ilcommento al vangelo della domenica

“si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”

il commento al vangelo della quinta domenica del tempo ordinario (3 febbraio 2018) di p. Ronchi e dal monastero Marango:

 

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni; ma non permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». […]

il commento di E. Ronchi:

Gesù esce dalla sinagoga e va nella casa di Simone: inizia la Chiesa. Inizia attorno ad una persona fragile, malata: la suocera di Simone era a letto con la febbre.
Gesù la prende per mano, la solleva, la libera e lei, non più imbrigliata dentro i suoi problemi, può occuparsi della felicità degli altri, che è la vera guarigione per tutti.
Ed ella li serviva: Marco usa lo stesso verbo impiegato nel racconto degli angeli che servivano Gesù nel deserto, dopo le tentazioni. La donna che era considerata una nullità, è assimilata agli angeli, le creature più vicine a Dio.
Questo racconto di un miracolo dimesso, così poco vistoso, senza neppure una parola da parte di Gesù, ci può aiutare a smetterla con l’ansia e i conflitti contro le nostre febbri e problemi. Ci può ispirare a pensare e a credere che ogni limite umano è lo spazio di Dio, il luogo dove atterra la sua potenza.
Poi, dopo il tramonto del sole, finito il sabato con i suoi 1521 divieti (proibito anche visitare gli ammalati) tutto il dolore di Cafarnao si riversa alla porta della casa di Simone: la città intera era riunita davanti alla porta. Davanti a Gesù, in piedi sulla soglia, luogo fisico e luogo dell’anima; davanti a Gesù in piedi tra la casa e la strada, tra la casa e la piazza; Gesù che ama le porte aperte che fanno entrare occhi e stelle, polline di parole e il rischio della vita, del dolore e dell’amore. Che ama le porte aperte di Dio.
Quelle guarigioni compiute dopo il tramonto, quando iniziava il nuovo giorno, sono il collaudo di un mondo nuovo, raccontato sul ritmo della genesi: e fu sera e fu mattino. Il miracolo è, nella sua bellezza giovane, inizio di un giorno nuovo, primo giorno della vita guarita e incamminata verso la sua fioritura.

La fede non è rassegnazione alla sofferenza”

il commento dal monastero Marango:

 

Come leggere il dramma umano della sofferenza alla luce della fede? E’ questo il tema centrale delle Letture di questa domenica. Infatti, nella prima Lettura, Giobbe grida il suo dolore per la sua sofferenza, mentre il Vangelo ci narra della “reazione di guarigione” da parte di Gesù quando gli portano «molti affetti da varie malattie».

Tutto il libro di Giobbe mostra che è legittimo gridare la propria rabbia per il male che si vive. Giobbe arriva quasi a bestemmiare Dio per la sua sofferenza, contestando i suoi amici religiosissimi, che gli predicavano rassegnazione e obbedienza alla “volontà di Dio”. E, alla fine del libro, Dio sanzionerà che solo Giobbe ha detto cose rette di lui (cfr. Gb 42,7).
La fede non comporta l’accettazione supina e vittimale di ogni tipo di sofferenza. Mai, nella Bibbia, si dice che Dio mandi le sofferenze, oppure che “si serva” di esse per far capire qualche cosa all’uomo. In molte espressione dei Salmi, preghiere modello della fede, l’uomo “si sfoga” con Dio per il dolore che sta patendo; come si fa, in genere, con le persone più vicine e intime. È un appello al Signore per sentirsi tenuti per mano da Lui quando si patisce, a sentirlo vicino: è questo il sollievo che si cerca. Quindi non solo Giobbe, ma anche altri abbondanti testi biblici insistono nel mostrarci che la fede vera non predica rassegnazione, non chiede di offrire la sofferenza a Dio, non dice mai che ci avvicini di più a Dio.
Stupisce che, dopo tanti secoli, ancora oggi sia radicata una certa istintiva convinzione e una certa predicazione che ci sia in qualche modo Dio dietro al male che si soffre. Invece, Dio è tutto e solo bene, e vita che splende: non è in grado in nessun modo di concepire qualcosa di negativo, nemmeno come mezzo: patisce Lui, purché non patiscano i suoi figli, questo è il senso della croce di Gesù.

Anche Gesù non ha mai dato valore positivo al dolore. Di fronte alla sofferenza umana ha sempre mostrato tanta compassione – fino alle lacrime – e tanto impegno nel volerla sconfiggere: attraverso i segni di guarigione. Così l’inizio del suo ministero pubblico, nel Vangelo di Marco, è contraddistinto prima dal dare nuovo senso alla dimensione sacra della sinagoga e del sabato, come realizzazione del vero culto che è liberazione dell’uomo dallo spirito negativo che lo imprigiona (Vangelo di domenica scorsa); e poi dal dare nuovo senso anche alla dimensione feriale, quella rappresentata dalla casa di Pietro, dove compie, appunto, il gesto della guarigione della suocera dell’apostolo. Gesti che assumono dunque valore programmatico, perché costituiscono i primi segni del suo annuncio del Regno: per umanizzare l’uomo, Gesù viene a liberarlo dalla sofferenza, non a schiacciarlo nella rassegnazione.

«Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni»: Gesù non è venuto ad opprimere l’uomo con nuove pretese religiose, ma a liberarlo dai mali, fisici e interiori, che lo fanno soffrire.
Ci capita di ripetere spesso la frase di un vescovo: «Nel mondo c’è più sofferenza che peccato». Anche oggi il Figlio di Dio vuole farsi presente e all’opera dove più c’è l’esistenza dell’uomo: nelle sue ferite. Egli vuole aprire i cuori degli uomini perché si facciano suoi occhi, suo cuore, sue mani nei confronti di chi soffre: i samaritani del buon Samaritano, perché nessuno rimanga abbandonato lungo la strada a soffrire. Per questo i cristiani devono essere cittadini del mondo: laddove c’è la pena di un uomo, lì si è di casa, perché lì c’è l’appello del Signore a farsi prossimi, lì si ascolta la sua voce a vivere la carità e si vede la sua volontà di cura, non di sofferenza.
Oggi c’è poca fede non perché si svuotano le chiese, ma perché si svuotano i cuori. Infatti non esiste più neppure la compassione: per esempio verso chi ci chiede la carità dell’accoglienza. Dio non vuole la sofferenza dell’uomo, ma quanti uomini vogliono la sofferenza di altri uomini come loro, magari per superficialità ed egoismo!

All’inizio del nuovo giorno, Gesù si ritira in un luogo solitario a pregare, dice il racconto di Marco. I discepoli lo vanno a cercare e lo invitano a tornare in città dove l’aspettano nuove guarigioni. Ma Gesù si avvia, pellegrino, verso altri luoghi.
Due elementi mettono un limite alla sua attività di guarigione. Il primo è la necessità di attingere forza dal rapporto orante con il Padre, senza del quale anche le opere più significative diventano vuoto attivismo. Questa attenzione è una delle cose raccomandate da papa Francesco alla Chiesa italiana. Soprattutto oggi, che i pastori devono occuparsi di più comunità, si rischia di farsi prendere ed espropriare dalle molte cose da fare. C’è da ricordare che Gesù, prima di guarire la suocera di Pietro, le si è avvicinato e l’ha fatta alzare prendendola per mano: la cosa più importante è il contatto personale con le persone, farle sentire che in quel momento si è del tutto per loro, e non con il pensiero rivolto già alle prossime cose da fare. Questo contatto personale ha una forza di guarigione più grande della moltiplicazione delle Messe per non scontentare nessuno.
La seconda ragione è che Gesù si sottrae al rischio di diventare il semplice fornitore di miracoli di guarigione. Egli può prendersi cura dell’uomo perché si prende cura del suo rapporto con il Padre, da cui trae la forza necessaria che è l’amore. Solo così i gesti che Egli compie non sono semplice soddisfazione del bisogno dell’uomo, ma segni della vicinanza di Dio all’uomo e alla sua condizione di sofferenza: diventano “sacramenti”, che indicano, dentro i gesti umani più belli della cura dell’altro, la tenerezza di Dio per la fragilità delle sue creature e dei suoi figli.

Alberto Vianello
Fonte:www.monasteromarango.it/




il commento al vangelo della domenica

INSEGNAVA LORO COME UNO CHE HA AUTORITÀ

commento al vangelo della quarta domenica del tempo ordinario (28 gennaio 2018) di p. Alberto Maggi:

Mc 1-21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao,] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi. Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Gesù ha chiamato i primi quattro discepoli invitandoli ad essere pescatori di uomini. Qual è il significato di pescare gli uomini? Togliere gli uomini da un ambito che può recare loro la morte. E inizia la pesca. Ma dove porterà Gesù i suoi discepoli per pescare gli uomini? E questa è la sorpresa che ci riserva il vangelo di Marco nel brano di questa domenica, al capitolo 1, versetti 21-28.
Gesù non porta i suoi discepoli per salvare gli uomini in luoghi di malaffare o luoghi peccaminosi, ma nei luoghi di culto, nei luoghi religiosi. Sono questi gli ambiti in cui bisogna salvare gli uomini, perché sono questi i luoghi che rischiano di dare la morte alle persone che li frequentano.
Leggiamo Marco.
Giunsero a Cafarnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegna. L’evangelista non afferma che Gesù partecipa al culto della sinagoga, ma va nella sinagoga per insegnare e il suo insegnamento è l’esatto contrario di quello che lì veniva trasmesso. Gesù, nel suo insegnamento, vuole liberare le persone da quelle che lui denuncerà come “dottrine degli uomini”, “tradizioni degli antichi”, che nulla hanno a che fare con la volontà di Dio.
Marco scrive che la reazione della gente è singolare, erano stupiti del suo insegnamento. E sottolinea, egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità. Avere autorità significa avere il mandato divino. E non come gli scribi. Erano gli scribi quelli che avevano questo mandato divino per insegnare.
Gli scribi erano i teologi ufficiali del sinedrio, era il magistero infallibile, persone di straordinaria importanza; si credeva che le parole degli scribi fossero le stesse parole di Dio, quando c’era conflitto tra la parola scritta e l’insegnamento dello scriba bisognava dare retta allo scriba perché lui era l’unico vero interprete della sacra scrittura. Ebbene, appena Gesù insegna, ecco che la gente incomincia ad aprire gli occhi. Questo Gesù ha il mandato divino per insegnare, non i nostri scribi.
Ed ecco che scoppia l’incidente. E immediatamente, come Gesù è entrato nella sinagoga e ha iniziato a insegnare, c’è subito l’incidente. Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da spirito impuro. La denuncia che fa l’evangelista è molto seria e drammatica: ecco il prodotto della sinagoga, un uomo posseduto da spirito impuro. Frequentare questi luoghi di culto, frequentare questi luoghi religiosi, accogliere in maniera acritica l’insegnamento che lì viene dato, rende le persone impure.
Impure significa nell’impossibilità di comunicare con Dio. L’insegnamento religioso non solo non avvicinava la gente a Dio, ma era quello che glielo impediva. Ebbene, cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?” E’ strano perché c’è un uomo ma parla al plurale. “Sei venuto a rovinarci?” Quest’uomo si sente minacciato da Gesù. Ma perché parla al plurale? Chi è che Gesù sta rovinando con il suo insegnamento? Sta rovinando la categoria e la reputazione degli scribi. Allora questo è l’uomo che ha dato un’adesione acritica, incondizionata all’insegnamento degli scribi e quando vede questo insegnamento in cristi, sente in pericolo anche la propria religiosità, la propria fede.
Ecco perché reagisce. E’ l’uomo che si fa portavoce della categoria degli scribi. E lo richiama al suo compito. “Io so chi tu sei: il santo di Dio!” Il santo di Dio è un’espressione che indicava il messia che doveva osservare fedelmente la legge e poi imporla. Gesù non accetta il dialogo. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!! E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Perché questo spirito impuro, che è sconfitto dalla parola di Gesù lascia l’uomo straziandolo? Perché è uno strazio. Quando si arriva a un certo punto della propria esistenza e si incontra il messaggio di Gesù dover riconoscere che tutto l’insegnamento al quale si era creduto, tutte le pratiche religiose che erano state fatte, non solo non permettevano la comunione con Dio, ma erano proprio l’ostacolo che lo impediva, ebbene liberarsi da tutto questo è uno strazio. Ci si sente traditi, ci si sente ingannati.
Tutti furono presi da meraviglia (non timore), tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo”. Il termine “nuovo” adoperato dall’evangelista non ha in senso di aggiunto nel tempo (un nuovo insegnamento) ma un insegnamento nuovo, nuovo di una qualità che soppianta tutto il resto. L’insegnamento di Gesù è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona porta dentro di sé. E questo la gente lo ha percepito.
“Dato con autorità”. Ecco di nuovo si ribadisce che Gesù ha l’autorità, cioè il mandato divino per insegnare e non gli scribi. “Comanda persino agli spiriti impuri …” E qui Gesù ha comandato a uno, ma la gente estende l’effetto, l’efficacia dell’insegnamento di Gesù a tutte le situazioni di impurità. “… E gli obbediscono!” La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Quindi dilaga l’insegnamento di Gesù. Naturalmente gli scribi non staranno con le mani in mano, ma poi si vendicheranno e più avanti vedremo che saranno gli scribi a dire che Gesù è lui che è posseduto da uno spirito impuro.

 




il commento al vangelo della domenica

 

CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO

commento al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (21 gennaio 2018) di p. Alberto Maggi:

Mc 1,14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

L’evangelista Marco denuncia la stupidità del potere. Ogniqualvolta il potente crede di soffocare una voce di denuncia il Signore ne suscita una ancora più forte. E’ quello che ci scrive Marco nel suo vangelo, al capitolo 1, dal versetto 14.
“Dopo che Giovanni fu arrestato”, è il primo conflitto tra il potere e un inviato di Dio. Ma ogni volta Dio suscita sempre una voce ancora più forte. “Dopo che Giovanni fu arrestato”, letteralmente ‘consegnato’, “Gesù andò nella Galilea”. Gesù incomincia nella regione lontana dall’istituzione religiosa giudaica, una regione a contatto con i pagani dove la mentalità poteva essere un poco più aperta.
“Proclamando il vangelo di Dio”, cioè la buona notizia di Dio. E qual è la buona notizia di Dio? Che Dio è diverso da come i sacerdoti l’avevano presentato. E’ un Dio completamente diverso. Non è un Dio che chiede, ma un Dio che dà. Non è un Dio che castiga, ma un Dio che perdona, non un Dio buono, ma un Dio esclusivamente buono.
Questo è il contenuto della buona notizia del vangelo di Dio che Gesù proclamerà. Dio è amore e il suo amore viene offerto in maniera incondizionata ad ogni persona. Questa è la buona notizia che Gesù proclama. “E diceva: «Il tempo è compiuto»”. Per esprimere il tempo l’evangelista adopera un termine che significa l’occasione perduta, l’occasione propizia, da prendere al volo perché poi rischia di non ripresentarsi. “«E il regno di Dio è vicino»”.
Per Regno di Dio si intende la signoria di Dio. Nella nuova relazione con Dio che Gesù propone, quella con il Padre, non c’è più una legge, un codice esterno all’uomo che l’individuo deve osservare, ma c’è l’accoglienza e la pratica di un amore simile al suo. Il Dio di Gesù non governa  gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro interiormente la sua stessa forza, il suo stesso Spirito che li rende capaci di amare generosamente come da lui si sentono amati.
Il regno di Dio è vicino, ma per far sì che questo diventi realtà, c’è bisogno di una decisione da parte dell’uomo, la conversione. L’evangelista non adopera il verbo convertire che indica un ritorno alla religione, a Dio, ma indica un cambio di mentalità che incide profondamente nel comportamento, una rinuncia all’ingiustizia e l’orientamento della propria esistenza per il bene degli altri.
Questa è la conversione alla quale Gesù chiama, alla quale Gesù invita, perché il regno di Dio diventi realtà. Per regno di Dio in questo vangelo si intende una società alternativa, una società dove anziché il salire ci sia lo scendere, dove anziché comandare ci sia il servire e soprattutto dove anziché l’accumulo dei beni ci sia la condivisione. Allora per far questo ci vuole una conversione, un cambiamento di rotta.
E Gesù invita a credere in questa buona notizia. E qual è la buona notizia? Che Dio governa gli uomini e che è possibile una società alternativa. Ma Gesù per fare questo ha bisogno della collaborazione degli uomini. Ecco perché “passando lungo il mare di Galilea …”. Qui l’evangelista parla di mare di Galilea, in realtà è un lago. Perché l’evangelista adopera il termine “mare”? Perché il mare era il confine con la terra pagana e soprattutto il mare è quello che gli ebrei hanno dovuto varcare per entrare nella terra promessa.
Quindi l’evangelista amplia l’orizzonte del messaggio di Gesù, che non è rivolto soltanto alla Galilea, ma è rivolto a tutto il mondo pagano. “… Vide Simone e Andrea”; sono due nomi di origine greca, quindi una comunità mentalmente più aperta. “Mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro di me»”, questo sarà l’invito che Gesù continuamente farà risuonare nel vangelo ieri e ancora oggi: andare dietro di lui, perché lui sa come realizzare questa società alternativa, il regno di Dio.
“«Vi farò diventare pescatori di uomini»”. Il riferimento dell’evangelista è al capitolo 47 di Ezechiele dove vengono presentate coppie di fratelli che ricevono la terra promessa. Quindi il regno di Dio è una realtà che adesso già sta emergendo attraverso la chiamata dei fratelli. Ma perché Gesù li chiama a diventare pescatori di uomini? Gesù non li invita ad essere pastori, non li invita ad essere guide, non li invita ad essere maestri, ma pescatori di uomini.
Qual è il significato? Pescare un pesce significa tirar fuori un animale dal suo habitat naturale per dargli la morte. E si fa per il proprio interesse, si pesca per il proprio beneficio. Pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, ciò che rischia di dar loro la morte; quindi è un ambiente ostile all’uomo, un ambiente nel quale l’uomo può perire, e non si fa per il proprio interesse, ma per l’interesse degli altri.
Questa è la conversione. La conversione alla quale Gesù richiama, richiede ed invita è: mentre fino ad ora hai vissuto per il tuo interesse, adesso vivi per l’interesse degli altri; mentre fino ad ora hai pescato per te, adesso pesca per gli altri, per comunicare vita agli altri. Allora Gesù li invita a collaborare alla sua azione nel proporre e praticare concretamente uno stile diverso per rendere possibile una società alternativa, diversa, quella che viene chiamata regno di Dio, e la prima azione che si fa è quella di togliere gli uomini da ciò che può dar loro la morte. Se quello che da la vita è la rinuncia al proprio interesse, quello che da la morte è vivere esclusivamente centrati sul proprio interesse, sulla convenienza.
E saranno proprio coloro che sono centrati sulla propria convenienza, sul loro interesse, gli acerrimi nemici di Gesù.
“Subito lasciarono le reti e lo seguirono”, quindi immediatamente questi personaggi, questi due primi discepoli, accolgono l’invito di Gesù, ma Gesù continua. E questa volta lo rivolge a due fratelli che hanno nomi ebraici; sono Giacomo e Giovanni, quindi più attaccati alla tradizione e saranno quelli che nel vangelo poi mostreranno delle difficoltà nel seguire Gesù. Ma anche questi al momento lasciano il padre Zebedeo “sulla barca con i garzoni e andarono dietro di lui”.
Quindi l’intento di Gesù è quello di chiamare persone che con lui collaborino facendosi portatori di vita a quanti vivono in un habitat di morte.




il commento al vangelo della domenica

VIDERO DOVE DIMORAVA E RESTARONO CON LUI

commento al vangelo della seconda domenica del tempo ordinario (14 gennaio 2018)  di p. Alberto Maggi:

Gv 1,35-42

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Nel libro dell’Esodo, nel capitolo 12, si descrive la Pasqua, la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana. In questo capitolo Dio comanda, attraverso Mosè, a ogni famiglia israelita, di prendere un agnello ucciderlo e mangiarlo. Perché? La carne dell’agnello avrebbe trasmesso l’energia per iniziare questo cammino di liberazione verso la terra della libertà e il sangue li avrebbe preservati dal passaggio dell’angelo sterminatore che avrebbe seminato la morte.
Ebbene l’evangelista Giovanni tiene molto presenti queste linee teologiche per presentare la figura di Gesù. Leggiamo.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli, e, fissando lo sguardo … Il verbo “fissare” nel vangelo di Giovanni appare soltanto due volte e unicamente in questo episodio. Fissare significa svelare la realtà più profonda di un individuo. Qui Giovanni Battista fissa, cioè svela la realtà più profonda di Gesù, e poi alla fine del brano sarà Gesù che fisserà Simone, svelandone la realtà più profonda.
Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: “Ecco l’agnello di Dio”, ecco l’agnello che Dio ha mandato al suo popolo. La carne di Gesù darà la capacità, la forza e l’energia per iniziare questo cammino di pienezza verso la liberazione. E il sangue non libererà dalla morte fisica, ma libererà dalla morte per sempre. Il sangue dell’agnello trasmetterà all’uomo la stessa vita divina. Per questo 
gli conferirà una vita che è chiamata “eterna” non tanto per la durata (per sempre), quanto per la qualità indistruttibile.
Ebbene, i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, lo seguirono. Quindi inizia questo processo di liberazione. Gesù è indicato come l’agnello e ci sono già i primi discepoli che lasciano Giovanni Battista e seguono Gesù perché dentro di sé sentono questo bisogno di pienezza di vita, di liberazione.
Infatti Gesù, che va incontro ai desideri degli uomini, vedendo che questi lo seguono, si voltò, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gesù non chiede “Chi cercate”, ma “che cosa cercate”. Se cercano pienezza di vita, se cercano la risposta al proprio desiderio di vita, di felicità, possono andare, ma se cercano onori, potere e ricchezze inevitabilmente rimarranno delusi dalla figura di Gesù.
Gli risposero: “Rabbì” – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?” Ebbene Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Il luogo dove Gesù dimora non può conoscersi per una informazione, ma per una esperienza, perché Gesù dimora nella pienezza della sfera, dell’amore divino. Gesù in questo vangelo è stato indicato come “il verbo, la parola di Dio che ha messo la tenda in noi, dimora in noi”, quindi andare verso Gesù significa entrare nella dimensione dell’amore di Dio.
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui. E’ l’inizio di una tappa di fusione tra Gesù e i suoi discepoli. Ora i discepoli vanno a dimorare con Gesù, ma poi sarà Gesù più avanti, nel capitolo 14-23 che chiederà ai discepoli di dimorare in loro. Gesù dirà: “A chi mi ama, io e il padre mio verremo in lui e prenderemo dimora in lui”. Quindi c’è una fusione tra i discepoli e Gesù per diventare – quello che sarà il tema conduttore di questo vangelo – una unica realtà che esprima la manifestazione di Dio.
L’evangelista sottolinea che erano circa le quattro del pomeriggio, ogni indicazione che troviamo nei vangeli non è superflua, ma ha un profondo significato. Il giorno sta per tramontare e sta per iniziare il nuovo giorno. Con i primi discepoli che seguono Gesù inizia una nuova realtà.
L’evangelista ci sottolinea che uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea. Andrea comparirà ancora due volte in questo vangelo, insieme a Filippo, nell’episodio della condivisione dei pani e quando dei greci chiederanno di vedere Gesù. Fratello di Simon Pietro. Egli incontro per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo.
Stranamente da parte di Simone non c’è nessuna reazione, nessuna risposta e nessun entusiasmo, ma deve essere il fratello che lo conduce a Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, quindi Gesù svela la realtà più profonda di questo Simone, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni”. Ponendo l’articolo determinativo, “il” figlio significa che è figlio unico. Ma qui abbiamo visto che Simone ha un fratello, Andrea, per cui Giovanni non può essere il nome del padre di Simone e di Andrea.

Cosa vuol dire allora “il figlio di Giovanni”? E chi è questo Giovanni? E’ Giovanni Battista. Anche Simone era discepolo di Giovanni Battista, anzi era il discepolo ideale, per questo Gesù lo chiama “il figlio”. Era il discepolo modello di Giovanni Battista.
E Gesù, fissandolo, quindi svela la realtà più profonda, dice: “Sarai chiamato Cefa”, che significa Pietro”. Pietro indica la durezza, la cocciutaggine, al testardaggine. Per ora questo soprannome legato a Simone rimane misterioso, ma andrà svelandosi lungo tutto il vangelo perché vedrà sempre questo discepolo essere contrario, essere in opposizione a quello che Gesù farà.




il commento al vangelo della domenica

“TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO”

BATTESIMO DEL SIGNORE 

7 gennaio 2018 

di Alberto Maggi 


Mc1,7-11
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento»
Tutti gli evangelisti sono concordi nell’indicare l’attività di Gesù, come quella di colui che battezza nello Spirito Santo. E questo è possibile perché in Gesù risiede la pienezza dello Spirito Santo, cioè la forza, la capacità e la potenza d’amore di Dio. Questa accoglienza dello Spirito da parte di Gesù viene indicata dagli evangelisti nell’episodio del battesimo. Leggiamo come ce la narra l’evangelista Marco.
“«Ed ecco, in quei giorni…»” – questa espressione “in quei giorni”, che appare per la prima volta in questo Vangelo, indica il compimento delle promesse di Dio – “«Gesù»” – il nome è lo stesso di Giosuè, in ebraico, colui che fece entrare il popolo nella terra promessa – ma poi le credenziali di questo Gesù sono veramente pessime
perché, ci scrive l’evangelista, che “«venne da Nàzaret di Galilea …»”.
La Galilea è la regione disprezzata, la regione dei facinorosi, dei rivoluzionari – al tempo di Gesù dire “galileo” significava dire “testa calda”, ”fanatico”– ebbene, Gesù viene proprio dalla Galilea. Ma si credeva che il Messia sarebbe dovuto venire dalla Giudea, dalla regione santa, e non dalla Galilea.
E per giunta viene proprio da Nazaret che era un borgo selvaggio, dalla brutta reputazione, che era un po’ il covo dove si rifugiavano gli zeloti, i rivoluzionari, contro di Roma. Non bisogna dimenticare che era ancora vivo il ricordo di Giuda il Galileo, che proveniva appunto dalla Galilea: si era proclamato Messia ed aveva iniziato una rivolta contro Roma, finita poi in un bagno di sangue.
“«E fu battezzato nel Giordano da Giovanni »”, Giovanni aveva annunziato un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Perché Gesù va a farsi battezzare? Il battesimo è un simbolo di morte: ci si immerge e si muore al proprio passato.
Anche per Gesù il battesimo sarà un simbolo di morte, ma non di un passato ingiusto, di peccato – che lui non ha da farsi perdonare – ma di accettazione di morte nel proprio futuro: una donazione del suo amore agli uomini, che può arrivare al punto di accogliere la morte. Infatti Gesù quando parlerà della sua morte, ne parlerà come di un battesimo: ”c’è un battesimo che io devo accogliere” .
E vediamo come ci descrive l’evangelista questo battesimo di Gesù, inserendo nella scena del battesimo gli stessi termini che poi collocherà al momento della morte, per indicare che battesimo e morte di Gesù sono una sola cosa.
“«E subito salendo dall’acqua …»” – scendere nell’acqua è un’immersione nella morte, ma la morte non trattiene Gesù – Gesù immediatamente sale dall’acqua. “«…vide squarciarsi…»”– è importante questo verbo squarciarsi -“«…i cieli…»”: si credeva che Dio era talmente arrabbiato con l’umanità che aveva come sigillato i cieli, non c’era più comunicazione tra Dio ed il suo popolo – basta pensare al desiderio di Isaia nel suo libro, quando scrive “ ah, se tu squarciassi i cieli e discendessi !”.
Quindi, c’era questa attesa che Dio squarciasse i cieli: ma i cieli erano chiusi, erano sigillati. Ebbene, nel momento in cui Gesù s’impegna a manifestare l’amore di Dio senza limiti, c’è una risposta da parte di Dio di un amore senza limiti. Ed i cieli non si aprono: qualcosa che si apre poi si può richiudere. I cieli si squarciano, si lacerano e quindi non possono più essere ricomposti : con Gesù la comunicazione di Dio con l’umanità sarà, da questo momento, continua, crescente ed ininterrotta.
Ebbene, questo verbo “squarciare” lo ritroviamo poi al momento della morte di Gesù, quando “il velo del Tempio si squarciò”, il velo nascondeva la stanza segreta dove si credeva ci fosse la presenza di Dio: nel momento in cui Gesù muore in croce, il velo si squarcia e rivela chi è Dio.
Chi è Dio? E’ l’uomo che per amore ha donato la sua stessa vita.
“« E lo Spirito …»” – l’articolo determinativo, “lo”, indica la totalità – «… lo Spirito …»” – e Gesù, l’attività di Gesù sarà battezzare nello Spirito Santo, ma su Gesù non scende lo Spirito Santo, ma “lo Spirito” – perché “Santo” non indica soltanto la qualità di questo Spirito ma l’attività di consacrare, di separare l’uomo dal male – e Gesù non ha bisogno di essere separato dal male.
“« E lo Spirito …»” – quindi la totalità dell’amore di Dio – “« .. discendere verso di lui …»” : nel momento in cui Gesù sale dall’acqua, ecco un movimento che dal cielo, scende lo Spirito su Gesù.
Questo termine – “Spirito” – lo ritroviamo anch’esso poi nella morte di Gesù, quando Gesù “spirò”, che nel greco ha la stessa radice di “Spirito”: Gesù sulla croce, lo Spirito che ha ricevuto al momento del battesimo, lo comunica a quanti lo accolgono, e con lui e come lui vorranno dedicare la propria vita per il bene degli uomini.
Questo Spirito discende verso di lui “«… come una colomba … »”. Perché questa immagine della colomba? Era proverbiale l’amore della colomba per il proprio nido: alla colomba anche se gli si cambia il nido, lei torna sempre al suo nido originario.
Quindi, Gesù è il nido, è la dimora dello Spirito. In più l’immagine che c’è nel libro della Genesi, che lo Spirito del Signore si librava – al momento della creazione – sulle acque, veniva interpretata dai rabbini come il volo di una colomba sulla sua nidiata. Quindi, questo riferimento alla creazione fa vedere che in Gesù si realizza il compimento del progetto di Dio sull’umanità, il progetto della creazione.
“« E venne una voce dal cielo …»” – mentre Gesù vide squarciarsi i cieli, quindi fu una sua esperienza – qui la voce venne dal cielo, quindi è una dimostrazione per tutti. Ebbene, lo stesso termine “voce” – in greco “ fonè ” – lo ritroviamo al momento della morte di Gesù, quando – è strano che Gesù agonizzante, ormai morente – scrive l’evangelista – ”diede un grande grido“ : il termine “grido” e “voce”, in greco è lo stesso.
E’ un grido di vittoria perché l’amore è più forte della morte, l’amore è più forte del peccato: quando Pietro ha tradito Gesù, il gallo ha cantato ed il verbo nella lingua greca è lo stesso, è il “grido” . Ebbene, l’amore di Gesù è più forte del peccato del proprio discepolo: quindi è il “grido” di vittoria.
E qui la voce dal cielo – l’evangelista ci riporta una citazione del Salmo 2, il versetto 7 – “«Tu sei Figlio mio»”. Qui non indica tanto chi è Gesù, ma chi è Dio: se Gesù è intenzionato a dedicare tutta la propria esistenza per comunicare vita agli uomini – figlio è colui che assomiglia al padre nel suo comportamento – significa che questo è il lavoro di Dio.
Il lavoro di Dio è comunicare vita agli uomini perché l’abbiano in abbondanza.
“«Tu sei il Figlio mio»”- e questa espressione “il Figlio di Dio, Figlio mio” – la ritroviamo anch’essa al momento della morte di Gesù: l’unico che ha capito Gesù, non sono stati né i suoi familiari, né i discepoli, tanto meno i sacerdoti ed i farisei, ma un pagano, uno straniero, il centurione, il boia presente alla crocifissione.
Scrive l’evangelista che “vedendolo spirare in quel modo … “- in quel modo ricco d’amore – “… il centurione esclamò: « Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! »”. Quindi, abbiamo visto come i termini del momento del battesimo, l’evangelista poi li ripropone al momento della morte di Gesù, per indicare che, per Gesù, il battesimo è l’accettazione di morte nel futuro: per essere fedele all’amore di Dio, per liberare gli uomini, Gesù andrà incontro alla morte.
Poi si conclude questo brano con l’espressione “«… l’amato …»” .
L’amato significa il figlio erede, colui che eredita tutto del Padre: non si può dividere Gesù da Dio, Dio e Gesù sono la stessa cosa.
In Gesù, Dio manifesta quello che è : Amore senza fine per tutta l’umanità.
“«… : in te ho posto il mio compiacimento».” : il compiacimento del Padre è stata la comunicazione di pienezza di vita – lo Spirito – che poi Gesù comunicherà a quanti lo accoglieranno.

fonte:/www.studibiblici.it




il commento al vangelo della domenica

battesimo

nascere di nuovo e con un ‘dna’ divino
padre Ermes Ronchi

battesimo del Signore

(anno B) (07/01/2018)

Visualizza Mc 1,7-11

Il racconto di Gesù al Giordano ci riporta alla Genesi, all’in principio, alle prime immagini della bibbia, quando lo spirito di Dio aleggiava sulle acque (Genesi 1,2) di un mare gonfio di vita inespressa. L’origine del creato, come quella di ognuno di noi, è scritta sull’acqua, nelle acque di un grembo materno.

Il rito del Battesimo porta impresso questo sigillo primordiale di nascite e di rinascite, di inizi e di ricominciamenti. Lo rivela un dettaglio prezioso: venne una voce dal cielo e disse: «Tu sei il Figlio mio, l’amato».

La voce dice le parole proprie di una nascita. Figlio è la prima parola, un termine potente per il cuore. E per la fede. Vertice della storia umana. Nel Battesimo anche per me la voce ripete: tu sei mio figlio. E nasco della specie di Dio, perché Dio genera figli di Dio, figli secondo la propria specie. E i generati, io e tu, tutti abbiamo una sorgente nel cielo, il cromosoma del Padre nelle cellule, il Dna divino seminato in noi.

La seconda parola è amato e la terza: mio compiacimento. Termine desueto, che non adoperiamo più, eppure bellissimo, che nel suo nucleo contiene l’idea di piacere, che si dovrebbe tradurre così: in te io ho provato piacere. La Voce grida dall’alto del cielo, grida sul mondo e in mezzo al cuore, la gioia di Dio: è bello stare con te. Tu, figlio, mi piaci. E quanta gioia sai darmi!

Io che non l’ho ascoltato, io che me ne sono andato, io che l’ho anche tradito sento dirmi: tu mi piaci. Ma che gioia può venire a Dio da questa canna fragile, da questo stoppino dalla fiamma smorta (Isaia 42,3) che sono io? Eppure è così, è Parola di Dio, rivelativa del suo cuore segreto. Per sempre.

Gesù fu battezzato e uscendo dall’acqua vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. Noto la bellezza e l’irruenza del verbo: si squarciano i cieli, come per un amore incontenibile; si lacerano, si strappano sotto la pressione di Dio, sotto l’urgenza del Signore. Si spalancano come le braccia dell’amata per l’amato. Da questo cielo aperto viene, come colomba, la vita stessa di Dio. Si posa su di te, ti avvolge, entra in te, a poco a poco ti modella, ti trasforma pensieri, affetti, speranze, secondo la legge dolce, esigente, rasserenante del vero amore.

Nel Battesimo è il movimento del Natale che si ripete: Dio scende ancora, entra in me, nasce in me perché io nasca in Lui, nasca nuovo e diverso, custodendo in me il respiro del cielo.

Ad ogni mattino, anche in quelli più oscuri, riascolta la voce del tuo Battesimo sussurrare: Figlio mio, amore mio, gioia mia. E sentirai il buio che si squarcia, e il coraggio che dispiega di nuovo le ali sopra l’intera tua storia.




la festa dell’Epifania nel commento di mons. Galantino

” FUORI DALLE SACRESTIE, INCONTRO ALLA LUCE”


Epifania del Signore, 6 gennaio 2018

Con l’arrivo dei Magi a Betlemme la nascita di Gesù ottiene la massima notorietà: è come se l’evangelista ci dicesse che davanti a questo evento ora siamo chiamati a prendere posizione, a dire da che parte stiamo. Su questo sfondo emerge la grandezza dei cercatori di Dio, uomini sanamente inquieti che non si accontentano dei sentieri battuti dall’abitudine o dall’ufficialità; uomini che bussano al di là dei santuari della cultura e della religiosità istituita. I rappresentanti di quest’ultima, del resto, in questo straordinario racconto fanno una figura ben meschina: si rivelano abili nello sfogliare le Scritture, addirittura hanno in mano la carta vincente – interrogati dal re “sul luogo in cui doveva nascere il Messia”, non esitano a rispondere correttamente: “A Betlemme di Giudea, perché così è scritto…” (Mt 2, 4-5) – ma la loro è una verità che non scalda il sangue, non mette in circolo energie, non fa uscire dai sacri palazzi per agire di conseguenza. Personaggi spenti, sono l’emblema di chi ha il cuore indurito, per cui si chiude nell’ostinazione e rifiuta la presenza del Signore: non la nega, ma si guarda bene dall’incrociarla… In fondo, sono i veri sconfitti: loro, “capi dei sacerdoti e scribi del popolo”, che non sanno andare oltre il proprio naso, incapaci di lasciarsi coinvolgere dalla novità che pur ripetono; ed Erode, vinto dalla paura di perdere il potere.

I Magi, come già i pastori, sono invece figura di quanti accolgono l’invito a mettersi in viaggio, scrutando e lasciandosi interpellare dai segni con cui il Signore anche oggi indica la strada (la stella); di coloro che non si fermano dinanzi alle difficoltà o ai momenti di disorientamento (la stella ad un certo punto scompare); di chi non è animato dall’arrogante presunzione di bastare a se stesso, ma conosce l’umiltà di chiedere, senza disdegnare la fatica del confronto: “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei?” (Mt 2, 2).

Trovo significativo che l’evangelista Matteo non si sia preoccupato di tramandarci il nome, il numero, la razza o il colore della pelle dei Magi, quasi a dire che rappresentano ciascuno di noi: la loro è la storia di tutti i cercatori di Dio, assetati di una luce che non tramonta con lo spegnersi della festa.
In conclusione, vorrei sottolineare due atteggiamenti concreti – il dono e la testimonianza – che ci vengono suggeriti proprio dai Magi, quale sorta di indicazione e anche di richiamo a non perderci in ricerche puramente intellettualoidi.

In altre parole, viviamo il cammino della vita offrendo con generosità, convinti che “se aspettiamo di essere ricchi prima di diventare donatori, moriamo di povertà” (Mazzolari). Nei Magi che fanno ritorno al loro Paese leggiamo il richiamo a condividere la stessa esperienza di fede: ne uscirà rafforzata anche la nostra.

fonte:http://www.nunziogalantino.it




il commento al vangelo della domenica

la vecchiaia del mondo e l’eterna giovinezza di Dio
il commento di Ermes Ronchi al vangelo della seconda domenica di natale (31 dicembre 2017):

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Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore – come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» – e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. […]

Maria e Giuseppe portarono il Bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Una giovanissima coppia col suo primo bambino arriva portando la povera offerta dei poveri, due tortore, e la più preziosa offerta del mondo: un bambino.
Non fanno nemmeno in tempo a entrare che subito le braccia di un uomo e di una donna si contendono il bambino. Sulle braccia dei due anziani, riempito di carezze e di sorrisi, passa dall’uno all’altro il futuro del mondo: la vecchiaia del mondo che accoglie fra le sue braccia l’eterna giovinezza di Dio.
Il piccolo bambino è accolto non dagli uomini delle istituzioni, ma da un anziano e un’anziana senza ruolo ufficiale, però due innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia ma ancora accesi dal desiderio. Perché Gesù non appartiene all’istituzione, ma all’umanità. L’incarnazione è Dio che tracima dovunque nelle creature, nella vita che finisce e in quella che fiorisce.
«È nostro, di tutti gli uomini e di tutte le donne. Appartiene agli assetati, a quelli che non smettono di cercare e sognare mai, come Simeone; a quelli che sanno vedere oltre, come la profetessa Anna; a quelli capaci di incantarsi davanti a un neonato, perché sentono Dio come futuro» (M. Marcolini).
Lo Spirito aveva rivelato a Simeone che non avrebbe visto la morte senza aver prima veduto il Messia. Sono parole che lo Spirito ha conservato nella Bibbia perché io, noi, le conservassimo nel cuore: anche tu, come Simeone, non morirai senza aver visto il Signore. È speranza. È parola di Dio. La tua vita non finirà senza risposte, senza incontri, senza luce. Verrà anche per te il Signore, verrà come aiuto in ciò che fa soffrire, come forza di ciò che fa partire.
Io non morirò senza aver visto l’offensiva di Dio, l’offensiva del bene, l’offensiva della luce che è già in atto dovunque, l’offensiva del lievito.
Poi Simeone canta: ho visto la luce da te preparata per tutti. Ma quale luce emana da Gesù, da questo piccolo figlio della terra che sa solo piangere e succhiare il latte e sorridere agli abbracci? Simeone ha colto l’essenziale: la luce di Dio è Gesù, luce incarnata, carne illuminata, storia fecondata, amore in ogni amore. La salvezza non è un opera particolare, ma Dio che è venuto, si lascia abbracciare dall’uomo, è qui adesso, mescola la sua vita alle nostre vite e nulla mai ci potrà più separare.
Tornarono quindi alla loro casa. E il Bambino cresceva e la grazia di Dio era su di lui. Tornarono alla santità, alla profezia e al magistero della famiglia, che vengono prima di quelli del tempio. Alla famiglia che è santa perché la vita e l’amore vi celebrano la loro festa, e ne fanno la più viva fessura e feritoia dell’infinito.




il commento al vangelo della domenica

ECCO CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE

 

commento al vangelo della quarta domenica di avvento (24 dicembre 2017) di p. Alberto Maggi:

Lc 1,26-38

In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazareth, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te».
A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

Nulla è impossibile a Dio. E’ con queste parole che si chiude l’episodio dell’annunciazione dell’angelo Gabriele a Maria. Perché nulla sia impossibile a Dio si esige l’ascolto della sua parola, fidarsi di questa e poi ci vuole l’azione. L’evangelista chiude con questa assicurazione – che nulla è impossibile a Dio – l’episodio dell’annunciazione perché veramente la strada è tutta in salita.
San Paolo nella prima lettera ai Corinzi dice che Dio ha scelto quello che è disprezzato, quello che è ignobile al mondo, quello che noi mai avremmo scelto per le nostre imprese. E’ quello che ha fatto Dio.
Leggiamo il vangelo di Luca. “Al sesto mese l’angelo Gabriele” …. Gabriele in ebraico Gabri-el significa “la forza di Dio”, quindi è la forza della creazione che è capace di vincere qualunque resistenza. “Fu mandato da Dio in una città della Galilea.” Ecco cominciano già le difficoltà perché l’angelo di Dio non viene inviato nella regione santa della Giudea, che aveva il nome del capostipite delle 12 tribù d’Israele, Giuda, il luogo dove risiedeva la presenza di Dio, nel tempio di Gerusalemme, ma in una regione talmente disprezzata che deve il nome al profeta Isaia che nel suo libro, al capitolo 28, versetto 23, indica questo posto come “il distretto dei Gentili”, cioè dei pagani, dei miscredenti.
“Distretto” in ebraico si dice Ghelil, da cui Galilea. Quindi è la regione disprezzata, la regione delle persone che si credeva neanche sarebbero potute risuscitare, comunque esclusa dall’azione
di Dio. E questa città della Galilea è “chiamata Nazareth”, mai nominata nell’Antico Testamento, mai nominata nella Bibbia. Un borgo selvatico abitato da trogloditi, vivevano nelle grotte, gente bellicosa.
Giuseppe Flavio, contemporaneo dei vangeli, dice che i Galilei sono bellicosi fin da piccoli. Ma c’è ancora di più … “a una vergine, sposata” … L’indicazione che ci dà l’evangelista facciamo difficoltà a comprenderla perché gli usi matrimoniali del tempo sono tanto lontani e diversi dai nostri. Il matrimonio avveniva in due tappe, una prima tappa chiamata sposalizio, quando la donna aveva 12 anni e il maschio 18, e dopo un anno la seconda fase del matrimonio chiamate nozze.
Quindi qui abbiamo questa ragazza che era nella prima fase del matrimonio, quando ancora non era possibile che i coniugi vivessero insieme e avessero rapporti tra di loro.
Questa donna è sposata. Quindi l’angelo è inviato a una donna. Dio mai aveva rivolto la parola a una donna, anche questo è tutto in salita, dice la Bibbia che “dalla donna ha inizio il peccato e per causa sua tutti moriamo.”
“Sposata a un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.” Ecco ancora la strada in salita, tra tanti nomi che si potevano scegliere per questa ragazza che doveva dare alla luce Gesù viene scelto proprio il nome che nella Bibbia portava sfortuna. Perché? E’ il nome della sorella di Mosè, donna ambiziosa, castigata, punita severamente da Dio con la lebbra. E da quella volta il nome Maria non compare più nella Bibbia.
E’ come un po’ nel nostro mondo cristiano il nome Giuda, che è un bellissimo nome e tra l’altro è il nome di uno degli apostoli (non solo il traditore di Gesù), ma siccome ricorda il tradimento nessuno mette al bambino il nome Giuda.
E così non si metteva a una bambina il nome Maria perché ricordava una donna castigata da Dio. Quindi come vediamo la strada è tutta in salita. In Galilea, a Nazareth, una donna con questo nome che porta sventura; Entrando da lei, disse: “Rallegrati”, cioè gioisci, “Piena di grazia”, che non è una constatazione che l’angelo fa delle virtù di Maria, ma dice “riempita dalla grazia”.
Dio non è attratto dai meriti di Maria, ma la riempie del suo amore. “Il Signore è con te”, è l’espressione con la quale Dio confermava la sua presenza a coloro che chiamava a compiere le sue azioni, come per esempio Gedeone. “A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: “Non temere, Maria, ecco hai trovato grazia presso Dio.” Quindi è Dio che la riempie del suo amore. “Concepirai un figlio”, e qui cominciano le novità che poi matureranno lungo la vita di Gesù e il suo insegnamento.
“Lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù”. Ma questo è inaudito, la donna non può dare il nome al bambino che nasce. E poi il nome del bambino che nasce è lo stesso del padre, qui invece è la donna che è chiamata a rompere con la tradizione, a rompere col passato, ad aprirsi al nuovo.
E’ lei che deve dare il nome al bambino e non lo deve chiamare con il nome del marito, Giuseppe, come da tradizione, ma lo deve chiamare con questo nome Gesù. L’angelo dice che questo bambino “sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono”, non erediterà il trono, ma è un’azione nuova. “Di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine”.
Questa è la promessa che l’angelo fa a Maria. Ebbene Maria non si scompone di fronte a questa novità e chiede soltanto le modalità. Allora Maria disse all’angelo: “Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?” appunto perché non era passata alla seconda fase del matrimonio, le nozze, quando cominciava la convivenza.
“Le rispose l’angelo” … l’evangelista racchiude l’esistenza di Maria tra le due discese dello Spirito Santo, all’annunciazione e nel cenacolo con la Pentecoste. “Lo Spirito Santo scenderà su di te”, in Maria c’è una nuova creazione, una nuova generazione, “e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio”. Modi di dire per far comprendere che colui che nascerà sarà il messia, l’inviato da Dio, il liberatore del popolo.
Quindi su Maria scende lo Spirito Santo come al momento della creazione, quello che nasce è qualcosa di completamente nuovo. Perché l’angelo esclude in tutto questo Giuseppe? Perché il padre trasmetteva al figlio non soltanto la vita biologica, ma anche la tradizione religiosa, morale. Ebbene Gesù non seguirà i padri d’Israele, ma Gesù seguirà il padre, che è Dio.
E l’angelo conferma: “Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio ”. Le parole che Dio aveva detto a Sara, anche lei anziana, con Abramo che non credeva nella possibilità di poter mettere al mondo un bambino, l’angelo le conferma a Maria, nulla è impossibile a Dio.
L’azione di Dio con la sua forza creatrice non ha limiti, ma, come ricordavamo all’inizio, ha bisogno dell’ascolto da parte dell’uomo, di fidarsi di questa parola e poi la sua collaborazione. “Allora Maria disse: Ecco la serva del Signore”, non una serva. “Serva del Signore” era uno dei titoli che aveva il popolo di Israele, quindi Maria per l’evangelista identifica il popolo. “Avvenga di me secondo la tua parola. E l’angelo si allontanò da lei”.
Maria si fida, si fida completamente del Dio dei suoi padri, ora l’aspetta il compito più difficile: accogliere ed accettare il Dio di suo figlio, Gesù.




il commento al vangelo della domenica

 

IN MEZZO A VOI STA UNO CHE VOI NON CONOSCETE 

commento al vangelo della terza domenica di avvento (17 dicembre 2017) di p. Alberto Maggi :

Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Con questa bella immagine tratta dal prologo del Vangelo di Giovanni, si apre il vangelo di questa domenica. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo il Signore sceglie un uomo per manifestarlo. Non un esponente della casta sacerdotale, né dell’élite religiosa.
Luoghi e persone religiose sono impermeabili all’azione dello Spirito. “Il suo nome era Giovanni”. Giovanni, in ebraico Yohan, significa Jahvè, il Signore è misericordia. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti … il messaggio di Dio è universale, abbraccia tutta l’umanità … “credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce”.
Il compito di Giovanni è risvegliare negli uomini il desiderio di pienezza di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce, nonostante le tenebre.
“Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei”… per la prima volta appare in questo vangelo il termine Giudei che sarà ripetuto ben 71 volte, con il quale l’evangelista non indica il popolo ebraico, ma i capi, le massime autorità religiose. “Gli inviarono” … E qui l’evangelista gioca con questo verbo. Dio invia Giovanni per risvegliare il desiderio di pienezza di luce, le autorità religiose immediatamente inviano la polizia per spegnere questa luce.
“Da Gerusalemme”, sede dell’istituzione religiosa, “sacerdoti e levìti”. I levìti nel tempio svolgevano anche funzioni di polizia. Quindi ci sono i sacerdoti per interrogare Giovanni e i levìti pronti ad arrestarlo. “A interrogarlo”, è lo stesso termine che poi comparirà nell’interrogatorio che condurrà a morte Gesù.
E in maniera brutale gli chiedono: “Tu chi sei?” sono le tenebre che detestano questa luce che Giovanni sta risvegliando. “Egli confessò e non negò. Confessò: Io non sono il Cristo”. E’ quello che temono. Si sapeva che il Cristo, il messia sarebbe venuto a deporre l’intera gerarchia religiosa per indegnità, per corruzione. Ed è quello che temono.
Se anche nelle preghiere desideravano, auspicavano l’avvento del messia, in realtà lo temevano perché sapevano che con il messia per loro sarebbe stata la fine; il messia avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso. Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?” Si credeva che il profeta Elia sarebbe venuto prima del messia. “Non lo sono”.
Le risposte di Giovanni sono via via sempre più brevi e più secche. “Sei tu il profeta?” quello promesso da Mosè, “No, rispose. Gli dissero allora: Chi sei?” È interessante, Dio invia il suo messaggero, ma i sacerdoti e i levìti che dovevano per primi riconoscerlo, non lo conoscono. Gli chiedono “chi sei?”
“Perché possiamo dare una risposta a coloro”, cioè i capi “che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Tutto questo perché per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato legittimato da parte delle autorità competenti. Rispose: “Io, voce di uno che grida dal deserto”, e qui l’evangelista cita il profeta Isaia, ma omette il verbo “preparare” inserendo solo “raddrizzare”.
“Rendete dritta la via del Signore”, cioè togliete gli ostacoli. Sono proprio le autorità religiose il massimo ostacolo alla venuta di Gesù, alla sua azione e al suo insegnamento. “Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei”. Meglio tradurre: c’erano gli inviati dai farisei. Per la prima volta appaiono in questo vangelo i farisei e l’ultima volta che compariranno sarà al momento dell’arresto di Gesù.
Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto osservanti della legge, sono refrattarie all’azione divina, non riconoscono l’inviato da Dio né in Giovanni, né il figlio di Dio in Gesù, e saranno acerrimi avversari del progetto di Dio sull’umanità.
“Essi lo interrogarono e gli dissero: Perché dunque battezzi, se Giovanni battezza c’è qualcuno che lo ha riconosciuto come inviato da Dio, ma non sono le autorità religiose, bensì il popolo. “Se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Ed ecco la risposta, la denuncia di Giovanni. Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, non lo conoscono e mai conosceranno.