il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

NON PREOCCUPATEVI DEL DOMANI

commento al vangelo della ottava domenica del tempo ordinario (26 febbraio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 6,24-34

 

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza. Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede? Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani si preoccuperà di se stesso. A ciascun giorno basta la sua pena».

Dopo aver insegnato ai suoi discepoli il Padre Nostro che, sotto forma di preghiera, è la formula di accettazione delle beatitudini, Gesù torna a commentare l’effetto dell’accoglienza della prima beatitudine, che è la più importante, quella che permette l’arrivo del regno dei cieli, cioè il regno di Dio, la nuova società alternativa proposta da Gesù. Nel brano di oggi, il capitolo 6 dal versetto 24 del vangelo di Matteo, Gesù dice: “«Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro”, ed ecco il monito molto, molto chiaro: “Non potete servire Dio e la ricchezza”. Quello che traduciamo con ricchezza in realtà è mammona, cos’è mammona? È l’interesse, è la convenienza, è il capitale, è quello dove l’uomo mette la propria sicurezza. Il rivale di Dio, nella Bibbia e per Gesù, non è mai il peccato: Dio, nel suo sconfinato amore, riesce a conquistare il peccatore ed a convertirlo; ma il rivale di Dio, il muro che lui si trova di fronte, quello di fronte al quale anche Dio ha le mani legate, è la convenienza, è l’interesse, è l’avidità, per cui Gesù mette in chiaro l’avviso ai suoi discepoli. E poi, per tre volte, Gesù invita i suoi discepoli a non preoccuparsi: aver(ndo) accolto la prima beatitudine – (di) cosa si tratta (nel)la prima beatitudine: Gesù Cristo ci dice: voi occupatevi del bene e del benessere degli altri, e permetterete a Dio come padre di occuparsi lui del vostro, quindi un cambia tutto a vantaggio dei discepoli – Gesù per tre volte invita a non avere alcuna preoccupazione, se si è fatta questa scelta naturalmente. La prima è: “Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il  corpo più del vestito?”, quindi Gesù invita a non avere alcuna preoccupazione, non a non occuparsi, è chiaro la persona si deve occupare, ma a non stare in questo sentimento di ansia, di affanno. E Gesù fa un esempio: “guardate gli uccelli del cielo”, perché, tra tanti esempi che Gesù poteva fare, ha scelto proprio questo? Perché gli uccelli erano considerati animali inutili, nell’elenco delle benedizioni degli animali del creato non esistono, e animali nocivi, allora Gesù prende proprio quest’esempio: guardate gli uccelli del cielo, cioè gli esseri più inutili, più insignificanti del creato, “non seminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre.” Cosa vuol dire Gesù? Non è un invito al lassismo, a non fare niente: se il Padre nutre gli uccelli del cielo, che non seminano, non mietono e non raccolgono, tanto più voi che seminate, mietete e raccogliete, “Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita?”. E Gesù qui porta un esempio che, all’orecchio degli ascoltatori era molto chiaro, “E per il vestito, perché vi preoccupate? Osservate”, il verbo osservare indica osservare per imparare, “osservate come crescono i gigli del campo:”, i gigli del campo erano quei fiori belli, ma che avevano la durata di un solo giorno, “non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone”, Salomone era conosciuto per la sua vanità, per l’eccesso del suo lusso, “con tutta la sua gloria”, potremmo tradurre con tutta la sua boria, “vestiva come uno di loro”, quindi Gesù invita a non preoccuparsi. Perché non ci si preoccupa? È importante che, quando Gesù ha detto: non preoccupatevi di quello che mangerete, per la prima volta, nel vangelo di Matteo, appare il verbo mangiare, che poi apparirà soltanto nell’ultima cena. C’è un collegamento tra questi due verbi e questi due motivi: è il dono generoso di sé, di farsi pane per gli altri, che fa sì che Dio si faccia pane per noi, in una dinamica di amore ricevuto e amore comunicato. E continua Gesù: “Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno”, appunto questi fiori che duravano appena un giorno, “non farà molto di più per voi”, e qui c’è un rimprovero, “gente di poca fede?”. L’espressione poca fede non significa che non ne hanno a sufficienza, è un’espressione per dire: non c’avete fede, che non vi fidate. E per la seconda volta: “non preoccupatevi dunque dicendo”, se Gesù insiste è perché naturalmente avrà sentito le preoccupazioni dei suoi discepoli a questo argomento, ““Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani”, quindi Gesù contrappone i suoi discepoli, che dovrebbero aver fatto l’esperienza di questo Padre, di fidarsi di lui, con quelli che non credono nel Padre, ma credono in altre divinità. “Il Padre vostro celeste infatti”, ecco qui c’è un’affermazione importante di Gesù, che, se accolta, toglie ogni forma di ansia, “sa che ne avete bisogno”. L’azione del Padre precede il momento del bisogno, il momento in cui il discepolo se ne rende conto e lo chiede, l’azione del Padre non è venire incontro ai bisogni del discepolo, ma addirittura precederli, e questo dà piena serenità. Noi non ci dobbiamo preoccupare di nulla, perché non nel momento del bisogno Dio interviene, ma, prima ancora del bisogno, il Signore è già in azione. Ed ecco la conclusione: “Cercate invece anzitutto il regno di Dio”, ecco lavorate per questa società alternativa, a questa società dove, al posto dell’avere, ci sia il condividere, al posto del comandare ci sia il servire, “e la sua giustizia”, la fedeltà a questo programma, “e tutte queste cose”, quindi tutto quello che Gesù ha detto, “vi saranno date” addirittura in di più, vi saranno date ”in aggiunta”. Non c’è da preoccuparsi: quando uno fa della propria vita pane per gli altri, il pane, non solo non gli mancherà mai, ma gli sarà dato in aggiunta.  E poi la conclusione: “non preoccupatevi”, è l’ultima volta che Gesù invita a non preoccuparsi, a non stare in ansia, “dunque del domani”, e qui, purtroppo, la vecchia traduzione invece aveva aggiunto ansia, perché la vecchia traduzione era: “perché il domani avrà già le sue inquietudini”, cioè non preoccupatevi per i guai di domani, perché già ce ne saranno altri, nulla di tutto questo. Dice Gesù: “non preoccupatevi dunque del domani, perché il domani”, la traduzione esatta, “si preoccuperà di se stesso”: come oggi avete sperimentato l’azione paterna di Dio, che si è preso cura anche degli aspetti minimi, insignificanti della vostra esistenza, così sarà anche del  domani. Allora non preoccupatevi, ma orientate la vostra vita per il bene degli altri. E continua Gesù: “A ciascun giorno basta la sua”, qui hanno tradotto “pena»”, ma, in realtà è difficoltà. Le difficoltà di ogni giorno sono garantite, nella sua (loro) soluzione, dalla presenza continua del Padre di Gesù.




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

AMATE I VOSTRI NEMICI

commento al vangelo della settima domenica del tempo ordinario (19 febbraio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 5,38-48

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio e dente per dente”. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Gesù propone una nuova relazione con Dio, che non può essere più contenuta nell’antica alleanza. Per questo, nel vangelo di Matteo, al capitolo 5, dopo aver proclamato le beatitudini, Gesù inizia una serie di prese di distanze, dicendo: “«Avete inteso che fu detto:”, e, anziché dire, come avrebbe dovuto, ai padri, agli antichi, per Gesù è qualcosa di vecchio. E questa è la quarta volta che Gesù ripete l’espressione, dice: “Avete inteso che fu detto: occhio per occhio e dente per dente”. Questa legge, che è conosciuta come la legge del taglione, che indubbiamente fa orrore per questa vendetta, in realtà, al tempo, fu un progresso, perché la vendetta era illimitata ed era spietata, come racconta, nel libro del Genesi, l’episodio di Lamec, che si vantava: “ho ucciso un uomo per una mia scalfitura ed un ragazzo per un livido”. La frase che Gesù ha citato, è presa dal libro del Deuteronomio, alla fine del capitolo 19, dove l’autore dice: “il tuo occhio non avrà compassione: vita per vita, occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede”. Quindi è una legge dove non esiste la compassione, ma bisogna far pagare al colpevole il danno che ha fatto. Ebbene Gesù prende le distanze da tutto questo: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Bisogna tener presente che l’unica volta che Gesù ha ricevuto uno schiaffo, si è guardato bene dal porgere l’altra guancia. Allora che cosa significa questa affermazione di Gesù? Non è un invito ad essere tonti, ma buoni fino in fondo: disinnesca la rabbia, disinnesca l’aggressività dell’altro, con la tua bontà, si tratta di disarmare l’altro, (di) questo si tratta, quindi non passare per stupidi. “E a chi ti vuole portare in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello”, è una persona prepotente, ebbene lasciagli anche quello che non poteva prendere, il mantello serviva anche come coperta nella notte, lui s’impaccerà con la tunica, con il mantello, e tu sarai più libero. Quindi Gesù invita ad avere questa piena libertà, tutta basata nel disinnescare l’aggressività degli altri. “Egualmente se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio”, Gesù si rifà alle leggi delle forze di occupazione, che imponevano degli esercizi forzati, delle prestazioni forzate alle persone, come sarà per il Cireneo, “tu fanne con lui due”, quindi disarma col tuo amore l’aggressività dell’altro, perché se tu, all’aggressività, rispondi con altra aggressività, questa cresce e
non si sa dove si va a finire. Poi Gesù dà un’indicazione molto, molto chiara per la comunità cristiana: “Da’ a chi ti chiede”. Dare non è perdere, ma è guadagnare, perché si sa che, quando si dà, poi il Padre dona con più abbondanza, “e a chi desidera da te un prestito, non voltare le spalle”, quindi Gesù invita ad avere questa attenzione al bisognoso, a chi ti chiede, senza calcolare. “Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico” ”, al precetto di amare il prossimo, si aggiunge quello dell’odio del nemico. La possiamo trovare questa espressione nei Salmi, per esempio c’è il salmo 139 che dice: “quanto odio Signore quelli che si odiano, quanto detesto quelli che si oppongono a te, li odio con odio implacabile”, quindi si univa l’amore al prossimo, ma con l’odio ai nemici. Con Gesù, nella nuova relazione che c’è con il Padre, con i fratelli, tutto questo viene a cessare: “ma io vi dico amate i vostri nemici”, è un amore generoso, un amore che si fa dono quello che chiede Gesù, e l’amore si fa preghiera: “pregate per quelli che vi perseguitano”, che sono questi nemici. Perché questo? “affinché siate figli del Padre vostro”. Figlio, nella cultura dell’epoca, non s’intende soltanto colui che è nato da qualcuno, ma colui che gli assomiglia nel comportamento, quindi assomigliate al Padre “che è nei cieli”. Qui Gesù, oltre a dare indicazione ai suoi su come comportarsi, ci svela chi è Dio, dice: “egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti”. Il profeta Amos in realtà non era d’accordo, il profeta Amos presentava un Dio che rifiutava la pioggia agli ingiusti. No, il Dio di Gesù non è Dio che premia i buoni e castiga i malvagi, ma è un Dio-amore, è un Dio che a tutti, indipendentemente dalla loro condotta, mostra il suo amore. Come ha detto Gesù, fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, non soltanto su chi lo merita, ma su tutti quelli che ne hanno bisogno. Gesù passa dalla teoria della dottrina del merito, a quella del dono: Dio non ama i suoi, non ama le creature per i loro meriti, ma per i loro bisogni. E commenta Gesù: “infatti se amate quelli che vi amano quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”, i pubblicani erano le persone ritenute trasgressori di tutti i comandamenti, i più lontani da Dio. “E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?”, quindi Gesù cita pagani e pubblicani, le categorie che erano più lontane da Dio. Anche loro sono capaci di salutare chi li saluta e di amare chi li ama, che c’è di straordinario nel fare questo? Allora conclude Gesù: “Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste»”. Gesù non chiede di essere perfetti come Dio, il che potrebbe far smarrire la persona, l’immensità di Dio, no. Gesù parla di essere perfetti, perfetti significa completi, pieni come, dice, come il Padre, e qual è la perfezione del padre? È quella che abbiamo visto: quella di un amore che si rivolge a tutti, un amore che non guarda i meriti, chi lo meritano, ma guarda i bisogni, questa è all’interno delle possibilità di ogni credente.




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO

commento al vangelo della quinta domenica del tempo ordinario (5 febbraio 2017) di p. Alberto Maggi:

Mt 5,13-16




il vangelo della domenica commentato da padre Maggi

BEATI I POVERI IN SPIRITO

commento al vangelo della quarta domenica del tempo ordinario (29 gennaio 2017) di p. Alberto Maggi

Mt 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:

«Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.

Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.

Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. 

Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

Le beatitudini sono indubbiamente il capolavoro del vangelo di Matteo, un capolavoro non soltanto dal punto di vista teologico, vedremo la sua ricchezza spirituale, ma anche letterario. Vediamo allora nel capitolo 5, nel vangelo di Matteo, questo testo straordinario. Scrive l’evangelista: “vedendo le folle, Gesù salì sul monte”, vedendo le folle Gesù non si distanzia, non prende le distanze, ma le vuole attivare dove? Su “il” monte. Questo monte è preceduto dall’articolo determinativo, il monte, non è un monte qualunque, ma non si dice quale monte è. Qual è il significato di questo? Il monte, nella tradizione biblica, ebraica, indicava e il monte Sinai, dove Dio, attraverso Mosè, diede, stipulò l’alleanza con il suo popolo, ma anche la sfera, la condizione divina. Quindi Gesù, attraverso la proclamazione di queste beatitudini, vuole portare le folle, ogni persona, quindi è un invito valido per sempre, a raggiungere la condizione divina. “Si pose a sedere”, nell’atteggiamento del maestro, “si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo”, e qui l’evangelista presenta le beatitudini. È un lavoro minuzioso quello che ha fatto Matteo: ha calcolato non soltanto il numero delle beatitudini, ma persino con quante parole comporre queste beatitudini, secondo le tecniche letterarie dell’epoca. Le beatitudini sono esattamente 8, perché il numero 8, nella tradizione spirituale, nel cristianesimo primitivo, indicava la risurrezione di Gesù, che è risuscitato il primo giorno dopo la settimana. Per questo i battisteri, luogo dove si riceveva battesimo, avevano sempre la forma ottagonale. Allora il numero 8 indica la vita che non viene interrotta dalla morte. L’evangelista vuole indicare che, con
l’accoglienza di queste beatitudini, si ha dentro di sé una vita, che poi sarà capace di superare la morte. Ma non solo: l’evangelista calcola anche il numero di parole con le quali comporre le beatitudini, e sono esattamente 72, e l’evangelista proprio ha voluto creare questo numero perché, ad un certo momento, si vede che c’è una ripetizione di un qualcosa che non era necessario per il testo. Perché 72? Perché, secondo il calcolo contenuto nel libro della Genesi, al capitolo decimo, nella versione greca, i popoli pagani, conosciuti a quel tempo, erano 72. Qual è l’intento dell’evangelista? Mentre, sul Sinai, Mosè ha proclamato i comandamenti, che erano riservati al popolo d’ Israele, su questo monte, che sostituisce il Sinai, Gesù non da Dio riceve la nuova alleanza, ma Lui, che è Dio, proclama la nuova alleanza, che è valida per tutta l’umanità. La prima delle beatitudini è la più importante di tutte, perché è la chiave perché possano esistere tutte le altre, e Gesù inizia proclamando: “Beati”. Qual è il significato di questa espressione? È una felicità talmente grande, che si pensava irraggiungibile su questa terra. A quel tempo, in quella cultura, i beati erano gli dèi, che godevano dei privilegi non concessi agli umani. Dall’ espressione greca “beato”, deriva poi l’esclamazione nostra in italiano, quando diciamo “magari”, ecco la radice è la stessa, qualcosa di desiderato, qualcosa che ci sembra impossibile, quindi è il massimo della felicità. Ma, per comprendere le beatitudini, questa acclamazione di Gesù “beati”, bisogna sempre metterla dopo le situazioni, o le indicazioni che lui mette. I primi beati sono “i poveri in spirito”. Va subito detto che Gesù non proclama mai beati i poveri. I poveri sono disgraziati, che è compito della comunità cristiana togliere dalla loro situazione di infelicità. Gesù non chiede ai suoi discepoli di andarsi ad aggiungere ai tanti, troppi poveri che la società sforna, ma di impegnarsi per eliminare le cause della loro povertà. Gesù proclama: ”beati i poveri in spirito”, o di spirito. La particella greca si può tradurre in tre maniere, vediamo quale può essere il significato. Poveri “di” spirito, cioè quelli che sono carenti di spirito, i cretini, ma non è possibile che Gesù proclami come massima aspirazione dell’uomo la stupidità, quindi la scartiamo. Può essere poveri “in” spirito, cioè una persona che, pur possedendo dei beni, ne è spiritualmente distaccata e, guarda caso, questa è stata proprio la spiegazione portata avanti dalla chiesa. Ma Gesù non chiede una povertà spirituale, ma chiede una povertà immediata. Quando s’ incontrerà o scontrerà con il ricco, non gli chiederà di distaccarsi spiritualmente dalle sue ricchezze, ma chiede un distacco immediato e reale. Allora la terza possibilità è poveri “per” lo spirito, cioè non quelli che la società ha reso poveri, ma quelli che liberamente, volontariamente, per lo spirito, per questa forza interiore che hanno dentro, scelgono di entrare in questa condizione, che non significa, come abbiamo detto, andarsi ad aggiungere ai tanti, troppi poveri, che la società continuamente sforna, ma significa diminuire il proprio livello di vita, il proprio tenore di vita, per permettere, a quelli che lo hanno troppo basso, d’innalzarlo un po’. Questi sono i poveri nello spirito, sono coloro che accettano di condividere generosamente quello che sono e quello che hanno. I poveri in spirito, quelli che fanno questa scelta, Gesù li proclama beati “perché di essi è”, il verbo è al presente, non è una promessa al futuro, ma una possibilità immediata, al presente, “perché di essi è il regno dei cieli”. Purtroppo, in passato, questo regno dei cieli ha creato tanta confusione, è stato compreso come un regno nei cieli, come se fosse l’ aldilà, ed infatti si diceva appunto ai poveri che loro erano beati, perché sarebbero andati in paradiso. Nulla di tutto questo. Matteo è l’unico evangelista che adopera quest’ espressione “regno dei cieli”, laddove tutti gli altri usano l’espressione “regno di Dio”. Già Gesù aveva proclamato l’invito necessario alla conversione, perché era vicino il regno di Dio. Con l’accoglienza delle beatitudini, il regno di Dio diventa una realtà. Ma cosa significa questo “regno dei cieli”? Che Dio governa i suoi. E come governa Dio i suoi? Non emanando leggi, esterne all’uomo, che questi devono osservare, ma comunicando loro la sua stessa capacità d’ amare. Allora Gesù dice: quelli che liberamente, volontariamente, scelgono questo, beati perché, da questo momento preciso, in cui fanno questa scelta, accolgono questa beatitudine, permettono a Dio di manifestarsi come Padre nella loro esistenza. Poi seguono
tutte le altre  beatitudini in serie di tre, le prime tre riguardano sofferenze dell’umanità, che una comunità -le beatitudini non sono per un individuo, sono per una comunità- che la comunità cristiana è chiamata a liberare da queste sofferenze, e poi gli effetti, la fioritura d’amore all’interno dei singoli e della comunità dall’accoglienza di queste beatitudini.




il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

VENNE A CAFÀRNAO PERCHÉ SI COMPISSE CIÒ CHE ERA STATO DETTO PER MEZZO DEL PROFETA ISAÌA

commento  di p. Alberto Maggi al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (22 gennaio 2017):

Mt 4,12-23

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta». Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre, riparavano le loro reti, e li chiamò. Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono. Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo.

Dopo l’episodio delle tentazioni del deserto, tentazioni che non sono esaurite in quel periodo, ma che continueranno per tutta l’esistenza di Gesù,  l’evangelista al capitolo quarto, dal versetto 12, presenta l’inizio dell’attività di Gesù. Leggiamo. “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato”, l’evangelista getta una luce sinistra sull’attività di Gesù. Ecco che cosa capita ad invitare a un cambiamento: i potenti non vogliono cambiare, vogliono conservare, ma la stupidità del potere è che, quando mettono a tacere una voce, perché gli è scomoda, poi il Signore ne suscita una ancora più potente. Quindi, messo a tacere Giovanni, ecco che subentra Gesù. “si ritirò”,questo verbo indica sempre una ritirata in relazione a un pericolo, “nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio”, e qui c’è un’incongruenza, “di Zàbulon e di Nèftali”, ma Cafàrnao è nel territorio di Nèftali, come mai l’evangelista scrive che è il territorio di Zàbulon? Perché, secondo lo stile letterario dei rabbini, Matteo, che probabilmente era uno scriba, vuole introdurre una profezia, un brano del profeta Isaìa che gli sta a cuore, infatti dice “perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa”. Questa profezia è una promessa di liberazione dalla situazione di oppressione, di dominio da parte degli Assiri: “«Terra di Zàbulon e terra di Nèftali,” ecco il perché allora prima l’aveva detto, “sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!”. Mentre la Giudea, la regione che ha Gerusalemme, la città santa, prende il nome da Giuda, uno dei capostipiti delle  tribù d’Israele, questo territorio è talmente disprezzato dal  profeta che non ha nome, lo chiama il distretto dei pagani, distretto in ebraico è ghelil, da cui il termine Galilea. “Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta».”, l’evangelista anticipa quella che poi sarà l’attività dei discepoli, che Gesù inviterà ad essere la luce del mondo. “Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi”, le prime parole di Gesù sono un invito ad un cambiamento, un cambiamento di mentalità che incida poi nel comportamento, “perché il regno dei cieli”, il messaggio di Gesù non è, non riguarda un regno nei cieli, ma  un regno dei cieli, cieli sta per Dio, il regno di Dio, la società alternativa che Gesù è venuto ad inaugurare, “è vicino”. Perché non dice che c’è già, perché è vicino? Perché questo regno diventerà realtà con la proclamazione delle beatitudini, e la prima beatitudine di Gesù è “beati i poveri per lo spirito, perché di essi è il regno dei cieli”. Non è una promessa del futuro, ma una possibilità per il presente. Quando c’è una comunità, anche piccola, che accetta di condividere quello che è, quello che ha, s’inizia il regno dei cieli, cioè Dio governa queste persone, queste comunità. E Dio non governa emanando leggi che gli uomini devono osservare, ma comunicando loro interiormente il suo spirito, la sua stessa capacità d’amare. “Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli”, è importante questo dei fratelli, perché l’essere fratelli sarà la caratteristica poi della comunità di Gesù, “Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello”, e questi fratelli hanno nomi di origine greca, quindi significa una famiglia più allargata, più libera mentalmente. Simone, il primo, è conosciuto per il suo soprannome, che indica la caparbietà, la testardaggine, Pietro cioè testa dura. “che gettavano le reti in mare”, e poi qui l’evangelista fa un commento superfluo, “erano infatti pescatori”, e per forza, se gettavano le reti in mare. Perché l’evangelista sottolinea, sembra inutilmente, che erano pescatori? Perché in realtà si richiama al profeta Ezechiele che, nel capitolo 47, ha una profezia in cui indica, nei tempi del messia, una pesca abbondante per i pescatori. “E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini».”, questo è l’invito che fa Gesù. Gesù non invita quelli che chiama ad essere pastori, lui è l’unico pastore, ma pescatori di uomini, cosa significa pescare uomini? Pescare il pesce si sa, significa tirare fuori il pesce dal suo habitat vitale, l’acqua, per dargli la morte, per il proprio interesse, per il proprio profitto. Pescare gli uomini significa invece salvarli, tirarli fuori dall’acqua che può dargli la morte, e non per il proprio interesse, ma per il loro interesse. È interessante che Gesù, nel chiamare i suoi seguaci, non sceglie dei monaci, dei pii,  degli appartenenti al sacerdozio,  i potenti, i teologi che c’erano a quell’epoca, ma sceglie delle persone normali, al di fuori dell’ambito della religione, perché devono comunicare vita, e quelli che vivono sotto la cappa della religione, vita non ce l’hanno e non la possono comunicare. “Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello”, l’evangelista vediamo quante volte sottolinea il fatto di essere fratelli. Questi due fratelli invece hanno un nome rigorosamente ebraico, quindi significa una famiglia di più stretta osservanza della religione e delle leggi d’Israele. “che nella barca, insieme a Zebedeo loro padre”, compare il padre,” riparavano le loro reti, e li chiamò”, quindi è una famiglia già strutturata in maniera gerarchia, e questo si vedrà lungo tutto il vangelo. “Ed essi subito lasciarono la barca e il loro padre e lo seguirono”, hanno lasciato il padre, perché nella comunità di Gesù non ci sono padri, l’unico padre e il Padre dei cieli, ma non hanno lasciato purtroppo la madre, e la madre sarà fonte di guai per questi due fratelli, a causa della sua ambizione, che rischierà di portare la divisione, lo scisma nella comunità di Gesù. “Gesù percorreva tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo  del Regno”, l’evangelista, per l’attività di Gesù, adopera due verbi differenti: nelle sinagoghe Gesù insegna, insegnare significa prendere dalla ricchezza della tradizione d’Israele, dal deposito della bibbia dell’antico testamento il suo insegnamento; ma, per annunziare agli altri, a quelli al di fuori d’Israele, ai pagani, usa il verbo predicare, che indica qualcosa di nuovo. E cosa predica, cosa annunzia Gesù? Il vangelo. È la prima volta che in questo libro appare il termine vangelo, cioè la buona notizia, e qual’è una buona notizia? La buona notizia del regno è che Gesù lo fa guarendo ogni sorta di malattie e infermità del popolo. L’attenzione di Dio è per le infermità, per il popolo, l’effetto del regno è quello di portare la tenerezza di Dio per ogni creatura, specialmente le più bisognose, le più sofferenti.

 




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

BATTESIMO DEL SIGNORE  
APPENA BATTEZZATO, GESÙ VIDE LO SPIRITO DI DIO VENIRE SU DI LUI

il vangelo della domenica del battesimo del Signore (8 gennaio 2017) commentato da p. Maggi:

Mt 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.                                    Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

Nel vangelo di Matteo l’attività di Gesù si apre all’insegna del battesimo. Con il battesimo di Gesù, Gesù diventa la manifestazione visibile del Padre. Le ultime parole di Gesù saranno l’invito ai discepoli di andare a battezzare, per diventare essi stessi manifestazione visibile del Padre. Vediamo quello che ci scrive l’evangelista Matteo, al capitolo 3, versetti 13-17. Allora “Gesù dalla Galilea venne”, e qui l’evangelista adopera lo stesso verbo che ha usato per indicare l’attività di Giovanni Battista all’inizio del capitolo 3. Questo per dire che Gesù porta a compimento e realizza l’attività del Battista. “Venne al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui”: il fatto che Gesù sia andato a farsi battezzare, ha causato sempre tanti problemi, già nella chiesa primitiva. C’è in un vangelo, chiamato il vangelo degli Ebrei, addirittura Gesù stesso che protesta e dice:”che peccato ho fatto io per andarmi a fare battezzare ?”. Qui la difficoltà invece gli viene proprio da Giovanni il Battista. “Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: « Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me ?» ”. Per comprendere la reazione di Giovanni e tutto il brano, occorre comprendere il significato del battesimo, che per noi ormai ha assunto quello di un rito liturgico, di un sacramento. Il verbo battezzare non significa altro che immergere. Era un rituale ben conosciuto, che indicava la morte a quello che si era. Allora Giovanni Battista aveva invitato la popolazione ad andarsi a far battezzare, in segno di conversione, significava immergersi, lasciando morire l’uomo che era stato, per far emergere una persona completamente nuova. Era un rito che veniva adoperato per esempio per dare la libertà agli schiavi: moriva lo schiavo ed emergeva la persona nuova, libera. Quindi il battesimo dà un segno di morte. Allora qual è il significato del battesimo ? Se per il popolo significava morire a un passato ingiusto di peccato che avevano, per Gesù no, per Gesù il battesimo, quest’immersione, significherà l’accettazione nel futuro della morte, alla quale andrà incontro, per essere fedele appunto a questa missione di testimoniare l’amore del Padre. Questo il significato del battesimo di Gesù, tanto è vero che, in altri vangeli, Gesù adopererà proprio l’immagine del battesimo, per indicare la sua morte, dirà: “potete ricevere il battesimo con cui io sono battezzato ?”. Ecco allora l’impedimento da parte di Giovanni Battista. Giovanni Battista che ha predicato un messia vincitore, un messia giudice, un messia che viene a castigare. Non può immaginare, tollerare l’immagine di un messia sconfitto, di un messia che vada incontro alla morte. ”Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia»”. Questo termine giustizia nella Bibbia indica la fedeltà all’alleanza. Nel libro del Deuteronomio si  legge quest’espressione: ”la giustizia consisterà per noi nel mettere in pratica questi comandi, davanti al Signore nostro Dio, come ci ha comandato”. Quindi la giustizia significa essere fedeli all’alleanza, e pertanto, alla volontà di Dio. E qui l’evangelista inserisce una frase dal significato ambiguo: “Allora egli lo lasciò”. I traduttori completano questa espressione di Matteo, come questa traduzione della CEI, “Allora egli lo lasciò fare”, come se acconsentisse, ma l’evangelista non dice questo,  dice : ”Allora egli lo lasciò”. Perché ? Questa espressione ritornerà poi nel capitolo quarto, quando il diavolo tenterà Gesù. Allora l’evangelista, attraverso questa indicazione, vuol dire che, già dal momento in cui Gesù entra in scena, incominciano le difficoltà e incomincia la tentazione. Qual è la tentazione ? Tutti vogliono impedire che Gesù vada incontro alla morte, perché il messia non può morire, il messia non può finire. La prova che Gesù non è stato il messia è appunto che è morto, quindi questa possiamo chiamarla la prima tentazione, una tentazione che, naturalmente, non gli viene dai nemici, ma proprio dalle persone che gli sono più vicine. “Appena battezzato”, quindi appena Gesù s’immerge nell’acqua, “Gesù”, e qui l’evangelista scrive che “uscì immediatamente”. È importante quest’espressione che adopera l’evangelista: l’acqua è il simbolo di morte, ma la morte non può trattenere colui che è pieno di vita. È tipico degli evangelisti che, ogni qualvolta accennano alla morte di Gesù, immediatamente subito danno un’immagine della sua risurrezione. Quindi appena Gesù s’immerge nell’acqua, immediatamente esce. “Ed ecco si aprirono per lui i cieli”, i cieli si credevano chiusi perché Dio ero offeso, arrabbiato con il suo popolo. Dal momento che Gesù con il battesimo accetta di manifestarne visibilmente il Suo amore, la misericordia per tutta l’umanità, i cieli, cioè Dio, si aprono: la comunicazione tra Dio e gli uomini, attraverso Gesù, sarà continua. “Ed egli vide”, è un’esperienza di Gesù, “lo Spirito di Dio”, qui l’evangelista evita di usare l’espressione ”Spirito Santo”. L’azione dello Spirito è di santificare, cioè di separare le persone dal peccato, e Gesù, quando appunto le ultime parole che pronunzierà, dirà ai suoi discepoli di andare a battezzare nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito, s’intende questo Spirito Santo che santifica le persone. Su Gesù no, su Gesù scende lo Spirito: l’articolo determinativo indica la totalità, lo Spirito è la forza, è l’energia di Dio. In Gesù c’è tutto quello che c’è di Dio, la completezza, la pienezza del Suo amore. “Discendere come una colomba”, perché l’immagine della colomba ? L’evangelista si richiama al libro del  Genesi, già Matteo ha presentato Gesù come la nuova creazione, dove lo Spirito aleggia sulle acque, e, nei commenti dei rabbini, questo Spirito che aleggia sulle acque, veniva immaginato come una sorta di colomba. Gesù è il nido dello Spirito di Dio, e il nido dove questa colomba dello Spirito scende e rimane. “Ed ecco una voce dal cielo”, naturalmente voce dal cielo significa un’esperienza divina, è Dio stesso, il cielo indica Dio, “che diceva”, e qui l’evangelista, probabilmente un abile scriba, fonde insieme ben tre testi dell’antico testamento: fonde il Salmo 2, il libro del Genesi, e il profeta Isaia in tre testi importantissimi, “questo è il figlio mio”, è il salmo, che indica la consacrazione del re come messia, quindi Dio in Gesù vede il figlio, figlio non si intende soltanto colui che ha generato, ma colui che gli assomiglia nel comportamento, quindi l’evangelista sta dicendo: chi vede Gesù vede Dio, vedendo e comprendendo chi è Gesù, si capisce chi è Dio, “l’amato”, e qui il riferimento al libro del Genesi, Isacco era il figlio amato di Abramo, “in lui ho posto il mio compiacimento”, nel messia che è Gesù, che ha deciso di manifestare visibilmente la tenerezza, l’amore del Padre per tutta l’umanità, su lui c’è l’approvazione, la benedizione da parte del Signore.

 




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

I PASTORI TROVARONO MARIA E GIUSEPPE E IL BAMBINO

DOPO OTTO GIORNI GLI FU MESSO NOME GESÙ

commento al vangelo della solennità di Maria Santissima Madre di Dio (1 gennaio 2017) di p. Alberto Maggi:

 

Lc 2,16-21

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Il primo giorno del nuovo anno si apre con un augurio, con una buona notizia. E qual è questa notizia, quella che ci porta l’evangelista Luca ? Che quelli che la religione ritiene e considera i più lontani da Dio, in realtà, per Gesù, sono i più vicini al Signore. Sentiamo quello che ci scrive l’evangelista nel capitolo 2 del suo vangelo Luca, nei versetti 16-21. Per comprendere quello che l’evangelista ci sta dicendo, bisogna fare un passo indietro, quando i pastori, i pastori erano considerate persone impure per la loro attività, erano considerati emarginati, erano esclusi come peccatori dalla religione, perché vivevano in una maniera al di fuori della legge, non potevano certo partecipare alle funzioni del tempio o della sinagoga. Si credeva che quando il messia sarebbe arrivato, li avrebbe castigati, li avrebbe puniti. Ebbene quando l’Angelo del Signore, che è Dio stesso quando entra in contatto con gli uomini, si presenta loro, non li incenerisce nella sua ira, ma li avvolge della sua luce, cioè del suo amore. L’evangelista smentisce la dottrina tradizionale di un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Quando Dio si incontra con i peccatori, non li rimprovera, non li punisce, non li castiga, ma li circonda del suo amore, questo è il fatto che precede. Allora “andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia”. Il figlio di Dio che è stato loro annunciato, non è nato in una reggia, neanche in un tempio, ma nella loro condizione, che loro conoscono. “E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro”. Che cos’era stato detto loro dall’Angelo del Signore ? L’Angelo del Signore aveva comunicato loro una grande gioia per la nascita del salvatore, quindi non l’arrivo del giustiziere, quello che premiava i buoni e castigava i malvagi, ma del salvatore, e questa buona notizia sarebbe stata per tutto il popolo. È strano che, da parte di quelli che ascoltano, non c’è nessuna reazione di gioia di fronte questa notizia, ma soltanto sconcerto. Scrive Luca: “Tutti quelli che udivano si stupirono”, cioè si sconcertano, c’è qualcosa che non quadra, perché, nella dottrina tradizionale, Dio castiga i peccatori. Come fanno a dire queste persone che sono peccatori, impure, che Dio li ha circondati, li ha  avvolti del suo amore ?  Quindi sono sconvolti dalle cose dette loro dai pastori. Crolla quello che la religione insegnava loro di Dio: è la novità, è lo scandalo della misericordia, che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca. “Maria, da parte sua”, quindi anche Maria si è stupita, si è sconcertata di questa novità, “Maria, da
parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole”, esattamente esaminandole, interpretandole, il verbo adoperato dall’evangelista indica cercare il vero senso di qualcosa, “nel suo cuore”. Maria anche è sconcertata da questa novità, perché non corrisponde a quello che la religione ha sempre insegnato, ma lei non lo rifiuta, incomincia a pensarci, incomincia a rifletterci. E l’evangelista dà l’avvio alla crescita grande di Maria, che poi la porterà fino presso la croce del figlio. Maria è grande non tanto per aver dato alla luce Gesù, per esserne la madre, ma per aver avuto il coraggio di seguirlo e diventarne la discepola. “I pastori se ne tornarono”, per comprendere quello che l’evangelista ora ci dice, che è clamoroso straordinario, sensazionale, bisogna rifarsi nella cultura dell’epoca, dove in un libro, il primo libro di Enoch, si presenta Dio nell’alto dei cieli, separato dagli uomini, attorno a lui ci sono sette angeli, chiamati gli angeli del servizio. Che cosa fanno questi sette angeli privilegiati che sono i più vicini a Dio ? Hanno il privilegio di glorificare e lodare Dio in continuazione. Ebbene l’evangelista ci dice che i pastori “se ne tornarono, glorificando e lodando Dio”. Quelli che la religione e la società considerava i più lontani, i più esclusi da Dio, una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio, sono i più vicini a Dio, esattamente come i sette angeli del servizio, “per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro”. Ma questo piano divino incontra però la resistenza degli uomini: la novità portata da Gesù farà fatica ad essere accolta. Allora l’evangelista ci scrive che “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione”, vanno a circoncidere Gesù. Intendono fare figlio di Abramo quello che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo. Quindi c’è ancora l’attaccamento alla legge, alla tradizione e farà fatica lo Spirito ad entrare, a far fiorire, ma senz’altro ce la farà. “gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo”, e poi vedremo come Gesù metterà in crisi questa coppia di genitori, perché loro si aspettano che Gesù segua le orme dei padri, invece Gesù seguirà il Padre.




il commento di p. Maggi al vangelo di natale

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al vangelo del giorno di natale (25 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama:  «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.


La liturgia di questa domenica ci presenta il prologo al vangelo di Giovanni. Il prologo sono i primi 18 versetti del suo vangelo, nei quali l’evangelista riassume ed anticipa tutto il suo vangelo, ogni singola parola di questo prologo poi sarà sviluppata. Ebbene l’evangelista inizia correggendo la scrittura, e termina smentendo. Infatti inizia il suo vangelo scrivendo: “In principio era il Verbo”, il verbo significa la parola, è una parola creatrice, che realizza il progetto di Dio nella creazione, “era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. L’evangelista corregge l’interpretazione biblica nel libro della Genesi, il primo libro con il quale si apre la Bibbia, dove c’è scritto: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Per l’evangelista Dio, prima ancora di creare il cielo e la terra, aveva questo progetto, che ha voluto che si realizzasse. Ma non solo: usando la parola, il termine “Verbo”, cioè parola, l’evangelista contrappone alla tradizione biblica, che diceva che il mondo era stato creato in vista delle dieci parole, cioè il decalogo, no, c’è un’unica parola che si manifesterà in questo vangelo, in un unico comandamento, quello di Gesù: “amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amato”. Se l’evangelista inizia correggendo la scrittura, conclude il suo prologo smentendola. Infatti scrive al versetto 18, in maniera perentoria: “Dio, nessuno lo ha mai visto”. Ma come può l’evangelista affermare una cosa del genere ? Eppure nella Bibbia si legge che Mosè, Aronne e altri 70 anziani hanno visto Dio. L’evangelista non è d’accordo: hanno avuto esperienze parziali, e pertanto la legge che esprimono, che esprime Mosè, non può manifestare la pienezza della volontà di Dio. Quindi l’evangelista è lapidario: “Dio, nessuno l’ha mai visto”. “Il figlio unigenito che è Dio ed è nel seno”, nel seno significa nella piena intimità, “del Padre, è lui che lo ha rivelato”. È importante questa affermazione: per l’evangelista Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi credevamo di sapere, che c’è stato insegnato su Dio, ora va verificato con quello che vediamo in Gesù in questo vangelo. Tutto quello che corrisponde, coincide, va mantenuto, ma tutto quello che si distanzia o addirittura gli è contraddittorio, va eliminato. Quando, in questo vangelo, nel capitolo 14, uno dei discepoli, Filippo, chiederà a Gesù: “mostraci il Padre e ci basta”, Gesù risponderà: “chi ha visto me ha visto il Padre”. Quindi Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Quindi l’evangelista conclude il suo prologo con un invito a centrare tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Ebbene, andando a ritroso, in questo prologo, l’evangelista afferma: “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità”, un’espressione che indica l’amore generoso, l’amore fedele che si fa dono, “vennero per mezzo di Gesù”. Gesù, che è l’unica vera manifestazione di Dio, inaugura una nuova relazione con Dio: mentre Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una legge tra dei servi e il loro signore, basata sull’obbedienza della legge, Gesù, che non è il servo di Dio, Lui è il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre, non più basata sull’obbedienza della
legge, ma sull’accoglienza e la pratica del suo amore. E, andando sempre a ritroso in questo prologo per comprenderlo, “Dalla sua pienezza”, dalla realizzazione di questa parola in Gesù, “noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia”. Ecco la dinamica della vita del credente, della comunità cristiana: è un amore che alimenta amore, amore comunicato, che si trasforma poi in amore donato. E il versetto più importante, posto proprio al centro di questo prologo, è il versetto 12, dove prima l’evangelista aveva  scritto: “Venne tra i suoi” questo progetto, questa realtà, “e i suoi non l’hanno accolto”, non è una polemica con un mondo dal quale la comunità cristiana si è ormai allontanata, ma è un monito di stare attenti di non commettere gli stessi errori, che, quando Dio si presenta, e si presenta sempre in forme nuove, in nome del Dio del passato non si riconosce il Dio che viene. Ma ecco il versetto più importante posto al centro: “A quanti però lo hanno accolto”, questo progetto di Dio che si manifesta in Gesù, “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. Figli di Dio non si nasce, ma lo si diventa, si diventa accogliendo Gesù nella propria esistenza, e imitandolo nel suo amore. Con Gesù, Dio non è più da cercare, ma da accogliere. Con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio, e con Lui e come Lui va verso gli altri. E al versetto 14 l’evangelista afferma, e questo progetto “si è fatto carne”, si è realizzato nella debolezza della umanità, “e venne ad abitare in noi”, non significa soltanto venne ad abitare in mezzo a noi, ma in noi. Con Gesù, Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita, per fondersi con Lui, dilatare la sua capacità d’amare e renderlo l’unico vero santuario nel quale s’irradia il suo amore e la sua misericordia. Mentre nell’antico santuario erano le persone che dovevano andare, e non tutti avevano l’accesso, nel nuovo santuario è questo santuario che va verso gli ultimi, che va verso gli esclusi. Il fatto che questo progetto di Dio si manifesta nella carne, nella debolezza della carne, indica che non esiste dono di Dio che non passi attraverso l’umanità: più si è umani, e più si manifesta il divino che è in noi. Allora ritornando all’inizio del prologo, abbiamo fatto un po’ un zig-zag perché è molto lungo, ma per comprenderne il significato, ecco che comprendiamo quello che l’evangelista voleva dire: fin dall’inizio c’era questo progetto, questo progetto di Dio, una parola che s’incarna, si manifesta la condizione divina, e, in questo progetto, scrive l’evangelista, “era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno vinta”. Ecco il grande incoraggiamento che l’evangelista ci dà: bisogna accogliere questo amore di Dio e manifestarlo. Non bisogna combattere le tenebre, non bisogna sprecare energie per combattere, ma la luce si deve espandere. Nella misura che la luce si espande, ecco che le tenebre se ne vanno. Questa  idea che poi girerà in tutto il vangelo, poi verrà formulata da Gesù, pochi istanti prima di essere arrestato, quando Gesù dirà: “Coraggio io ho vinto il mondo”. Coloro che si pongono a fianco della verità della luce, dell’amore, saranno sempre i vincitori sulla tenebra, sull’odio e sulla morte.




il vangelo della domenica commentato da p. Maggi

GESÙ NASCERÀ DA MARIA, SPOSA DI GIUSEPPE, DELLA STIRPE DI DAVIDE

commento al vangelo della quarta domenica di avvento (18 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi:

Mt 1,18-24

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Il vangelo di Matteo si apre con la genealogia di Gesù. Leggiamo in Matteo: “Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo, Abramo generò Isacco…” e via di seguito, c’è tutta una serie di generazioni. Per comprendere questo, bisogna situarsi nella cultura ebraica, nella lingua ebraica del tempo, dove non esisteva la parola genitori. C’era un padre, che è colui che genera, e la madre, colei che si limita a partorire. Nella nascita di un bambino non è che il papà e la mamma contribuivano allo stesso modo: la madre era considerata una sorta di incubatrice, che soltanto riceveva il seme del marito, e poi, a suo tempo, lo espelleva, e quindi è un uomo che genera un maschio. Ebbene abbiamo tutta la genealogia di Gesù, generazione dopo generazione, di uomini che generano altri uomini, finché arriviamo al versetto 16: “Giacobbe…”, Giacobbe è il nonno di Gesù padre di Giuseppe “Giacobbe generò Giuseppe…” e qui ci si aspetterebbe, per la quarantesima volta, il verbo generare, e Giuseppe generò Gesù. Invece qui si tronca, si tronca questa genealogia: “Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria, dalla quale fu generato Gesù, chiamato il Cristo”. C’è qualcosa di nuovo, c’è una novità incredibile: a Maria viene attribuito lo stesso verbo “generare” che si attribuiva alla generazione degli uomini. Cosa vuol dire l’evangelista ? Che con Maria, quella tradizione nata alle origini del tempo, e che ha portato avanti tutta la storia d’Israele, si chiude con Giuseppe. Il padre quando generava un figlio, non gli trasmetteva soltanto la vita fisica, biologica, ma tutta la tradizione e la spiritualità del suo popolo, ebbene tutto questo prezioso capitale di storia si ferma a Giuseppe. Con Gesù, con Gesù c’è una nuova creazione. Allora vediamo il brano che la liturgia ci presenta in questa domenica, è Matteo, il capitolo primo, dal versetto 18 al 24: “Così fu generato Gesù Cristo…”: letteralmente questa di Gesù Cristo è la genesi, l’evangelista si  richiama con la parola, con il termine, al primo libro della Bibbia, vuole indicare che in Gesù c’è una nuova creazione, qualcosa di inedito, qualcosa di mai avvenuto. “Così fu generato Gesù Cristo…”, questa è la genesi di Gesù Cristo, “…sua madre Maria…” essendo non promessa sposa, sposata: anche qui bisogna comprendere com’era l’istituzione matrimoniale al tempo di Gesù: il matrimonio avveniva in due tappe: la prima parte che si chiamava sposalizio, e la seconda, un anno dopo, che erano le nozze, quindi il matrimonio divise in due parti. Qui Maria e Giuseppe si trovano nella prima fase, è già sposata, sono già marito e moglie, ma ancora non vivono insieme. “Sua madre Maria essendo…” quindi non “…promessa sposa…”, ma sposata di Giuseppe ”…prima che andassero a vivere insieme…”, quindi prima che passassero nella seconda fase, quella della coabitazione nella casa paterna, “…si trovò incinta per opera dello Spirito Santo”: che cosa ci vuole indicare l’evangelista con questa affermazione ? Anzitutto andiamo ai termini: in ebraico il termine spirito, ruah,  è femminile, in greco pneuma è neutro. Quindi l’evangelista evita assolutamente qualunque riferimento a quelle storie, che nel mondo pagano erano frequenti, di dèi che si accoppiavano con delle fanciulle. Qui non si tratta di un accoppiamento di un maschio con una femmina, per questo l’evangelista adopera un termine neutro, ma lo Spirito Santo cos’è ? È la forza creatrice di Dio. Quello che è nato in Gesù, è la stessa forza che ha dato inizio alla creazione. Nel libro della Genesi, alla quale Matteo si richiama, “In principio Dio creò il cielo e la terra e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque”, ora lo Spirito di Dio ho fatto di nuovo irruzione in questa creatura. “Giuseppe, suo sposo poiché era un uomo giusto…”, giusto non ha il nostro significato morale, giusto significa fedele osservante di tutte le regole e le prescrizioni della legge, “…e non voleva accusarla pubblicamente…”, già nella prima fase del matrimonio, lo sposo e la sposa erano marito e moglie, e l’uomo si premuniva al riguardo, stabilendo che, in caso di adulterio, la donna andava lapidata. Ebbene Giuseppe è in dilemma, e questo dramma nei libri apocrifi, nel protovangelo di Giacomo, viene espresso molto efficacemente. C’è Giuseppe che afferma: ”se nasconderò il suo errore mi troverò a combattere con la legge del Signore”, quindi Giuseppe è di fronte ad un dramma: lui è un fedele osservante della legge, la legge gli comanda di denunciare e far ammazzare la donna adultera infedele, ma lui non se la sente. “…pensò di ripudiarla in segreto…”: il ripudio era molto semplice a quel tempo, era un foglio di carta dove il marito scriveva semplicemente: “tu da oggi non sei più mia moglie”, lo consegnava alla donna e questa andava via. I motivi per il ripudio erano molteplici, e quindi non c’era nessun problema ed è questo quello che Giuseppe sta pensando di farle. “Mentre però stava considerando queste cose, gli apparve in sogno un angelo del Signore…”: è  la prima volta nel vangelo di Matteo dove appare questa espressione “angelo del Signore”. Dio, nella cultura ebraica, era lontano dagli uomini, e, quando doveva intervenire nella vita degli uomini, non si presentava mai con la sua la divinità, personalmente, ma attraverso quella formula che è “l’angelo del Signore”. “L’angelo del Signore” non significa un angelo inviato da Dio, ma è Dio stesso quando entra in contatto, in comunicazione con gli uomini. E perché in sogno ? Il sogno nel libro dei Numeri si legge “se ci sarà un vostro profeta, io Jahvè , il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui”, Dio appunto è lontano dagli uomini, non si manifesta agli uomini direttamente, ma solo attraverso il sogno. Questo “angelo del Signore” è la prima volta che appare, e compare tre volte in questo vangelo, e sempre per la vita. Qui è la prima volta, Dio che comunica la vita, poi apparirà per difendere questa vita dalle trame omicide di Erode, e poi, al momento della resurrezione, per confermare che la vita, quando proviene da Dio, è indistruttibile. “…e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo;…”: ecco c’è l’assicurazione di Dio che Maria non è una donna adultera, non ha tradito Giuseppe, ma in lei si è creato qualcosa di nuovo, è una nuova creazione che in Maria prende forma. “…ella darà alla luce…” letteralmente partorirà, “…un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati».”. Qui l’evangelista mette un nesso tra il nome di Gesù e salvare il popolo dai peccati. Questo, nella nostra lingua italiana, non si può comprendere, ma nell’ebraico sì: Gesù in ebraico è Jeshuà, ed il verbo salvare, al futuro, salverà, si dice joshuà; quindi in ebraico c’è un gioco di parola: lo chiamerai Jeshuà – Gesù, egli infatti joshuà, salverà il suo popolo. In italiano dovremo rendere con l’espressione: egli si chiamerà salvatore, perché salverà il suo popolo nei suoi in peccati. Matteo è l’unico evangelista che, nella cena del Signore, aggiunge le parole che il sangue di Gesù è dato per cancellare, in condono dei peccati, i peccati non sono le colpe, le mancanze degli uomini, il peccato è un passato negativo, è un passato non conforme al desiderio di Dio. “Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore, per mezzo del profeta…”, e si riferisce al capitolo settimo d’Isaia, al versetto 14, dove il profeta si rivolge al re Acaz, annunciando la nascita di un figlio, il futuro re Ezechia. “«Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele»…” e qui è il punto dove l’evangelista ci voleva portare, è il filo conduttore di tutta la sua teologia, di tutto il suo vangelo, la grande novità che porterà Gesù, il Dio che si fa uomo, che significa Dio con noi. Perché filo conduttore ? Perché appare qui all’inizio, tornerà circa a metà del vangelo, e poi alla fine di questo vangelo con le parole di Gesù: “io sono con voi per sempre”. Questa è la novità che Gesù ci porta: un Dio non lontano, ma un Dio con noi. Allora, se Dio è con noi, non è più un Dio da cercare, ma da accogliere, e con Lui e, come Lui, andare verso gli uomini. Mentre prima l’umanità viveva per Dio, era orientata verso Dio, il traguardo era Dio, ora l’umanità con Gesù vive di Dio, e, con Lui e come Lui, porta questa onda d’amore ad ogni creatura. “Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.”, quindi Giuseppe viene presentato come il giusto nel vero senso, colui che, anche andando al di là della tradizione delle prescrizioni della legge, è in sintonia con la parola di Dio e la osserva, anche quando questa va contro le proprie consuetudini e regole religiose. Ma grazie a questa omissione dell’osservanza della legge, lo Spirito Santo si fa breccia e può formarsi una nuova vita, quella di Gesù.




il vangelo della domenica cmmentato da p. Maggi

CONVERTITEVI: IL REGNO DEI CIELI È VICINO! 

commento al vangelo della seconda domenica di avvento (4 dicembre 2016) di p. Alberto Maggi Maggi

Mt 3,1-12

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!». E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: “Abbiamo Abramo per padre!”. Perché io vi dico che da queste pietre Dio può suscitare figli ad Abramo. Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Il capitolo 3 del vangelo di Matteo si apre con la formula, che appare soltanto qui, unica volta in tutto il vangelo: “In quei giorni”. Con questa formula, l’evangelista intende richiamare il capitolo 2 del libro dell’Esodo, dove si legge: ”In quei giorni Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi”. Quindi è quando Mosè comincia a prendere coscienza della situazione del suo popolo, che poi lo porterà a liberarlo. Allora con il richiamo, ripeto unica volta in cui nel vangelo di Matteo c’è questa formula, “in quei giorni”, l’evangelista apre l’azione di Giovanni, che poi verrà portata avanti e completata da quella di Gesù, in chiave di esodo, in chiave di liberazione e vedremo da cosa. “In quei giorni venne Giovanni”, il nome Giovanni significa “il Signore è misericordia”, “il Battista”, è già conosciuto per la sua attività di battezzatore, di cui poi vedremo il significato, “… e predicava nel deserto della Giudea”, il deserto della Giudea è quella zona che da Gerusalemme arriva fino al mar Morto, non è un deserto di sabbia, è un deserto di roccia, montagnoso, “dicendo:”, ed  è all’ imperativo, l’annunzio che fa Giovanni Battista: “Convertitevi”. Questo verbo significa un cambio di mentalità che poi si riflette nel comportamento. Giovanni si rifà a quello che era stato già l’annuncio del profeta Isaia: ”Cessate di fare il male e fate il bene, e i vostri peccati saranno perdonati”. Quindi Giovanni Battista invita ad un cambiamento di mentalità, ad orientare la propria vita per il bene degli altri. ”…perché il regno dei Cieli è vicino”. Per la prima volta appare nel vangelo di Matteo questa formula, che è usata esclusivamente da questo evangelista. “Regno dei cieli” da non confondere con un “regno nei cieli”, che significa regno di Dio. L’evangelista Matteo, che scrive per una comunità di Giudei, è attento alla loro sensibilità, e, tutte le volte che può, evita di usare la parola Dio, che, come sappiamo, gli Ebrei non scrivono e non pronunziano. Allora “regno dei Cieli” non significa un regno nell’aldilà, ma il regno di Dio, Dio che governa i suoi. “Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse”, e qui l’ evangelista cita il profeta Isaia, ma modificandolo, perché nel capitolo 40 del profeta Isaia, al versetto 3 si legge: ”una voce grida: nel deserto preparate la via del Signore”, ed era l’ annuncio della fine della deportazione da Babilonia, con l’editto di Ciro, e l’inizio della liberazione, e quindi “nel deserto preparate la via del Signore”. L’evangelista modifica il brano di Isaia: “voce di uno che grida nel deserto: ”, quindi dal deserto, dalla rottura con la società, arriva questo annunzio: “… preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Poi l’ evangelista passa a descrivere la figura di Giovanni, dando dei chiari riferimenti: “portava un vestito di peli di cammello”, era l’ abito tipico dei profeti, ma con un particolare: ”ed una cintura di pelle attorno ai fianchi”. Gli evangelisti sono sempre parchi di esempi, di annotazioni, quando le mettono è perché hanno un significato chiaramente teologico. La cintura di pelle attorno ai fianchi era il distintivo di quello che è stato considerato il più grande dei profeti, il profeta Elia, che, si credeva, doveva venire per preparare la strada del Messia. Quindi l’evangelista sta identificando nella figura di Giovanni il profeta Elia. “… e il suo cibo erano cavallette e miele selvatico”, quello che presentava il deserto, l’ alimentazione tipica dei beduini. É clamoroso quello che l’ evangelista scrive: ”Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui“. Giovanni ha predicato un cambiamento di vita, e tutta l’attesa del popolo che è riflettuta da questo “Gerusalemme”, “Giordano”, accorre a lui. Hanno capito che gli strumenti che l’ istituzione religiosa offriva loro, non erano adeguati, ed accorrono a lui . “… e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano”: battezzare era un rito conosciuto, era un’immersione, con la quale si significava la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. “… nel fiume Giordano”: è importante l’indicazione che fa l’evangelista, e la ripete. Il Giordano era stata la tappa finale dell’esodo per entrare nella terra promessa, adesso è la tappa iniziale per uscire dalla terra promessa, perché la terra della libertà, in mano ai sommi sacerdoti, gli scribi, i farisei, a tutta la casta sacerdotale, all’istituzione religiosa, si era trasformata in una terra di oppressione, dalla quale occorre uscire, e quindi Giovanni annunzia l’esodo che poi porterà a compimento Gesù. “… confessando i loro peccati”: il verbo confessare non deve far pensare a quello che noi intendiamo per confessione. Era un gesto, quello di immergersi nell’acqua, con il quale ci si riconosceva di essere peccatori. All’arrivo della casta sacerdotale al potere, dell’elite religiosa rappresentata da farisei e sadducei, Giovanni Battista non li accoglie bene, li accoglie con parole di fuoco, perché sa che questi vengono a fare un rito. Ma Giovanni dice: no, dovete fare “frutto degno della conversione”, cioè è un cambiamento di vita che si deve vedere nel comportamento, ma poi vedremo avanti nel vangelo che questi mai crederanno all’azione di Giovanni Battista. Per concludere il brano, che è molto ricco, Giovanni dice: “Io vi battezzo nell’acqua per la conversione”, quindi il gesto offerto da Giovanni è un cambiamento di vita, che si fa attraverso questa immersione, ma la forza poi per portare avanti questo cambiamento di vita, lui non la può dare. Dice ci sarà qualcuno che sarà “più forte di me … egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. Il battesimo nell’acqua significa essere immersi in un liquido che è esterno all’uomo. Il battesimo nello Spirito, lo Spirito è la vita di Dio, è l’ amore di Dio, significa essere inzuppati, impregnati della stessa vita di Dio. Sarà questo che darà la forza poi di portare avanti questa conversione, questo cambiamento. Solo che Giovanni Battista dice: ”… e fuoco”: lo Spirito Santo per quanti accolgono questo invito alla conversione, e fuoco, secondo la mentalità tradizionale, era il castigo di Dio per quelli che lo rifiutavano. Infatti conclude Giovanni: “Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile”. Quindi Giovanni Battista, erede della tradizione dell’Antico Testamento, presenta un giudizio di Dio, e questo giudizio di Dio poi verrà corretto da Gesù. Quando negli Atti Gesù si riferirà a questo battesimo, dirà: ”Voi sarete battezzati in Spirito Santo”. Da parte di Gesù, che è la presenza di Dio nell’umanità c’è soltanto un annuncio, un’ offerta di pienezza di vita, in lui è assente qualunque forma di castigo.