il commento al vangelo della domenica

quando è il Signore che ci interroga

il commento di E. Ronchi al vangelo della dodicesima domenice del tempo ordinario (19 giugno 2016)

 

Ronchi1

Luca 9, 18- 24

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto ». Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno». Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

«Ma voi, chi dite che io sia? ». Non interrogare più, ma lasciarsi interrogare. Non mettere più in questione il Signore, ma lasciarsi mettere in questione da lui. Amare domande che fanno vivere la fede. Gesù usa la pedagogia delle domande per far crescere i suoi amici: sono come scintille che accendono, mettono in moto trasformazioni e crescite.

Gesù era un Maestro dell’esistenza, e voleva i suoi pensatori e poeti della vita. Per questo, Maestro del cuore, lui non indottrina, non impartisce lezioni, non suggerisce risposte, ma conduce con delicatezza a cercare dentro di te: «Nella vita, più che le risposte, contano le domande, perché le risposte ci appagano e ci fanno stare fermi, le domande invece ci obbligano a guardare avanti e ci fanno camminare » (Pier Luigi Ricci).

vangelo

All’inizio Gesù interroga i suoi, quasi per un sondaggio d’opinione: « Le folle, chi dicono che io sia? ». E l’opinione della gente

è bella e incompleta: « Dicono che sei un profeta », una creatura di fuoco e di luce, come Elia o il Battista; bocca di Dio e bocca dei poveri. Allora Gesù cambia domanda, la fa esplicita, diretta: « Ma voi, chi dite che io sia? ». Ma voi… Prima di tutto c’è un ma, una avversativa, quasi in opposizione a ciò che dice la gente. Non accontentatevi di una fede per sentito dire.

Ma voi, voi con le barche abbandonate sulla riva del lago, voi che siete con me da tre anni, voi miei amici, che ho scelto a uno a uno: chi sono io per voi? E lo chiede lì, dentro il grembo caldo dell’amicizia, sotto la cupola d’oro della preghiera.

È il cuore pulsante della fede:

chi sono io per te? Non cerca parole, Gesù, cerca persone; non definizioni ma coinvolgimenti: che cosa ti è successo, quando mi hai incontrato? La sua assomiglia alle domande che si fanno gli innamorati: quanto posto ho nella tua vita, quanto conto, chi sono per te? E l’altro risponde: tu sei la mia vita, sei la mia donna, il mio uomo, il mio amore.

Gesù non ha bisogno dell’opinione dei suoi apostoli per sapere se è più bravo dei profeti di ieri, ma per accertarsi che Pietro e gli altri siano degli innamorati che hanno aperto il cuore. Gesù è vivo solo se è vivo dentro di noi. Il nostro cuore può essere la culla o la tomba di Dio.

Cristo non è ciò che dico di lui, ma ciò che vivo di lui. Non domanda le mie parole, ma cerca ciò che di lui arde in me. « La verità è ciò che arde » (Christian Bobin). Mani e parole che ardono, come quelle di Pietro che risponde con la sua irruenza e decisione: « Tu sei il Cristo di Dio », il messia di Dio, il suo braccio, il suo progetto, la sua bocca, il suo cuore. Tu porti Dio fra noi: quando ti fermi e tocchi una creatura nelle tue mani è Dio che accarezza il mondo.

( Letture: Zaccaria 12,1011; 13,1; Salmo 62; Galati 3,2629; Luca 9, 18- 24).




il commento al vangelo della domenica

“Perché ha molto amato”

12 giugno 2016
XI domenica del tempo Ordinario anno C

di ENZO BIANCHI

Gesù e i fariseiBianchi

Lc  7,36-8,3

 

In quel tempo uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».
Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.


Nel vangelo secondo Luca è narrato un episodio riguardante Gesù e una donna anonima, avvenuto durante un banchetto. Questo racconto sembra fissato letterariamente, con significative differenze, in tutti e quattro i vangeli (cf. Mc 14,3-9; Mt 26,6-13; Gv 12,1-11), plasmato e collocato da ciascun evangelista nello sviluppo della narrazione in modo conforme alla propria visione teologica. Si potrebbe anche dire che questo episodio “ha vissuto” nelle diverse comunità cristiane, ricevendo una stesura finale diversa in ogni vangelo. Ma questa è un’ipotesi fatta dagli esegeti!

Preferisco dunque leggere questo racconto di Luca, indipendentemente dai possibili paralleli, per cogliere l’atteggiamento di Gesù verso una donna che l’evangelista definisce “peccatrice”, cioè una donna manifestamente peccatrice a causa del suo mestiere di prostituta e della conoscenza che avevano di lei i suoi concittadini. È un racconto scabroso, che ha scandalizzato e scandalizza ancora quanti pensano a se stessi come a persone che devono stare lontane da viziosi, prostitute, peccatori riconosciuti… Gesù però ha mostrato di non fermarsi mai davanti a barriere costruite da altri come difese immunitarie, erette a causa della condizione morale, sessuale, religiosa o etnica. A costo di essere male interpretato e letto come “un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori” (Mt  11,19; Lc  7,34), non temeva di sedere con loro a tavola o di alloggiare nelle loro case, perché sentiva la sua missione come accoglienza dei peccatori, annuncio della buona notizia a quanti erano lontani da Dio e dalla sua Legge. Così quelli che sembravano esclusi dalla comunione con Dio, grazie a Gesù diventavano quelli che ascoltavano la buona notizia!

Gesù è invitato a tavola da Simone, un fariseo, un uomo religioso, osservante della Legge e irreprensibile. Egli accetta l’invito, entra a casa sua e si adagia a tavola insieme a lui. Ed ecco che una donna, notoriamente una prostituta, saputo che Gesù si trova a tavola in casa di quel fariseo, con audacia entra in quel banchetto riservato a uomini portando un vasetto di alabastro pieno di profumo. Entra furtivamente, si ferma “dietro” a Gesù (come i discepoli: cf. Lc 9,23; 14,27), si rannicchia “ai suoi piedi” (in posizione di ascolto, di discepola, come Maria di Betania: cf. Lc 10,39) e fa quello che sovente faceva per mestiere: lavare i piedi dei clienti e profumarli. Fa così anche con Gesù, ma con una significativa novità lo fa gratuitamente, non richiesta, e lava i suoi piedi con le proprie lacrime, baciandoli con tutto l’amore di cui è capace. Ha sentito parlare di Gesù, lo ha ascoltato e lo ama a tal punto da osare con audacia un gesto straordinario.

Ed ecco che, alla vista dei gesti compiuti da questa donna, subito si crea un grande imbarazzo, e gli uomini religiosi là presenti, in primis il fariseo che ha invitato Gesù, restano scandalizzati: Gesù è un rabbi che non le imputa nulla, non l’accusa e si lascia palpare da questa donna, riconoscibile come una prostituta dall’abbigliamento! Quell’intimità sempre disdicevole con una donna appare una grave offesa alla Legge, perché quella donna è impura! Il fariseo è costretto dalla sua etica a pensare: o Gesù non è un profeta e non sa cosa stia avvenendo né chi sia quella donna, oppure è uno che in realtà ama questi gesti, la compagnia delle prostitute, il loro comportamento. La scena è intollerabile, imbarazza, perché ha indubbiamente una qualità erotica: quella prostituta palpa e tasta i piedi di Gesù, li bacia, li bagna con le lacrime e poi li asciuga con i suoi lunghi capelli. È una donna non velata come tutte le altre e fa i gesti nei quali le prostitute sono esperte per sedurre e dare piacere. Infine, tirato fuori un vasetto di profumo, cosparge con l’unguento i piedi Gesù. Questo è davvero troppo!

Gesù invece legge tutto diversamente: c’è una donna rannicchiata ai suoi piedi che tocca il suo corpo, piange fino a lavare i suoi piedi con le lacrime, li asciuga con i suoi capelli, li bacia senza dire una parola e li profuma. Gesù vede una donna che ha sofferto e che soffre, che ama, una donna in cerca di amore, mentre il fariseo vede una peccatrice. Qui sta la differenza tra il rabbi Gesù e gli altri esperti della Legge, gli uomini religiosi: egli non vede prima il peccato, ma la sofferenza, e qui soprattutto vede qualcuno che può essere amato nonostante i suoi peccati e che ama ancora; gli uomini religiosi invece si esercitano prima a spiare, a misurare il peccato, a emettere un giudizio, poi eventualmente vedono la sofferenza come esito del peccato…

Secondo la Legge e il pensiero dominante quella donna impura, toccando il corpo di Gesù, gli comunicherebbe la sua impurità, ma il vangelo sottolinea piuttosto che lei sa trasformare in una manifestazione di amore verso di lui ciò che aveva sempre svolto come prestazione pagata. Spinta dall’amore, agisce senza timore: “nell’amore non c’è timore” (1Gv  4,18)! Ciò che compie sta nel registro amoroso, e Luca descrive le azioni all’imperfetto, cioè come gesti ripetuti, caratterizzati da una lunga durata: “asciugava, baciava, ungeva”… Le mani di questa donna prendono e abbracciano i piedi di Gesù, le sue lacrime li bagnano fino a lavarli, i suoi capelli li asciugano, i suoi baci raccontano con la bocca i suoi sentimenti, le sue mani versano profumo e lo spandono sui suoi piedi. La donna piange perché sente la colpa dei peccati commessi, o forse piange di gioia, perché ha finalmente trovato un uomo che può davvero amare e da cui essere riamata. In un silenzio assoluto lascia che sia il suo corpo a esprimere il suo linguaggio affettivo: audacia, umiltà, amore, e tutto è riassunto nelle sue lacrime, il vero significato nascosto in quei gesti.

Per il fariseo questo palpare è un peccato, un pericolo per Gesù, è l’anticamera di relazioni intime vietate dalla Legge, mentre per Gesù è liturgia di amore, celebrazione dell’amore. Ed è proprio in forza di questa consapevolezza che egli, fino a questo momento silenzioso e oggetto di attenzioni da parte di altri, prende l’iniziativa. Il testo dice letteralmente che Gesù, “rispondendo”, parla. Simone ha solo pensato nel suo cuore, non ha parlato, ma Gesù conosce i pensieri dei cuori (cf. Gv 2,24-25) e così manifesta di essere veramente profeta. Leggendo dunque le intenzioni di chi lo ospita, lo chiama per nome e gli si rivolge con autorevolezza di rabbi: “Simone, ho qualcosa da dirti”. E l’altro replica: “Maestro, di’ pure”. Allora Gesù gli racconta una breve parabola, con lo scopo di far mutare il modo di pensare del fariseo: “Un creditore aveva due debitori. Uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. Simone comprende il senso di questa parabola così semplice, e giudica bene, ma anche con una certa prudenza, fiutando l’aria di un trabocchetto: “Suppongo colui al quale ha condonato di più”.

Qui il racconto potrebbe terminare, e l’insegnamento sarebbe chiaro. Ma Gesù prosegue e, voltandosi verso la donna – con uno sguardo che la reintegra nella sua dignità di donna –, chiede a Simone: “Vedi questa donna?”. Domanda non banale, vero invito a vedere non una peccatrice ma una donna. Poi Gesù si dilunga in un confronto tra questa donna e Simone, opponendo ciò che lei ha fatto e ciò che lui non ha fatto; o meglio, ciò che lei gli ha donato e ciò che lui non gli ha donato. Simone lo ha invitato a pranzo, ma non gli ha donato l’acqua per lavare i suoi piedi, mentre la donna li ha lavati con le lacrime e asciugati con i capelli; Simone non gli ha dato un bacio, mentre la donna non ha cessato di baciare i piedi di Gesù; Simone non lo ha profumato, mentre la donna ha unto di profumo i suoi piedi. In breve, Simone non ha saputo donare nulla a Gesù, la donna invece si è fatta tutta dono per lui: ha agito con il corpo che era, non con il corpo che possedeva, con l’interezza del suo essere il suo corpo animato dall’amore per Gesù. Dunque, grazie a questo donarsi che è grande amore, ecco – afferma Gesù – che “sono stati perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato (Hóti egápesen polý). Qui non si può dimenticare lo splendido e lapidario commento del patriarca Athenagoras: “Hóti egápesen polý. Perché lei ha molto amato. Perché Lui ha molto amato. Tutto il cristianesimo è qui”.

Poi Gesù aggiunge una frase che sembra capovolgere quella appena pronunciata: “Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”. In realtà sono entrambe vere: colui al quale è perdonato di più ama di più e, nello stesso tempo, questa donna è perdonata perché ha molto amato. Il perdono causa l’amore ma anche l’amore causa il perdono! Sappiamo bene quante dispute esegetiche e teologiche siano sorte a partire da questa apparente contraddizione tra le due sentenze di Gesù, ma preferiamo sottolineare che ciò che è al centro dell’incontro tra Gesù e questa donna è l’amore. In ogni caso i gesti di amore della donna sono insieme indizi e cause del perdono.

Questo racconto è una testimonianza di come Gesù sapeva accogliere le donne, il loro linguaggio corporale, il loro amore così teso a discernere il suo corpo e non solo il suo insegnamento. A questa tavola chi ha incontrato Gesù e, viceversa, chi è stato da lui incontrato? Non Simone, che pure l’aveva invitato, e al quale Gesù cerca di svelare il proprio cuore, se stesso. La donna, invece, ha incontrato Gesù, ed egli l’ha incontrata fino a dichiararle: “I tuoi peccati sono stati perdonati … La tua fede ti ha salvata; prosegui il tuo cammino in pace!”. La peccatrice ha ottenuto il perdono dei suoi peccati, come Gesù le ha dichiarato, perciò si sente resa “creatura nuova” (2Cor  5,17; Gal  6,15), con una vita nuova davanti a sé. Certamente ha compreso che quell’amore che l’aveva spinta a cercare Gesù e a incontrarlo era destato proprio da Gesù e dal suo annuncio della misericordia di Dio. Per questo non è necessario che Gesù le chieda il proposito di non peccare più (cf. Gv 8,11), perché, una volta conosciuto l’amore di Gesù, il peccato non ha più la capacità di rendere schiavo il credente. Questa è la fede che ha salvato la donna, l’ha liberata dall’alienazione, l’ha rimessa in piedi e l’ha resa capace di riprendere il cammino nella pace.

Sarà forse questa donna tra quelle che stavano con Gesù, “curate da spiriti maligni e da infermità”, delle quali Luca ci parla subito dopo? Anche una donna prostituta, infatti, può diventare discepola di Gesù, perché “il peccato può diventare amore” – come scriveva Lacordaire –, essendo sempre, per gli amici del Signore, un’occasione di amore. La vera conversione non si ha quando si diventa perfetti, purissimi, ma quando il peccato diventa amore!




il commento di p. A. Maggi al vangelo della domenica

SONO PERDONATI I SUOI MOLTI PECCATI PERCHE’ HA AMATO MOLTO  

commento  di p. A.  Maggi al vangelo della undicesima domenica del tempo ordinario (12 giugno 2016):

Maggi 

Lc 7,36-8,3

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Gesù e i farisei

E’ solo nel vangelo di Luca che troviamo un episodio sconcertante, a tratti scabroso. E’ l’unico incontro ravvicinato di Gesù con una prostituta.
E’ nel capitolo 7 del vangelo di Luca dal versetto 36. Leggiamo.
Uno dei farisei… I farisei lo sappiamo chi sono. L’evangelista in questa narrazione li presenta come persone che per i loro meriti, la loro santità di vita si ritenevano le più vicine a Dio. Fariseo significa separato, colui che attraverso l’osservanza di regole e precetti si separa dal resto degli uomini per avvicinarsi a Dio. Quindi la persona più vicina a Dio che vedremo invece sembrare la più lontana.
Uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Perché il fariseo, notoriamente rivale e ostile a Gesù, lo invita a pranzo? Probabilmente per prendere pubblicamente le distanze, per fare un affronto a questo Gesù. Perché questo? Perché nessuno dei gesti di accoglienza che si rivolgevano specialmente ad un ospite di riguardo il fariseo compie nei confronti di Gesù.
La sorpresa l’evangelista la presenta ora.
Ed ecco… espressione che indica qualcosa di inaspettato, anche perché i pranzi in quella cultura sono di soli maschi. Le donne non si vedono nei pranzi, stanno in cucina e neanche servono a tavola, ma fanno servire i figli maschi. Quindi è un pranzo di soli uomini, ma non solo. Sono farisei, cioè persone ossessionate dall’idea della purezza, dall’idea dell’osservanza delle regole che permettono la vicinanza a Dio.
Ed ecco, una donna… e l’evangelista afferma che è una peccatrice. Quindi una prostituta di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo. E qui l’evangelista presenta una scena sconcertante perché questa donna non soltanto una donna, ma per di più impura in quanto peccatrice, irrompe nella sala del banchetto, ma entra spudoratamente con gli attrezzi del mestiere.
Portò un vaso di profumo; il profumo con il quale ungeva i suoi clienti.
Non solo. Stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime. La donna, come vedremo in tutta la narrazione, esprime la sua incontenibile riconoscenza per un perdono che sente già di aver avuto da quel Gesù che nella sua predicazione ha parlato di un Padre che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
E i colpi di scena non sono finiti. Scrive l’evangelista, Poi li asciugava con i suoi capelli. Inaudito! La donna, dal momento della pubertà e per tutta la vita non mostra mai il capo pubblicamente, i capelli, ma solo in casa al marito e ai figli, ma non fuori. Era addirittura occasione di divorzio se una donna osava farsi vedere con le chiome. I capelli sciolti erano un’arma dal grande contenuto erotico. Ne sa qualcosa Oloferne, un nemico del popolo di Israele, che quando accolse Giuditta, questa eroina del popolo ebraico, come lo sedusse? Sciogliendosi i capelli. E il povero Oloferne perse la testa in tutti i sensi.
Quindi è una scena dall’alto contenuto erotico. Ma non è finita, continua l’evangelista, Li baciava. Con quella bocca questa donna, questa prostituta bacia i piedi di Gesù, e li cospargeva di profumo.  E’ troppo, alché il fariseo, la persona pia, la persona che osserva tutti i precetti, sbotta.
Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé… e traduco l’espressione letteralmente, perché è piena di disprezzo: “Questo, se fosse un profeta…”. Evita di nominare il nome di Gesù, lo tratta con disprezzo. “Questo se fosse un profeta”, non sembra certo un profeta. Del resto poco prima l’evangelista al versetto 34 di questo capitolo aveva detto che di Gesù si diceva che fosse un mangione e un ubriacone, amico dei pubblicani e dei peccatori. Ecco la prova, quindi altro che profeta!
“Saprebbe chi.. “ e notiamo il disprezzo, “chi è e di quale genere è la donna che lo tocca”. Qui l’evangelista adopera il verbo “tastare, palpare”, indicato per i rapporti sessuali. Quindi il fariseo o la persona pia vede come una tentazione al peccato l’azione della donna. E infatti dice: “E’ una peccatrice!”
Ed ecco che Gesù reagisce. Gesù lo chiama col nome. Il fariseo non si è rivolto a Gesù col nome, ma lui lo fa e gli propone un piccolo racconto, una piccola parabola. E il fariseo, che ha espresso questo disprezzo nei confronti di Gesù gli si rivolge con ipocrisia: «Di’ pure, maestro». Gesù narra questa parabola breve di un creditore che aveva due debitori.  «Uno gli doveva cinquecento denari” Il denaro era la paga giornaliera di un operario, quindi quasi due anni di lavoro, “un altro cinquanta”, quasi due mesi.  “Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. La risposta è così chiara. Uno gli deve quasi due anni di lavoro, un altro appena due mesi, la risposta è chiarissima.
E invece il fariseo risponde di malavoglia usando il verbo “suppongo”. Come fai a supporre? E’ chiaro che l’amerà di più colui al quale è stato condonato di più. “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E ora Gesù passa a rimproverare il fariseo che lo ha invitato a pranzo ma non lo ha accolto. E non gli ha fatto nessuno dei gesti di accoglienza che si facevano a un ospite. Lui, la persona più vicina a Dio, ha mancato di riguardo nei confronti di Gesù. La donna, ritenuta in quanto donna e peccatrice la più lontana da Dio, invece lo ha espresso. Allora Gesù qui presenta tre gesti di ospitalità: l’offerta dell’acqua, gesto di accoglienza, il bacio che è un segno di benvenuto, e il profumare il capo della persona che era un segno di onore.
Nessuno di questi gesti ha compiuto il fariseo nei confronti di Gesù, a differenza della donna che li ha fatti abbondantemente. E allora ecco Gesù che afferma: “Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”.
Cosa vuol dire Gesù? Sia Simone che la donna sono già stati perdonati, ma solo la donna è cosciente di questo amore e lo esprime in maniera incontenibile. Poi Gesù si rivolge alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati”. Gesù non perdona in questo istante la donna, ma conferma che il suo passato di peccato è perdonato. Naturalmente nasce uno scandalo tra i commensali che di nuovo senza nominarlo, ma in maniera dispregiativa, si chiedono «Chi è costui che perdona anche i peccati?».
Perché è solo Dio che perdona. Ed ecco la sensazionale affermazione di Gesù: quello che agli occhi della religione è stato un sacrilegio, una donna impura ha toccato un uomo – da queste donne bisognava tenere una distanza di almeno due metri – agli occhi di Gesù è un’espressione di fede. Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
Quindi quello che agli occhi della religione era un sacrilegio agli occhi di Gesù è stato un gesto di fede. Non una punizione, né un rimprovero, ma un benedizione. Scandalizza il fatto che Gesù non chieda alla donna – come farà poi con l’adultera – “va e non peccare più”.
Ma che fine ha fatto questa donna? L’evangelista forse ci dà un’indicazione continuando, parlando di Gesù che va per i villaggi e per le città, e con lui, cosa inaudita per l’epoca, c’è anche un gruppetto di donne. Nulla esclude che questa donna, questa peccatrice, si sia aggiunta al gruppo dei discepoli e delle discepole di Gesù.




il commento di E. Ronchi al vangelo della domenica

la peccatrice ai piedi di Gesù e il nostro «perbenismo»

Avvenire http://avvenire.ita.app.newsmemory.com/publink.php?shareid=3093c8772

il commento di Ermes Ronchi al vangelo della undicesima domenica del tempo ordinario (12 giugno 2016)

Lc 7,36-8,3

Ronchi1

In quel tempo, uno dei farisei invitò Gesù a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!».

Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!». Gesù allora gli disse: «Simone, ho da dirti qualcosa». Ed egli rispose: «Di’ pure, maestro». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?». Simone rispose: «Suppongo sia colui al quale ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene».
E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo. Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco». Poi disse a lei: «I tuoi peccati sono perdonati». Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?». Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!».
In seguito egli se ne andava per città e villaggi, predicando e annunciando la buona notizia del regno di Dio. C’erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria, chiamata Maddalena, dalla quale erano usciti sette demòni; Giovanna, moglie di Cuza, amministratore di Erode; Susanna e molte altre, che li servivano con i loro beni.

Entro in questo racconto grondante di lacrime e di profumo, grondante di vita, e provo a mettermi dalla parte della peccatrice, a guardare con i suoi occhi. Lo faccio perché così fa Gesù. Il suo sguardo si fa largo nel groviglio delle contraddizioni morali della donna per fissarsi sul germe intatto, sul germe divino che è nel cuore anche dell’ultima prostituta. E risvegliarlo. Che spinta potente deve aver sentito quella donna per decidere di sfidare tutte le buone consuetudini, di calpestare i rituali consolidati, solo per dare ascolto al suo cuore inquieto. E che convinzione altrettanto forte deve aver avuto, per sapere con tutte le sue fibre che quel giovane rabbi, di cui aveva sentito raccontare gesti e parole, non l’avrebbe disprezzata, non l’avrebbe cacciata. Va diritta davanti a lui, non gli chiede permesso, fa una cosa inaudita tanto è sconveniente: mani, bocca, lacrime, capelli, profumo su quei piedi. Lei ha capito il cuore di Gesù meglio di tutti. Simone, tu non mi hai dato un bacio, questa donna invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi. Dal poco al molto amore: Gesù desidera essere amato, va in cerca di persone e ambienti pronti a dargli affetto.

Il racconto rivela tutta l’umanità di Gesù, volto alto di Dio e dell’uomo. Gesù non solo dà affetto, ma sa anche riceverlo. Ama e si lascia amare, e in questo atteggiamento la sua umanità e la sua divinità si riconoscono, si ricongiungono.

Simone era un fariseo molto religioso e molto duro. Perché a volte la religiosità ha tolto sensibilità al nostro cuore? Forse è accaduto quando abbiamo vissuto la fede come osservanza delle regole e non come risposta all’amore di Dio.

Molto le è perdonato perché molto ha amato. Gesù ci invita ancora a convertirci a un Dio diverso da quello che temiamo e non amiamo, a un Dio che mette la persona prima della sua stessa legge. Anzi la sua prima legge, la prima sua gioia è che l’uomo viva.

Gesù ci invita ancora a cambiare il paradigma della nostra fede: dal paradigma del peccato a quello dell’amore. Non è il peccato l’asse portante del nostro rapporto con Dio, ma il ricevere e restituire amore. Noi pensiamo la fede come un insieme complicato di dogmi e di doveri, con molte leggi e poco profumo; Gesù invece va dritto al cuore: ama, hai fatto tutto.

L’amore non fa peccati. L’amore contiene tutto, tutti i doni e tutti i doveri (M. Bellet). La vita non si sbaglia scommettendo in partenza sull’amore.

Quella donna mostra che un solo gesto d’amore, anche se muto e senza eco, è più utile per questo nostro mondo dell’azione più clamorosa, dell’opera più grandiosa. Questa è la vera rivoluzione portata da Gesù, possibile a tutti, possibile a me, ogni giorno.

(Letture: 2 Samuele 12,7-10.13; Salmo 31; Galati 2,16.19-21; Luca 7,36-8,3)

di Ermes Ronchi

Moretto da Brescia

Cena in casa di Simone il fariseo

Ronchi




il commento al vangelo della domenica

RAGAZZO, DICO A TE, ALZATI!  

commento al vangelo della domenica decima del tempo ordinario (5 giugno 2016) di p. Alberto Maggi:

maggi20

Lc 7,11-17

In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain, e con lui camminavano i suoi discepoli e una grande folla.  Quando fu vicino alla porta della città, ecco, veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova; e molta gente della città era con lei. 
Vedendola, il Signore fu preso da grande compassione per lei e le disse: «Non piangere!». Si avvicinò e toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Ragazzo, dico a te, àlzati!». Il morto si mise seduto e cominciò a parlare. Ed egli lo restituì a sua madre.  Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi», e: «Dio ha visitato il suo popolo». 
Questa fama di lui si diffuse per tutta quanta la Giudea e in tutta la regione circostante.  

L’episodio che ora leggiamo e commentiamo lo troviamo soltanto nel vangelo di Luca. E’ assente negli altri vangeli. Eppure è un caso clamoroso, un caso sensazionale. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista. In seguito si recò in una città chiamata Nain.  Nain è una cittadina che si trova 10 chilometri a sud di Nazaret, una cittadina piccolina, che non appare mai nei libri della Bibbia, nell’Antico Testamento. 
Il suo nome probabilmente ha un’etimologia popolare e indica “la graziosa”, ciò che è grazioso. Facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quindi l’evangelista ci presenta questo corteo di Gesù che si avvia verso questa città seguito dai discepoli e una grande folla. Ebbene come contrasto l’evangelista un altro corteo. Quindi Gesù con i suoi discepoli e la folla si avvia verso la città, ma dalla città ecco che esce un altro corteo, un corteo di morte.
L’evangelista presenta la contraddizione tra questi due cortei. Infatti quando fu vicino alla porta della città, (era una città con mura), ecco, veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; E’ una tragedia assoluta, a una madre che è vedova muore il figlio unico significa che non ha più nessun maschio che possa provvedere a lei, nessun uomo che possa provvedere al suo sostentamento, alla sua economia, alla sua stessa vita.   
Quindi non è soltanto la morte del figlio, ma è in pericolo anche la vita della stessa madre. E molta gente della città era con lei. L’evangelista, scrivendo questo episodio, ha senz’altro in mente un famoso episodio che troviamo nel primo libro dei Re, quando il profeta Elìa resuscita il figlio defunto della vedova Sarepta. 
Vedendola, il Signore ne ebbe compassione. E’ per la prima volta che nel vangelo di Luca appare questa espressione “vedere e avere compassione” che è esclusiva di Dio. Mentre nel linguaggio ebraico gli uomini hanno misericordia, è esclusivo di Dio avere compassione perché avere compassione significa comunicare un’energia di vita, restituire vita a chi vita non ce l’ha.
Tre volte appare quest’espressione della compassione nel vangelo di Luca, la prima volta è qui, la seconda nella parabola del Samaritano, quando il Samaritano, vedendo il malcapitato ne ebbe compassione. Quindi Gesù attribuisce a quest’uomo, ritenuto il più lontano da Dio, gli stessi sentimenti e azioni divine. E, infine, l’ultima volta nella parabola del figliol prodigo quando il padre vede il figlio e ne ha compassione, quel figlio che era pianto come morto il padre gli restituisce la vita.
Le disse: «Non piangere!». E, accostatosi… Qui c’è’ un particolare che sorprende… Toccò la bara. Perché Gesù ha toccato la bara? Non era necessario. Per l’azione che lui fa … Leggiamo Mentre i portatori si fermarono. Poi disse: «Giovinetto, dico a te, alzati!». Gesù poteva usare quest’espressione senza bisogno di toccare la bara. Poteva semplicemente dire: “Giovinetto, dico a te àlzati!” Perché Gesù ha toccato la bara? Perché era proibito. 
Se uno tocca il luogo del morto diventa impuro. Quindi secondo il libro dei Numeri, al capitolo 19, versetti 11-16, è proibito toccare una bara.
Allora qual è il significato che ci dà l’evangelista? Che la trasgressione della legge a quel tempo si riteneva causasse la morte degli individui, per Gesù la trasgressione della legge è quello che invece che causa la vita. Ecco perché l’evangelista ci presenta questo Gesù che trasgredisce la legge toccando la bara, e non era necessario.
«Giovinetto, dico a te, àlzati!». Ed è un imperativo quello che Gesù adopera. Il morto si levò a sedere e cominciò a parlare. Il parlare indica una prova certa del ritorno in vita. Ed egli lo diede alla madre.  Qui l’azione che l’evangelista ci presenta non è tanto quella rivolta da Gesù verso il figlioletto, ma quanto rivolta verso la madre. E’ la madre che con la morte di questo figlio aveva perso ogni speranza di vita.
I personaggi sono anonimi e quando nel vangelo i personaggi sono anonimi significa che sono rappresentativi. Attraverso questo episodio l’evangelista non ci illustra un semplice fatto di cronaca, ma una verità molto più profonda. Chi è questa madre che non ha più speranze perché l’unico figlio è morto? E’ il popolo di Israele. Il popolo di Israele che si trova ormai senza speranza. Ebbene Gesù è colui che può risuscitare la vita e la speranza in questo popolo. 
Vediamo la reazione delle persone. Tutti furono presi da timore (c’è in corso un’azione divina) e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi». Perché questa esclamazione? Perché si credeva che non esistessero più profeti. Dio era talmente arrabbiato, talmente offeso, talmente irato con il suo popolo, che non c’erano più i profeti, coloro che ne comunicavano i voleri, la volontà. 
C’è un salmo, il salmo 74 che a versetto 9 recita: Non ci sono più profeti e tra noi nessuno sa fino a quando. Quindi era il lamento del popolo. Ebbene vedono che la comunicazione tra Dio e l’umanità attraverso Gesù è ripresa. Ecco perché riconoscono Gesù non solo come un profeta, ma come un grande profeta. Non solo annunzia la volontà di Dio, ma comunica la stessa vita divina. 
E: «Dio ha visitato il suo popolo». All’inizio del suo vangelo nel cantico di Zaccaria, nel Benedetto, si era scritto che Dio aveva visitato e redento il suo popolo. Allora qui la gente comprende che questa visita di Dio attraverso Gesù al suo popolo è per portarlo alla piena liberazione. E conclude l’evangelista: 
La fama di questi fatti (letteralmente di questo messaggio). E qual è questo messaggio? Che in Gesù si può ritrovare la speranza di vita. In Gesù si può ritrovare la certezza di un futuro. Gesù ha assicurato l’avvenire a questa famiglia e a questa vedova.
La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione. La comunicazione di vita che Gesù ha fatto al figlio di questa vedova, e che va interpretata proprio come la speranza di vita che Gesù ha fatto a tutto il popolo, dilaga in tutto Israele.

 




il commento al vangelo della domenica

TUTTI MANGIARONO A SAZIETA’  

commento al vangelo della domenica del ‘corpus Domini’ (29 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

maggi20

Lc 9,11-17

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

Nella solennità del SS Corpo e Sangue di Cristo la liturgia ci presenta l’evangelista Luca al capitolo 9, versetti 11-17. Gesù con i suoi discepoli si è ritirato a Betsaida, fuori dal territorio Giudeo. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Le folle si sentono attratte da Gesù perché sentono nel suo messaggio la risposta di Dio al bisogno di pienezza che ogni persona si porta dentro.
Egli le accolse e prese a parlare loro del Regno di Dio. Gesù non parla loro del regno di Israele, Gesù non è venuto a restaurare il regno di Israele, ma ad inaugurare il regno di Dio, un regno senza confini perché l’amore di Dio non tollera nessuna barriera.
E a guarire quanti avevano bisogno di cure. Ecco di fronte al male, di fronte alle malattie, Gesù non ha parole di consolazione, ma azioni che curano, che eliminano questo male. Questo è un effetto del regno di Dio. Nel regno di Dio il bene e il benessere dell’uomo sono al primo posto.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono.  L’evangelista sottolinea una differenza. Mentre le folle seguono Gesù – e Gesù aveva invitato i suoi discepoli, i dodici, a seguirlo – i dodici gli sono lontani, tengono quasi un distanza di sicurezza, gli si devono avvicinare, ma gli si avvicinano per un motivo che è negativo … Dicendo … “ E l’evangelista adopera un verbo all’imperativo, quindi comanda quasi a Gesù: “Congeda (cioè manda via) la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”.
I dodici trattano Gesù quasi da sprovveduto come se non sapesse che era in una zona deserta, che non c’era da mangiare, quindi la loro preoccupazione è mandare via la gente. Non si dice che la gente si fosse stancata di ascoltare l’insegnamento di Gesù, sono i discepoli che pensano soltanto a se stessi.
Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Letteralmente l’evangelista scrive: “Date voi stessi da mangiare”. Il significato è duplice. Oltre a quello ovvio “procurate voi stessi da mangiare” c’è il significato “datevi voi da mangiare”. L’evangelista sta qui anticipando quello che sarà il significato dell’eucaristia, dove Gesù, il figlio di Dio, si fa pane, alimento di vita, perché quanti lo accolgono, lo mangiano e lo assimilano, siano poi capaci a loro volta di farsi pane, alimento di vita per gli altri.
Ecco però l’obiezione dei dodici.  Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare …” C’è un contrasto tra l’invito di Gesù “date”, cioè “condividete”, e la mentalità dei discepoli, “comprare”. Ancora non hanno compreso il messaggio di Gesù, della condivisione. “… viveri per tutta questa gente”, letteralmente popolo, ed è un termine dispregiativo. Gli apostoli vedono quasi con fastidio tutta questa folla che segue Gesù.
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Perché questo numero? Perché la primitiva comunità cristiana, secondo gli Atti degli Apostoli, era composta da circa cinquemila persone. Allora l’evangelista vuole dire che questa è l’azione che costituisce la comunità.
Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere”. Mentre gli apostoli hanno usato l’imperativo “Mandali via, congedali”, Gesù risponde con un altro imperativo contrario: “Fateli sedere”, letteralmente sdraiare. Nei pranzi festivi, nei pranzi solenni, si mangiava sdraiati su dei lettucci, ma chi poteva mangiare così? I signori quelli che avevano dei servi che provvedevano a loro. Allora Gesù chiede alla comunità dei discepoli di far sì che i presenti si sentano come dei signori perché loro si mettono al loro servizio.
“A gruppi di cinquanta circa”. In questo brano del vangelo ci sono molti numeri. I numeri della Bibbia hanno sempre un significato figurato, simbolico, mai matematico o aritmetico.  Cinquanta è l’azione dello Spirito. Pentecoste è il cinquantesimo giorno, quindi cinquanta e i suoi multipli indicano l’azione dello Spirito. 
 Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Quindi tutti i partecipanti a questa azione vengono trattati come dei signori. E qui l’evangelista anticipa quelli che saranno i gesti di Gesù nell’ultima cena.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, (in comunione con Dio) recitò su di essi la benedizione, … rendere grazie, far comprendere che non si possiede più questo pane e questi pesci ma che sono un dono di Dio e i doni di Dio vanno condivisi per moltiplicare gli effetti della sua azione creatrice.
Li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. I discepoli non sono i padroni, i proprietari di questo pane, ma sono servi il cui compito è distribuire questo pane alla folla. Non sta a loro decidere chi è degno e chi no di prendere questo pane, di partecipare o no a questa mensa, il loro compito è soltanto quello di distribuire.
Risalta l’omissione di un rito molto importante nel pasto giudaico: la purificazione. Perché Gesù non chiede alla folla di purificarsi per essere degna di mangiare questo pranzo? L’evangelista anticipa quella che è la grande novità di Gesù: mentre la religione insegna che l’uomo deve purificarsi per essere degno di accogliere il Signore, con Gesù è accogliere il Signore quello che lo purifica e lo rende degno di lui.
Conclude l’evangelista: Tutti mangiarono a sazietà. Quando si condivide c’è l’abbondanza per tutti.
 E furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste. E’ l’ultimo dei numeri apparso in questo vangelo. Perché dodici? Dodici è il numero delle tribù che compongono Israele. L’evangelista vuole dire che attraverso la condivisione dei pani si risolve il problema della fame. Fintanto che le persone accaparrano per sé, trattengono per sé, c’è l’ingiustizia e c’è la fame, quando quello che si ha non si considera come esclusivamente proprio ma lo si condivide per moltiplicare l’azione creatrice del Padre, si crea sazietà e abbondanza.




il commento al vangelo della domenica

TUTTO QUELLO CHE IL PADRE POSSIEDE E’ MIO

LO SPIRITO PRENDERA’ DEL MIO E VE LO ANNUNCERA’

commento al vangelo della domenica della ss. Trinità (22 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

maggi20

Gv 16,12-15

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:   «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.  Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.  Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Per la festa della Trinità la liturgia ci propone il vangelo di Giovanni, capitolo 16 dai versetti 12 al 15. Scrive l’evangelista: In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Molte cose…”, letteralmente “molto”, “ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.”
Cosa vuol dire Gesù? Che può comprendere il suo messaggio solo chi come lui è pronto al dono della vita. I discepoli ancora non sono capaci di donare la vita per gli altri. Questo vale anche per tutta la comunità dei credenti, per la crescita dei seguaci di Gesù. Si comprende il suo messaggio soltanto nella misura in cui si innalza il proprio livello d’amore, non verso Dio, ma verso gli altri.
Tanto più è l’amore verso gli altri tanto più è la comunicazione divina verso l’uomo. Ma è importante qui l’evangelista scrive: “ho ancora da dirvi”, cioè Gesù parla, parla realmente. Questo era tanto vero che nelle primitive comunità c’era per esempio Sant’Ignazio che nella lettera agli Efesini scrive “voi non fate caso a nessuno se non a Gesù messia che continua a parlare realmente”. Gesù continua a parlare. Continua a parlare nella liturgia eucaristica, continua a parlare attraverso i suoi profeti, occorrono orecchie e cuori che lo ascoltino.
E continua Gesù: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità…”. Questa verità viene nominata per ben tre volte. “… Vi guiderà a tutta la verità”. Lo Spirito Santo viene chiamato lo spirito della verità e guida a tutta la verità. Il tema della verità è molto caro all’evangelista. Gesù nella risposta a uno dei discepoli, a Tommaso, aveva detto: “Io sono la via, la verità e la vita”. Gesù è la verità, non ha la verità. Ed è importante.
Che cos’è questa verità nel vangelo? Non è una dottrina che si possiede, perché chi ha la verità, chi possiede una dottrina, inevitabilmente si separa da chi non la pensa come lui e si ritiene in diritto di giudicarlo. Questa verità si è e si fa.
E cosa significa essere e fare la verità? La verità non si esprime attraverso formule dottrinali, ma attraverso azioni con le quali si comunica vita gli altri. Essere nella verità significa essere in piena sintonia con il dinamismo d’amore del creatore, che ha cura della vita delle sue creature. “Vi guiderà a tutta la verità perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.”
Cosa significa questo annunzio di cose future? Non è una nuova relazione di Dio da parte dello Spirito, ma l’attualizzazione dell’unico stesso identico messaggio di Gesù in modi e forme nuovi per tutta la comunità.
La comunità cambia, la comunità muta, cresce, sorgono nuove necessità, sorgono nuovi problemi, ebbene l’azione dello Spirito farà comprendere, grazie al messaggio di Gesù, come andare incontro a questi bisogni. Quindi la garanzia dello Spirito presente nella comunità è che di fronte alle nuove esigenze, ai nuovi bisogni della comunità, si troveranno sempre nuove risposte. Non si devono dare le risposte vecchie, bisogna sempre essere capaci, grazie al messaggio di Gesù, l’unico messaggio di Gesù, di dare nuove risposte.
“Egli mi glorificherà”. Glorificare significa rendere ogni volta sempre più evidente l’amore di Gesù per i suoi. “Perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. Quindi non un nuovo messaggio, ma la comprensione dello stesso. “Tutto quello che il Padre possiede è mio”. Quello che Gesù e il Padre possiedono è lo Spirito, la pienezza d’amore.
“Per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”. E il verbo annunziare è ripetuto per tre volte. Il significato di questo brano molto importante è che quello che è Dio e quello che è l’uomo non può essere conosciuto se non attraverso gradi di conoscenza e di esperienza sempre più profondi. C’è una di amore ricevuto e amore comunicato: tanto più grande è l’amore comunicato, tanto più grande è la possibilità di ricevere questo amore da parte del Padre.

 




il commento al vangelo della domenica

 

LO SPIRITO SANTO VI INSEGNERA’ OGNI COSA 

commento al vangelo della domenica di Pentecoste (15 maggio 2016) di p. Alberto Maggi 

maggi20

Gv 14,15-16.23-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre. Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

La festa della Pentecoste segna il passaggio dall’antica alleanza. Infatti del giorno in cui la comunità giudaica celebrava il dono della legge sul monte Sinai a Mosè, proprio in quel giorno irrompe sulla comunità dei credenti in Gesù l’azione dello Spirito. Inizia un rapporto nuovo con Dio. Con Gesù, e con l’azione di questo Spirito, il credente non è più colui che obbedisce a Dio osservando le sue leggi, quelle date da Mosè, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo. Ecco il dono dello Spirito. In questo giorno di Pentecoste la liturgia ci presenta il vangelo di Giovanni, capitolo 14, dal versetto 15 e ci sono altri versetti che poi vengono più o meno come aggiustati per dare un testo unitario. Dopo avere reso i discepoli capaci di amare nell’ultima cena attraverso il lavaggio dei piedi, Gesù chiede il loro amore. Scrive l’evangelista: “Se mi amate”… è la prima volta in cui Gesù chiede amore, ma lo fa soltanto dopo aver reso i suoi discepoli capaci di amare. “… osserverete i miei comandamenti”. Gesù nell’ultima cena ha lasciato un unico comandamento. Ha detto: “Vi lascio un comandamento nuovo”,  nuovo non significa aggiunto agli altri, ma di una qualità migliore che sostituisce tutti gli altri. E qual è il comandamento? Che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi”. Quindi c’è un unico comandamento. Come mai ora Gesù dice: “Osserverete i miei comandamenti”? Quindi sono i suoi comandamenti, non quelli di Mosè. C’è un unico comandamento, che è quello dell’amore, la sua manifestazione esterna in tutte le occasioni in cui si esprime, questi sono i comandamenti. Pertanto non sono dei precetti esterni all’uomo, ma manifestazioni esteriori di una profonda realtà interiore. “E io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito”. Questo è un termine greco che è intraducibile nella nostra lingua. Nella precedente edizione della CEI si era tentato di tradurlo in maniera errata, inesatta, con “consolatore”, che proprio non rende. Infatti si ritorna al termine greco “Vi darà un altro Paràclito”. Che cos’è il paraclito? Il paraclito è una persona che viene chiamata in aiuto. Allora si può tradurre in vari modi, ma ognuno di questi non rende in pienezza il termine greco. Si può tradurre forse con “soccorritore”, è quello che più si avvicina. Sarebbe il patrocinatore in tribunale, cioè l’avvocato difensore, l’intercessore. E comunque paraclito non è un nome, ma una funzione, che è l’azione dello Spirito. Quindi traduciamo in maniera comprensibile con “soccorritore”, colui che viene in soccorso. Ma con una differenza. Mentre paraclito è colui che viene chiamato in soccorso, questa azione del paraclito, dello Spirito nella comunità cristiana avviene affinché “rimanga per sempre”. Cioè la presenza dello Spirito non è dovuta a situazioni di pericolo, ma è costante. Questa la garanzia che ha la comunità di Gesù, che Dio non viene incontro nei momenti di bisogno o di necessità, nei momenti di sofferenza della comunità, ma Dio è sempre presente e anticipa la sua azione. Quindi l’azione del soccorritore non si realizza soltanto quando viene invocato, quando viene chiamato, ma è costante e presente nella comunità. E continua Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’evangelista nel Prologo aveva scritto che il Verbo aveva messo la sua tenda fra noi. Ora Gesù lo realizza. Quando c’è questa comunità d’amore, quando questo amore ricevuto da Dio si comunica in amore ai fratelli, dice Gesù “Il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”. L’uomo diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia e si manifesta l’amore, la compassione, la misericordia del Padre. Il Dio di Gesù non è un Dio che chiede offerte, ma è lui che si offre all’uomo, chiede di essere accolto nella sua vita, per dilatare la sua capacità d’amare, e renderlo l’unico vero santuario. E’ importante questa dichiarazione di Gesù. Dio non si trova più nel tempio, un tempio dove le persone dovevano andare sottoponendosi a determinati riti di purificazione, un tempio dove alcune persone non potevano mettere piede perché si ritenevano escluse, ebbene questa funzione del nuovo tempio che è la persona, la comunità dei credenti in Gesù, avrà proprio come orientamento di andare verso gli esclusi, verso gli emarginati, verso i rifiutati. Quelli che non hanno potuto avere accesso al tempio ora saranno il tempio di Dio che andrà verso di loro. E continua Gesù: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.”

 La parola del Padre è una parola che ha un’energia e una forza creatrice. Quindi è l’accoglienza di questa parola che fa fiorire la vita nella comunità. E conclude Gesù: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi.” Siamo verso la fine, fra poco Gesù sarà arrestato, ma ecco che torna di nuovo questo termine Paraclito. “Ma il Paràclito, lo Spirito Santo”. Per la prima volta Gesù lo chiama “santo”, che non indica soltanto la qualità eccelsa di questo Spirito, ma l’attività, quella di santificare, cioè di separare chi lo accoglie dalla sfera del male per attrarlo e condurlo alla sfera del bene. “Che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto”. Non è un nuovo messaggio, ma una più ampia comprensione del messaggio di Gesù. L’azione e la presenza dello Spirito Santo nella comunità le darà la capacità di offrire sempre nuove risposte di fronte ai nuovi bisogni delle persone.




il commento al vangelo della domenica

ASCENSIONE DEL SIGNORE

 8 maggio 2016

MENTRE LI BENEDICEVA VENIVA PORTATO VERSO IL CIELO

 commento al vangelo della domenica dell’Ascensione (8 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. MaggiLc 24,46-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. Ed ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto». Poi li condusse fuori verso Betània e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e veniva portato su, in cielo. Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio lodando Dio.

Per comprendere la festa liturgica dell’Ascensione bisogna rifarsi alla cultura dell’epoca, alla cosmologia, com’era concepito il rapporto tra il cielo e la terra. Dio era lontano dagli uomini e stava in cielo, e gli uomini naturalmente erano sulla terra. Pertanto tutto ciò che proveniva da Dio scendeva dall’alto, scendeva dal cielo, mentre tutto quel che andava verso Dio saliva verso il cielo. Questo è importante per comprendere questo brano, nel quale l’evangelista, con l’Ascensione di Gesù, non vuole indicarci una separazione di Gesù dagli uomini, ma un’unione ancora più intensa. Con l’Ascensione Gesù non si allontana dal mondo, ma si avvicina; la sua non è un’assenza, ma una presenza ancora più intensa. Ma vediamo il brano che la chiesa ha scelto per questa festa. E’ il brano finale del vangelo di Luca, capitolo 24, versetti 46-53, ma partiamo dal 45 perché è importante. E’ la premessa che l’evangelista ci dà e ci indica per comprendere quello che scrive. Infatti Luca scrive: Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture. Per comprendere le scritture non basta leggerle, bisogna che venga aperta la mente, cioè aprirsi verso il nuovo. Chi si rifà a schemi, modelli e formule del passato e non apre la mente per comprendere il nuovo può leggere le scritture, ma non le può comprendere.  E Gesù disse loro: “Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno”. Gesù conferma che il messia, l’inviato da Dio, avrebbe patito e sarebbe risorto per sempre – il numero tre sappiamo che nella cultura ebraica indica quello che è definitivo. Ed ecco il mandato che Gesù dà ai suoi discepoli e ai credenti di tutti i tempi. “E nel suo nome”, nel nome di questo Gesù salvatore, “saranno predicati a tutti i popoli”, il termine adoperato dall’evangelista indica tutte le nazioni pagane, quindi il messaggio di Gesù non è riservato a un popolo, ma è rivolto a tutta l’umanità perché è la realizzazione del disegno d’amore di Dio per la sua creazione. “Saranno predicati a tutti i popoli la conversione”, cioè un cambiamento di mente che comporta un cambio nel comportamento. La conversione nel vangelo ha questo significato: se fino ad ora hai vissuto per te, adesso orienta la tua vita per il bene degli altri. “La conversione per il perdono dei peccati”. Il cambio radicale nel proprio comportamento, dove l’uomo non pensa più a sé, ma pensa agli altri, non pensa ai propri bisogni, ma alle necessità degli altri, questo comporta la cancellazione del peso dei peccati che gravavano sulle sue spalle. E Gesù aggiunge: “Cominciando da Gerusalemme”. Quello che Gesù sta affermando è clamoroso, perché era a Gerusalemme, nel tempio, attraverso sacrifici, offerte e riti, che si concedeva il perdono dei peccati. Con Gesù il ruolo del tempio è concluso, è finito. Il perdono dei peccati non si ha più in un rito, ma nella vita, non attraverso sacrifici o offerte, ma orientando la propria vita per il bene degli altri. E Gesù dice “questo cominciate a farlo proprio da Gerusalemme”, la sede dell’istituzione religiosa dove nel tempio si concedeva il perdono dei peccati in nome di Dio. Ecco la novità, l’apertura che Gesù proclama e che i suoi discepoli devono far conoscere al mondo intero. E poi Gesù annunzia: “Io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso, ma voi restate in città finché non siate rivestiti di potenza dall’alto”. Gesù annunzia la venuta dello Spirito Santo, e questo spirito Luca lo fa coincidere proprio con il giorno in cui la comunità giudaica festeggiava il dono della legge data da Dio a Mosè sul monte Sinai, nel giorno di Pentecoste. Nel mondo in cui la comunità giudaica celebrava e ringraziava per la legge, sulla comunità scende lo spirito, l’amore di Dio. E’ il nuovo orientamento della comunità, la relazione con Dio ora sarà diversa. Il credente, con Gesù, non sarà più colui che obbedisce a Dio osservando la sua legge, ma colui che assomiglia al Padre praticando un amore simile al suo, quindi non più la legge, ma un rapporto d’amore. Poi li condusse … il verbo è lo stesso dell’esodo, quindi deve cominciare questa liberazione da questa istituzione, verso Betania, e alzate le mani, li benediceva, questo particolare è importante perché si rifà al libro dell’Esodo, all’episodio di una guerra, quando Mosè alzava le mani, gli Israeliti vincevano, quindi è un segno di vittoria, quindi non è una sconfitta, ma un segno di vittoria. Si staccò da loro e veniva portato su in cielo. Come abbiamo detto all’inizio l’evangelista adopera il linguaggio culturale della sua epoca, in cui Dio era in alto, per cui tutto ciò che va verso Dio va in alto. L’evangelista vuole dire che in Gesù si manifesta la pienezza della condizione divina. Quell’uomo che le  autorità religiose avevano condannato come bestemmiatore e al quale avevano inflitto la pena riservata ai maledetti da Dio, in realtà era Dio. Chi bestemmiava non era Gesù, ma l’istituzione religiosa che, per il proprio interesse, lo ha assassinato. La conclusione del vangelo di Luca è molto deludente. Infatti scrive: Ed essi si prostrarono davanti a lui; poi tornarono a Gerusalemme con grande gioia e – sorpresa finale -stavano sempre nel tempio lodando Dio. L’evangelista vuole dire che non avevano capito assolutamente niente. Il tempio, il luogo che per Gesù era quello di massimo pericolo, il luogo che Gesù aveva detto essere un covo di ladri e che sarebbe stato distrutto, per i discepoli è il luogo di massima sicurezza. Ci vorrà la discesa dello Spirito Santo, la potenza di Dio, per farli uscire dal tempio e andare verso l’umanità, verso tutti i popoli pagani, come Gesù aveva loro richiesto.




il commento al vangelo della domenica

 

LO SPIRITO SANTO VI RICORDERA’ TUTTO CIO’ CHE IO VI HO DETTO

 commento al vangelo della sesta domenica di pasqua (1 maggio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 14,23-29

In quel tempo, Gesù disse [ ai suoi discepoli ]: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate».

Ci sono tre domande poste da tre discepoli a Gesù, il numero tre lo sappiamo che indica quello che è completo – quindi non sono tanto tre discepoli, quanto tutta la comunità che si esprime attraverso di loro. E queste tre domande sono obiezioni, Tommaso che gli chiede “Signore dove vai?” E Gesù risponderà che lui è la via da seguire, Filippo che gli dice: “Mostraci il Padre e ci basta” e Gesù risponderà: “Chi ha visto me ha visto il Padre”, e Giuda (non l’Iscariota ma l’altro discepolo) che gli chiede: “Signore com’è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” E’ una tentazione che gli fa. Giuda vuole che Gesù si manifesti come il messia atteso. Ed ecco in questo brano di questa domenica la risposta di Gesù, una risposta che contiene uno dei vertici del vangelo di Giovanni e un’affermazione che, se compresa, cambia radicalmente il rapporto con Dio e di conseguenza con gli altri. Ascoltiamo cosa ci dice Giovanni. Gli rispose Gesù: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”, osservare la parola di Gesù significa, come lui, fare della propria vita un dono d’amore a servizio degli altri. Ebbene, la risposta di Dio è: “E il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.” Questa di Gesù non è una 1 promessa per l’aldilà, ma la risposta del Padre a quanti danno adesione a Gesù. All’inizio del suo vangelo nel Prologo l’evangelista aveva scritto che Dio, questo Verbo, aveva posto la sua tenda fra noi, in noi. Ora Gesù sta dicendo qualcosa di straordinario: a chi lo ama, quindi chi, come lui, orienta la propria vita per il bene degli altri, è oggetto dell’amore del Padre e lui e il Padre vengono in questo individuo e prendono dimora presso di lui. Dio chiede ad ogni persona di essere accolto nella sua vita per fondersi con lui, dilatare la sua capacità d’amare e rendere ogni individuo e ogni comunità l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore misericordioso di Dio. Quindi non c’è più un tempio dove risiede il Signore, ma ogni creatura è il tempio dove Dio si manifesta. Questa affermazione di Gesù ha una grandissima importanza. Per la vita Dio non è qualcosa di esterno, Dio non è un’entità lontana, ma Dio è intimo all’uomo e questo Dio che intimo all’uomo, nel profondo dell’uomo, si manifesta ogniqualvolta l’uomo è più umano. Tanto più l’uomo è umano tanto più manifesta il divino che è in lui. Ma questa affermazione di Gesù non riguarda soltanto la vita dell’individuo, ma anche il passaggio attraverso la morte. Si usa dire che quando muore una persona va in cielo, è tornata alla casa del Padre, no, non si va in cielo perché il cielo è in noi, non si va alla casa del Padre perché noi siamo questa casa. Quindi questa è l’affermazione straordinaria di Gesù. E continua: “Chi non mi ama, non osserva le mie parole”, chi non fa della propria vita un servizio d’amore per il bene degli altri non ha nulla a che vedere con Gesù. “E la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.” Le autorità tendevano a dividere Gesù dal Padre, e Gesù qui afferma invece che c’è perfetta unità, c’è perfetta sintonia, perché insieme continuano l’azione creatrice nel comunicare vita, nel restituire vita, nell’arricchire la vita degli altri. E continua Gesù: “Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito…” Cos’è questo Paràclito? Nella precedente traduzione della CEI si era preferito tradurre con “consolatore”, ma poi si è visto che questo termine non rendeva la pienezza del termine greco per cui si è preferito tornare alla traslitterazione di questo termine greco come “colui che viene in soccorso, il protettore”. Quindi questa è l’azione dello Spirito. Non è un’azione che viene nel momento d’emergenza, ma un’azione che la precede. Quindi Gesù invita alla piena serenità la sua comunità e conferma lo Spirito Santo “che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. “ Questa è la garanzia per la comunità cristiana, per la chiesa. Avendo lo Spirito Santo, questo protettore, questo soccorritore al proprio interno, sarà sempre capace di dare nuove risposte ai nuovi bisogni che emergeranno nella società. E’ questo il significato di Gesù con le parole “vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto”, comprendere, prendere piena coscienza del messaggio di Gesù e saperlo riformulare in una forma completamente nuova di fronte alle nuove situazioni che emergono nella comunità. E poi Gesù afferma: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace”. Non é un augurio. Gesù non  dice “La pace sia con voi”, ma è un dono, laddove la pace è tutto ciò che concorre alla pienezza della vita. E poi afferma: “Non come la dà il mondo, io la do a voi.” La pace era il saluto che si faceva nel momento dell’addio. Per Gesù non è un addio, ma una presenza ancora più intensa. Ecco perché dice: “Non come la dà il mondo”. “Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.” Gesù non vuole che nei suoi ci sia il timore, ma l’amore. “Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me”. Gesù qui non sta pensando alle sue sofferenze, ma soltanto al bene dei suoi. Perché dice: “Se mi amaste vi rallegrereste che io vado al Padre”? Perché nella piena dimensione divina con il Padre, l’azione di Gesù sarà ancora più incisiva con i suoi. Andando al Padre Gesù non solo non si separa dai suoi, ma rende più intensa questa presenza. Poco fa abbiamo visto “Io e il Padre mio verremo e prenderemo dimora in lui”, quindi andare al Padre non significa un allontanarsi di Gesù, ma una presenza nell’individuo che emergerà attraverso le azioni della vita della persona. “Ve l’ho detto or a che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate”. E Gesù propone una sfida. Sarà condannato come un maledetto da Dio. Allora Gesù chiede ai discepoli di decidere a chi credere, o al sommo sacerdote o a lui. Se credono in Gesù non crederanno più nel sommo sacerdote. Se credono in Gesù non crederanno più nelle istituzioni religiose che hanno condannato a morte il figlio di Dio