il commento al vangelo della domenica

 

 

VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO, CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI

commento al vangelo della quinta domenica di pasqua (24 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 13,31-35

Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».

Nel capitolo 13 del vangelo di Giovanni, l’evangelista presenta l’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli e Gesù fino all’ultimo prova a offrire il suo amore anche al discepolo che lo tradirà, a Giuda. Gli offre il pane, che rappresenta la sua vita, ma Giuda non mangia questo pane, cioè non assimila Gesù. Lo prende ed esce. L’evangelista dice che “sprofondò nella notte”. Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], quindi ha preso il boccone, non l’ha assimilato, ma è andato per tradire la persona di Gesù, Gesù disse: “Ora …” In tutto il vangelo è stata annunziata questa ora di Gesù e l’evangelista dice che adesso si sta realizzando. “Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato”. Perché Gesù afferma questo dopo che Giuda l’ha tradito per farlo condannare a morte? Perché nell’amore incondizionato che viene offerto anche al nemico lì si manifesta la gloria di Dio, cioè la gloria è la manifestazione visibile di quello che Dio è. E cos’è Dio? Dio è amore che si offre anche al nemico, al traditore. Gesù parla di se stesso come del “Figlio dell’Uomo”, perché usa questa espressione che gli è molto cara? “Figlio dell’Uomo” significa l’uomo con la condizione divina. Quindi Gesù è il figlio di Dio, Dio nella condizione umana, ed è il figlio dell’Uomo, cioè l’uomo con la condizione divina. “E Dio è stato glorificato in lui”. L’evangelista presenta una continua dinamica nella vita di Gesù, che deve essere anche quella del credente, di amore ricevuto e amore comunicato. Poi c’è un versetto che è omesso in molti manoscritti, dove l’evangelista non fa altro che ripetere lo stesso concetto. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Come lo glorificherà 1 subito? Dandogli la capacità di affrontare la morte, dove non sarà una fine, ma un inizio, perché nella morte di Gesù si effonderà lo Spirito sulla sua comunità. Poi Gesù, per la prima volta, l’unica volta, ha un’espressione di tanta, profonda tenerezza verso i suoi discepoli. Li chiama “Figlioli”, letteralmente “figliolini o bambini miei”. “Figlioli, ancora per poco sono con voi. Voi mi cercherete, ma come ho detto ai Giudei – ecco qui Gesù sta equiparando i discepoli ai suoi avversari, le autorità – ora lo dico anche a voi: “Dove vado io voi non potete venire”. Perché non possono andare? Perché i discepoli sono pronti a morire per Gesù, ma non a morire come Gesù, a dare al vita con lui e come lui. Ecco perché Gesù dice che per adesso non possono andare dove lui va. E poi ecco la conclusione di questo capitolo straordinario, il capitolo 13, la novità di Gesù. “Vi do un comandamento nuovo”. Gesù non dice: “Vi do un nuovo comandamento”, cioè ci sono quelli di Mosè e adesso vi do il mio. “Vi do un comandamento nuovo”, il termine greco che indica “nuovo” significa il migliore, che sostituisce tutto il resto. L’evangelista l’aveva detto nel Prologo “La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù”. Il nuovo rapporto che Gesù ha instaurato con il Padre e i discepoli non poteva rientrare nei termini dell’antica alleanza e ha bisogno di una nuova alleanza che si esprime in un unico, nuovo comandamento. Quindi “nuovo” in quanto la qualità di questo comandamento eclissa tutti gli altri. “Che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi”. E’ importante che Gesù non parla con verbi al futuro, non dice “come io vi amerò”. Gesù non sta annunziando la morte, il sacrificio totale che lui farà sulla croce, ma dice “come io vi ho amato”. E com’è che Gesù ha amato? Siamo nel contesto dell’ultima cena secondo Giovanni, quando Gesù si mise a lavare i piedi ai discepoli. L’amore non è reale se non si trasforma in un servizio che purifica la vita degli altri. Questo è l’amore che Gesù ci richiede. “Come io ho amato voi”. “Così amatevi anche voi gli uni gli altri”. Il servizio è l’unico distintivo del credente della comunità di Gesù e infatti Gesù conferma: “Da questo”, cioè dall’amore che si fa servizio, “Tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. Gesù, con questa dichiarazione molto chiara, esclude ogni altro distintivo. Quindi NO a stemmi, abiti, segni o decorazioni che vogliono mostrare la relazione che uno ha con il Signore, ma soltanto un amore che si mette a servizio degli altri. E quando si ricorre a questi surrogati è una lampadina d’allarme che si accende, una spia che si accende, che forse questo amore che si trasforma in servizio non è talmente abituale da essere l’unico distintivo della comunità cristiana. Quindi Gesù lascia un unico comandamento, lui che l’evangelista aveva presentato come la parola di Dio, il verbo si fece carne, e questa parola di Dio si formula e si esprime con un unico comandamento che eclissa tutti gli altri. 

il commento al vangelo della domenica

ALLE  MIE PECORE IO DO LA VITA ETERNA

  commento al vangelo della domenica quarta di pasqua (17 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:p. Maggi

Gv 10,27-30

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Ogni volta che Gesù, il figlio di Dio, e Dio lui stesso, si trova nel tempio di Gerusalemme, il luogo più sacro della terra, il luogo più santo di Gerusalemme, il luogo dove si riteneva fosse presente Dio stesso, bene, ogni volta che Gesù si trova nel tempio è sempre una situazione di conflitto. Nel brano che vedremo è l’ultima volta che Gesù si trova nel tempio, nel santuario di Gerusalemme, e questa volta addirittura tenteranno di lapidarlo.
Vediamo cosa è successo. Dobbiamo inserire questi pochi versetti della liturgia di oggi nel contesto più ampio nel quale l’evangelista li inserisce. E’ una delle feste più importanti di Israele, la festa della dedicazione, cioè la riconsacrazione del tempio, fatta da Giuda il Maccabeo nel 165 a.C.
Per l’occasione si accendeva un grandissimo candelabro ed era chiamata la festa delle luci. Chiaramente c’è un conflitto tra questa festa delle luci e Gesù che si presenta lui come luce del mondo. Già l’ha detto.
Infatti quando Gesù entra nel tempio viene subito accerchiato dalle autorità che gli chiedono letteralmente: “Fino a quando ci togli la vita?” La missione di Gesù di restituire vita al popolo significa toglierla alle autorità che dominano questo popolo. Ebbene, questa volta Gesù rivolte alle autorità religiose, i rappresentanti di Dio, parole molto severe. Gesù dice: “Voi non credete perché non fate parte delle mie pecore”. Gesù si era presentato come il vero pastore inviato da Dio per adunare il popolo, il gregge, eppure Gesù dice che ci sono alcuni che non fanno parte di questo gregge.
Proprio le autorità religiose, i capi spirituali, quelli che ritenevano per diritto di essere i più vicini a Dio, Gesù dice che sono esclusi. Ed ecco i versetti che la liturgia ci presenta. Gesù afferma: “Le mie pecore…”, quindi Gesù sottolinea ancora una volta che le pecore sono sue, lui è il vero pastore, perché il pastore è  colui che dà la vita per le proprie pecore. “Le mie pecore ascoltano la mia voce”. La voce di Gesù, che è la voce di Dio, è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di Dio che ogni persona si porta dentro. Quello che caratterizza la voce di Gesù è che il messaggio d’amore non viene imposto, ma viene offerto, semplicemente proposto.
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco …” è importante in questo brano l’uso del verbo “conoscere”. Indica una conoscenza veramente intima, profonda dei suoi. “Ed esse mi seguono.” Lo seguono perché trovano in Gesù la risposta al proprio ideale di vita, cosa che invece non trovano i capi, perché Gesù aveva detto: “Almeno credete alle opere”. Ma loro non possono credere in queste opere perché le opere di Gesù sono tutte tese a restituire vita al popolo. E loro sono quelli che invece soffocano questa vita.
E Gesù continua: “Io do loro la vita eterna”. E’ un tema caro all’evangelista questo. La vita eterna non è un merito ma è un dono da parte di Dio e si chiama eterna non tanto per la durata, indefinita, ma per la qualità, che è indistruttibile.
“E non andranno perdute in eterno”, cioè mai, “e nessuno le strapperà dalla mia mano. Ecco Gesù dà un avviso molto severo, molto chiaro alle autorità religiose che non tentino di strappare queste pecore dalla sua mano. Lui sarà il pastore che darà la vita per le sue pecore. “Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti”. Questo è un versetto un po’ difficile e complesso. Ci sono ben cinque varianti perché il problema è capire cos’è più grande, il padre o il gregge?
Il senso, il significato, in fondo non cambia. Noi proponiamo la versione in cui quello che è più grande, più importante è il gregge, che il Padre ha dato al figlio. Quindi il Padre che ha dato questo popolo a Gesù, è il dono più grande che poteva fargli. E se prima Gesù aveva parlato della sua mano, che nessuno le può strappare dalla sua  mano, ora arriva a dire “E nessuno può strapparle dalla mano del Padre”. Quindi non si può distinguere tra Gesù e Dio come facevano le autorità religiose. Dio e Gesù sono la stessa cosa.
E il gregge sta nella mano di Gesù che è la mano del Padre. E nessuno tenti di rubare di nuovo questo gregge come avevano fatto le autorità. Ed ecco la frase che gli sarà fatale, la bestemmia, subito dopo la quale scatterà l’azione di linciare Gesù, di lapidarlo.  Gesù afferma:  “Io e il Padre siamo una cosa sola”. La traduzione non è corretta. Il testo dice: “Io e il Padre siamo uno”.
Uno nella simbologia biblica è il numero che indica la divinità. Cioè Gesù sta dicendo che lui è Dio, come il Padre è Dio. “Io e il Padre siamo uno”. Questa è una bestemmia insopportabile. L’evangelista qui realizza quello che aveva scritto all’inizio del suo vangelo nel prologo quando aveva affermato che Dio nessuno l’ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione. Gesù non è un inviato da Dio, Gesù non è un profeta di Dio, Gesù è la manifestazione visibile e terrena di quello che Dio è.
Ed ecco perché Gesù dice: “Io e il Padre siamo uno”. Ebbene dopo di questo succede il finimondo. Scriverà l’evangelista che le autorità, i capi, prenderanno delle pietre per lapidarlo e diranno il motivo: “Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia. Perché tu che sei uomo ti fai Dio”.
 Quello che era il progetto di Dio sull’umanità, che ogni creatura diventasse suo figlio e avesse la sua stessa vita divina, per le autorità religiose che dovevano far conoscere questo progetto al popolo, era in realtà una bestemmia da punire con la morte.

il commento al vangelo della domenica

VIENE GESU’, PRENDE IL PANE E LO DA’ A LORO, COSI’ PURE IL PESCE  

commento al vangelo della domenica terza di pasqua (10 aprile 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 21,1-19

[ In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ] Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».

Quando Gesù risuscitato si era manifestato ai suoi discepoli li aveva inviati. Aveva detto: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi. Andate a testimoniare un amore di Dio per l’umanità, pieno, totale e incondizionato”.
Ma a quanto pare i discepoli non hanno capito o non hanno alcuna voglia di andare a manifestare questo amore e infatti tornano alle loro occupazioni di sempre. Leggiamo il capitolo 21 del vangelo di Giovanni.
Dopo questi fatti Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E’ la terza volta che Gesù risuscitato si manifesta. Il numero non va inteso in maniera aritmetica o matematica, ma significa la completezza, la pienezza delle apparizioni, delle esperienze di Gesù risuscitato.
E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle (l’ultimo dei discepoli chiamati da Gesù) di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. L’evangelista vuole raggiungere il numero sette che indica la totalità dei discepoli.
Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Pietro continua ancora nel suo desiderio di essere il leader. E’ lui che prende le decisioni. Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». E’ una caratteristica nel vangelo che i discepoli nei momenti difficili, nei momenti di crisi, anziché essere con Gesù sono con Simon Pietro. E i risultati sono catastrofici. Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Gesù aveva detto: “Senza di me non potete far nulla” e aveva detto che “Quando viene la notte nessuno può operare”. Ma i discepoli ancora non hanno capito.
Ecco allora l’azione paziente di Gesù che rinnova il suo invito alla missione. Quando già era l’alba, quindi quando già comincia la luce, immagine di Gesù, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: “Figlioli”, termine pieno di dolcezza, di tenerezza, di delicatezza, “non avete nulla da mangiare?”. Letteralmente “il companatico”, quindi qualcosa da mettere sul pane. Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità (letteralmente moltitudine) di pesci.
E’ importante questo termine “moltitudine” perché l’evangelista l’aveva adoperato nel capitolo 5 nell’episodio della guarigione nel tempio di Gerusalemme, nella piscina di Betesda, quando c’era una moltitudine di ciechi, zoppi e paralitici che erano gli esclusi, gli emarginati. Cosa vuol dire l’evangelista? Che la missione del gruppo di Gesù si deve rivolgere agli esclusi, gli emarginati, i rifiutati e gli allontanati. E’ lì che la pesca sarà abbondante.
Allora quel discepolo che Gesù amava – il discepoli anonimo che continua la sua presenza in tutto questo suo vangelo –  disse a Pietro: «È il Signore!». Lui ha l’esperienza del Signore e subito lo riconosce. Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi (letteralmente si cinse la veste, che significa atteggiamento di servizio, come Gesù quando si è messo a lavare i piedi ai discepoli), perché era svestito. Era nudo. E’ strano che il discepolo che era nudo si metta la veste per poi gettarsi in acqua. L’evangelista naturalmente sta dando un significato figurato a tutto questo. Nudo perché non ha il distintivo del servizio di Gesù, perché è il servizio quello che rende discepoli di Gesù.  E si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Questo fatto del pane e del pesce ricorda la condivisione dei pani e dei pesci che è immagine dell’eucaristia.
Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E’ la delicatezza di Gesù che si propone come colui che offre la vita, come colui che propone questa vita.
E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Nell’amore che si fa dono si percepisce la presenza del Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane – gli stessi gesti che gli evangelisti mettono nella cena eucaristica – e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. ] L’eucaristia è l’alimento che ristora e comunica forza. Ed è a questo punto che finalmente l’evangelista risolve il problema di Simon Pietro. Gesù quando aveva incontrato Simone non l’aveva invitato a seguirlo, in questo vangelo. Allora ecco l’ultimo scontro drammatico tra Gesù e questo discepolo.
Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni”. Figlio significa discepoli, di Giovanni Battista. Lui è rimasto con l’idea del Giovanni Battista. “Mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Ma Gesù gli ha chiesto se lo ama. Lui sa che non può rispondere che lo ama, infatti dice che gli vuole bene. Ma Gesù accetta la risposta. Gli disse: «Pasci i miei agnelli» cioè gli elementi più deboli della comunità. E poi torna alla carica. Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Due volte Gesù gli chiede se lo ama e due volte Pietro risponde che gli vuole bene.
Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta, (e il numero tre al povero Simone ricorda il suo tradimento con il canto del gallo): «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Per due volte Gesù gli ha chiesto “mi ami?” e per due volte Simone ha risposto “ti voglio bene”, ora la terza volta Gesù lo incalza e gli dice “mi vuoi bene?” Ecco finalmente il crollo di Simone. Pietro rimase addolorato (finalmente era ora, non lo era al momento del tradimento) che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Lui che pensava di conoscersi meglio di Gesù. Quando Gesù aveva detto “Tutti mi tradirete, tutti mi abbandonerete”, lui aveva detto “No io sono pronto a dare la mia vita per te”. Pensava di conoscersi meglio di Gesù, ora finalmente ammette: “Tu conosci tutto”.
Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». E l’evangelista commenta. Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. Pietro aveva seguito Gesù pensando di seguire un leader vittorioso, il messia trionfante, e Gesù gli fa capire invece che seguire lui significa passare attraverso l’ignominia, attraverso il disprezzo, attraverso la croce. Ora finalmente questo discepolo ha capito e accoglie questo invito di Gesù. E, detto  questo, aggiunse: «Seguimi». Per la prima volta Gesù a Simone alla fine del vangelo lo invita a seguirlo. Quando finalmente ha compreso che seguire Gesù non prevede una strada di onori, di successi, di potere, ma di amore e di servizio e anche di umiliazioni e sofferenze, soltanto a questo punto Gesù dice al discepolo “seguimi”.

il commento al vangelo della domenica

OTTO GIORNI DOPO VENNE GESU’ cristo risorto

commento del vangelo della seconda domenica di pasqua (3 aprile 2016) di P. Alberto Maggi:

maggi

Gv 20, 19-31

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il
Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Non si può credere che Gesù è risuscitato perché c’è un sepolcro vuoto, ma perché lo si incontra vivo, vivente e vivificante nella propria esistenza e nella propria esperienza.
E’ quanto ci scrive l’evangelista Giovanni nel capitolo 20 dal versetto 19. Scrive l’evangelista:  La sera di quel giorno, il primo della settimana, si richiama il primo giorno nel libro del Genesi, il giorno della creazione. Con Gesù risuscitato c’è una creazione nuova che non vedrà la fine e la morte, ma continuerà la sua esistenza.
Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, ricordiamo che l’ordine di cattura era per tutto il gruppo di Gesù, non soltanto per Gesù. Non era pericoloso  soltanto il maestro, era pericolosa la sua dottrina, quindi l’ordine di cattura era stato per tutto il gruppo. E’ stato Gesù che, in una posizione di forza, ha barattato la salvezza dei suoi discepoli. Ha detto: “Se cercate me lasciate che questi se ne vadano”. Ma il timore rimane.
 Venne Gesù, stette in mezzo. E’ una caratteristica importante che gli evangelisti ci danno dell’incontro con Gesù. Gesù si pone al centro. Gesù non si pone né davanti, né in alto. Non c’è una gerarchia di persone che sono più o meno vicine a lui. Ma Gesù si pone in centro così tutti hanno la stessa relazione con lui.
 E disse loro: «Pace a voi!». Questo di Gesù non è un invito, infatti non dice “La pace sia con voi”, cioè un augurio, ma è un dono. Quando Gesù si manifesta al centro della sua comunità dona la pace, cioè tutto quello che concorre alla felicità dell’uomo.
Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. Secondo la cultura ebraica la pace doveva essere sempre accompagnata da qualcosa di concreto. Allora Gesù quando dona questa pace fa vedere anche il motivo perché mostra le mani e i fianchi, i simboli della sua tortura e della sua passione. Vuole dire “Ecco l’amore che mi ha spinto a dare la vita per voi e a morire in croce, questo continua a rimanere”. Quindi “non vi preoccupate di nulla”. E’ questo il dono della pace che Gesù fa.
E i discepoli, che erano chiusi per timore dei Giudei, adesso gioiscono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi!” Di nuovo questo dono della pace, “Come il Padre ha mandato me … il Padre ha mandato il figlio a dimostrare un amore totale, incondizionato per tutti gli uomini …, “anche io mando voi”. Quindi Gesù manda i suoi discepoli a dimostrare lo stesso amore incondizionato del Padre per l’umanità. Detto questo, soffiò. E c’è il richiamo alla creazione, del primo uomo quando Dio soffiò e mise la vita nella sua creatura. E disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”, cioè la stessa forza, la potenza e la capacità d’amare di Dio. “A coloro a cui perdonerete (letteralmente cancellerete) i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Gesù li invita a prolungare nel tempo l’offerta di vita che lui ha fatto. Quello che Gesù sta dicendo in questo momento, le azioni che sta facendo, non sono la concessione di un potere ad alcuni, ma una capacità e una responsabilità per tutto il gruppo dei discepoli: portare un’offerta di vita che, se accolta, cancella immediatamente il passato peccatore.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo … Didimo significa “gemello”. Perché è chiamato gemello? Perché è l’unico che aveva capito al tempo della risurrezione di Lazzaro, dicendo “andiamo a morire con lui” … è colui che ha gli stessi sentimenti di Gesù. Ma non era con loro quando venne Gesù. Perché Didimo non è chiuso a chiave a chiave con loro? Perché lui non ha paura di fare la stessa fine di Gesù. Lui non è pauroso come gli altri discepoli che stanno chiusi.
Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Quella di Tommaso non è una negazione, è il desiderio e l’impossibilità di credere a qualcosa di meraviglioso. L’espressione di Tommaso va intesa un po’ come quando ci viene data una  bellissima, inaspettata notizia. Qual è la nostra reazione? Diciamo: “no, non è vero!” Non è che neghiamo la notizia, è che è talmente bella che ci sembra impossibile. Oppure quando diciamo: “no, non ci posso credere!” Non è che non ci vogliamo credere, ma è una notizia talmente bella … E’ questo l’atteggiamento di Tommaso.
Otto giorni dopo … Di nuovo ritorna il rito dell’eucaristia, dell’incontro con Gesù …  i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo … ecco di nuovo la caratteristica di Gesù dello stare in mezzo e dice per la terza volta in questo brano: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!».
Qui l’evangelista presenta la più grande manifestazione, attestato di fede di tutti i vangeli. Gli altri discepoli attraverso Pietro erano arrivati a credere che Gesù era il figlio di Dio, il figlio del Dio vivente, ma Tommaso è l’unico che, rivolto a Gesù, gli dice: “Mio Signore e mio Dio!”
L’evangelista nel prologo aveva detto che Dio nessuno lo ha mai visto e il figlio ne era la rivelazione, ed ecco che ora Tommaso manifesta la pienezza della fede. Quindi Tommaso, passato stranamente alla storia come il discepolo incredulo, in realtà è quello proclama ed esplode nella più alta manifestazione di fede dei vangeli.
Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». E’ l’ultima beatitudine, ce ne sono due nel vangelo di Giovanni. La prima è la beatitudine del servizio, e ora è la beatitudine della fede. Il servizio, liberamente e volontariamente esercitato per amore verso gli altri, rende possibile nella propria vita l’esperienza del Cristo risorto.
Gesù qui proclama beati quelli che credono senza bisogno di vedere, a quanti vogliono dei segni per vedere, per credere, Gesù propone: “No, credi e tu diventi un segno che gli altri possono vedere”!
E poi conclude l’evangelista: Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. E’ un invito che l’evangelista fa: scrivete il vostro libro, scrivete il vostro vangelo, noi vi trasmettiamo la nostra esperienza, voi fatela vostra e poi scrivete il vostro vangelo. Era quello che succedeva almeno fino al IV secolo nelle primitive comunità cristiane.
Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome. La fede in Gesù dona una vita di una qualità tale da superare la morte. L’evangelista usa per il termine “vita” ciò che indica la vita eterna, una vita che si chiama eterna non tanto perché per la durata indefinita, ma per la qualità indistruttibile. Accogliere Gesù nella propria esistenza significa realizzarla pienamente.

 

 

il commento al vangelo della domenica

PERCHE’ CERCATE TRA  MORTI COLUI CHE E’ VIVO? 

risorto

 

commento al vangelo della domenica di pasqua (27 marzo 2016) di p. Alberto Maggi:

maggi

Lc 24,1-12

Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino, si recarono alla tomba, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro; ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti.
Essendosi le donne impaurite e avendo chinato il volto a terra, essi dissero loro: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno». Ed esse si ricordarono delle sue parole.
E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Màgdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro come un vaneggiamento e non credettero ad esse.
Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende. E tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto.

Il capitolo 24 è il capitolo dove l’evangelista ci descrive la risurrezione di Gesù e il suo impatto con la fede dei discepoli, la loro difficoltà nel comprendere questo. Ma il capitolo 23 terminava con questa annotazione: Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento. Sono le donne che erano andata al sepolcro a vedere dove Gesù era stato seppellito, ma non procedono all’unzione, all’imbalsamazione di Gesù perché è già sabato. E di sabato non si può fare alcun lavoro.
L’evangelista denuncia come la comunità faccia difficoltà ad abbandonare l’antico, ancora osservano il comandamento del riposo del sabato, per aprirsi alla novità portata da Gesù. L’osservanza della legge impedisce di fare l’esperienza del Cristo risorto. Scrive l’evangelista al capitolo 24:  Il primo giorno della settimana. Questo primo giorno richiama il primo giorno della creazione. E’ una creazione nuova, dove l’uomo ha una vita che è capace di superare la morte.
Al mattino presto essi si recarono al sepolcro, portando con sé gli aromi che avevano preparato. Appunto il giorno di sabato non erano riusciti a farlo per l’osservanza del comandamento. Trovarono che la pietra  era stata rimossa dal sepolcro. L’evangelista non specifica le modalità. E, entrati, non trovarono il corpo del Signore Gesù. E’ chiaro che non trovano il corpo del Signore Gesù perché cercano Gesù nell’unico posto dove non può stare. Gesù è il vivente, il vivificante e non può stare nel regno della morte, nel luogo dei morti.
Mentre si domandavano che senso avesse tutto questo, ecco due uomini …. Questi due uomini già li abbiamo visti nell’episodio della trasfigurazione. Erano Mosè e Elia; è una tecnica dell’evangelista Luca di nominarli soltanto la prima volta che appaiono. Quindi indicano Mosè e Elia.
Presentarsi a loro in abito sfolgorante, lo stesso della trasfigurazione. Le donne impaurite tenevano il volto chinato a terra, ma quelli dissero loro … E quello che adesso l’evangelista mette in bocca a questi due personaggi è una grandissima verità di fede che riguarda non solo l’esperienza del Cristo risorto, ma riguarda la vita di tutti i credenti e il loro impatto con la morte. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” Il sepolcro è l’ultimo posto dove potevano trovare Gesù. Se si crede che la morte, non solo non interrompe, ma permette all’individuo di entrare in una condizione nuova, piena e definitiva, il sepolcro, la tomba è l’ultimo posto dove lo si può trovare.
Quando muore una persona cara, anche se doloroso, bisogna scegliere se piangerla come morta o sperimentarla come viva. Se si piange come morta si va al sepolcro, ma lì al sepolcro non c’è, bisogna sperimentarla come viva. Ecco allora il monito di questi due. “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?” Non si può cercare tra i morti colui che continua a vivere.
“Non è qui, è risorto. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea”, e rimanda le donne, le discepole all’insegnamento di Gesù. “Dicendo che bisognava… “, questo termine in lingua greca indica la volontà di Dio, il disegno di Dio, “… che il Figlio dell’uomo”, non si parla del messia, ma del Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha raggiunto la condizione, che non è una caratteristica esclusiva di Gesù, ma una possibilità per tutti coloro che lo seguono. E qui l’evangelista mette un’accusa tremenda nei confronti della casta sacerdotale al potere.
“… Per tutti  sia consegnato in mano ai peccatori”. Quando Gesù in Galilea aveva annunziato la sua morte, aveva detto: “Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti, dagli scribi”, cioè i componenti del sinedrio, il massimo organo giuridico di Israele, “essere messo a morte e risorgere il terzo giorno”.
Quelli che Gesù aveva indicato come i componenti ora in bocca a questi due personaggi sono i peccatori. Le persone che si ritenevano le più vicine a Dio, le più lontane dal mondo del peccato, in realtà queste sono i peccatori, perché hanno ucciso la vita, hanno agito contro la vita.
Ed esse si ricordarono delle sue parole. Ricordare nel senso di comprendere.  E, tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici. Non sono più dodici, il numero non sarà ricostituito. E a tutti gli altri. Erano Maria Maddalena, che l’evangelista ci ha presentato come la donna dalla quale sono usciti i sette demoni, Giovanna, la moglie di Cusa, esattore delle finanze di Erode, e Maria madre di Giacomo. Anche le altre che erano con loro raccontarono queste cose agli apostoli.
Ecco la reazione degli apostoli. Queste parole parvero loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse. Perché? Perché le donne non sono credibili come testimoni. Secondo la tradizione ebraica Dio non aveva mai parlato con nessuna donna. E’ vero, aveva parlato a una donna, Sara, ma siccome questa gli  aveva risposto con una bugia, una innocua bugia, da quel momento Dio non rivolse più la parola a nessuna donna.
E per la bugia di Sara le donne non erano ritenute testimoni credibili. Ebbene l’annuncio della risurrezione viene fatto proprio a persone che non sono credibili. Pietro tuttavia si alzò, corse al sepolcro … ha appena detto che nel luogo dei morti non ci può essere Gesù, ma Pietro ancora non comprende e corre al sepolcro.
E chinatosi vide soltanto i teli. E tornò indietro pieno di stupore per l’accaduto. Il credere che Gesù è risuscitato non viene andando a vedere un sepolcro vuoto, ma incontrando un vivente. E si incontra il vivente, e poi l’evangelista continuerà nel prossimo episodio di Emmaus, quando Gesù spezza il pane. Quando si spezza la propria vita per gli altri lì c’è la possibilità di sperimentare colui che è risorto.

il commento al vangelo della domenica

BENEDETTO COLUI CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE 

commento al Vangelo della domenica delle palme (20 marzo 2016) di P. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 19,28-40

In quel tempo, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».
Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
«Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

Nella domenica delle Palme la chiesa ci presenta nella liturgia l’ingresso di Gesù a Gerusalemme secondo il vangelo di Luca capitolo 19, dai versetti 28 al 40. Per comprendere quello che l’evangelista ci scrive dobbiamo tener presente la profezia nel libro del profeta Zaccaria, capitolo 9 versetto 9.
Leggiamo questa profezia che ci fa comprendere quanto poi l’evangelista svilupperà. Esulta grandemente figlia di Sion, cioè Gerusalemme, ma indica anche tutto il popolo, giubila figlia di Gerusalemme. Ecco a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso.
E fino a qui era l’attesa del re, del messia, del liberatore di Israele, ma poi Zaccaria presenta una novità, un’immagine clamorosa. Umile cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. La cavalcatura regale normalmente era la mula o il cavallo. Non si era mai visto un re cavalcare un puledro d’asino. Il profeta vuole indicare che c’è una modalità di essere messia completamente differente da quella che era l’attesa. Un messia modesto, un messia umile, un messia che cavalca la cavalcatura che era quella del popolo, ma non solo. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme. I carri sono i carri da guerra. L’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle genti.
Questa era la profezia di Zaccaria. Ma una profezia che era stata come accantonata, come dimenticata, perché il messia che doveva venire doveva essere il figlio di Davide, cioè uno che, come il grande re che riuscì ad unificare le tribù di Israele, attraverso il potere, la forza e la violenza, restaurasse il defunto regno di Israele.
Allora leggiamo a questo punto come l’evangelista ci presenta tutto questo.
Dette queste cose, si riferisce alla parabola delle mine, la parabola dei talenti, nelle quali c’è un gruppo di persone che non desidera che un tale venga nominato loro re. Quindi c’è il rifiuto della regalità, anticipa quello che sarà il rifiuto da parte del popolo di Gesù come re.
Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. E’ la tappa finale del suo viaggio. Quando fu vicino a Bètfage e a Betània… E’ una caratteristica di tutti gli evangelisti mai alludere alla morte di Gesù senza poi mettere un riferimento alla sua risurrezione. Se Gerusalemme sarà la città in cui Gesù sarà assassinato, Betania sarà il luogo della risurrezione e dell’ascensione di Gesù.
Presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: “Andate nel villaggio di fronte”. Il villaggio nei vangeli ha sempre un significato negativo, il villaggio è il luogo della tradizione, il luogo dove le novità vengono sempre viste con sospetto, quindi quest’immagine del villaggio è quella di un luogo attaccato al passato e che rifiuta il nuovo.
Entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno, (letteralmente nessuno mai degli uomini). Slegatelo e conducetelo qui. E’ importante in questo brano l’uso del verbo slegare che sarà ripetuto per ben quattro volte. Qual è il significato che l’evangelista vuole dare a questo che di per sé sembra illogico. Cos’è che devono slegare? Devono slegare questa profezia che era stata come incatenata, come legata, perché non volevano un messia modesto, un messia di pace. Questo devono slegare. Ma per primi sono i discepoli che si devono convincere di questo.
E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”».  Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. Abbiamo detto che il discorso sembra irreale, illogico. Questi che arrivano lì e slegano questo puledro e, scrive l’evangelista, mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». “Ah va bene!” Quindi è un discorso irreale. Ma l’evangelista, attraverso questa illogicità della narrazione, ci vuol far comprendere il significato: Gesù slega questa profezia che era rimasta legata perché a nessuno interessava un re così.
E mentre i signori (cioè i proprietari) legano, il Signore Gesù è colui che scioglie.
Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro… il mantello nella simbologia ebraica indica la persona, l’identità della persona, allora i discepoli accettano questo messia di pace e lo  gettano sul puledro, questo veicolo di pace. Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Cioè ci sono altri che non comprendono questo, allora si rifanno al gesto di intronizzazione del re quando il popolo stendeva il mantello – il mantello come abbiamo detto indica la persona – sulla strada e il re ci passava sopra, o a cavallo o a piedi, e significava sottomissione.
Questa ambiguità nel testo porterà alla fine tragica di  Gesù quando verrà abbandonato. Quando si accorgono che non è il re, il messia, il liberatore, il trionfatore con la violenza, lo stesso popolo che ora lo acclama, sarà quello che griderà poi: “Crocifiggi!”
Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo … E qui c’è la citazione di un salmo, il salmo 118, quello dell’intronizzazione del messia:
“Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore.” E poi l’evangelista ci aggiunge l’annuncio che gli angeli hanno fatto a pastori per indicare la nascita di Gesù.
“Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!». Gesù è un messia di pace, è un messia che è il dono di Dio. Questa acclamazione da parte dei discepoli provoca la reazione furibonda dei farisei. Alcuni farisei tra la folla gli dissero: “Maestro, rimprovera i tuoi discepoli”. Questo verbo rimproverare si usa per i demoni, gli indemoniati. Per i farisei è come se i discepoli fossero posseduti da un’ideologia demoniaca acclamando un messia non violento, non l’accettano.
Ma egli rispose: “Io vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre”.   E si rifà ad una profezia conosciuta, quella del profeta Abacuc in cui le pietre gridano contro l’ingiustizia. L’ingiustizia sarà la morte del messia liberatore.

 

il commento al vangelo della domenica

CHI DI VOI E’ SENZA PECCATO, GETTI PER PRIMO LA PRIETRA CONTRO DI LEI 

commento al vangelo della quinta domenica di quaresima (13 marzo 2016) di p. Alberto Maggi: 

p. Maggi

Gv  8,1-11

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Nel vangelo di Luca ci sono undici versetti che, per molto tempo, nessuna comunità cristiana voleva al suo interno. Ai primi tempi i vangeli non erano riuniti. Ogni comunità aveva il suo vangelo e lo trasmetteva alle altre comunità. Ebbene, quando in una comunità arrivava il vangelo di Luca venivano tolti questi undici versetti.
Sono i versetti che poi hanno trovato alloggio e ospitalità nel vangelo di Giovanni, al capitolo otto, dal primo versetto all’undicesimo. In realtà se togliessimo questo brano dal vangelo di Giovanni e lo inserissimo al suo posto originario, nel capitolo 21 dopo il versetto 38 del vangelo di Luca, vedremmo che era quello il suo contesto.
Ma come mai nessuna comunità ha voluto questo brano, addirittura per un secolo, e per cinque secoli questo brano di vangelo non è apparso nella liturgia e fino al 900, quindi sono passati tanti anni, non è stato commentato dai padri di lingua greca? Ebbene, abbiamo la testimonianza preziosa di S. Agostino, quindi nel IV secolo che scrive: Per timore di concedere alle loro mogli l’impunità di peccare, tolgono (i componenti delle comunità cristiane) dai loro codici (cioè il testo del vangelo) il gesto di indulgenza che il Signore compì verso l’adultera, come se colui che disse “d’ora in poi non peccare più” avesse concesso il permesso di peccare.
Quindi erano gli uomini, i mariti, che non volevano questo brano, perché l’indulgenza di Gesù verso la donna adultera sembrava mettesse in pericolo la loro famiglia, la loro unità coniugale.
Ma leggiamo questo brano importante che, ripeto, anche se oggi si trova nel vangelo di Giovanni, in realtà è di Luca, il linguaggio è di Luca.
Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino.., letteralmente all’alba. E’ importante quest’indicazione temporale… si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ormai l’abbiamo visto, ogni volta che il popolo va verso Gesù e Gesù tenta di liberare, di far crescere, di far maturare il popolo, ecco subito la reazione delle autorità religiose.
Loro vogliono sottomettere il popolo, non renderlo indipendente. Infatti gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio. Sappiamo che è l’alba quindi probabilmente avevano spiato questa situazione.
La posero in mezzo e gli dissero: «Maestro…” E questa è l’ipocrisia delle persone religiose, non vogliono apprendere da Gesù, vogliono solo ingannarlo, vogliono condannarlo.
“questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa.” Notiamo il disprezzo per questa creatura.
“Tu che ne dici?». Dal fatto che la pena richiesta sia la lapidazione, si comprende che questa donna è nella prima fase del matrimonio. Il matrimonio in Israele avveniva in due tempi. Il primo quando la ragazza aveva dodici anni e il maschio diciotto, c’era la fase chiamata lo sposalizio, un anno dopo cominciava la convivenza e questa seconda fase erano le nozze.
Se la donna commetteva adulterio nella prima fase, quella dello sposalizio, veniva lapidata. Se, al contrario, l’adulterio era commesso nella seconda fase, veniva strozzata. Il fatto che chiedono per questa ragazza, per questa ragazzina, la lapidazione, significa che è una ragazzina tra i dodici e i tredici anni.
“Tu che ne dici?» E’ una trappola. Gesù comunque risponda si dà la zappa sui piedi. Perché se dice: “Bene ubbidiamo alla legge divina”, tutto questo popolo che ha seguito Gesù perché ha sentito in lui un afflato diverso, ha sentito l’eco dell’amore e della misericordia di Dio, rimane deluso e lo lascia. Se al contrario Gesù dice: “No, non lapidiamola”, siamo nel tempio, c’è la polizia, e Gesù può essere arrestato perché contravviene la legge divina, la legge di Mosè.
Infatti l’evangelista commenta: Dicevano questo per metterlo alla prova … letteralmente “tentarlo”, è il verbo è che l’evangelista adopera per il diavolo, quindi questi zelanti difensori della tradizione e dell’ortodossia in realtà per l’evangelista non sono altro che strumenti del diavolo. E per avere motivo  di accusarlo.  L’evangelista è feroce: le autorità religiose svolgono l’azione del diavolo. Chi è il diavolo? Colui che tenta, colui che accusa.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Quale può essere il significato di questo silenzio di Gesù e l’azione di scrivere? E’ probabilmente un rimando al profeta Geremia, capitolo 17, versetto 13 dove si legge: “Saranno scritti nella terra, nella polvere, quanti hanno abbandonato il Signore”. E’ la denuncia di Gesù: questi zelanti difensori dell’ortodossia, della tradizione, queste persone tanto religiose, in realtà hanno abbandonato il Signore perché covano sentimenti di odio, covano sentimenti di morte.
Nella prima lettera di Giovanni si dirà poi bene: “Chi non ama rimane nella morte”.
Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo una pietra contro di lei». Non si tratta, come a volte vediamo nelle immagini o nei film la gente che prende la pietra e la lancia. La prima pietra era quella che lanciavano i testimoni dell’accusa, era un masso che doveva pesare circa 50 Kg, e veniva gettato sulla donna che era stata calata in una fossa, e in pratica era la pietra che la uccideva. Quindi Gesù dice “Chi è senza peccato esegua la sentenza di morte”.
E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.  Il termine adoperato dall’evangelista non vuole indicare tanto “i vecchi, gli anziani”, ma il termine greco è “presbitero”, che sono i componenti del sinedrio, quelli che giudicavano. Il sinedrio era il massimo organo giuridico di Israele, composto dai sommi sacerdoti, dagli scribi e dai presbiteri. Sono quelli che giudicavano, sono questi che se ne vanno.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Il finale è carico di grande tenerezza.
Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». Gesù si rivolge con grande rispetto a questa donna. E Gesù disse … Gesù è l’unico in cui non c’è peccato, l’unico che poteva condannarla, scagliare la prima pietra e poteva rimproverarla, ma Gesù non rimprovera e dice: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Gesù non perdona la donna, perché la donna è già perdonata da Dio, ma le comunica la forza per tornare a vivere. Gesù non scaglia su questa donna la pietra che la schiaccia, ma le offre la sua parola che l’aiuti a continuare a vivere.

il commento al vangelo della domenica

QUESTO TUO FRATELLO ERA MORTO ED E’ TORNATO IN VITA 

commento al vangelo della quarta domenica di quaresima (6 marzo 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc  15,1-3.11-32

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze.
Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.
Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è 1
tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Quello che farisei e scribi, rappresentanti dell’istituzione religiosa non hanno mai capito è che Dio, anziché preoccuparsi di essere obbedito e rispettato, è preoccupato della felicità degli esseri umani. Per cui scribi e farisei se non cambiano non potranno mai conoscere l’allegria del Padre.
E’ quanto ci esprime l’evangelista Luca nel capitolo 15, con quella che è senz’altro una delle parabole più conosciute e più amate. Quella del figlio prodigo. Vediamo.
Scrive Luca, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori. L’evangelista è tassativo, tutti. Quindi tutti coloro che vivono nel peccato hanno sentito in Gesù un tono diverso. Non più minacce, non più castighi, ma amore offerto anche per loro. Non solo amore, ma anche rispetto.
Si avvicinavano per ascoltarlo. Ebbene, la reazione consueta delle autorità religiose: i farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “Costui…”. Notiamo che nei vangeli i capi religiosi, le autorità religiose, l’élite spirituale, evitano sempre di pronunziare il nome di Gesù, rivolgendosi a lui col massimo del disprezzo.
 “Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Non solo li accoglie ma  mangia con loro; mangiare significa condivisione di vita. E poi Gesù disse loro qualcosa, ma questa parabola non è rivolta ai discepoli di Gesù, ma è rivolta a queste autorità religiose – scribi e farisei.
Ed egli disse loro questa parabola (quella conosciutissima del figliol prodigo, e la vediamo soltanto nei tratti essenziali perché è abbastanza lunga e non c’è il tempo per commentarla tutta): un uomo aveva due figli, il più giovane chiede la sua parte di eredità. Ed è importante per la comprensione del brano che il padre divise tra loro le sue sostanze.
Quindi ha dato quello che era dovuto al figlio minore, ma il doppio – secondo la legislazione ebraica – al figlio maggiore. Questo figlio più giovane se ne va, partì per un paese lontano, cioè un paese pagano e si dimostra incapace, infatti in poco tempo sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto.
Poi cade in disgrazia perché arriva una grande carestia. Lui che ha puntato tutto sul denaro, quando non ha più denaro, si ritrova ad essere un niente. Lui che era un padrone in casa sua, si trova ad andare sotto un padrone. Da padrone diventa servo.
L’evangelista specifica che andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, ma cade proprio nell’abiezione, perché andò a pascolare i porci. E sappiamo che il maiale è un animale impuro, quindi è il massimo del degrado. Ebbene a questo punto, preso dai morsi della fame – perché non gli davano neanche da mangiare – questo figliolo dice: : “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza …”, quindi si vede che questo padre era generoso non solo con i figli, ma anche con i suoi operai, “e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò…”
Attenzione per comprendere bene questo brano, a volte questo figliolo viene presentato come modello di conversione, di pentimento. Nulla di tutto questo. Questo è un ragazzo che ragiona sempre per il proprio interesse, e in base ai soldi. Quello che gli manca non è il padre, ma gli manca il pane. Non è il rimorso che ora lo spinge a tornare dal padre, ma il morso della fame. Quindi non c’è nessun accenno al dolore che ha recato alla sua famiglia.
“Padre, ho peccato verso il Cielo (quindi contro Dio) e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.” Quindi è decaduto dei diritti; non può essere più trattato come un figlio perché ha ricevuto la sua parte, “Trattami come uno dei tuoi salariati”.
Quindi lui non sa cosa significa la relazione di un figlio col padre, e chiede di essere trattato come uno dei servi. Si alzò e tornò da suo padre. Ribadisco che non va perché pentito, ma va per interesse. Non gli manca il padre, ma gli manca il pane.
La figura sulla quale l’evangelista ora centra la nostra attenzione è quella del padre, immagine di Dio. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide.  Quindi il padre ha rispettato la volontà del figlio ma non lo ha dimenticato, lo ha atteso.
Ebbe compassione.  Avere compassione è un’azione divina con la quale si restituisce vita a chi vita non ce l’ha. E’ la terza volta che compare nel vangelo di Luca. La prima nell’episodio della vedova di Nain, quando Gesù ebbe compassione e le resuscita il figlio, la seconda col samaritano, l’uomo che ha compassione del ferito e gli restituisce la vita.
Quindi l’azione del padre non è di risentimento, di rabbia, di offesa, ma un desiderio di restituire vita.
 Gli corse incontro. Questo è inconcepibile nella cultura medio orientale. Correre è sempre un segno di disonore, e mai una persona anziana o un genitore corre incontro al figlio, ma per il padre il desiderio di onorare il figlio è più importante del proprio onore. Il padre si disonora per onorare il figlio.
Gli si gettò al collo. Quando leggiamo il vangelo mettiamoci nei panni dei primi ascoltatori che non sapevano come andava poi a finire il racconto. Noi ci saremmo immaginati che, dopo essersi gettato al collo lo avrebbe strozzato. Questo imbecille che ha sperperato tutto e si è ridotto a fare il guardiano dei porci.
Invece ecco la sorpresa: E lo baciò. L’evangelista qui si rifà al primo grande perdono nella Bibbia, quando Esaù perdonò il fratello Giacobbe che gli aveva sottratto l’eredità. Quando Esaù si incontra con Giacobbe lo bacia. Il bacio è segno di perdono. Allora il padre, immagine di Dio, perdona il figlio prima che questo gli chieda perdono. Il figlio non si fida e attacca il suo “atto di dolore” … “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te…” Il padre non lo fa terminare.
Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello”. Il vestito era una onorificenza che conferiva dignità a una persona. Questo ragazzo, questo figlio che ha perso la sua dignità, ora ritorna nello splendore della sua dignità. Ma quello che più sorprende è il seguito.
“Mettetegli l’anello al dito”. L’anello non è un qualcosa che addobba, un gingilletto. Ma l’anello era il sigillo che deteneva l’amministratore della casa. Quindi il padre a questo figlio incapace, che ha sperperato tutto il suo patrimonio, gli restituisce la dignità e una fiducia più grande di quella che godeva. Gli mette in mano l’amministrazione della casa, senza sapere poi che ne farà questo figlio.
“E i sandali ai piedi.” Ricordate che il ragazzo aveva chiesto di essere trattato come uno dei salariati e il padre dice: “No, mettetegli i sandali ai piedi”. Nelle case i proprietari portavano i sandali, i servi andavano scalzi.
E poi dice: “Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Ed ecco che entra in scena colui al quale è rivolta la parabola.
Il figlio maggiore – immagine di scribi e farisei, che non vuole entrare in casa, protesta. Il padre esce anche verso di lui, e lui piagnucola. Si vede un Gesù che critica l’infantilismo nel quale la religione tiene i suoi adepti. E dice: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici.” Ricordiamo all’inizio il padre ha diviso il suo patrimonio tra i due figli e al figlio maggiore ha dato il doppio di quello che ha dato al minore.
Quindi era tutto suo, perché non se l’è preso? E’ la religione. La religione mantiene le persone in uno stato infantile, non hanno un rapporto d’amore con Dio, ma un rapporto di obbedienza, di servizio, e si attendono sempre una ricompensa. Ma soprattutto attendono l’autorizzazione per gioire o meno.
Allora il padre com’è andato incontro al figlio che si era smarrito, va incontro anche a questo figlio che non vuole entrare in casa e a questo figlio che, nella rimostranza ha detto “Tuo figlio…”, il padre gli ricorda che è suo fratello.
Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo”. Solo che lui ha vissuto nella condizione di servo e non di figlio e non ha saputo gustare. 
“Ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello..” Ecco lui ha detto “Perché tuo figlio..” il padre gli ricorda “Tuo fratello”…  “Era morto ed è tornato in vita”. Quindi Gesù invita questi scribi e farisei a rallegrarsi che attorno a lui vadano questi peccatori, i miscredenti, ma purtroppo sappiamo dal seguito del vangelo che scribi e farisei, accecati dalla trave della loro giustizia, della loro fedeltà alla legge, non comprenderanno mai la misericordia di Dio.

 

il commento al vangelo della domenica

SE NON VI CONVERTITE, PERIRETE TUTTI ALLO STESSO MODO 

commento al vangelo della terza domenica di quaresima (28 febbraio 2016) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Lc  13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Ogniqualvolta Gesù tenta di liberare le persone subito appaiono coloro che sono contro questo processo di liberazione. E’ quanto emerge nel capitolo 13 di Luca – è un episodio che ha soltanto questo evangelista – i primi 9 versetti.
Scrive l’evangelista: “In quello stesso tempo”. Quale tempo? Gesù aveva detto alla folla: “Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” Gesù cerca di emancipare il popolo dall’influsso e dalla dottrina degli scribi, dei farisei. Sono le autorità religiose che determinano quello che la gente deve credere e come deve credere, cosa deve praticare.
Allora Gesù invita le persone a crescere, ad essere persone mature, che ragionano con la propria testa e camminano con le proprie gambe. Questo è inammissibile per il potere religioso che deve sempre sottomettere le persone, trattandole come in maniera infantile. Ed ecco la reazione. 
Si presentarono alcuni a riferirgli il fatto di quei Galilei. Dire “Galileo”, al tempo di Gesù, non indicava soltanto la provenienza da una determinata regione. Galileo significa “rivoluzionario” e indicava gli zeloti, i terroristi dell’epoca. Ricordiamo la grande rivolta di Giuda il Galileo che c’è scritta negli Atti degli Apostoli. Quindi Riferirgli il fatto di quei Galilei – Gesù è galileo – il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere (letteralmente mescolato) insieme a quello dei loro sacrifici.
Quindi Gesù sta tentando di liberare il popolo dall’influsso delle autorità religiose e gli arriva questa minaccia, un avvertimento di chiaro stampo mafioso: “Attento Galileo che qui da noi i Galilei fanno una gran brutta fine”. Ebbene Gesù non solo non si lascia intimorire, ma passa all’attacco, reagendo. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?”
Gesù smentisce il nesso che vede il castigo come un’azione da parte di Dio per punire i peccati degli uomini. “No, io vi dico, ma se non vi convertite…”, cioè se non cambiate vita. La conversione nel vangelo indica mettere il bene dell’altro come principale valore della propria esistenza, “…perirete tutti allo stesso modo.”
Quindi Gesù dice “No, attenti! Siete voi che se non cambiate vita fate una brutta fine”. Ma non solo. Ora Gesù continua. Se prima ha fatto un esempio generale, indicando i Galilei, ora si trova a Gerusalemme e parla proprio di quella città, di Gerusalemme.
“O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe…”, Siloe è un quartiere di Gerusalemme, ancora oggi si vede il basamento di questa torre che crollò, “…  e le uccise, credete che fossero più colpevoli (letteralmente più debitori) di tutti gli abitanti di Gerusalemme?” Ecco se prima l’esempio era stato per i galilei, ora Gesù lo porta proprio lì dove parla di Gerusalemme.
“No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Gesù riafferma nuovamente quanto detto prima. Quindi Gesù esclude in maniera tassativa il castigo divino e li invita di nuovo alla conversione. E poi Gesù allarga la tematica e qui è un po’ una risposta a Giovanni che era l’ultimo erede di questa tradizione che vedeva Dio come colui che puniva i peccatori. Ricordiamo che Giovanni Battista aveva detto: “Ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco”.
Ecco Gesù allarga il discorso e prosegue. Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna”. Il fico e la vigna nell’antico testamento sono immagini di Israele, del popolo di Israele. E venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Ecco abbiamo visto Giovanni Battista diceva che se non porta frutti si taglia e si butta nel fuoco. Gesù non è d’accordo. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni”, a rappresentare un tempo completo, “che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”.
Ma quello gli rispose … e questa è l’azione di Gesù che è contrario a un’azione che distrugge, a un’azione che punisce. Gesù non è venuto a distruggere, ma a portare vita, a vivificare. Ma quello gli rispose: “Padrone (il termine esatto è “signore”, si vede che è un rapporto con Dio), lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime.” 
L’azione di Gesù di fronte ai peccatori, di fronte alle persone sterili, di fronte a coloro che non portano frutto, non è un’azione punitiva, ma vivificante, offre ancora nuove possibilità di portare frutto, di portare vita, e non solo offre questa possibilità, ma collabora perché questo si realizzi.
E poi Gesù continua: “Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Il Dio di Gesù, quello che Luca ci presenta, è il Dio per il quale nulla è impossibile. Come aveva scritto al momento dell’annunciazione: questo è il sesto mese per lei, parlando di Elisabetta, la parente di Maria, che tutti dicevano sterile. Ecco così anche un albero che sembra sterile, per l’azione di Dio e per la collaborazione dell’uomo, può portare frutto.
L’insegnamento di Luca e molto chiaro, molto preciso. A quanti vedono una relazione tra il peccato e il castigo Gesù annunzia in maniera chiara, tassativa e definitiva che l’azione di Dio con i peccatori non è punitiva, distruttiva, ma vivificante.

 

 

il commento al vangelo della domenica

LA VOSTRA LIBERAZIONE E’ VICINA

commento al vangelo della seconda domenica di quaresima (21 febbraio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc  9,28-36

Circa otto giorni dopo questi discorsi, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, resto Gesù solo. Essi tacquero e in quei … non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Gesù ha annunziato ai suoi discepoli che a Gerusalemme sarà messo a morte. Naturalmente questo provoca le rimostranze, provoca delusione.
Ecco allora questo brano, è il capitolo 9 dell’evangelista Luca dal versetto 28. E’ importante la localizzazione, l’indicazione temporale. Infatti scrive l’evangelista “Circa otto giorni dopo questi discorsi”, cioè dopo che Gesù ha annunziato la sua morte.
Perché il numero otto? E’ tipico degli evangelisti mai accennare alla morte di Gesù senza dare un’indicazione anche della sua risurrezione. L’ottavo giorno è il giorno della risurrezione di Gesù. Allora Gesù ora mostra quali sono gli effetti della persona che passa attraverso la morte. Non sono di distruzione, di annientamento, ma di potenziamento.
Gesù prese con sé Pietro. Questo discepolo è presentato con il solo soprannome negativo che indica la sua cocciutaggine, e Giovanni e Giacomo. Saranno i discepoli più difficili che Gesù sempre prenderà con sé nei momenti importanti della sua vita. E salì su IL monte, con l’articolo determinativo, non è un monte qualunque, ma non è indicato. L’evangelista non vuole indicare un luogo topografico, ma teologico. Il monte è il luogo della sfera divina, della condizione divina.
 A pregare. Tipico di Luca nei momenti importanti di Gesù presentarlo in preghiera. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Mostra gli effetti della morte annunziata nel capitolo precedente. La morte non fa sprofondare la persona nelle tenebre, ma la avvolge di luce. La morte, come abbiamo detto, non distrugge la persona, ma libera tutte le sue energie d’amore e di vita.
Ed ecco… espressione tipica degli evangelisti per indicare qualcosa di inaspettato, una sorpresa. Due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa. Perché Mosè e Elìa? Erano i personaggi che, nell’antico testamento avevano parlato con Dio, ma soprattutto Mosè era il grande legislatore e Elìa era il profeta che con zelo, e anche con violenza, ha fatto praticare la legge di Mosè.
 Apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo. Ecco questa è una caratteristica tipica dell’evangelista Luca, usare questo termine “esodo” ad indicare la liberazione che Gesù è venuto a portare. Che stava per compiersi a Gerusalemme. A Gerusalemme, la città santa, Gesù sarà assassinato dai massimi rappresentanti di Dio, dall’istituzione religiosa.
E qui l’evangelista ci accenna qualcosa di incomprensibile per noi: Pietro (di nuovo con il soprannome negativo) e i suoi compagni… ormai non sono più i compagni di Gesù, ma seguono Pietro. Erano oppressi dal sonno. Bene, di fronte ad una rivelazione del genere l’evangelista ci presenta questi discepoli oppressi dal sonno. Perché? Il sonno significa incomprensione rispetto a quello che sta accadendo. Ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, – quindi Mosè ed Elìa si separano da Gesù – Pietro  – ed è la terza volta, il numero tre secondo il linguaggio degli evangelisti, indica sempre quello che è definitivo, quindi Pietro insiste nella sua cocciutaggine –  disse a Gesù … E non lo chiama “maestro” come vedo qui nella traduzione, ma il termine adoperato da Luca è “capo”, qualcuno a cui sottomettersi. E’ questa l’idea che Pietro ha di Gesù. “E’ bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne”. Perché queste capanne? Delle tre importantissime feste che cadenzavano la vita religiosa di Israele, la festa di Pasqua, la festa di Pentecoste e la festa delle Capanne, l’ultima era la più importante. Tanto importante che non aveva bisogno di essere nominata, bastava dire “la festa” e si capiva che era la festa delle Capanne. Era la festa che ricordava la liberazione dalla schiavitù egiziana, e per una settimana – ancora oggi in Israele – si viveva sotto delle frasche, sotto delle capanne. Ebbene la tradizione diceva che il messia sarebbe arrivato durante la festa delle Capanne. In ricordo dell’antica liberazione si sarebbe inaugurata la nuova liberazione. Quindi il messia atteso, quello della tradizione si sarebbe manifestato in questa festa. Ecco perché Pietro chiede di fare tre capanne. Vuole che Gesù si manifesti come messia. “Una per te, una per Mosè e una per Elìa”. Quando ci sono tre personaggi, normalmente il più importante si mette al centro. Ecco per Pietro il più importante non è Gesù, al centro per Pietro c’è
Mosè, il legislatore. Poi Gesù come Elìa al fianco, come coloro che fanno praticare questa legge. Ma per Pietro il più importante è  Mosè. E l’evangelista commenta: Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava… quindi Pietro non ha ancora terminato di parlare, nel suo sproloquio, così, venne una nube. La nube nell’antico testamento è immagine della presenza attiva di Dio. E li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. Quindi nel fare questa esperienza di Dio. E’ strano, Pietro la prima volta che si è trovato di fronte a Gesù durante la pesca miracolosa ha chiesto a Gesù di allontanarsi da lui perché era peccatore e questa volta, che fa un’esperienza di Dio, ne ha paura, quindi l’evangelista fa comprendere quanto una tradizione religiosa, un’ideologia religiosa, possano essere di ostacolo alla comprensione del vero Dio. E dalla nube uscì una voce – è la voce di Dio – che diceva: «Questi è il Figlio mio … Per figlio non si intende soltanto colui che è nato dal padre, ma colui che gli assomiglia nel comportamento. Allora Dio dice che in Gesù c’è tutto lui. “L’eletto; ascoltatelo!» E’ un imperativo, cioè “Lui ascoltate!” Quindi scompare Mosè, scompare Elìa ed è soltanto Gesù da ascoltare, questa è un’indicazione molto preziosa che l’evangelista dà alla sua comunità. Bisogna ascoltare il messaggio di Gesù, e quello che è scritto nei testi di Mosè o nei libri profetici va confrontato con l’insegnamento di Gesù: se è in sintonia si prende, altrimenti non sarà norma di comportamento per la comunità cristiana. Appena la voce cessò, resto Gesù solo. Essi tacquero. Questo tacere è tipico dei nemici di Gesù. E in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto. Perché non riferiscono niente? Perché non sono d’accordo. Rimangono male. Loro vogliono un Gesù secondo la legge di Mosè e secondo lo zelo violento di Elìa, non accettano Gesù senza Mosè e senza Elìa. Quindi sono in disaccordo con Gesù e non tacciono. Quindi il cammino della comunità di Gesù, della comprensione della sua realtà è ancora lungo

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