il commento al vangelo della domenica

PENTITOSI ANDÒ

I PUBBLICANI E LE PROSTITUTE VI PASSANO AVANTI NEL REGNO DI DIO

commento al vangelo della ventiseiesima domenica del tempo ordinario (1 ottobre 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 21:28-32

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: “Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna”. Ed egli rispose: “Non ne ho voglia”. Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: “Sì, signore”. Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia, e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, avete visto queste cose, ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli».

Per l’evangelista Matteo i capi religiosi del popolo sono malati terminali di potere per i quali non c’è nessuna speranza. L’azione di Dio, la potenza di Dio diventa impotente nei loro confronti. Come mai questo? Dio può tutto con il peccato e i peccatori, il suo amore riesce a sbriciolare il peccato, ma non può nulla contro quelli che agiscono per convenienza e questo è quello che fanno i sommi sacerdoti, i capi del popolo. C’è stato un antecedente, sono furibondi con Gesù, perché Gesù dopo l’episodio del tempio, ha dichiarato che il tempio è un covo di ladri e allora questi sommi sacerdoti, gli anziani, chiedono a Gesù con quale autorità lui possa fare questo. E Gesù non risponde ma chiede a loro con quale autorità era venuto Giovanni il Battista e loro non rispondono, perché? Ragionano tra di loro, se diciamo dal cielo ci dirà: perché non gli avete creduto; se diciamo degli uomini, abbiamo paura della gente che lo crede un profeta, per cui non rispondono. Tutto quello che le autorità religiose, fanno, decidono e agiscono è per la loro convenienza; per loro per il momento è conveniente non rispondere. Ma Gesù non demorde li incalza con questa parabola che è diretta quindi ai capi del popolo, ai sommi sacerdoti e agli anziani. Gesù chiede loro: “che ve ne pare?”, quindi li costringe a dare una risposta perché sono stati silenziosi, “Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: Figliolo mio”, il termine è carico d’affetto, potremmo tradurlo con bambino mio, perché è l’immagine di colui che è stato partorito, “oggi va’ a lavorare nella vigna”, la vigna lo sappiamo è immagine del popolo d’Israele, quindi il padre che chiede al figlio di collaborare alla sua azione, quello che il Signore chiede, collaborare alla sua azione creatrice. “Ed egli rispose: non ne ho voglia”, quindi rispose bruscamente, malamente, “ma poi si pentì”, cioè ebbe, sentì il rimorso “e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso”, quindi lo stesso invito a lavorare nella vigna, “Ed egli rispose: Sì, signore”, letteralmente io signore, bisogna stare sempre attenti a quelle persone che dicono sì signore, “ma non vi andò”, qui nella denuncia di Gesù c’è il richiamo del Signore nel profeta Isaia, dove il Signore dice: questo popolo mi onora con le labbra sì Signore, ma il suo cuore, cioè la sua mente è lontana da me, o il rimprovero che Gesù ha detto: “non chiunque mi dice Signore Signore, ma colui che compie la volontà del Padre entra nel regno”. Ed ecco che Gesù incalza, quindi rivolto ai sommi sacerdoti e agli anziani, i capi religiosi del popolo, “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?”, l’evangelista illustra ancora una volta qual è la volontà del Padre. Qual è la volontà di Dio? Collaborare alla sua stessa azione creatrice e come si collabora all’azione creatrice di Dio? Comunicando vita alle persone. “Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Risposero il primo”, sono costretti ad ammetterlo, “E Gesù disse loro: «In verità”, quindi l’affermazione di Gesù è solenne e va presa seriamente, “io vi dico: i pubblicani e le prostitute”. L’evangelista ha presentato i primi della società, le persone ritenute le più vicine a Dio, sommi sacerdoti e anziani, e ora li contrappone agli ultimi della società, ai pubblicani e le prostitute, cioè proprio quelle due categorie per le quali il regno di Dio ritardava a venire, così dicevano i sacerdoti e farisei, la spiritualità. Quindi è per colpa di queste categorie che non viene il regno di Dio. Ebbene Gesù dice “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti”, qui il verbo adoperato dall’evangelista, precedere, non è soltanto una precedenza, è prendere il posto, quindi vi soffiano il posto, vi prendono il posto nel regno di Dio. Quindi Gesù ha contrapposto in questo brano ai grandi, i più vicini a Dio, gli ultimi, perché questo? Perché come abbiamo detto all’inizio, Dio non può nulla con la convenienza, con l’egoismo, con l’avidità, con l’interesse, è questo il vero Dio di questa casta sacerdotale al potere, tutto quello che fa lo fa per interesse, ma Dio può con i peccatori, coloro che vivono nel peccato. La sua onda d’amore li può veramente convertire, quindi ci riesce con pubblicani e prostitute, ma non con i capi religiosi . “Giovanni infatti venne a voi sulla via della giustizia”, la fedeltà a Dio, “e non gli avete creduto”, ecco la risposta che non hanno saputo dare, l’autorità di Giovanni veniva dal cielo o no? Ora gliela dà Gesù, “non gli avete creduto”, non hanno creduto. I capi religiosi sono sempre refrattari all’azione di Dio, inutilmente Dio manda loro inviati, manda loro profeti, loro sono sempre refrattari, non credono. È la tragedia: quelli che dovevano insegnare al popolo la volontà di Dio, sono i primi a non conoscerla e a non crederla. “e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto”, quelli che voi ritenete gli esclusi invece sono stati raggiunti da questo. “Voi, al contrario, avete visto queste cose”, quindi non c’hanno scuse, “ma poi non vi siete nemmeno pentiti così da credergli»”. Per la terza volta appare il termine pentimento, pentire, che è apparso in questa parabola, e apparirà poi per Giuda. L’evangelista è molto severo: il figlio della parabola si pente, perfino Giuda il traditore si è poi pentito, le autorità no, sono completamente refrattarie all’azione del Signore.




il commento al vangelo della domenica

SEI INVIDIOSO PERCHÉ IO SONO BUONO?

il vangelo della domenica ventiseiesima domenica (27 settembre 2017) del tempo ordinario commentato da p. Maggi:

Mt 20,1-16

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre, e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

La parabola della vigna nel capitolo 20, del vangelo di Matteo è la prima di tre parabole aventi come oggetto la vigna. La vigna lo sappiamo, era immagine d’Israele, del popolo di Israele. Con questa parabola Gesù intende proporre un cambio di relazione con Dio: mentre nella religione l’amore di Dio va meritato per i propri sforzi, per i propri meriti, con Gesù l’amore di Dio va accolto come un dono da parte del Signore. Quindi con Gesù l’amore di Dio non è più un premio per i meriti delle persone, perché i meriti non tutti li possono avere, ma come un dono per i bisogni delle persone, e i bisogni ce l’hanno tutti. Scrive Matteo: “il regno dei cieli”, per regno dei cieli s’intende non l’aldilà, ma questa società alternativa che Gesù è venuto a proporre, “è simile a un padrone di casa che uscì all’alba a prendere a giornata lavoratori per la sua vigna”. È strano che l’evangelista, che Gesù dica che esce il padrone di casa. Normalmente era il fattore che andava in cerca agli operai, ma per far comprendere l’urgenza e l’importanza di quello che sta per fare, esce il padrone. “si accordò con loro per un denaro al giorno”, il denaro eccolo, è questa moneta d’argento di circa 4 grammi. Il denaro era la paga quotidiana normale per l’operaio. Poi scrive l’evangelista che “uscito poi verso le 9 del mattino ne vede altri che stavano in piazza disoccupati, inoperosi”, disoccupati, inoperosi non perché siano dei fannulloni, ma perché nessuno li ha chiamati al lavoro. Allora dice il padrone “Andate anche voi nella vigna;”, e questa volta dice “quello che è giusto ve lo darò”, cioè in base al lavoro che avete fatto. Ma c’è un’urgenza da parte del padrone della vigna, che fa comprendere che è più per il bene degli operai, che per il suo bene. Infatti esce di nuovo verso mezzogiorno, poi verso le tre, e esce ancora verso le cinque. Il lavoro terminava al tramonto, più o meno verso le cinque, “ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. Quindi non è il bisogno del padrone, questi li chiama per un lavoro al massimo di un’oretta.
È per il bisogno degli operai, perché se non lavorano, quel giorno, non mangiano, la paga era quotidiana. “Quando fu sera il”, e qui l’evangelista adopera il termine ”signore”, per far comprendere che Gesù sta parlando di Dio, della vigna, “disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi”, gli ultimi hanno fatto una parvenza di lavoro, neanche un’ora “fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio ricevettero ciascuno un denaro”. Quello che il padrone aveva pattuito all’inizio per quelli che lavoravano per tutta la giornata, viene dato anche a quelli che hanno lavorato pochissimo, agli ultimi. “Quando arrivarono i primi pensarono che avrebbero ricevuto di più ma anche essi ricevettero ciascuno un denaro”. Il padrone non toglie niente a nessuno, aveva pattuito un denaro e un denaro dà, non c’è un’ingiustizia da parte del padrone. Però naturalmente, se agli ultimi gli ha dato un denaro, noi chissà quanto riceveremo. “Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto”, quindi è una parvenza di lavoro, “e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”, ecco questo padrone non è giusto. Gesù vuol far comprendere che la giustizia di Dio è molto diversa: Dio guarda in base ai bisogni delle persone, e non ai loro meriti. “Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico”, questa espressione nel il vangelo di Matteo è sempre negativa. È l’espressione con la quale si rivolge a Giuda, o alle persone che sono colpevoli. Dice “io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e”, no qui la traduzione è vattene, il testo è più morbido, e va. “Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?”, ecco Gesù ci sta parlando della generosità di Dio, che viene regalata, viene donata a tutti quelli che ne hanno bisogno. “Oppure tu sei invidioso”, letteralmente il tuo occhio è maligno, immagine dell’avarizia, di essere taccagni, “perché io sono buono?”, ecco com’è Dio, Dio è la bontà. E conclude: “Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”, questa chiusura si riallaccia alla chiusura del capitolo 19, al versetto 30, dove c’era scritto “molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi primi”, qui ricollegando e quindi racchiudendo tutto questo insegnamento, dice invece gli ultimi saranno primi e i primi ultimi. L’avranno capito i suoi discepoli ? Macché, parole al vento. Subito dopo, arriverà la madre dei figli di Zebedèo a chiedere i primi posti più importanti per i propri figli.




il commento al vangelo della domenica

NON TI DICO FINO A SETTE VOLTE, MA FINO A SETTANTA VOLTE SETTE

il commento al vangelo della ventiquattresima domenica del tempo ordinario (17 settembre 2017):

 

Mt 18,21-35

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sete volte?». E Gesù gli rispose: «Non t dico fino a sete volte, ma fino a settanta volte sete.
Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talent. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e t restituirò ogni cosa”. Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.
Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e t restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.
Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tuto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io t ho condonato tuto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tuto il dovuto. Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

il commento  di Ermes Ronchi:

«Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette», cioè sempre. L’unica misura del perdono è perdonare senza misura. Perché il Vangelo di Gesù non è spostare un po’ più avanti i paletti della morale, ma è la lieta notizia che l’amore di Dio non ha misura. Perché devo perdonare? Perché cancellare i debiti? La risposta è molto semplice: perché così fa Dio.
Gesù lo racconta con la parabola dei due debitori. Il primo doveva una cifra iperbolica al suo signore, qualcosa come il bilancio di una città: un debito insolvibile. «Allora il servo, gettatosi a terra, lo supplicava..»” e il re provò compassione. Il re non è il campione del diritto, ma della compassione. Sente come suo il dolore del servo, e sente che questo conta più dei suoi diritti. Il dolore pesa più dell’oro. E per noi subito s’apre l’alternativa: o acquisire un cuore regale o mantenere un cuore servile come quello del grande debitore perdonato che, “appena uscito”, trovò un servo come lui.
“Appena uscito”: non una settimana dopo, non il giorno dopo, non un’ora dopo. “Appena uscito”, ancora immerso in una gioia insperata, appena liberato, appena restituito al futuro e alla famiglia. Appena dopo aver fatto l’esperienza di come sia un cuore di re, «presolo per il collo, lo strangolava gridando: “Dammi i miei centesimi”», lui perdonato di miliardi!
Eppure, questo servo “‘malvagio” non esige nulla che non sia suo diritto: vuole essere pagato. È giusto e spietato, onesto e al tempo stesso crudele. Così anche noi: bravissimi a calare sul piatto tutti i nostri diritti, abilissimi prestigiatori nel far scomparire i nostri doveri. E passiamo nel mondo come predatori anziché come servitori della vita.
Giustizia umana è “dare a ciascuno il suo”. Ma ecco che su questa linea dell’equivalenza, dell’equilibrio tra dare e avere, dei conti in pareggio, Gesù propone la logica di Dio, quella dell’eccedenza: perdonare settanta volte sette, amare i nemici, porgere l’altra guancia, dare senza misura, profumo di nardo per trecento denari.
Quando non voglio perdonare (il perdono non è un istinto ma una decisione), quando di fronte a un’offesa riscuoto il mio debito con una contro offesa, non faccio altro che alzare il livello del dolore e della violenza. Anziché annullare il debito, stringo un nuovo laccio, aggiungo una sbarra alla prigione.
Perdonare, invece, significa sciogliere questo nodo, significa lasciare andare, liberare dai tentacoli e dalle corde che ci annodano malignamente, credere nell’altro, guardare non al suo passato ma al suo futuro. Così fa Dio, che ci perdona non come uno smemorato, ma come un liberatore, fino a una misura che si prende gioco dei nostri numeri e della nostra logica.

 

il commento di p. E. Bianchi:

Terminiamo la lettura del quarto dei cinque grandi discorsi di Gesù nel vangelo secondo Matteo, detto anche discorso ecclesiale o comunitario, perché in esso sono contenuti insegnamenti riguardanti la vita dei discepoli viventi in comunità, nelle chiese. Viene innanzitutto riferito il contesto dell’insegnamento di Gesù contenuto nella sua parabola. Avendo egli enunciato le esigenze della correzione fraterna e del perdono reciproco (cf. Mt 18,15-20), Pietro solleva una questione alla quale Gesù risponde subito in modo perentorio, ma poi rivela “in proposito” (diá toûto) cosa accade nel regno dei cieli, quale comportamento l’azione di Dio ispira ai discepoli. Questa pagina è un insegnamento decisivo nella vita ecclesiale, e dobbiamo confessare che noi cristiani la leggiamo spesso e volentieri, ma poi non riusciamo a metterla in pratica quando siamo coinvolti in dinamiche analoghe.

Pietro dunque si avvicina a Gesù e gli chiede: “Signore, se il mio fratello pecca contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette (numero di pienezza e totalità) volte?”. Domanda comprensibile: si può perdonare senza tenere conto del numero di volte in cui il perdono viene rinnovato? Se uno continua a compiere lo stesso male contro di me, fino a quante volte posso perdonarlo? Certamente Pietro non dimentica che nella Torah sta scritto che Lamech, il sanguinario figlio di Caino, canta la ripetizione della vendetta fino a sette e poi fino a settanta volte sette (cf. Gen 4,23-24). Pietro è già misericordioso, perché in verità non è facile perdonare sette volte lo stesso peccato allo stesso offensore. Ma Gesù gli risponde con autorità: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”, cioè sempre, all’infinito! Senza se e senza ma, il discepolo di Gesù perdona senza calcolare il numero delle volte. Di fronte a una tale dichiarazione l’ascoltatore resta stupefatto, forse anche esterrefatto, perché non è facile né comprendere né assumere questo atteggiamento. Ciò che Gesù chiede non è forse troppo? È possibile per l’essere umano perdonare sempre?

Allora Gesù spiega quelle sue parole così nette attraverso una parabola che, come sempre sulla sua bocca, è rivelazione, è un alzare il velo su Dio e sulla sua azione. Il racconto, che mette in scena un re e due servi debitori, si sviluppa in tre atti, seguiti da un commento conclusivo di Gesù(v. 35):

il re e il debitore nei suoi confronti (vv. 23-27);
il primo debitore e un fratello a sua volta debitore verso di lui (vv. 28-31);
il confronto definitivo tra il re e il primo debitore (vv. 32-34).
Un re vuole fare i conti con i suoi servi, ed ecco che gliene viene presentato uno il quale è debitore verso di lui di una cifra enorme, iperbolica: diecimila talenti, cioè cento milioni di denari (tenendo conto che un denaro corrisponde alla paga media giornaliera di un operaio), impossibile da rimborsare per un servo! Di fronte alla prospettiva della vendita dei suoi familiari come schiavi e della prigione per sé, quest’uomo si inginocchia davanti al re e lo supplica: “Sii grande di animo con me (sii paziente con me, makrothýmeson) e ti restituirò ogni cosa” (ciò che è impossibile!). Di fronte a tale disperazione e sofferenza il re, “mosso a viscerale compassione” (splanchnistheís), preso cioè da un sentimento di misericordia, lo lascia andare e gli condona il debito. Siamo in presenza di un re che esige l’osservanza della legge ma che, di fronte, a chi soffre perché non può ottemperare alla giustizia, fa regnare la misericordia e non più la legge. Egli ha un cuore capace di lasciarsi ferire dal male patito dal suo servo.

Ma ecco la scena simmetrica. Quest’uomo perdonato, radicalmente salvato insieme alla sua famiglia, esce libero, per vivere in pienezza di libertà e di relazioni; e subito incontra un suo compagno, anzi precisamente un suo con-servo (syndoúlos), debitore nei suoi confronti di una cifra modesta, cento denari, l’equivalente della paga di poco più di tre mesi di un lavoratore nella campagna. Appena lo vede, lo afferra al collo e lo soffoca intimandogli di saldare il debito. L’altro lo supplica con le medesime parole da lui usate in precedenza: “Sii grande di animo con me (sii paziente con me) e ti restituirò”. Ma egli non accetta, perciò lo fa gettare in prigione fino al momento della restituzione del debito. Nella prima scena il re perdona al servo, nella seconda il perdonato non perdona al fratello!

La differenza di comportamento tra i due creditori è messa in luce dalla terza scena. Quando il re viene a sapere dagli altri servi ciò che ha fatto il servo da lui perdonato, lo fa chiamare e lo apostrofa: “Servo cattivo, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà (eleêsai) del tuo con-servo, così come io ho avuto pietà di te?”. Ecco rivelato il fondamento di ogni azione di perdono: l’essere stati perdonati. Il cristiano sa di essere stato perdonato dal Signore con una misericordia gratuita e preveniente, sa di aver beneficiato di una grazia insperata, per questo non può non fare misericordia a sua volta ai fratelli e alle sorelle, debitori verso di lui in modo certo meno grave. In questa parabola – lo ripeto – non è questione di quante volte si deve dare il perdono, ma si tratta di riconoscere di essere stati perdonati e dunque di dover perdonare. Se uno non sa perdonare all’altro senza calcoli, senza guardare al numero di volte in cui ha concesso il perdono, e non sa farlo con tutto il cuore, allora non riconosce ciò che gli è stato fatto, il perdono di cui è stato destinatario. Dio perdona gratuitamente, il suo amore non va mai meritato, ma occorre semplicemente accogliere il suo dono e, in una logica diffusiva, estendere agli altri il dono ricevuto.

Comprendiamo così l’applicazione conclusiva fatta da Gesù. Le parole che egli pronuncia sono parallele, identiche nel contenuto, a quelle con cui chiosa la quinta domanda del Padre nostro – “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12); l’unica, non lo si dimentichi, da lui commentata.

Se voi perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi;
ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe. (Mt 6,14-15

Così anche il Padre mio che è nei cieli farà a voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello. (Mt 18,35)

Niente perdono da parte di Dio a noi, se noi non perdoniamo gli altri. O meglio, se non siamo ministri di questa misericordia ricevuta da Dio, che ci perdona sempre e ci ha perdonati una volta per tutte attraverso Gesù Cristo, egli ritira il suo perdono, come l’ha ritirato al servo inizialmente perdonato. Sarebbe una smentita del Dio che si professa e si proclama, l’essere da lui perdonati e poi non perdonare gli altri… La chiesa è una comunità di perdonati che perdonano, per questo al suo cuore c’è l’eucaristia, in cui si vive la remissione dei peccati a parte di Dio affinché siamo a nostra volta ministri di perdono e di misericordia nella chiesa stessa e nella compagnia degli uomini, nel mondo.

Da questa pagina il cristiano deve innanzitutto imparare a discernere il vero volto di Dio, quello che Gesù ci ha narrato (exeghésato: Gv 1,18), e saper sovrapporre questo volto ultimo e definitivo sugli altri che le Scritture stesse ci hanno consegnato. Non bisogna infatti nascondere che talvolta nelle Scritture appare tratteggiato un Dio che castiga e non esaudisce chi chiede pietà, un Dio che non reitera il perdono. Un esempio su tutti, che è una smentita letterale del Nome del Signore consegnato a Mosè (cf. Es 34,6-7), si trova all’inizio della profezia di Naum: “Un Dio geloso e vendicatore è il Signore, vendicatore è il Signore, pieno di collera. Il Signore si vendica degli avversari e serba rancore verso i nemici. Il Signore è lento all’ira, ma grande nella potenza e nulla lascia impunito” (Na 1,2-3).

Ma Gesù ci consegna l’ultima e definitiva narrazione di Dio. Per noi cristiani la misericordia di Dio è il tratto essenziale per conoscerlo ed è l’azione con cui Dio stesso ci mette in comunione con sé: è il modo in cui Dio rivela la sua onnipotenza! Non è facile accettare questo volto di Dio, perché tutte le religioni hanno sempre predicato un Dio che fa giustizia, che punisce il male commesso, che nella sua onnipotenza castiga. Non è facile perché noi umani abbiamo dentro di noi un concetto di “giustizia umana” e pretendiamo di proiettarlo su Dio. Ma Gesù ci ha rivelato il volto di Dio come volto di colui che

ci ha amati mentre gli eravamo nemici,
ci ha perdonati mentre peccavamo contro di lui,
ci è venuto incontro mentre noi lo negavamo (cf. Rm 5,8.10).

Ecco perché Gesù ci chiede addirittura l’amore verso i nemici (cf. Mt 5,43-47), novità del comandamento dell’amore del prossimo (cf. Mt 19,19; 22,39; Lv 19,18) esteso fino al nemico. In obbedienza al Signore Gesù, dunque, l’amore e il perdono del cristiano siano gratuiti, senza calcoli né restrizioni, “di cuore”. Se il cristiano perdona facendo calcoli, svaluta quel perdono che proclama a parole. Perdonare l’imperdonabile: questa l’unica misura del perdono cristiano!

 
Fonte: Monastero di Bose
in video il commento  di p. Maggi:

 




il commento al vangelo della domenica

SE TI ASCOLTERA’ AVRAI GUADAGNATO IL TUO FRATELLO 

commento al vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (10 settembre 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 18,15-20

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se t ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano.
In verità io vi dico: tuto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tuto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo.
In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

Dopo aver parlato dello scandalo della comunità verso i piccoli, cioè gli emarginati, che possono essere scandalizzati da quello che vedono all’interno della comunità in termini di ambizione, di superiorità, Gesù ora arriva a parlare dello scandalo dei dissidi all’interno della comunità. E’ quanto scrive Matteo al capitolo 18, versetti 15-20.
“«Se tuo fratello»”, quindi si tratta di un componente della comunità, “«commetterà una colpa contro di te, va’ e …»”, non ammoniscilo, come riporta questa traduzione, ma “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. Sempre ricordando quanto Gesù già ha ammonito, cioè che prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello, occorre stare attenti che uno non abbia la trave conficcata nel suo (trave che deforma la sua realtà).
“«Tra te e lui solo»”, quindi al dissidio non deve essere data pubblicità, si deve risolvere il problema. Ed è la persona offesa che deve andare verso l’offensore, perché chi sbaglia, chi offende spesso non ha il coraggio, non ha la forza di chiedere scusa, di chiedere perdono. Allora deve essere la parte lesa, la persona offesa, che va verso l’offensore e ricomporre il dissidio. 
“«E se t ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi con te una o due persone »”; sono quelli che nella comunità svolgono il ruolo di costruttori di pace, “ «perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni »”. Secondo quanto affermava il libro del Deuteronomio, capitolo 19, versetto 15, sulla validità di una testimonianza.
“«Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità »”. Il termine greco è ecclesia che rappresenta la comunità dei convocati, l’assemblea dei convocati da Gesù, “ «E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te»”, quindi non per la comunità, ma per te, “ «come il pagano e il pubblicano »”. Cosa significa? Non significa che quest’individuo, causa del dissidio, vada escluso dall’amore della comunità, e neanche dal tuo amore, ma significa che questo amore sarà a senso unico.
Mentre nella comunità l’amore donato viene anche ricevuto, perché i fratelli si scambiano vicendevolmente questo amore, verso la persona che è causa del dissidio, l’amore va dato come quello verso i nemici. Gesù dirà di amare i nemici, dirà di pregare per i persecutori. Quindi non significa escludere questa persona dal tuo amore, ma amarlo in perdita, a senso unico.
E sempre parlando della tematica del perdono, Gesù assicura: “ «In verità io vi dico: tuto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo »”. Si tratta sempre del perdono, chi non perdona lega il perdono di Dio, “«E tuto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo »”. Si tratta del perdono, Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace quando si traduce in perdono verso gli altri. Quindi chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona lo scioglie.
Al termine del capitolo, al versetto 35, infatti, Gesù dirà: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore il vostro fratello”. Quindi questa affermazione di Gesù non riguarda la concessione alla sua comunità del potere di legiferare in ogni materia e in ogni campo, ma della responsabilità nel concedere il perdono: se non perdoni leghi il perdono di Dio.
E poi Gesù conclude: “«Ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo»”, il verbo mettere d’accordo è sinfoneo, da cui la parola “sinfonia”. E’ importante perché indica la vita della comunità. Sinfonia significa che diverse voci, diversi strumenti suonano ciascuno dando il meglio di sé. Non ci deve essere una uniformità di voci e di suoni, ma c’è una varietà nell’unico spartito che è quello dell’amore. Quindi è l’amore vissuto nelle varie forme, fiorito nelle varie modalità.
“«Per chiedere qualunque cosa, il Padre mi oche è nei cieli gliela concederà. Perché dove due o tre … »”, ecco ritornano i due o tre che sono stati fautori della pace, coloro che sono andati a eliminare il dissidio, la loro funzione di costruttori di pace, rende manifesta la presenza del Signore. “ «… sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»”.
E ritorna la tematica cara all’evangelista, quella del Gesù, il Dio con noi. Mentre nella tradizione ebraica si diceva che dove due o tre si riuniscono per studiare la Torah, la legge, la Shekinà, cioè la gloria di Dio è in mezzo a loro, Gesù si sostituisce alla legge. L’adesione a Dio non avviene più attraverso una legge esterna all’uomo, ma nell’immedesimazione con una persona: Gesù, il Figlio di Dio, il modello dell’umanità. Gesù assicura che quando c’è questa unità, quando si ricompongono i dissidi all’interno della comunità, la sua presenza è ininterrotta e crescente.




il commento al vangelo della domenica

SE QUALCUNO VUOLE VENIRE DIETRO A ME, RINNEGHI SE STESSO 

commento al vangelo della ventiduesima domenica del tempo ordinario (3 settembre 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 16,21-27

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno.
Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non t accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!».
Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Ai discepoli che seguono Gesù pensando che lui sia il messia trionfatore, vincitore, quello annunziato dalla tradizione, che a Gerusalemme avrebbe conquistato e preso il potere, Gesù per la prima volta parla apertamente di quello che l’attende a Gerusalemme.
Siamo al capitolo 16 del vangelo di Matteo, dal versetto 21. “Da allora Gesù cominciò”, quindi significa una serie di insegnamento che contnuano lungo tuto il suo percorso, “a spiegare ai suoi discepoli che doveva …”, il verbo dovere è un verbo tecnico che indica la volontà di Dio, “andare a Gerusalemme e soffrire”.
Questo verbo è una creazione degli evangelisti perché assomiglia molto al termine Pasqua, infatti il verbo soffrire in greco è Pàsco ed ha assonanza con il termine Pasca, che significa Pasqua, perché gli evangelisti hanno visto in Gesù il vero agnello pasquale. “Soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi”; tutti questi sono i component del sinedrio, il massimo organo giuridico di Israele, “venire ucciso”, quindi Gesù non andrà a conquistare il potere, ma sarà ucciso dai detentori del 1
potere religioso. I massimi rappresentanti dell’istituzione religiosa saranno gli assassini di Gesù. Però aggiunge, “E risorgere il terzo giorno”.
Il terzo giorno non è un’indicazione cronologica, il numero tre indica ciò che è pieno, ciò che è completo, quindi sarà ucciso, ma tornerà in vita pienamente. Ebbene, appena Gesù ha detto questo, Pietro entra in gioco. L’evangelista presenta Simone soltanto con il soprannome negativo, termine tecnico con il quale Matteo indica l’opposizione, la contrarietà di questo discepolo a quanto Gesù annunzia.
“Pietro lo prese a sé”, quindi lo afferra e non appena Gesù ha cominciato a spiegare, Pietro comincia al sua resistenza. “E cominciò a rimproverarlo”, letteralmente sgridarlo, ed è il termine che si adopera per scacciare i demoni. Quindi per Pietro quello che Gesù ha deto non corrisponde alla volontà divina, ma è addirittura un pensiero satanico, un pensiero demoniaco.
La traduzione traduce con “Dio non voglia”, ma letteralmente è “ «Ti perdoni»”, e si sottintende Dio. E’ un’espressione che veniva adoperata per quelli che avevano abbandonato Dio. Si trova anche nel profeta Geremia, capitolo 5, versetto 7. Quindi “ «Ti perdoni, Signore; questo non t accadrà mai »”. Quindi per Pietro quello che Gesù sta dicendo è una cosa lontana da Dio, per cui Dio deve perdonarlo, addirittura un pensiero demoniaco.
“Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! »” Sono gli stessi termini che Gesù ha adoperato nel deserto per rifutare le seduzioni del tentatore. Come al tentatore, al diavolo, Gesù dice “Vatene”, però Gesù non rompe con il discepolo, gli dà una possibilità: “torna a metterti dietro di me”.
Fintanto Pietro sta davanti e vuole lui indicare la traccia, la via, lui è il Satana, l’avversario. Allora Gesù dice “«Vatene dietro di me, Satana! Tu mi sei di scandalo »”. Quello che Gesù aveva definito una pietra adatta per la costruzione della sua ecclesia, cioè la comunità dei credenti convocati dal Signore, quello che era stato chiamato ad essere un mattone per la costruzione, adesso diventa una pietra di inciampo, una pietra di scandalo.
Perché? “«Perché non pensi secondo Dio»”, cioè le categorie dell’amore e del servizio, “«ma secondo gli uomini»”, cioè le categorie del potere e del dominio. Gesù comprende che non è solo Pietro ad avere questa mentalità, ma anche tutti i discepoli. Ecco allora che si rivolge a tuto il resto dei suoi. “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me»”, Gesù ha invitato Pietro ad andare dietro di lui e ora fa comprendere quali sono le condizioni per poterlo seguire.
“«Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso »”, rinnegare se stesso non significa mortificare la propria esistenza, ma rinunciare a quest pensieri di ambizione, di successo, di supremazia, e poi prosegue, letteralmente “«e sollevi la sua croce»”. La croce non viene data da Dio, ma viene presa dagli uomini. L’evangelista adopera il termine “sollevare”, che indicava il momento nel quale il condannato doveva sollevare da terra il patibolo e caricarselo sulle spalle.
Poi da lì, dal tribunale, uscire dalla porta della città per andare nel luogo dove doveva essere giustiziato. Era il momento più tremendo, il momento della solitudine. La gente aveva l’obbligo religioso di insultare e malmenare questa persona.

“«Sollevi la sua croce»”, la croce era la pena di morte riservata ai rifuti della società. Quindi Gesù non sta parlando di sofferenze e di dolore, ma sta parlando dello scandalo che seguire Gesù comporta, uno scandalo che arriva a far considerare Gesù e quelli che lo seguono rifuti della società, persone addirittura rifiutate da Dio, perché la croce era il supplizio per i maledetti da Dio, “«e mi segua»”.
Gesù quindi non sta parlando della morte in croce, ma della via verso il supplizio, una via in solitudine, una via del disonore. Se i discepoli non sono pronti a perdere la propria reputazione – perché di questo si tratta – che non pensino a seguirlo, perché seguire Gesù significa andare incontro al massimo disonore. E poi Gesù aggiunge: “ «Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà»”.
Chi vive per gli altri realizza pienamente la propria esistenza, chi vive centrato esclusivamente sui propri bisogni, sulle proprie necessità, la distrugge. Quindi questa è l’alternativa che Gesù offre. Vivere per gli altri, dare, non è perdere, ma guadagnare. Significa realizzare pienamente se stessi.
E Gesù commenta: “«Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?»” A che serve guadagnare tanto, conquistare tanto e poi smarrire se stesso? Questo è il significato. E’ una critica che Gesù fa alle persone di potere, qualunque potere. Le persone che hanno conquistato il potere, divorati dalla loro ambizione, sono persone che hanno tanto, ma non hanno nulla perché hanno completamente smarrito se stesse.
Sono persone alla deriva dalla vita, alla deriva dalla felicità. “ «Perché il Figlio dell’Uomo »”, Figlio dell’uomo indica Gesù nella pienezza della condizione divina, “ «Sta per venire nella gloria del Padre suo»”. Gesù contrappone al massimo disonore, la pena di morte alla quale è stato condannato dal sinedrio, quindi il massimo disonore dell’isttuzione religiosa, il massimo onore da parte di Dio.
Quindi “«nella gloria del Padre suo con i suoi angeli»”. E qui Gesù cita il libro dei Proverbi, capitolo 24, verseto 12, “«e renderà a ciascuno secondo le sue azioni»”, leteralmente “la prassi”. L’uomo è valutato per la vita che ha pratcato, per le opere che ha fato, e non per le idee o le dotrine religiose che ha professato. E’ quello che si fa per gli altri che determina la propria esistenza.
C’è un’altra parte che non è presente nella versione liturgica, ma è importante. Gesù annunzia che “I present non moriranno prima di aver visto arrivare il Figlio dell’uomo con il suo regno”. Infat annunzia l’episodio che poi seguirà che è quello della trasfgurazione, in cui Gesù dimostra che la morte non distrugge la persona, ma la potenzia pienamente.




il commento al vangelo della domenica

TU SEI PIETRO, E A TE DARO’ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI 

commento al vangelo della domenica ventunesima del tempo ordinario (27 agosto 2017) di p. Alberto Maggi:

 

Mt 16,13-20

 

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Per tenere lontani i suoi discepoli dal lievito dei farisei, cioè dalla dottrina dei farisei e dei sadducei, Gesù li porta lontano dall’istituzione religiosa giudaica e li conduce all’estremo nord del paese. E quanto scrive Matteo, nel capitolo 16, versetti 13-20.
“Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo”, Cesarea di Filippo è all’estremo nord del paese, è la città costruita da uno dei figli di Erode il Grande, Filippo, e, per distinguerla dall’altra Cesarea marittima, è stata chiamata Cesarèa di Filippo.
All’epoca di Gesù la città era in costruzione. Questo è un dettaglio da tener presente, nei pressi della città si trovava una delle tre sorgenti del fiume Giordano, che era anche ritenuta l’ingresso del regno dei morti. Quindi sono elementi che occorre tener presente per la comprensione di quello che l’evangelista ci narra.
Ebbene Gesù conduce i suoi discepoli così lontano dalla Giudea e anche dalla Galilea per porre loro una domanda. “Domandò ai suoi discepoli: «La gente»”, letteralmente “gli uomini”, “ «chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»” L’evangelista contrappone gli uomini al Figlio dell’uomo, l’uomo che ha la condizione divina, quindi l’uomo che ha lo spirito e quelli che non ce l’hanno.
Gesù vuole rendersi conto di quale sia stato l’effetto della predicazione dei discepoli che lui ha inviato ad annunziare la novità del regno. La risposta è deludente. “Risposero: «Alcuni dicono Giovani il Battista»”, perché si credeva che i martiri sarebbero subito risuscitati, “«altri Elìa»”. Elia, secondo la tradizione, non era morto, ma era stato rapito in cielo e sarebbe tornato all’arrivo del futuro messia.
“«Altri Geremia»”, sempre secondo la tradizione era scampato a un tentativo di lapidazione, “ «o qualcuno dei profeti». Si aspettava uno dei profeti annunziato da Mosè, comunque tutti personaggi che riguardano l’antico. Nessuno, né i discepoli né la gente alla quale essi si sono rivolti, ha compreso la novità portata da Gesù.
Allora Gesù dice: “«Ma voi»”, quindi si rivolge a tutto il gruppo, “«Chi dite che io sia?»” Gesù si è rivolto a tutto il gruppo dei discepoli, ma è soltanto uno che prende l’iniziativa. “Rispose Simon Pietro”, Simone è il nome, Pietro è un soprannome negativo che indica la sua testardaggine, e quando l’evangelista lo presenta con questo soprannome, significa che c’è qualcosa di contrario all’annunzio di Gesù.
“Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente »”. Finalmente c’è uno dei discepoli che ha capito che Gesù non è il figlio di Davide, colui che con la violenza impone il regno, ma è il figlio del Dio (letteralmente) vivificante, cioè comunica vita. “E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone»”. Perché beato? Pietro è il puro di cuore e quindi può vedere Dio.
Gli dice “beato”, però lo chiama “«figlio di Giona»”. “Figlio”, nella cultura ebraica non indica soltanto chi è nato da qualcuno, ma chi gli assomiglia nel comportamento. E Gesù lo chiama “figlio di Giona”. Giona è l’unico tra i profeti dell’Antico Testamento che ha fatto esattamente il contrario di quello che il Signore gli aveva comandato. Infatti il Signore gli aveva detto: “Giona, vai a Ninive a predicare la conversione altrimenti io la distruggo” e Giona fece il contrario.
Anziché andare verso est, si imbarcò sulla nave e puntò ad ovest. Poi finalmente Giona si convertì. Quindi in questo figlio di Giona Gesù fa il ritratto di Pietro: farà sempre il contrario di quello che Gesù gli chiederà di fare, ma poi alla fine si convertirà.
“«Perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.»” Ecco Pietro è il beato perché è il puro di cuore che può vedere Dio. “E io dico a te: «Tu sei Pietro»”, il termine greco adoperato dall’evangelista è Petros, che indica un mattone, un sasso, che può essere raccolto e usato per una costruzione. “«E su questa pietra »”. Pietra no è il femminile di Pietro. L’evangelista adopera il termine greco Petra che indica la roccia che è buona per le costruzioni. E’ lo stesso termine che Gesù, nel capitolo 7, ha scelto per la casa costruita sulla roccia.
Quindi Gesù dice a Simone: “Tu sei un mattone. Su questa roccia”, e la roccia è Gesù, “«Edificherò la mia chiesa»”. Il termine greco ecclesia non ha nulla di sacrale, ma è un termine profano che indica l’adunanza, l’assemblea di quelli che sono convocati. Quindi Gesù non viene a costruire una nuova  sinagoga, ma una nuova realtà che non ha connotazioni religiose, e per questo adopera questo termine laico.
“«E le potenze »”, letteralmente “le porte”; le porte di una città indicavano la sua forza, la potenza. “«Degli inferi»”, cioè del regno dei morti. Ricordo che la scena si svolge vicino a una delle grotte che si pensava essere l’ingresso nel regno dei morti, “«Non prevarranno contro di essa».
Quando una comunità è costruita su Gesù, il figlio del Dio vivente, quindi si comunica vita, le forze negative, le forze della morte, non avranno alcun potere.
“«A te darò le chiavi del regno dei cieli »”. Concedere le chiavi a qualcuno significava ritenerlo responsabile della sicurezza di quelli che stavano dentro. Abbiamo detto altre volte che il regno dei cieli nel vangelo di Matteo non significa un regno nei cieli, ma è il regno di Dio. Quindi Gesù non dà a Pietro le chiavi per l’accesso all’aldilà, non lo incarica di aprire o chiudere, ma lo ritiene responsabile di quelli che sono all’interno di questo regno, che è l’alternativa che Gesù è venuto a proporre.
“«Tutto ciò che legherai sulla terra »”, qui l’evangelista adopera un linguaggio rabbinico, che significa dichiarare autentica o meno una dottrina, “ «sarà legato nei cieli »”, cioè in Dio, “ «E tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli »”. Quello che Gesù ora dice a Pietro poi più tardi, al capitolo 18, lo dirà a tutti i discepoli.
Le ultime parole che Gesù adopererà in questo vangelo rappresentano l’invio dei discepoli ad andare ad insegnare “tutto ciò che vi ho comandato”. Quindi nell’insegnamento di Gesù, questo messaggio che comunica vita, c’è l’approvazione divina, da parte dei cieli. Però, ecco la sorpresa, “Ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”.
Quando Gesù ordina significa che c’è resistenza. Nella risposta di Pietro c’era stata una parte positiva in quanto ha riconosciuto Gesù come il figlio del Dio che comunica vita, il Dio vivente, ma la parte negativa qual è? La gente ha detto che tu sei il Cristo, cioè il messia atteso dalla tradizione. Allora Gesù dice: “questo non lo dovete dire a nessuno”, perché lui non è il messia atteso dalla tradizione.
Gesù è Cristo, è il messia, ma in una forma completamente diversa, non adopererà il potere, ma l’amore; non il comando, ma il servizio. E questo provocherà adesso lo scontro proprio con Simone. Quello che era stato definito “pietra” da costruzione, diventerà una pietra di scandalo




il commento al vangelo della domenica

 

DONNA, GRANDE È LA TUA FEDE!

 

commento al vangelo della ventesima settimana del tempo ordinario (20 agosto 2017) di p. Alberto Maggi:

 

Mt 15,21-28

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

il commento al vangelo della domenica

COMANDAMI DI VENIRE VERSO DI TE SULLE ACQUE

 

commento al vangelo della domenica diciannovesima del tempo ordinario (13 agosto 2017) di P. Alberto Maggi: 

Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

L’amore universale di Dio per tutta l’umanità, che Gesù è venuto a manifestare con la sua vita ed il suo messaggio, trova resistenza proprio nel gruppo dei discepoli, che non accettano che l’amore di Dio sia per tutta l’umanità, pagani compresi, pensano che il privilegio è di Israele. È quello che ci scrive Matteo nel suo vangelo, al capitolo 14, dal versetto 22: “subito dopo”, il dopo è relazionato con la condivisione dei pani e dei pesci in terra d’Israele, “costrinse”, perché Gesù deve costringere i discepoli? Perché va contro la loro resistenza, loro non ne vogliono sapere, li deve obbligare, a far cosa? “i discepoli a salire sulla barca”, la barca è l’immagine della comunità cristiana e quindi della chiesa, “e a precederlo”, ecco adesso capiamo il perché dalla resistenza, “sull’altra riva”. Quando, nel vangelo, troviamo questa espressione “l’altra riva”, indica sempre la riva orientale del lago di Galilea, cioè la terra pagana. I discepoli non hanno alcuna intenzione di andare in terra pagana e, ogni volta che Gesù li invita o li spinge ad andare in terra pagana, sempre succede un incidente. “finché non avesse congedato la folla. Congelata la folla salì su il monte”, il monte ha l’articolo determinativo, e indica il monte che è apparso in precedenza cioè il monte delle beatitudini, dove Gesù, appunto, ha annunciato questo suo messaggio d’amore universale, “in disparte”, questa espressione la usano gli evangelisti per indicare che c’è resistenza, opposizione o incomprensione da parte dei discepoli. “a pregare”, è la prima volta che Gesù prega, sono due volte in questo vangelo che Gesù prega, e sempre in situazioni di difficoltà e di pericolo per i suoi discepoli, saranno qui ed al Getsemani. “venuta la sera”, è strano che l’evangelista ripeta quanto ha appena detto qualche versetto prima, al versetto 15, perché lo fa? “venuta la sera” è lo stesso termine che indica l’ultima cena di Gesù; quindi questo amore universale è quello che Gesù ha manifestato con il dono di sé per tutta l’umanità. “egli se ne stava lassù da solo”, beh si sa che è da solo: i discepoli non ci sono, la folla è stata congedata, ma l’evangelista sottolinea una solitudine non soltanto fisica, ma spirituale di Gesù, i discepoli lo stanno accompagnando, ma non lo seguono. “la barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde, il vento infatti era contrario”, questo vento è la resistenza dei discepoli all’invito di Gesù di andare in terra pagana, loro non ne vogliono sapere, non vogliono sapere di portare questo amore universale in terra pagana, dove Gesù poi condividerà di nuovo i pani, pensano che questo debba essere e rimanere un privilegio di Israele. Ecco perché il vento era contrario, sono gli stessi discepoli. “sul finire della notte”, il particolare rimanda a un salmo, il salmo 46, dove si indica che Dio soccorre allo spuntare dell’alba, “egli andò verso di loro camminando sul mare”, perché l’evangelista ci scrive che Gesù cammina sul mare? Il mare era immagine del caos e soltanto Dio lo poteva domare; nel libro di Giobbe, Dio è colui che cammina sulle onde del mare. Allora camminare sul mare indica la manifestazione della condizione divina, della pienezza della condizione divina da parte di Gesù. “vedendolo camminare sul mare”, quindi vedendo la condizione divina, “i discepoli furono sconvolti”, perché sono sconvolti? Perché la religione aveva scavato un abisso tra Dio, lontano, inaccessibile, e l’uomo; era impensabile, inimmaginabile che Dio potesse manifestarsi in un uomo e che un uomo potesse avere la condizione divina, per questo “dissero è un fantasma”, quindi è impossibile per loro che un uomo possa essere anche Dio, “e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, io sono”, Gesù con questa espressione e la risposta che Dio ha dato a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente, rivendica la pienezza della condizione divina, “io sono, non abbiate paura!»”. “Pietro”, questo discepolo viene presentato soltanto con il soprannome negativo, che indica la sua caparbietà, la sua testardaggine, quindi fa comprendere che sta facendo qualcosa non in sintonia con Gesù, “allora gli rispose: «Signore, se sei tu”, ecco esattamente come il diavolo nel deserto: “se tu sei”, Pietro svolge il ruolo del satana tentatore, tant’è vero che più avanti Gesù lo rimprovererà chiamandolo proprio satana. “se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque»”: Pietro vuole anche lui la condizione divina. “Ed egli disse: «Vieni!»”, la condizione divina non è esclusiva di Gesù, è a disposizione di tutti quanti la accolgono. “Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare”, perché questa espressione ci dice l’evangelista? Gesù al termine proprio del discorso della montagna, dove aveva annunziato questo amore universale di Dio per l’umanità, aveva parlato di una casa che era stata costruita sulla sabbia; quando arrivarono venti furiosi e le acque, la casa crollò, questo perché le parole non avevano messo radice nella persona, ecco questa è la figura di Pietro, ecco perché affonda. “gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò”, è interessante che aveva chiamato Simone, l’aveva invitato ad essere pescatore di uomo, e invece è lui che deve essere pescato. “e gli disse: «Uomo di poca fede”, è la seconda volta che Gesù deve rimproverare per la mancanza di fede, “perché hai dubitato?»”, lui credeva che la condizione divina venisse per un comando divino, la condizione divina non si ottiene se non attraverso la persecuzione, l’opposizione e spesso il sacrificio della propria vita. “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”, questo spirito contrario, appena la comunità accoglie di nuovo Gesù, smette. “Quelli che erano sulla barca si prostrarono”, questo verbo lo ritroveremo sul monte della risurrezione, che è lo stesso monte delle beatitudini, dove i discepoli incontrano il risuscitato, “si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei”, ed ecco la novità, “figlio di Dio”. Non dicono “il figlio di Dio”; il figlio di Dio indicava il Dio della tradizione, quello che sterminava i peccatori, quello che detestava i pagani; Gesù è figlio di Dio, una maniera completamente nuova di manifestare Dio e la sua figliolanza, che qual è? Quella di un amore universale dal quale nessuno può essere escluso.




il commento al vangelo della domenica

IL SUO VOLTO BRILLÒ COME IL SOLE

commento al vangelo della trasfigurazione del del Signore (6 agosto 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 17,1-9

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo. Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Nel vangelo di Matteo ci sono quattro monti, l’uno in una relazione con l’altro. Al monte delle beatitudini corrisponde il monte della resurrezione, cioè praticando il messaggio di Gesù, si fa l’esperienza del Cristo risorto e della vita indistruttibile; al monte delle tentazioni corrisponde il monte della trasfigurazione. La condizione divina, secondo l’evangelista, non si ottiene mediante l’adorazione del potere, ma attraverso il dono di se stesso. È quello che l’evangelista esprime al capitolo 17 del suo vangelo. Leggiamo. “Sei giorni dopo”, la datazione è preziosa, è importante: il sesto giorno, nella tradizione biblica, è il giorno della creazione dell’uomo, ed è anche il giorno in cui Dio, il Signore, sul Sinai manifestò la sua gloria. In Gesù si manifesta la gloria di Dio, nella pienezza della sua creazione. “Gesù prese con sé”, prende con sé Gesù tre discepoli, i più difficili, quelli che poi avrà come compagni, anche al momento della sua passione. Il primo viene presentato con il suo soprannome negativo, che significa il testardo, Simone, che viene presentato col soprannome Pietro, “Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte”, questa è un’indicazione preziosa che ci dà l’evangelista: ogniqualvolta Matteo usa la formula “in disparte”, è per indicare incomprensione o ostilità, ottusità nei confronti di Gesù e del suo insegnamento, quindi sappiamo già come va a finire il brano. “in disparte su un alto monte”, ecco questo monte è la risposta al monte altissimo, sul quale il diavolo portò Gesù, offrendogli tutti i regni del mondo, a condizione di adorare il potere, cioè la condizione divina si ottiene attraverso il potere. Gesù non è d’accordo, Gesù mostra al suo tentatore, e ricordiamo che è stato Pietro, in questo vangelo, a ricevere da Gesù l’epiteto satana, il suo diavolo tentatore, (che) la condizione divina non si ottiene attraverso il potere, ma attraverso il dono d’amore di sé. “E fu trasfigurato”, letteralmente ebbe una metamorfosi, “davanti a loro”, l’evangelista mostra qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte. Pietro, nel brano precedente, si era rivoltato contro Gesù, perché non accettava l’idea di un messia che andasse a morire. Ebbene Gesù mostra loro che la morte non è una fine, ma una pienezza di vita, la morte non distrugge la persona, ma la potenzia. “il suo volto brillò come il sole”, il sole è immagine della pienezza della condizione divina, “e le sue vesti divennero candide come la luce”, è l’immagine nella condizione divina, come quando Gesù dirà che i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre, e queste vesti candide sono quelle della resurrezione. Quindi Gesù mostra che, passando attraverso la morte, la sua figura non solo non è stata distrutta, ma addirittura potenziata. “Ed ecco apparvero loro Mosè”, Mosè è il grande legislatore, “e Elia”, Elia è il grande profeta che, attraverso l’uso della violenza, impose l’osservanza della legge divina, “che conversavano con lui”, è importante questa precisazione. Elia e Mosè, cioè quello che noi chiamiamo l’antico testamento, la legge ed i profeti, non hanno nulla a dire alla comunità di Gesù, conversano con Gesù; come sono i personaggi che hanno conversato con Dio, ora conversano con Gesù. “Ed ecco”, ed ecco qui il colpo di scena, “Pietro”, presentato con il solo soprannome negativo “disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne”, è importante quello che Pietro ha intenzione di fare. Pietro, ancora una volta in questo vangelo, continua nell’azione di satana, di diavolo tentatore di Gesù, e qual è la tentazione? Il messia, secondo la tradizione, sarebbe apparso all’improvviso, durante la festa più importante d’Israele. Delle grandi feste d’Israele, ce n’era una, che era chiamata semplicemente la festa, non c’era bisogno di indicarla, di nominarla. Era la festa per eccellenza, era la festa delle capanne: tra settembre e ottobre, per una settimana, gli ebrei vivevano sotto delle capanne, in ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana. Durante questa festa che ricordava la liberazione, sarebbe apparso il nuovo liberatore. “farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia”, al centro, per Pietro, non c’è Gesù. Quando ci sono tre personaggi, il più importante sta sempre al centro. Per Gesù non è, per Pietro non è Gesù il personaggio più importante, ma è Mosè. Qual è la tentazione che fa Pietro a Gesù? Ecco il messia che io voglio: un messia che osservi la legge di Mosè, con lo zelo profetico e violento del profeta Elia. “egli stava ancora parlando”, ma a quanto pare Dio non è d’accordo con quello che dice Pietro, “quando ecco una nube luminosa”, immagine che, nel libro dell’Esodo, indica la presenza liberatrice di Dio, “li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva”, naturalmente è la voce di Dio, “questi è il figlio mio”, figlio non s’intende soltanto colui che è nato, ma colui che assomiglia al padre nel comportamento, “l’amato”, cioè l’erede di tutto, “in lui ho posto il mio compiacimento”, le stesse parole che Dio ha espresso su Gesù, al momento del battesimo, e poi un verbo imperativo: ascoltatelo, esattamente “lui ascoltate”. Non dovete ascoltare né Mosè, né Elia, ma è in Gesù che c’è la pienezza della volontà divina, della rivelazione divina, lui va ascoltato. “All’udire ciò, i discepoli”, questo intervento divino provoca sconforto e desolazione, e segno di sconfitta, “all’udire ciò i discepoli caddero con la faccia a terra”, è un’immagine che indica il senso della sconfitta, della distruzione, “e furono presi da grande timore”, perché? Il messia che stanno seguendo in Gesù, non è quello da loro sperato, il messia vittorioso, il messia che imporrà la legge, il messia violento, ma tutto un altro, e quindi è una sconfitta dei loro sogni di ambizione, dei desideri di supremazia. “Ma Gesù si avvicinò, li toccò”, Gesù li deve toccare esattamente come tocca gli ammalati, come tocca i morti, “e disse: alzatevi e non temete”. Ma la reazione dei discepoli ancora una volta è negativa: “alzando gli occhi non videro nessuno”, cercano ancora, cercano ancora i punti di riferimento della tradizione del passato, cercano ancora Mosè, la legge che dà sicurezza, cercano ancora Elia il profeta, che, col suo zelo, fa osservare questa legge, non c’è più nessuno. Non c’è né Mosè, né Elia, e, quasi a malincuore, l’evangelista scrive: “non videro nessuno, se non Gesù solo”. Gesù solo non gli basta, loro vogliono Gesù, secondo la linea di Mosè e di Elia. “Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro”, quindi Gesù si impone, “«Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti»”. Loro hanno sperimentato qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, ma non si facciano illusione, devono ancora vedere quale tipo di morte Gesù affronterà, la morte che la Bibbia riservava ai maledetti da Dio, una morte infame, la morte della croce. Quindi, per evitare sentimenti d’entusiasmo fuori posto, non dite niente a nessuno, fino a che non sia risorto, cioè prima devo passare attraverso la morte, e di questo tipo di morte.




il commento al vangelo della domenica

VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO

commento al vangelo della diciassettesima domenica del tempo ordinario (30 luglio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 13,44-52

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Nel capitolo 13 del vangelo di Matteo, Gesù, con tre parabole, ha messo in guardia la comunità contro i tre rischi, contro le tre tentazioni: con la parabola della zizzania ha messo in guardia la comunità dalla tentazione di essere una comunità di eletti; con la parabola della senape dalla tentazione della grandezza e, infine, con la parabola del lievito dallo scoraggiamento. Ora come antidoto a queste tre tentazioni, Gesù invita alla fedeltà alla prima beatitudine, lo fa di nuovo con delle parabole. Leggiamo, è il capitolo 13 versetto 44 di Matteo: “il regno dei cieli”, ricordo che regno dei cieli non si intende un regno nell’aldilà, un regno nei cieli, ma il regno di Dio, cioè la società alternativa che Gesù è venuto a realizzare su questa terra, “è simile a un tesoro”, il termine tesoro apre e chiude questo brano, quindi è all’insegna della bellezza, dello splendore, “nascosto nel campo; un uomo lo trova”, questo uomo non cercava il tesoro, lo ha trovato, è stata un’opportunità che lui ha saputo cogliere al volo nella sua vita e, senza esitare, scrive l’evangelista “lo nasconde; poi va, pieno di gioia”, letteralmente per la gioia di aver trovato questo, “vende tutti i suoi averi”, non ci ripensa, “e compra quel campo”. C’è San Paolo nella lettera ai Filippesi, che scrive: quello che per me era un guadagno, l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo; per Lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura. Quando s’incontra Gesù ed il suo messaggio, questa è la risposta a quel desiderio di pienezza di vita, che ogni persona si porta dentro, e tutto il resto perde valore. Continua Gesù, che sempre “il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose“, mentre il primo uomo lo ha trovato per caso, ha saputo cogliere al volo l’occasione, l’opportunità della sua vita, il secondo invece è uno che cerca questa occasione, “trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra”. Quello che vuol dire l’evangelista è che seguire Gesù non è a costo di chissà quali sacrifici, il termine sacrifici appare soltanto due volte e in senso negativo in questo vangelo, ma per la gioia, il termine gioia appare nel vangelo di Matteo per ben sei volte. Ma continua Gesù: “Ancora, il regno dei cieli è simile ad una rete gettata nel mare”, Gesù ha invitato i suoi discepoli ad essere pescatori di uomini e ora dice come devono pescare, “che raccoglie ogni genere”, non c’è nel testo “di pesce”, è un’aggiunta del traduttore, quindi raccoglie di tutto. L’offerta di Dio, l’offerta del suo amore, è per tutta l’umanità, sta agli uomini poi rispondere o meno, “Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni
nei canestri e buttano via”, e qui purtroppo la traduzione c’ha “cattivi”, che indica un giudizio morale da parte del pescatore. No, non è così, “butta via i marci”, il termine adoperato dall’evangelista è marcio, non è un giudizio, buoni e cattivi, è una constatazione: quelli che possono portare vita e quelli che invece sono marci, quindi non è un giudizio morale, ma una constatazione. Quelli che scelgono la vita sono pieni di vita, quelli che scelgono la morte, sono pieni di morte, quindi sono inutili. E infatti continua Gesù: “Così sarà alla fine”, non del mondo, ma “dei tempi”, “Verranno gli angeli e separeranno i cattivi”, letteralmente i maligni, sono come i seminatori di zizzania, sono i figli del diavolo, “dai”, non è buoni, “giusti”, giusti significa i fedeli, i fedeli al messaggio di Gesù, “e li getteranno nella fornace ardente”. Questa è una citazione del profeta Daniele, il capitolo 3 versetto 6, dove la fornace ardente era la pena per chi non adorava il potere espresso dalla statua di Nabucodonosor. Ecco, ora invece per Gesù, la fornace ardente – fornace ardente cosa significa? distruzione completa – è la fine di chi adora il potere. Quindi quelli che scelgono l’amore, la condivisione, la generosità, il perdono, questo è il regno dei cieli, è il regno di Dio che Gesù è venuto ad inaugurare, sono pieni di vita e la comunicano; quelli che invece scelgono l’ egoismo, l’avidità, il potere, sono pieni di morte. Allora non c’è un giudizio da parte di Dio, ma semplicemente una constatazione tra chi è pieno di vita e chi invece è già nella putrefazione della morte; “dove sarà pianto e stridore di denti”, immagine biblica che indica il fallimento nella vita. Al termine delle sette parabole del regno, Gesù dice: “Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba”, lo scriba era il personaggio importante, era il maestro per eccellenza di Israele, rappresentava il magistero infallibile, “divenuto discepolo”: anche il maestro, di fronte alla novità di Gesù, deve tornare a scuola, deve diventare discepolo, forse questo è un po’ il ritratto dell’evangelista. “del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro”, ecco la parola tesoro ha aperto il brano e lo chiude, “cose nuove”, letteralmente migliori, l’evangelista adopera lo stesso termine che, nel vangelo di Giovanni, indicherà il comandamento nuovo, il comandamento migliore, “dalle cose antiche”, cosa vuol dire l’evangelista? Che il messaggio di Gesù ha sempre la precedenza su quello di Mosè: la nuova alleanza viene prima dell’ultima alleanza dell’antico testamento.