significato migliore rafforza pure il precetto etico più universale: trattare umanamente ogni essere umano, cioè con comprensione, con accoglienza, con premura e con carezza essenziale.
Leonardo Boff

il sindaco Marino: “mai più chiamarli ‘nomadi’ “

Marino

Roma, il sindaco Marino abolisce il termine “nomadi” dagli atti ufficiali

Il Campidoglio emana una circolare dove si invita a utilizzare d’ora in poi i corretti termini “Rom, Sinti e Caminanti” come primo passo per superare le discriminazioni

Il sindaco di Roma, Ignazio Marino, ha deciso di abolire nelle comunicazioni istituzionali e negli atti amministrativi, il termine “nomadi”. “Chiedo che d’ora in poi – ha scritto in una circolare – che in luogo del riferimento al termine ‘nomadi’ sia più correttamente utilizzato quello di ‘Rom, Sinti e Caminanti'”. Il sindaco ritiene la scelta un passo per superare le discriminazioni.

“Credo che uno dei fattori centrali per superare le discriminazioni sia quello culturale – continua nella circolare -, affinché l’approccio metodologico di tipo emergenziale possa essere abbandonato a favore di politiche capaci di perseguire l’obiettivo dell’integrazione. In questo processo anche la proprietà terminologica utilizzata può essere, ad un tempo, indice e strumento culturale per esprimere lo spessore di conoscenza e consapevolezza degli ambiti su cui si è chiamati ad intervenire”.

Il sindaco auspica che “anche attraverso questa apparentemente semplice attenzione terminologica, possa essere testimoniata la considerazione che l’amministrazione capitolina rivolge a tutte le persone che vivono nel suo territorio. Un atto simbolico per il superamento di ogni forma di discriminazione

Ago

la reazione immediata e spontanea di p. Agostino Rota Martir che vive quotidianamente insieme a diverse famiglie rom – ‘nomadi’ solo perché ogni giorno rischiano di esserlo perché mandate via dalle forze dell’ordine come ricatto per non accettare passivamente norme e imposizioni per il loro ‘inserimento’ – non è molto positiva (ma se in genere ci indovina, eccome!, questa volta mi sento di dare un pò di credito al sindaco Marino il quale se per il 90% lo ha senz’altro fatto come mossa politica, almeno per il 10% credo che lo abbia fatto per convinzione, avendo peraltro assunto quella decisione – la prima in assoluto in Italia – dopo un incontro con l’associazione 21 luglio nel quale ha mostrato molta disponibilità al dialogo, riconoscendo quindi la propria ignoranza in materia e l’apertura, almeno nelle belle intenzioni, al superamento di tutto ciò che costituisce barriera culturale o materiale nei confronti dei rom):

Secondo me gran parte delle iniziative fatte x decreto o ordinanze lasciano desiderare..fumo negli occhi che spesso accontentano e fanno lustro ai soliti noti interessati a ..
Ciao ago

e dopo averci pensato un po’ sopra così ha … sbottato, articolando meglio il suo discorso (trovandomi, peraltro, molto d’accordo, riconoscendo generosamente la buona volontà del sindaco a differenza di tanti – o tutti – gli altri:

Il sindaco Marino e i Rom..non più nomadi?

Il sindaco Marino folgorato sulla strada di Damasco? Oppure su una di quelle strade-sentieri che conducono a qualche accampamento di nomadi? (pardon ora per ordinanza bisogna dire rom)..avrei preferito proprio su una di queste, perche’ la differenza non e’ da poco.

Ad ogni modo e’ apprezzabile da parte di un sindaco, la volonta’ di capire meglio e di lasciarsi “convincere” da chi la realta’ dei  rom la  conosce anche dal di dentro perche’ la frequenta.

M’auguro che l’esempio del sindaco di Roma trovi emulatori tra i suoi colleghi.

Ma permettimi anche di difendere e contestualizzare il mio sintetico intervento,  e che ribadisco: l’ordinanza di questo genere serve a ben poco e non mi piace tanto, come non mi sono piaciute le ordinanze anti accattoni, anti borsone, anti “vu cumprà”.. A quando anche un’ ordinanza che obblighi il pellegrino a fermarsi a Roma?

I rom sono nomadi? Quanti studi, pubblicazioni e conferenze..Loro, i rom cosa dicono,  cosa pensano? Due attivita’ da distinguere e da analizzare con attenzione e comprensione. Buon per il sindaco che attraverso una rapida ordinanza risolve una questione che e’ oggetto di discussioni, ricerche, dibattiti di carattere antropologico e sociale da almeno 3 decenni, in Italia e in Europa. Ad esempio in Francia la questione manco si pone, perche’ e’ prevista la possibilita’ di viaggiare e spostarsi e le amministrazioni locali devono garantire e offrire alle “persone viaggianti” (siano cittadini francesi, rom, sinti, tedeschi..) strutture e condizioni eque e rispettose per tutti, sia per chi sceglie di muoversi e per chi e’ stabile. Sono tanti i Rom in Francia che nomadizzano in questo modo, tanti altri hanno scelto di stare in case, appartamenti o su terreni privati: e’ una loro scelta! Oppure in campi Rom (nomadi) del tutto identici ai nostri!!

Smettiamola di far credere che i campi Rom (nomadi) esistano solo in Italia.  Anche in Inghilterra, Irlanda ed America ce ne sono, e tra l’altro  sono anche oggetto di trasmissioni televisive molto seguite, ambientate in veri e propri campi ..nomadi! (“Il mio grosso grasso matrimonio Gipys” trasmesso su Real Time)

 

Un nomade ha forse meno diritti e doveri di un rom o di qualsiasi essere umano?

Come trovo un po’ strano che in una societa,’ che spesso sollecita la mobilita’ (flessibilita’) in nome del mercato del lavoro o per la globalizzazione (cosa non facciamo per essa), quante realta’, popoli e merci in continuo movimento, eppure vogliamo ad ogni costo i rom sedentari, costi quel che costi: per qualcuno la mobilita’ e’  quasi un dogma, quella dei rom e’ invece demonizzata, condannata e sospettata. E’ forse così altrove? Perché in Italia l’integrazione deve passare per forza solo ed esclusivamente dalla sedentarizzazione?  Possibile che tutte le Associazioni vanno in questo senso? Cosa ne ricavano?

Pochi anni fa (non il secolo scorso) delle famiglie rom di Coltano avevano espresso la loro volonta’ di continuare a vivere in roulotte, non gli andava di vivere in appartamento, ma non c’e’ stata ragione e in nome della cosi detta integrazione, indotte ad abitare in appartamento.

So che ci sono amministrazioni che si rifiutano di finanziare l’acquisto di roulotte, preferendo di gran lunga spendere per le case e appartamenti, sempre in nome dell’integrazione, ma che di fatto sono delle imposizioni di modelli e stili di vita che non sempre coincidono con quelli dei rom.  Per una famiglia rom vivere in una casa,  di fatto e’ diverso da come vive una famiglia italiana.

So di correre il rischio di essere definito “ideologico” (oggi chi non si allinea e’ cosi che e’ tacciato): mi chiedo se oggi i rom sono nelle condizioni di scegliere liberamente e serenamente il loro futuro.

So che ci sono rom che la loro vita si e’ complicata anche perche’ hanno smesso di nomadizzare, altri invece che vivono tranquilli in case e che poi lasciano quando ritengono utile riprendere a girare. Tanti hanno avuto il privilegio o la fortuna di averne una, a differenza di altri che la sognano, altri invece sanno accontentarsi di una baracchina o di una roulotte.

Sono differenti i motivi che spingono gruppi di rom ad essere o diventare per dei periodi dei “nomadi”: per lavoro, per opportunità, per regolarizzare i documenti, per motivi di famiglia, per paura dei servizi sociali che prendano i loro figli, semplicemente per cambiare aria per un certo periodo, per le continue minacce di espulsione e di sgomberi, per delle liti tra famiglie.. Spesso cio’ che accomuna la maggioranza dei rom, nonostante le loro differenze e’ proprio quello di dichiararsi sempre come “non nomadi”, un po’ per convenienza ma nello stesso tempo si sentono liberi dai nostri schemi, consapevoli e fieri anche della propria diversita’.

 

Certo e’ che il nomadismo dei rom, tipico di 40/50 anni fa’ non e’ piu’ quello di oggi; cosa ridicola riproporlo o solo pensarlo in modo nostalgico, anche se in genere l’immaginario collettivo piace pescare proprio nel mondo fantasioso del rom nomade.

Il nomadismo non e’ l’altra faccia della sedentarieta’ che ci sta un pochino stretta?

Forse ci vorrebbe un altra circolare per scoraggiare questo immaginario mondo gitano presente in ognuno noi: e i rom mi piacciono anche perche’ il loro “nomadismo” sfida e provoca le nostre immobilita’..pensiero nomade!

Una societa’ senza nomadi (rom, pellegrini, profughi..) forse e’ piu’ povera, senz’altro piu’ rannicchiata su se stessa.

 

Ciao Ago

10 aprile 2014 – campo  Rom di Coltano – Pisa

 

 

 

la chiesa di Bagnasco non sembra in sintonia con la chiesa di Francesco

BAGNASCO ORDINA AL MINISTRO: “VIA QUEL LIBRETTO DA SCUOLA”

 

Bagnasco

 

con la elezione di papa Francesco e l’avvio di un nuovo corso in ambito ecclesiale più attento alle persone e ai loro problemi e meno a principi generali, astratti, ‘irrinunciabili’, in base ai quali instaurare sempre contrapposizioni e lotte ideologiche, il cardinal Bagnasco sembrava avviarsi, anche con maggiore silenzio e ascolto riflessivo, a far propria questa nuova modalità di rapportarsi ai problemi della gente: e invece sembra sia bastata la prima occasione (questa volta tre libretti di formazione ed educazione dei docenti all’accoglienza delle ‘diversità’, in quanto tali arricchenti) per ripartire in una contrapposizione frontale considerando tali libretti nocivi, pericolosi e strumenti di ‘indottrinamento’

maggiori dettagli in questi articoli de ‘ilfattoquotidiano’ (nel secondo si evidenzia l’allineamento del ministero alle pressioni del cardinale):

 

“DISTRUGGONO LA FAMIGLIA”

AL ROGO I LIBRETTI DEL DIAVOLO 
IL CARDINALE BAGNASCO CONTRO I TESTI DI “EDUCARE ALLA DIVERSITÀ” CHE INDICANO A INSEGNANTI E STUDENTI PERCORSI PER NON DISCRIMINARE.

Il presidente dei vescovi italiani chiede ai politici di mettere al bando i nuovi libri di testo per le elementari e le medie voluti dai governi Monti e Letta per combattere l’omofobia. Secondo il prelato, che ignora la laicità dello Stato, così si trasformano le aule in “campi di rieducazione”.

Allarme, la scuola italiana apre alla “dittatura di genere”. In altri termini alla normalizzazione dell’omosessualità. Parola del presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. La “colpa” sarebbe di tre volumetti dal titolo Educare alla diversità a scuola destinati alle primarie e secondarie di secondo grado.

Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, sulle pagine di Avvenire non usa mezzi termini: la scuola pubblica sta diventando un immenso campo di rieducazione perché quei libretti “instillano preconcetti contro la famiglia e la fede religiosa”. Un monito indirizzato forte e chiaro al governo Renzi e al ministro competente. Di cosa si tratta? I volumi sono stati autorizzati dalla Presidenza del Consiglio dei ministri (Dipartimento per le Pari opportunità) all’epoca del governo Monti e dall’allora ministro del Lavoro con delega alle Pari opportunità, Elsa Fornero. Il governo di Enrico Letta ha dato seguito nell’ambito delle nuove strategie nazionali anti omofobia. A curare le pubblicazioni l’Unar, Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali. La realizzazione è dell’istituto Beck. LE TEMATICHE si sviluppano in cinque schede che trattano le “linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze” attraverso altrettanti capitoli: le componenti dell’identità sessuale; omofobia: definizione, origini e mantenimento; omofobia interiorizzata: definizione e conseguenze fisiche e psicologiche; bullismo omofobico: come riconoscerlo e intervenire; adolescenza e omosessualità. Si legge che non basta più “Essere gay friendly (amichevoli nei confronti di gay e lesbiche), ma è necessario essere gay informed (informati sulle tematiche gay e lesbiche). Lo scopo è avere un manuale contro il bullismo che si accanisce contro i “diversi” tanto che a pagina 18   c’è un vero e proprio manifesto scolastico contro il bullismo. “Bisogna che l’insegnante riveda la scheda sul bullismo. È importante, inoltre, che l’insegnante sia molto chiaro e deciso nello spiegare ai suoi studenti i seguenti punti: la scuola non tollera questo tipo di comportamenti. Il bullismo è sbagliato. Prendere in giro, minacciare, picchiare qualcuno, farlo sentire escluso, perché è grasso, perché è un “secchione”, perché è diverso da noi, perché pensiamo che sia omosessuale, è sbagliato. Ognuno ha diritto di essere com’è, ognuno ha qualcosa da insegnarci. Quanto più qualcuno è diverso da noi, tanto più ha da insegnarci. Essere bulli non è “figo”, è stupido”. C’È POI UNO SPAZIO con le domande frequenti (faq) dove si risponde in modo schematico ai quesiti sulla sessualità. “I rapporti sessuali omosessuali sono naturali? Sì. Il sesso tra le persone dello stesso sesso è presente in tutta la storia dell’umanità, sin dall’antica Grecia. Inoltre, molti eterosessuali possono avere sporadiche fantasie omosessuali, così come molti omosessuali possono avere sporadiche fantasie eterosessuali. Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini. Di conseguenza tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate. Un altro pregiudizio è che con l’omosessualità si estinguerebbe la società. In realtà, come afferma l’Organizzazione Mondiale della Sanità, la sessualità è un’espressione fondamentale dell’essere umano. L’unica cosa che conta è il rispetto reciproco dei partner. Quindi potremmo ribaltare la domanda chiedendoci: “i rapporti sessuali eterosessuali sono naturali?”. Qui si arriva al terreno di scontro con la Cei, perché sono questi e altri passaggi che hanno fatto fare un salto sulla sedia al cardinale Bagnasco ; ad esempio quelli che riguardano la televisione e i media “che discriminano le famiglie omosessuali”, invitando i docenti a chiedere agli alunni come mai “in Italia non ritraggono diverse strutture familiari”. Passaggio “delicato”, il tentativo di far immaginare “sentimenti ed emozioni che possono provare persone gay o lesbiche”; e la masturbazione fra ragazzi è presentata “come un gioco”. Bagnasco ha sparato a zero: “Strategia persecutoria contro la famiglia”. Ancora: “Viene da chiederci con amarezza se si vuol fare della scuola dei ‘campi di rieducazione’, di indottrinamento. Ma i genitori hanno ancora il diritto di educare i propri figli oppure sono stati esautorati?”. E conclude: “I genitori non si facciano intimidire…non c’è autorità che tenga”.

Da Il Fatto Quotidiano del 26/03/2014.

Sull’omofobia il ministero sceglie la linea di Bagnasco

di Valerio Cattano

Vauro Bagnasco

 

IL DICASTERO DELL’ISTRUZIONE: L’UFFICIO ANTI DISCRIMINAZIONE NON PUÒ DISTRIBUIRE NELLE SCUOLE I LIBRETTI SULLE DIVERSITÀ. L’UOMO IN PIÙ DELLA CHIESA È IL CIELLINO TOCCAFONDI.

Cosa ne è degli impegni assunti a livello comunitario? Si vuole o no mandare avanti la strategia LGBT e i suoi obiettivi?”. Sergio Lo Giudice , senatore del Pd e Componente della Commissione Diritti Umani, rilancia la questione riguardante la diffusione dei libretti “Educare alla diversità a scuola”. Interrogazione che sollecita una presa di posizione da parte del Ministero dell’Istruzione (Miur) e della responsabile, Stefania Giannini. Dal Ministero fanno sapere che una distribuzione nelle scuole non ci sarà e il motivo sta nel mancato confronto fra l’Unar (Ufficio nazionale anti discriminazione razziale) sulle tematiche inserite.

Quei libretti sono stati interpretati dall’arcivescovo Angelo Bagnasco, presidente della Cei (Conferenza episcopale italiana), come portatori di una “dittatura di genere”. POSIZIONE sostenuta dal sottosegretario Gabriele Toccafondi (Ncd) che pure ieri al microfono di Radio24 ha ribadito: “C’è questa cultura ‘gender’ fatta da molte associazioni Lgbt, che porta non solo la lotta alla discriminazione, ma – spiega – concetti riguardo alla famiglia composta da persone dello stesso sesso o possibilità per questa tipologia di famiglia di adottare figli. Non si può portare nelle scuole qualcosa che non sia conosciuto dal ministero”. Il motto di Tocca-fondi è: “Al servizio di tutti, servo di nessuno”. NEIGIORNISCORSI però è stato soprattutto al fianco della Cei per criticare i libretti che servivano come linee guida per insegnanti e studenti contro il bullismo (dato che questa forma di sopraffazione riguarda pure i giovani omosessuali, alcuni capitoli sono dedicati proprio a loro). Toccafondi nelle scorse settimane ha attaccato l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) che ha curato le pubblicazioni: “Il Ministero dell’Istruzione non sa niente di quanto viene deciso da questo ufficio, che invece produce materiale per le scuole, gli studenti e gli insegnanti, con un’impronta culturale a senso unico, tra l’altro destando preoccupazione e confusione su tutto il sistema educativo”. La Chiesa ringrazia e non si stupisce perchè Toccafondi fa parte della pattuglia di Comunione e Liberazione dentro il governo Renzi con cui ha comuni radici fiorentine. La carriera politica di Toccafondi si sviluppa proprio a Firenze: al Comune nel 2004 eletto con Forza Italia, già deputato dal 2008 con il Pdl. Oggi Toccafondi è sottosegretario del governo Renzi ma nel 2013 quando era coordinatore fiorentino del Pdl ne parlava così: “Matteo Renzi più che un sindaco sembra un mago televisivo come Otelma. Intanto a Firenze degrado, sicurezza, infrastrutture e mobilità rimangono ad aspettare. Renzi lancia qualche slogan, effetti speciali, aggettivi roboanti, frasi ad effetto e poi non resta niente”. Alla fine il mago Otelma ha impressionato Toccafondi tanto da convincerlo a mantenere il suo posto di sottosegretario all’Istruzione che si è distinto per una proposta di legge che prevede la concessione di un contributo a sostegno delle scuole paritarie in aggiunta ai fondi ordinari del Ministero. Del resto nel suo programma scrive: “Da sempre ripeto, anche alzando la voce, che il contributo alle scuole paritarie erroneamente definite private, non è un regalo come invece qualcuno continua a dipingerlo in manifestazioni di piazza, ma un aiuto per garantire la libertà di educazione”. Per sfuggire al caos romano il segretario si dedica al calcio. All’inizio di marzo ha partecipato a una partita, a Firenze: parlamentari contro una selezione del Comune. Toccafondi gioca da portiere: 3 a 0 secco per gli impiegati con l’ultimo gol, riportano le cronache, da attribuire a una “papera” dell’estremo difensore. L’allenatore dei parlamentari Picchio De Sisti, minimizza: “È entrato a freddo, Toccafondi è uno dei giocatori sicuri di questa squadra”. Lo pensa anche la Cei.

Da Il Fatto Quotidiano del 27/03/2014.

per ricordare Oscar Romero: brani scelti

Romero

era un vescovo molto tradizionalista, anzi un vero conservatore, all’inizio,  collocato a capo della diocesi El Salvador proprio in quanto tale, per arginare le linee più aperte e progressiste del clero e dei teologi della teologia della liberazione

ha saputo umilmente ascoltare il popolo e la sua sofferenza causata dalla dittatura e dagli squadroni della morte e tale ‘ascolto della realtà crocifissa’ lo ha accompagnato progressivamente ad una conversione profonda: si è lasciato davvero ‘convertire dal popolo’ lui che era partito per ‘convertire il popolo’

ha dato la sua vita per il suo popolo, come “il buon pastore che da la sua vita per le pecore” finendo la sua vita, trucidato dai colpi di arma da fuoco degli squadroni della morte, mentre celebrava la messa, sembra immediatamente dopo aver sollevato il calice del ‘sangue di Cristo’ anche quello versato per amore

il suo popolo non lo dimenticherà mai: nonostante sia stato sconfessato da Giovanni Paolo 2° e ignorato da Benedetto 16°, il suo popolo lo venera e lo acclama come ‘san Romero d’America martire’:

 

Alcuni brani da vari discorsi e scritti di Mons. Oscar Romero

“È inconcepibile che qualcuno si dica cristiano e non assuma, come Cristo, un’opzione preferenziale per i poveri. È uno scandalo che i cristiani di oggi critichino la Chiesa perché pensa “in favore” dei poveri. Questo non è cristianesimo!… Molti, carissimi fratelli, credono che quando la Chiesa dice “in favore dei poveri”, stia diventando comunista, stia facendo politica, sia opportunista. Non è così, perché questa è stata la dottrina di sempre. La lettura di oggi non è stata scritta nel 1979. San Giacomo scrisse venti secoli fa. Quel che succede, invece, è che noi, cristiani di oggi, ci siamo dimenticati di quali siano le letture chiamate a sostenere e indirizzare la vita dei cristiani… A tutti diciamo: “Prendiamo sul serio la causa dei poveri, come se fosse la nostra stessa causa, o ancor più, come in effetti poi è, la causa stessa di Gesù Cristo”.

Mons. Oscar Romero, omelia del 9 settembre 1979

mare fiore

“È una novità, nel nostro popolo, che i poveri vedano oggi nella Chiesa una fonte di speranza e un sostegno dato alla loro nobile lotta di liberazione. La speranza che la Chiesa sostiene non è ingenua né passiva. La speranza che predichiamo ai poveri è perché sia loro restituita la dignità, è per dare loro il coraggio di essere, essi stessi, gli autori del loro destino. In una parola, la Chiesa non solo si è voltata verso il povero, ma fa di lui il destinatario privilegiato della propria missione. La Chiesa non solo si è incarnata nel mondo dei poveri, dando loro una speranza, ma si è impegnata fermamente nella loro difesa…Esistono tra noi quanti vendono il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali (cfr. Am 2,6); quanti accumulano violenza e rapina nei loro palazzi (Am 3,10); quanti schiacciano i poveri (Am 4,1); quanti affrettano il sopravvento della violenza, sdraiati su letti di avorio (Am 6,3-4); quanti aggiungono casa a casa e annettono campo a campo, fino a occupare tutto lo spazio e restare da soli nel paese (Is 5,8). Questi testi dei profeti Amos e Isaia non sono voci lontane di molti secoli fa, non sono solo testi che leggiamo con riverenza nella liturgia. Sono realtà quotidiane, la cui crudeltà e intensità sperimentiamo ogni giorno”.

Mons. Oscar Romero, discorso in occasione del conferimento della Laurea Honoris Causa, conferitagli dall’Università di Lovanio il 2 febbraio 1980. Per il discorso integrale: http://www.sicsal.it/padri/romero3.htm

bei fiori

Il 17 febbraio del 1980 Oscar Romero scrive al Presidente degli USA, Jimmy Carter, il cui governo intendeva aiutare militarmente il governo del Salvador: “Dal momento che lei è cristiano ed ha manifestato di voler difendere i diritti umani oso esporle il mio punto di vista pastorale su questa notizia e rivolgerle una petizione concreta. Mi preoccupa fortemente la notizia che il governo degli Stati Uniti stia studiando la maniera per favorire la corsa agli armamenti di El Salvador inviandogli equipaggiamenti militari e mezzi. Nel caso questa notizia giornalistica corrispondesse a realtà, il contributo del suo Governo invece di favorire una maggior giustizia e pace in El Salvador acutizzerebbe senza dubbio l’ingiustizia e la repressione contro il popolo organizzato, che da lungo tempo lotta perché vengano rispettati i suoi diritti umani fondamentali […]. Perciò, dal momento che, come salvadoregno ed Arcivescovo dell’Arcidiocesi di San Salvador, ho l’obbligo di vegliare perché regnino la fede e la giustizia nel mio Paese, le chiedo, se veramente vuole difendere i diritti dell’uomo, di impedire che venga fornito questo aiuto militare al Governo salvadoregno; garantire che il suo governo non interverrà direttamente o indirettamente con pressioni militari, economiche e diplomatiche, nella determinazione del destino del popolo salvadoregno […]. Spero che i suoi sentimenti religiosi e la sua sensibilità nella difesa dei diritti dell’ uomo la muovano ad accettare la mia petizione, evitando ulteriori spargimenti di sangue in questo paese che soffre tanto”.

Mons. Romero, lettera al Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter del 17 febbraio 1980

albero fiorito

“…Vorrei fare un appello speciale agli uomini dell’esercito, in concreto alla base della Guardia Nazionale, della polizia, delle caserme. Fratelli, siete del nostro stesso popolo, perché uccidete i vostri fratelli campesinos? Davanti all’ordine di uccidere deve prevalere la legge di Dio che dice: non uccidere. Nessun soldato è obbligato a obbedire a un ordine che va contro la legge di Dio. Una legge immorale non ha l’obbligo di essere osservata. È tempo di recuperare la vostra coscienza e di obbedire prima alla vostra coscienza che all’ordine del peccato. La Chiesa, che difende i diritti di Dio, la Legge di Dio, la dignità umana, la persona, non può restare silenziosa davanti a tanta ignominia. Vogliamo che il Governo comprenda che non contano niente le riforme, se sono tinte di sangue. In nome di Dio, dunque, e in nome di questo popolo sofferente, i cui lamenti salgono fino al cielo ogni giorno più clamorosi, vi supplico, vi scongiuro, vi ordino in nome di Dio: cessi la repressione!”

Mons. Oscar Romero, Ultima omelia, 23 marzo 1980

razzismo dal … panettiere a Roma

“vietato l’ingresso agli zingari”

come cani lasciati fuori!

 

un fatto di chiaro taglio di discriminazione razzista è segnalato dall’ ‘associazione 21 luglio’: un cartello con su scritto: “vietato l’ingresso agli zingari” in una vetrina di una panetteria del quartiere del Tuscolano:

 

Il cartello, affisso da un negoziante di Roma, è stato rimosso solo dopo la minaccia di un’azione legale. L’associazione 21 luglio scrive a Napolitano: “Stop all’apartheid, contro rom e sinti una spirale di odio incontrollato e sottovalutato”

 Vietato l’ingresso agli zingari.  Come se fossero cani da lasciare fuori, col guinzaglio attaccato a un gancio. Neri in Sudafrica durante l’apartheid. Ebrei in Germania e in Italia quando i regimi fascista e nazista avevano varato le leggi razziali…

Eppure quel divieto è comparso pochi giorni fa a Roma sulla vetrina di una panetteria del popoloso quartiere Tuscolano. “È severamente vietato l’ingresso agli zingari” ha scritto il titolare e, probabilmente ritenendosi padrone pure del marciapiede, ha aggiunto: “Anche davanti al negozio”.

A denunciare e documentare con una foto del cartello questa vergogna è l’Associazione 21 luglio , un’organizzazione non profit impegnata nella promozione dei diritti delle comunità rom e sinte in Italia. Ha anche un osservatorio antidiscriminazioni che porta avanti una costante attività di controllo su giornali locali e nazionali, blog e siti web.

“Il cartello ci è stato segnalato dai nostri attivisti e abbiamo subito diffidato il titolare della panetteria. C’è stato uno scambio di mail con i nostri legali, e solo quando abbiamo minacciato di portarlo in tribunale l’ha finalmente rimosso” racconta a Stranieriinitalia.it Carlo Stasolla, presidente dell’associazione. Perché il panettiere aveva messo quel cartello? “Non ce lo ha spiegato, forse aveva avuto qualche esperienza negativa con persone rom. Fatto sta che non c’è giustificazione che tenga, quel cartello era razzista e quindi non poteva essere affisso per alcun motivo”.

È la prima volta che l’Associazione 21 luglio si trova davanti a un caso di questo tipo, ma la lista di discriminazioni contro i rom denunciate negli anni è molto lunga. “Non siamo noi, ma una nutritissima letteratura scientifica a dimostrare che la più grande minoranza in Europa è anche principale vittima di razzismo” sottolinea Stasolla.

L’associazione ha scritto una lettera al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. “A Roma “è severamente vietato l’ingresso agli Zingari” come lo era a Berlino per gli ebrei e a Soweto per i neri? Oppure siamo forse così assuefatti a una certa terminologia da ritenerla innocua e non percepire più la gravità di alcune affermazioni?”, si chiede la onlus, secondo la quale livelli così alti di ostilità verso rom e sinti sono la conseguenza delle politiche discriminatorie e segregative che le istituzioni italiane attuano nei confronti di tali comunità, nonostante i ripetuti richiami delle autorità europee.

“Il popolo rom e sinto rappresenta in Italia la minoranza più discriminata e meno tutelata a causa di perversi processi sociali che rischiano di avvitare le nostre città in una spirale di odio incontrollato e talvolta volutamente sottovalutato – denuncia  l’Associazione 21 luglio -. 40.000 rom vivono in Italia in condizioni di povertà estrema e di segregazione spaziale e sociale. Circa 140 mila rom e sinti vivono invece in abitazioni convenzionali e conducono una vita di apparente normalità, se tale può chiamarsi un’esistenza in cui spesso è necessario, al di là del proprio status giuridico, nascondere la cultura di origine perché siano garantiti i diritti fondamentali”.

I“campi nomadi”, sarebbero “spazi nei quali è stata istituzionalizzata la discriminazione” .  “La segregazione su base etnica, le innumerevoli azioni di sgombero che non rispettano le garanzie procedurali previste dalle convenzioni internazionali, le discriminazioni che riguardano i bambini rom e sinti nell’accesso ai servizi socio sanitari o all’educazione/istruzione” hanno spinto l’Associazione a promuovere la campagna “Stop all’Apartheid dei Rom!”.

“Questo “Stop” – conclude la lettera al Presidente della Repubblica – va gridato con forza e urgenza, soprattutto in occasione dell’imminente Giornata Mondiale contro il Razzismo. Dobbiamo farlo tutti, rappresentanti della società civile e delle istituzioni, con coraggio ma anche con la responsabilità e la consapevolezza di quanti ancora credono che un’Italia multietnica, e quindi anche un’Italia Romanì, sia non solo ineludibile ma anche auspicabile”.

aiuto, papa Francesco, sono gay: non voglio sentirmi ‘fuori posto e fuori casa’

due omo

così grida un ragazzo gay che al momento della elezione di papa Francesco ha pianto come per un’intuizione di un “graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale” del nuovo papa

vive da 29 anni “una serena e felice vita di coppia” e però sente di non essere accolto da una chiesa che lo fa sentire ‘fuori posto e fuori di casa’ e chiede perciò al papa  “una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti”

vede troppo spesso le persone omosessuali  descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società, come un pericolo pubblico di “attentato alla famiglia”: “chi ci accoglierà? chi si prenderà cura di noi? … come la parrocchia potrà tornare casa per noi?”:

Caro papa Francesco,

ti confesso che dal momento della tua elezione ho sentito veramente lo Spirito soffiare. Non sapevo chi fossi, non avevo mai sentito prima il tuo nome, eppure ho pianto.  Ho pianto perché inspiegabilmente mi sono sentito dopo tanto tempo a casa, pur non avendo alcun elemento razionale che giustificasse questo sentimento.  Sono gay, e vivo da quasi 29 anni una felice e serena vita di coppia. E sto seguendo con grandissima speranza il tuo graduale percorso di apertura e avvicinamento alla questione omosessuale. Lo hai fatto sin da quella prima intervista, di ritorno da Rio, in cui quel “Chi sono io per giudicare un gay?” è risuonato sorprendente nella sua disarmante semplicità. Decenni di catechismo e magistero consolidati sulla questione omosessuale sono apparsi improvvisamente schiacciati sotto il peso dell’essere forse norme più scritte guardando a noi con gli occhi della legge che con gli occhi del cuore.  Fino ad oggi io e Dario abbiamo dovuto camminare in solitudine, inventandoci dal nulla cosa potesse essere una vita di coppia, non avendo alcun riferimento a disposizione, noi che ci siamo innamorati a metà degli anni ’80.  Abbiamo vissuto nascosti per oltre 15 anni, prima di capire ed accettare la bellezza e la fedeltà della nostra storia d’amore e smettere di temere tutto e tutti: la famiglia, gli amici, financo Dio di cui abbiamo finalmente riconquistato l’immagine di Padre spazzando via quella di Giudice. Finora, è vero, non si è ancora concretizzato un reale cambiamento. Le tue parole di accoglienza, apertura non hanno generato un nuovo catechismo, una nuova pastorale per le famiglie che includa tutti e non faccia sentire nessuno “fuori posto e fuori di casa”. Ma alcune cose, lette dall’interno e con il linguaggio e le modalità della chiesa cattolica, non possono che prefigurare l’inizio di un percorso: qualche mese fa è stato inviato a tutte le diocesi del mondo un questionario con l’obiettivo di raccogliere stimoli per il Sinodo straordinario sulla famiglia  dell’ottobre 2014. Per la prima volta, credo nella storia della chiesa cattolica, su un suo documento ufficiale è presente, nero su bianco, la dicitura “unioni di persone dello stesso sesso”, e si chiede quale attenzione pastorale sia necessario avere per queste unioni e addirittura per i bambini eventualmente adottati. Ecco, nominare le cose significa per me inaugurare, superando i principi, una nuova stagione animata da un desiderio reale di confronto. Finora, infatti, negli ambiti comunitari, nelle parrocchie, nei cammini di fede, l’omosessualità è stata trattata solamente come categoria morale o come problematica sociale. I ragazzi e le ragazze omosessuali si sono trovati, quindi, a vivere nel silenzio più assoluto la loro condizione, ad impiegare moltissime risorse personali a nascondere una parte importantissima della loro esistenza, a controllare tutto ciò che avveniva dentro loro, fuori loro. Insomma a comprimere la loro vita invece che ad espanderla, privati di tutta quella “normalità” (innamorarsi, condividere con gli amici il proprio innamoramento, sognare una persona, immaginarsi insieme, …) che costituisce parte integrante del percorso di crescita di un essere umano, e che alimenta quello slancio progettuale che dovrebbe essere appannaggio di tutti.

Dio ama gli omosessuali

Ho letto ieri che sembra tu ti stia accingendo a studiare le unioni gay. Ne sono contento. Finalmente sembra che siano stati presi in carico i nostri appelli, fatti a moltissime diocesi, e anche a te direttamente,  dai vari gruppi di gay credenti italiani (tra cui anche quello di cui faccio parte, Nuova Proposta) di conoscere in prima persona le nostre vite, le nostre storie. Non ti nascondo che negli anni passati neanche io (che pure ho fatto un cammino lungo per arrivare ad una serena esistenza in coppia) sono stato immune da un certo scoramento, sorto nel constatare che posto per noi nelle comunità cristiane non c’era. Non ce n’era soprattutto nel momento in cui ci si sarebbe dovuti presentare in coppia o, in alcuni casi, anche come genitori. Perché è proprio l’unione tra due persone dello stesso sesso che non esiste per le comunità cattoliche, a causa, purtroppo, di una terribile battaglia ideologica che si sta consumando a scapito delle esistenze di tante persone. Vedo “sentinelle in piedi” protestare contro la proposta di legge contro l’omofobia (che dovrebbe proteggere le persone dal bullismo, dalla violenza e dal dileggio. Vedo gruppi definirsi cattolici ed armarsi per combattere il pericolo dell’attentato alla famiglia che proverrebbe da due persone dello stesso sesso che decidono di amarsi senza nascondersi e, pertanto, richiedere alla società di cui fanno parte di condividere diritti e doveri come qualunque altra coppia. Vedo le persone omosessuali descritte come un obbrobrio, come una minaccia per la società. Le nostre vite di coppia, le nostre famiglie, con e senza figli, esistono già oggi, adesso. Non sono una minaccia che viene da un ipotetico futuro. Mi chiedo, come un figlio farebbe con un padre e facendo riferimento alla cura pastorale che deve essere dedicata ad ogni essere umano e declinata per la sua specifica esistenza: chi ci accoglierà? Chi si prenderà cura di noi? Potremmo avere anche noi bisogno di sostegno fraterno e spirituale dalla parrocchia, quella che per tanti anni abbiamo considerato una seconda casa? E parlando dei tanti figli di coppie omosessuali:  non devono anch’essi poter contare su un ambiente accogliente, in grado di sostenerli nel loro percorso di crescita spirituale e umana? Come la parrocchia potrà tornare ad essere casa per noi e per i nostri bambini? La speranza che soffia in me credo sia fortemente animata dallo Spirito. Spero in un cammino serio di confronto, di approfondimento senza pregiudizio. Spero in un sinodo che produca, nel 2015 una pastorale finalmente inclusiva e che porti “Tutti dentro!” come ci hai tu stesso ricordato in una delle tue omelie mattutine. Spero anche tu voglia, in questo percorso di conoscenza, incontrare alcuni di noi, omosessuali, transessuali, singoli o in coppia, con figli o senza figli, per contemplare insieme come il disegno di Dio possa essere creativo nel generare Bellezza nell’esistenza di ciascuno di noi e  ’interno della propria specificità.

 

 

 

il senso del mercoledì delle ceneri

poveri assoluti

 

Con l’uomo della strada

di Théophile

in “www.baptises.fr” del 4 marzo 2014

5 marzo 2014: mercoledì delle ceneri

Ricordiamo la frase di Nietzsche: “I grandi problemi sono nella strada”. Per rendersene conto non è necessario frequentare piazza Tahrir, piazza Maidan o piazza Taksim, basta aprire gli occhi sul mondo come appare quando apriamo la porta di casa, tanto su una tranquilla via di paese come, più spesso, sul precipitoso ininterrotto traffico urbano. I problemi sono dove sono le persone, con le loro nascite e le loro morti, i loro sogni e le loro preoccupazioni, i loro progetti e le loro inquietudini. A Gesù è capitato di portare i suoi discepoli in disparte per meglio incidere nella loro memoria certi aspetti del suo insegnamento e prepararli a ciò che stava per avvenire. Lui stesso si è concesso, come necessari, dei tempi di silenzio, dei giorni di ritiro, dei momenti di preghiera solitaria e silenziosa. Ma, nel quotidiano, lo incrociamo per strada: in una via o sui percorsi da un paese all’altro. È lì che incontra degli uomini coperti di lebbra, dei paralitici, un sordo, un folle, uno zoppo, una donna che va ad attingere acqua a mezzogiorno, una madre che seppellisce il suo unico figlio, un piccolo pubblicano che si arrampica sugli alberi per vederlo meglio mentre passa, un giovane che rinuncia a seguirlo perché è ancora troppo ricco: innumerevoli sguardi incrociati, mani strette, case visitate, terre calcate. Gesù non è rimasto nella sua camera, chino sui rotoli della Torah. È sceso in strada, in mezzo alla folla che un giorno lo acclama, un giorno lo deride, per lo più gli concede un rapido ascolto curioso e resta poi indifferente. Forse anche noi dovremmo scendere in strada con gli occhi più aperti, per vivere con lui intensamente il percorso che ci conduce alla Pasqua. Per aprirci ai fratelli – richiamo alla condivisione –, per dominare i nostri desideri – suggestione del digiuno –, per instaurare un legame più profondo con Dio – invito alla preghiera -, non c’è bisogno di altra chiesa che non sia questo mondo in cui viviamo. Nella strada ci sono i grandi problemi, ma anche le grandi chiamate e le grandi conversioni. Le preoccupazioni che condivideremo con i nostri fratelli e le nostre sorelle ci ricorderanno con ben maggiore forza di qualsiasi imposizione di ceneri che siamo polvere, in attesa di resurrezione. Questo mercoledì forse non avrete tempo di andare in chiesa come devoti fedeli per compiere il rito tradizionale di inizio Quaresima, ma andrete certamente per strada con tutte le vostre preoccupazioni… e quelle del mondo. Allora, aprite gli occhi, e soprattutto il cuore, per avanzare con Gesù, con passo più leggero, poiché lui ha saputo trasformare la polvere delle nostre strade in speranza di Resurrezione.

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