il commento al vangelo della domenica

LASCIARONO TUTTO E LO SEGUIRONO 

commento al vangelo della domenica quinta del tempo ordinario (7 febbraio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 5,1-11

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Secondo il profeta Ezechiele l’abbondanza della pesca era segno della benedizione divina. Nel capitolo 47 lui immagina questi pescatori che hanno una pesca abbondante e la pesca abbondante è per l’acqua che esce dal tempio di Gerusalemme. Ebbene l’evangelista Luca nel capitolo 5 del suo vangelo ci presenta una pesca abbondante non più per l’acqua che esce dal tempio, ma per la parola di Gesù.
Leggiamo quello che ci scrive Luca. Mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio – quindi Gesù manifesta questa parola di Dio –  … E qui c’è un repentino strano cambio di scena, perché abbiamo lasciato Gesù in Giudea, l’evangelista aveva concluso il capitolo 4 scrivendo “E andava predicando nelle sinagoghe della Giudea”, Gesù stando, in piedi, presso il lago di Gennèsaret … quindi ci troviamo immediatamente proiettati in Galilea …  vide due barche presso il lago. I pescatori erano scesi e  lavavano le reti. Più volte in questo brano troveremo questa allusione ai pescatori, citazione del profeta Ezechiele con la pesca abbondante.
Salì in una barca, che era di Simone. Gesù conosce già Simone perché gli ha guarito la suocera, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette – è la posizione del maestro –  e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone… E qui è strano perché Gesù è un uomo di paese, dell’entroterra, che si permette di dare lezioni di pesca a uno che della pesca aveva fatto il suo mestiere, la sua vita, Simone appunto. Infatti dice a Simone: «Prendi il largo” (letteralmente “il profondo”), “e gettate le vostre reti per la pesca». Ebbene Simone accetta. Simone rispose: «Maestro (letteralmente “capo”, ha un rapporto gerarchico nei confronti di Gesù), abbiamo faticato tutta la notte”, quindi nonostante il tempo propizio per la pesca … il tempo non si riferisce al giorno perché il tempo propizio è la notte …  “e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».
Ricordo che l’evangelista ha presentato la parola come “la parola di Dio”. Quindi Simone si fida, accetta questa sfida.
Fecero così e presero una quantità enorme di pesci. L’evangelista non vuole raccontarci soltanto un episodio di cronaca, ma una riflessione teologica. Il termine che qui è tradotto con “quantità”, letteralmente significa “moltitudine” e indica la primitiva comunità cristiana. Quindi, seguendo la parola del Signore, un invito a gettare le reti verso gli emarginati, gli esclusi, è lì che la pesca sarà abbondante. E le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
L’evangelista Luca è quello che ha scritto che nulla è impossibile a Dio. Quindi dopo una notte infruttuosa, andare a pescare di giorno è impossibile. Eppure accogliendo la parola di Dio quello che era impossibile diventa realtà. Al vedere questo … E qui l’evangelista aggiunge al nome il soprannome negativo che indica la sua testardaggine, la sua durezza, quella della Pietra … Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati (letteralmente “esci”, lui quasi si ente posseduto da lui) da me, perché sono un uomo peccatore».
Ecco Simone è in contraddizione con Gesù, che ha detto di essere venuto a chiamare i peccatori, invece lui quasi lo rifiuta.
Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca dei pesci (una sottolineatura dell’evangelista) che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Ed ecco la novità portata da Gesù, Gesù disse a Simone: «Non temere”. A Gesù non interessa che sia peccatore o meno, quello che riguarda il suo rapporto con Dio, il suo passato. Gli interessa il suo rapporto con gli uomini, il futuro.
Allora Gesù dice a Simone: “Non temere,  d’ora in poi – quindi guarda il futuro non quello che è ora sarai pescatore di uomini». 
Pietro ha detto “allontanati da me”, “esci da me perché sono peccatore”, evidenziando il rapporto con Dio. Gesù lo invita ad un rapporto con gli uomini. “Pescatori di uomini” letteralmente l’evangelista dice “prenderai i vivi”. Cosa significa? Sappiamo che pescare un pesce significa togliere il pesce dal suo habitat vitale per dargli la morte. Pescare un uomo che sta nell’acqua, al contrario, significa toglierlo dall’ambito che gli può dare la morte e portarlo in un ambito vitale.
Allora l’invito che Gesù fa a Simone è questo: tirare fuori gli uomini dagli ambiti di morte dove rischiano di affogare, di morire. 
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. Inizia a costituirsi la comunità attorno a Gesù, una comunità non di pastori, Gesù non li invita ad essere pastori, ma una comunità di uomini, cioè comunicatori di vita verso quanti ne hanno bisogno.

 

il commento al vangelo della domenica

GESU’ COME ELIA ED ELISEO E’ MANDATO NON PER I SOLI GIUDEI

commento al vangelo della quarta domenica del tempo ordinario (31 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc   4,21-30

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”».
Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Il vangelo di questa domenica ci presenta la prima fallimentare predica di Gesù a Nazaret. L’evangelista – già l’abbiamo visto domenica scorsa – presenta un Gesù a Nazaret che si alza e legge un famoso brano, conosciutissimo, atteso, quello del capitolo 61 del profeta Isaia, che indicava la venuta del Messia. Ma, arrivato al punto in cui dice “proclamare l’anno di grazia del Signore”, Gesù interrompe la lettura e non prosegue con quello che era il versetto più atteso: “e la vendetta del nostro Dio”.
Era quello che il popolo aspettava, dominato dai romani. Allora vediamo il proseguimento di questo brano, il capitolo 4 di Luca, dal versetto 21 al 30. Allora cominciò a dire loro nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».  E l’evangelista continua aggiungendo: “Con i vostri orecchi”. Gesù, alludendo a una citazione del profeta Ezechiele che dice che il popolo ha orecchi ma non ascolta, perché è una genia di ribelli, prepara quello che segue.
Tutti, cioè tutti i presenti nella sinagoga … E qui bisogna tradurre bene questo termine, gli davano testimonianza. Il verbo “testimoniare” in greco è martireo, da cui il termine “martire” che conosciamo tutti. Dal contesto dipende se è una testimonianza a favore o contro. Qui è chiaramente una testimonianza contro. Quindi è meglio tradurre Tutti gli erano contro.
Ed erano meravigliati, sconvolti. Da che cosa? Delle parole di grazia, perché Gesù non ha parlato della vendetta contro i dominatori, ma soltanto di grazia.
Che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Non stanno mettendo in dubbio la paternità di Giuseppe, perché, come ha scritto l’evangelista, era figlio, come si credeva, di Giuseppe. Ma “figlio”, nella cultura del tempo, non indica soltanto colui che è nato dal padre, ma colui che gli assomiglia nel comportamento. Quindi evidentemente Gesù non assomiglia al padre nel comportamento. Probabilmente anche Giuseppe partecipava di questi ideali nazionalisti, violenti. Nei testi ebraici del tempo l’appellativo “Giuseppe” significava addirittura “il pantera”, quindi dà l’idea di qualcosa di bellicoso.
Quindi Gesù non assomiglia al padre. Ebbene Gesù, anziché calmare gli animi, rincara la dose.  Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso”. Sarà poi quello che gli diranno sulla croce, “Ha salvato gli altri, salvi se stesso”.
Quanto abbiamo udito che accadde … E qui Gesù rincarando la dose parla di una città rivale di Nazaret, usando un termine dispregiativo “in quella Cafarnao”, fallo anche qui, nella tua patria!”. Usando il termine “patria” l’evangelista vuol far comprendere che quanto accade a Nazaret sarà poi rappresentativo di tutto quello che accadrà nella sua terra.
Poi aggiunse: «In verità” … Quindi è un’affermazione solenne … “ io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria”. Perché? Il profeta chi è? E’ quell’individuo che, in sintonia con Dio, non ripete le cose del passato, ma crea le nuove. Ecco allora che sarà sempre vittima dell’avversione e dell’opposizione della classe sacerdotale al potere. E poi Gesù fa quello che non doveva fare. C’erano due episodi della storia di Israele che si preferiva tenere nel dimenticatoio, nel passato. Erano episodi nei quali, di fronte a delle emergenze, Dio ha soccorso non gli ebrei, quelli che avevano dei diritti, dei privilegi, ma è andato a soccorrere niente meno che i disprezzati, i pagani.
Erano due episodi che si preferiva dimenticare. Gesù invece li toglie dal dimenticatoio. “Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese – quindi anche in Israele – ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. Quindi in terra pagana. Gesù sta indicando che l’amore di Dio è universale, che non significa soltanto “estensione”, cioè ovunque, ma “qualità”, cioè per tutti.
L’amore di Dio non è attratto dai meriti delle persone, ma dai loro bisogni.
E poi Gesù rincara ancora la dose. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». Un altro pagano, se non addirittura un nemico di  Israele. E’ troppo. Infatti, all’udire queste cose, tutti nella sinagoga… I “tutti” sono gli stessi dei quali l’evangelista diceva “tutti gli davano testimonianza” cioè “tutti gli erano contro”.
Tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno, letteralmente “schiumarono” di ira. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città. L’evangelista sta anticipando quella che poi sarà la sua fine quando verrà ucciso fuori della città santa di Gerusalemme.
E lo condussero fin sul ciglio del monte. Il monte qui richiama il monte Sion dov’è costruita Gerusalemme, quindi l’evangelista in questo episodio ci sta anticipando quella che poi sarà la fine di Gesù, il rifiuto totale da parte del suo popolo.
Sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. La prima volta che Gesù predica in una sinagoga il risultato è che tenteranno di ammazzarlo. Per Gesù, che non correrà mai pericolo con i peccatori, con la gentaglia, con la feccia della società, i luoghi e le persone più pericolosi saranno quelli religiosi. Saranno questi che cercheranno di ammazzarlo, di lapidarlo, di eliminarlo.
Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. Perché l’evangelista scrive questo dato che sembra un po’ strano. Tutta la folla dei presenti in sinagoga che cerca di catturare Gesù e di ucciderlo e lui come fa a passare in mezzo a loro? L’evangelista sta anticipando il fatto della risurrezione: la morte non si è impadronita di Gesù, ma egli continua il suo cammino.
E conclude il brano con si mise in cammino. In cammino verso dove? Verso Gerusalemme. Quindi Gesù da questo primo rifiuto poi nella sua terra ha compreso che incontrerà soltanto opposizione, incontrerà pericolo di morte. Ma Gesù non si arrende, lui deve essere testimone del perdono di Dio, dell’amore del Padre anche a scapito della propria vita.

 

il commento al vangelo della domenica

OGGI SI E’ COMPIUTA QUESTA SCRITTURA 

commento al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (24 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi :

p. Maggi

Lc  1,1-4; 4,14-21

Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi, come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri della Parola, così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, e di scriverne un resoconto ordinato per te, illustre Teòfilo, in modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». 

La liturgia di questa domenica ci presenta l’inizio del vangelo di Luca e poi passa a presentare la prima predica di Gesù nel suo paese, Nazaret, che fu un grande fallimento. Ma vediamo quello che ci scrive l’evangelista.
Poiché molti hanno cercato di raccontare con ordine gli avvenimenti che si sono compiuti in mezzo a noi… Luca prende quasi due terzi del vangelo di Marco e lo mette nella sua opera. Luca, dagli studi più recenti, appare come un rabbino, quindi una persona molto colta, molto a conoscenza di tutta la storia e la tradizione del suo popolo. 
Come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni oculari fin da principio e divennero ministri – letteralmente “servitori”, è importante questo termine – della Parola. I credenti sono servi di questa parola, non devono dominare questa Parola, non ne sono i padroni. Si mettono a servizio di questa parola perché giunga ad ogni creatura.
Così anch’io ho deciso di fare ricerche accurate su ogni circostanza, fin dagli inizi, quindi si vede proprio lo scrupolo del rabbino, l’attenzione, e di scriverne un resoconto ordinato per te. Ed ecco questa opera che viene dedicata all’illustre Teòfilo. Letteralmente “illustre”, eccellentissimo, era un titolo che veniva riservato ai grandi personaggi, negli Atti degli Apostoli sono i governatori romani. Teòfilo. Il nome Teofilo significa amico di Dio, o amato da Dio. Chi è questo Teofilo? Gli studio più recenti, dagli inizi del 2000, confermano che questo Teofilo è il terzo figlio di Anna, il sommo sacerdote, ed è stato anche lui sommo sacerdote fra il 37 e il 41 ed era il cognato di Caifa.
Quindi Luca rivolge la sua opera a un sommo sacerdote che, con la sua famiglia, ha avuto un’importante storia nella vita di Gesù.
 In modo che tu possa renderti conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto. Ecco ci fa comprendere che questo sommo sacerdote ha accolto Gesù come messia della sua vita. Allora l’evangelista gli vuole mostrare l’origine, la profondità di questo messaggio. Poi la liturgia salta e ci porta addirittura al capitolo 4.
Gesù ritornò in Galilea, la Galilea era la regione disprezzata, ricordiamo nel vangelo di Giovanni, con che disprezzo ci si riferisce a questa regione quando i farisei, i sommi sacerdoti, dicono: “Non sorge profeta dalla Galilea”, quindi una regione ignorata da Dio.
 Con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode. Mai l’evangelista afferma che Gesù sia andato in una sinagoga per il culto, Gesù va nelle sinagoghe per insegnare il suo messaggio, libera dall’insegnamento che gli scribi impartivano proprio nelle sinagoghe.
E naturalmente questo non poteva che essere occasione di incidenti. La prima delle quattro volte che Gesù entra in una sinagoga è sempre in una situazione di conflitto.  Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Nella liturgia sinagogale c’era – come da noi – un ciclo triennale di letture. Si iniziava con un salmo, il salmo 92, poi c’era la lettura di brani della Legge, dal libro del Deuteronomio, e poi si terminava con quella che era la lettura del saluto, la lettura di un profeta.
Quindi Gesù si alza per leggere, gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa – quel sabato toccava leggere questo profeta, ma Gesù qui fa una prima trasgressione. Scrive l’evangelista: aprì il rotolo e trovò (viene tradotto con “trovò” ma il verbo giusto è “cercò”). Il verbo greco è eurisko, da cui viene la famosa esclamazione di Archimede che tutti quanti conosciamo, Eureka! Cosa significa? Ho trovato. Ma ho trovato quello che ho cercato. Quindi Gesù non è d’accordo con quello che la liturgia gli presenta in quel giorno, ma va in cerca di ubrano particolare.
E qual è? E’ il brano della consacrazione del messia, il capitolo 61 del profeta Isaia. “Lo Spirito del Signore è sopra di me” Nella liturgia ebraica i testi erano letti nella lingua sacra, l’ebraico, ma siccome il popolo non comprendeva più questa lingua sacra, c’era un traduttore che, ad ogni versetto, traduceva il brano.
Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione; ecco “unzione”, in ebraico messiah, da cui deriva messia, quindi consacrato con l’unzione da Dio. E mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio. Qual è il lieto annunzio che i poveri attendono? La fine della povertà. E sarà questo l’obiettivo di Gesù, creare una società alternativa dove le persone, anziché accumulare per sé, condividano con gli altri.
A proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; i ciechi erano i prigionieri che vivevano in grotte sotterranee. A rimettere in libertà gli oppressi e proclamare l’anno di grazia del Signore», l’anno di grazia è il giubileo, quello della liberazione nel paese di tutti gli abitanti. E Gesù interrompe la lettura, non poteva essere interrotta, perché il versetto continuava con quella che era l’attesa del popolo: il giorno di vendetta del nostro Dio.
E’ questo che la gente s’attende. Gesù non è d’accordo con Isaia. Da parte di Dio c’è soltanto una parola d’amore, di grazia, ma non di vendetta. La tensione è al massimo.
Scrive l’evangelista:  Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Quindi la lettura è finita. Nella sinagoga, gli occhi di tutti, quindi c’è grande tensione, erano fissi su di lui. Ebbene Gesù incomincia con quella che poi causerà un’esplosione di ira. Cercheranno di ammazzarlo.
Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». E l’evangelista aggiunge “con i vostri orecchi”. Perché? Prepara il rifiuto, con la citazione del profeta Ezechiele, che dice: Figlio dell’Uomo tu abiti in mezzo a una genia di ribelli che hanno occhi per vedere e non vedono, hanno orecchi per udire e non odono, perché sono una genia di ribelli.
Prepara il rifiuto che vedremo nella prossima puntata

il commento al vangelo della domenica

QUESTO A CANA DI GALILEA, FU L’INIZIO DEI SEGNI COMPIUTI DA GESU’

commento al vangelo della seconda domenica del tempo ordinario (17 gennaio 2016) di p. Alberto  Maggi:

p. Maggi
Gv 2,1-12

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

I vangeli non sono stati scritti per essere letti dalla gente. Perché? Perché la gente, nella stragrande maggioranza, era analfabeta. I vangeli sono delle opere letterarie, teologiche, spirituali, molto molto complesse, dense, ricche di significati e venivano inviati in una comunità dove il lettore, cioè il teologo di quella comunità, non si limitava a leggerlo agli altri, ma lo interpretava.
E per interpretarlo seguiva quelle chiavi di lettura, quelle indicazioni che l’evangelista, l’autore metteva nel testo. E’ quello che cerchiamo di fare noi, per far fiorire il brano di oggi, il capitolo 2 del vangelo di
Giovanni, i primi undici versetti, conosciuto come le nozze di Cana. Faremo fiorire questo testo e vedremo cosa l’evangelista ci vuol dire.
Vediamo subito la prima indicazione che l’evangelista infatti pone. Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea. Il terzo giorno, a un ebreo del tempo, richiamava subito il giorno dell’alleanza, il giorno in cui Dio a Mosè sul Sinai donò l’alleanza con il suo popolo.
Quindi l’evangelista vuole dire: attenzione tutto questo brano è in chiave dell’alleanza con Dio. E le nozze! Quest’alleanza tra Dio e i suoi profeti veniva raffigurata attraverso un matrimonio; Dio era lo sposo e il popolo, Israele, la sposa.
A Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Anche in questo brano tutti i personaggi sono anonimi. Quando un personaggio è anonimo – l’abbiamo già visto per altri brani del vangelo – significa che è un personaggio rappresentativo. L’unica persona che in questo brano ha un nome è Gesù.
Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino … nel rito matrimoniale il momento culminante è quando lo sposo e la sposa bevono da un unico calice di vino, il vino rappresenta l’amore. Ebbene qui c’è un matrimonio dove manca l’elemento più importante, manca il vino.
La madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». La madre di Gesù che pure apparteneva alle nozze, non dice, come ci saremmo aspettati: “Non abbiamo vino”, ma dice “Non hanno vino”, la madre di Gesù rappresenta quell’Israele fedele che ha sempre conservato questo amore con Dio. E la risposta di Gesù può sembrare strana, addirittura sgarbato, se pensiamo è rivolta da un figlio alla madre.
E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Ma vediamo anche qui di comprendere che cosa l’evangelista vuole esprimere. “Donna” significa “moglie, donna sposata”. Sono tre i personaggi femminili ai quali Gesù in questo vangelo si rivolge con questo appellativo. Sono le immagini delle spose di Dio.
Per cui la madre di Gesù rappresenta la sposa fedele dell’Antico Testamento; l’altro personaggio femminile al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo “donna”, cioè “moglie, donna sposata”, è la donna samaritana, cioè l’Israele adultero che lo sposo riconquista con un’offerta ancora più grande d’amore. E, infine, in questo vangelo l’ultimo personaggio al quale Gesù si rivolgerà chiamandolo “donna” sarà Maria di Magdala, che rappresenta la sposa della nuova alleanza.
Allora Gesù richiamando la sua caratteristica di sposa fedele dice: “Che vuoi da me”? Cioè che cosa ci importa? Non è ancora giunta la mia ora”.
La madre di Gesù crede che il messia vada ad annunciare nuova vita alle antiche istituzioni. Ma Gesù non è venuto a mettere nuova vita nelle antiche istituzioni, ma a formularne una nuova, che adesso vedremo.
Quindi Gesù dice: “Non ci interessa questo”. Ma sua madre disse ai servitori… Il termine diaconi, coloro che liberamente, volontariamente, per amore, si mettono a servizio, e qui l’evangelista mette in bocca
alla madre quando nel libro dell’Esodo aveva risposto il popolo a Mosè: “Quanto il Signore ha detto noi lo faremo”.
Qui sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Quindi vede in Gesù come il nuovo legislatore, il nuovo Mosè che è da ascoltare. E qui la descrizione ora va all’ambiente.
Vi erano là sei anfore di pietra, non anfore di coccio, come a volte nelle rappresentazioni i pittori ci fanno vedere, ma sei anfore di pietra, quindi grosse inamovibili, di pietra come le tavole della legge. Per cosa dovevano servire? Per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. Quindi in questo ambiente familiare ci sono queste anfore che dovevano contenere ben seicento litri d’acqua per la purificazione.
Ecco perché non hanno vino. Una religione che inculca il senso di colpa, di indegnità, che fa sentire l’uomo sempre bisognoso di chiedere perdono, di purificarsi, sempre impuro, è una religione che impedisce di scoprire e di accogliere l’amore di Dio. Ecco il bisogno sempre quindi di purificarsi.
E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto».  C’era un incaricato. Questi pranzi di nozze duravano giorni, a volte anche una settimana. E c’era un incaricato che doveva stare attento all’ordinamento, a che non mancassero i cibi e soprattutto il vino.
Costui non se ne occupa. Qui rappresenta i capi religiosi che non si occupano e non si preoccupano del fatto che il popolo non abbia questa relazione con Dio.
Ed essi gliene portarono.  Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino… Le anfore non conterranno mai il vino di Gesù, ma l’acqua diventa vino quando viene versata dalle anfore. Colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano attinto all’acqua … e quindi le anfore non contengono mai il vino di Gesù ma contengono l’acqua, – chiamò lo sposo.
Ma vediamo di comprendere prima della reazione. Cosa significa questo cambio? E’ la nuova alleanza che Gesù ci propone. Un nuovo rapporto con Dio, non più basato sull’obbedienza alla legge, che fa sentire sempre indegni e impuri, ma sull’accoglienza del suo amore. Con Gesù l’amore di Dio non è più concesso per i meriti delle persone, soltanto quelli che lo meritano, ma per i bisogni, quindi concesso a tutti quanti.
Chiamò lo sposo, e lo rimprovera. «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono”. E’ normale. In un pranzo che dura parecchie ore, o addirittura parecchi giorni, all’inizio si serve il vino buono e poi quello più scadente.  “Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».
Per le autorità il vino nuovo appartiene al passato. Le autorità sono incapaci di comprendere che il bello e il buono deve ancora venire. Bene, a conclusione di questo episodio, e qui l’evangelista ci sta dicendo: “Attenti! Non vi sto raccontando una storiella, ma qualcosa di più profondo”, l’evangelista dice: Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria. L’unica volta nella
quale si scrive che Gesù manifestò la sua gloria. Non viene detto quando Gesù risuscita Lazzaro, un morto da quattro giorni, ma qui l’evangelista ci dice: “Attenzione! Questo non è un racconto di un’acqua cambiata in vino o per ospiti già alticci, ma ci parla del cambio dell’alleanza. Non più il bisogno di purificarsi per accogliere l’amore di Dio, ma accogliere l’amore di Dio, che è quello che purifica l’uomo.

 

il commento al vangelo della domenica

MENTRE GESU’, RICEVUTO IL BATTESIMO, STAVA IN PREGHIERA, IL CIELO SI APRI’

 commento al vangelo della domenica del Battesimo del Signore (10 gennaio 2016) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc 3,15-16.21-22

In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». 

Giovanni Battista nel deserto aveva annunziato un battesimo in segno di conversione, cioè cambiamento di vita, per il perdono dei peccati. La risposta è inaspettata: tutto il popolo accorre a lui. Il popolo ha compreso che il perdono dei peccati non può avvenire al tempio, con un atto liturgico, con un sacrificio al Signore, ma attraverso un cambiamento di vita.
Ma se il popolo ha creduto e accorre a Giovanni Battista, le autorità religiose, i capi no, sempre refrattari a qualunque invito al cambiamento.
Allora leggiamo il vangelo di questa domenica, il capitolo 3 di Luca, dal versetto 15. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, cioè il messia.
Il popolo crede di aver individuato in questo profeta nel deserto l’atteso liberatore di Israele. Ma Giovanni chiarisce subito che lui non lo è. Giovanni rispose a tutti dicendo “Io vi battezzo con acqua”, cioè vi immergo in un liquido che è esterno all’uomo, che è un segno di cambiamento di vita per ottenere il perdono dei peccati. “Ma viene colui che è più forte di me”, e qui l’evangelista adopera un’espressione che va inserita nel contesto che va inserita nel contesto culturale dell’epoca per comprenderla. “Non sono degno di slegare i lacci dei sandali”.
Cosa vuol dire Giovanni Battista con questa espressione? C’era una legge nell’istituzione matrimoniale del tempo, che si chiamava “del levirato”. In cosa consisteva questa legge? Quando una donna rimaneva vedova senza figli, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino nato avrebbe portato il nome del marito defunto.
Era la maniera per perpetuare il nome della persona. Quando il cognato si rifiutava di mettere incinta questa donna probabilmente per motivi di interesse perché la donna senza figli, senza prole, veniva rimandata al suo clan familiare. Colui che nella scala sociale, giuridica, aveva il diritto dopo di lui, procedeva alla cerimonia dello scalzamento, sfilava i sandali di questa persona, li prendeva, ci sputava sopra. Era un gesto simbolico che significava “il tuo diritto di mettere incinta questa vedova, spetta a me”.
Ecco allora il significato di questa espressione di Giovanni Battista, che ritroviamo nell’antico testamento, nelle storie di Ruth e nei vari libri. Non sono degno di slegare i legacci dei sandali quindi significa “non sono io che devo fecondare questa vedova”, il popolo di Israele veniva considerato come una vedova, “ma colui che viene dopo di me”.
Perché “Egli vi battezzerà in Spirito Santo”. Mentre io vi ho immerso nell’acqua, simbolo di un cambiamento di vita, lui vi inzupperà, vi immergerà, vi impregnerà della stessa vita divina. “E fuoco”.
Poi qui la liturgia taglia dei versetti che indicano l’eliminazione di Giovanni Battista. E’ la risposta del potere alla conversione. I potenti non vogliono mai cambiare. Ma è anche la stupidità del potere perché la persecuzione fa sempre fiorire la vita, non la estingue. Ogni volta che i potenti vogliono spegnere una voce, ecco che ne sorge una ancora più potente, più forte.
Ecco riprendiamo la nostra lettura al versetto 21. Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato … quindi il popolo ha compreso, tra Gerusalemme, il tempio dove, attraverso un sacrificio al Signore si otteneva il perdono dei peccati, e il deserto attraverso un rito di immersione, il popolo ha compreso che lì c’è la verità.
Ecco che compare Gesù, che va anche lui a farsi battezzare. Ma perché Gesù si battezza? Il battesimo era un simbolo di morte per la gente. Morire al passato, a quello che era uno stato, per iniziare una vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un segno di morte, non ad un passato di peccato che lui non ha, ma l’accettazione di morte nel futuro. Gesù dirà più avanti in questo stesso vangelo che c’è un battesimo nel quale deve essere battezzato ed è angosciato finché non arriverà questo momento.
Si tratta della sua morte. Quindi per Gesù andare a farsi battezzare significa: per la fedeltà all’amore di Dio accettare la persecuzione e anche la morte. Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì. Cosa significa questo cielo che si apre? E’ la comunicazione permanente e definitiva dell’uomo con Dio. Il cielo indica la realtà divina.
Quando c’è un uomo che si impegna a manifestare fedelmente l’amore di Dio, ecco che la comunicazione tra Dio e l’uomo è continua. Con Gesù questa comunicazione sarà ininterrotta. 
E discese sopra di lui lo Spirito Santo, l’articolo determinativo indica la totalità. Lo Spirito è la forza, l’energia dell’amore di Dio, che scende su Gesù. Perché l’evangelista indica in forma corporea? Per dire realmente, pienamente; come una colomba. L’immagine della colomba richiama vari elementi, riguarda la creazione quando lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque e nell’interpretazione rabbinica si diceva che era come una colomba, quindi in Gesù c’è la nuova creazione. Richiama soprattutto la colomba che esce dall’arca di Noè, dopo il diluvio, in segno di perdono.
Gesù è il perdono di Dio. Ma richiama anche un proverbio palestinese che dice: “come amor di colomba al suo nido”. La colomba è quell’animale che rimane affezionato, attaccatissimo al suo nido originario. Gli si può cambiare il nido, farne uno nuovo, ma lei non ne vuole sapere. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è là dove si manifesta la pienezza dell’amore di Dio.
E, venne una voce dal cielo, quindi da Dio. E qui l’evangelista fa un collage di vari testi dell’antico testamento, dal profeta Isaia, un salmo, il libro della Genesi: “Tu sei il Figlio mio, l’amato – l’amato indica l’erede, colui che eredita tutto dal padre – “in te ho posto il mio compiacimento”. 
Quindi Dio conferma che in Gesù c’è tutta la sua stessa realtà, e il popolo lo deve soltanto accogliere.

il commento al vangelo dell’Epifania

SIAMO VENUTI DALL’ORIENTE PER ADORARE IL RE

commento al vangelo della festa dell’epifania (6 gennaio 2016) di fra Alberto MAGGI: 

p. Maggi

l’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo».
Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Il giorno dell’Epifania la chiesa ci propone il capitolo 2 di Matteo, un capitolo che, per essere gustato a pieno, esige uno sforzo da parte nostra: prendere le distanze dalla tradizione e dal folclore e anche dall’immagine – bella di per sé – del presepio.
Vediamo infatti cosa ci scrive Matteo.
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode.
Erode è un re illegittimo, perché non aveva sangue ebraico nelle vene, e quindi non poteva essere re degli ebrei. Ed era talmente sospettoso che qualcuno gli potesse prendere il trono, che arrivò a uccidere i suoi stessi figli.
Ecco. Quando c’è questa espressione “ecco”, l’evangelista attira l’attenzione per qualcosa di imprevisto, qualcosa di improbabile che appare.
Ecco alcuni Magi che vennero da Oriente, letteralmente “maghi”. Chi sono questi maghi pagani?
Con il termine “mago” si intendeva a quel tempo l’indovino, ma anche l’ingannatore, l’astrologo ma anche il corruttore e ciarlatano. E comunque è un’attività che viene proibita nella Bibbia. Nel libro del Levitico (19,26) viene proibita severamente l’attività del mago, e anche nel cristianesimo non godrà di buon nome, tanto che nel primitivo catechismo della chiesa cristiana, che si chiama Didac» (Didaché) (2,2), l’esercizio del mago verrà collocato tra il divieto di rubare e quello di abortire.
Quindi abbiamo, in quanto maghi, persone disprezzate anche dalla Bibbia, e in quanto pagani i più lontani da Dio. L’evangelista vuole significare che l’amore universale di Dio si estende ovunque, non soltanto per la sua estensione, appunto, ma anche per la sua qualità: l’amore di Dio è per tutti, anche per le categorie che possiamo pensare come più lontane o disprezzate.
A Gerusalemme. Sbagliano posto. Vanno nel luogo meno adatto per trovare Gesù. A Gerusalemme, la città santa, Gesù non nasce. A Gerusalemme, il figlio di Dio sarà ammazzato, sarà messo a morte.
E dicevano: “Dov’è colui che è neonato, il re dei Giudei?” L’evangelista contrappone Erode, re dei Giudei, a Gesù, il neonato re dei Giudei.
Abbiamo visto spuntare la sua stella – letteralmente abbiamo visto la sua stella da Oriente).
Questa stella di cui parla Matteo non va cercata nel cielo, ma va cercata nella Bibbia. Infatti l’evangelista si rifà ad una profezia contenuta nel libro dei Numeri (24,17) dove Balaam, un indovino, profetizza “Una stella sorge da Giacobbe, uno scettro si eleva da Israele”. Quindi non è un avvenimento che accade nel cosmo, è un avvenimento teologico quello che l’evangelista ci vuole segnalare.
Più avanti ne avremo la conferma. A quel tempo si pensava che quando una persona nasceva, sorgeva anche una nuova stella che poi si sarebbe spenta il giorno della sua morte.
E siamo venuti ad adorarlo”. All’udire questo il re Erode restò turbato – e si capisce! Il re Erode è un uomo che ha usurpato il trono e ha paura di perderlo. Ma sorprende il seguito: – e con lui tutta Gerusalemme.
Anche Gerusalemme resta turbata, spaventata, perché Erode ha usurpato il trono, Gerusalemme ha usurpato il ruolo di Dio. Quindi Erode ha paura di perdere il trono, ma Gerusalemme ha paura di perdere il tempio dove presenta un’immagine di Dio falsa, che corrisponde per nulla al Padre che Gesù presenterà.
Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo, cioè il messia.
E’ questo che Erode teme, il messia liberatore. Erode lo teme e Gerusalemme non lo attende.
Gli risposero – i capi dei sacerdoti e gli scribi, quindi l’élite sacerdotale e teologica – “A Betlemme di Giudea perché così è scritto per mezzo del profeta”. Vediamo che l’evangelista è polemico. La conoscenza della scrittura non è garanzia di conoscenza del Signore. Una conoscenza che non si traduce nella vita è sterile, è nociva, come in questo caso.
E qui l’evangelista cita, modificandola, una profezia contenuta nel libro del profeta Michea, al capitolo 5, v. 1: “E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo” … Michea aveva scritto “dominatore”, ma l’evangelista censura questo termine.
Gesù non sarà un dominatore, allora sostituisce il termine con “capo”, colui che guida, che conduce.
E, per farlo comprendere meglio, aggiunge alla profezia di Michea un’espressione estratta dal secondo libro di Samuele (5,2), Che sarà il pastore del mio popolo Israele. Quindi Gesù non dominerà, ma sarà il pastore, colui che cura il bene del suo gregge.
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella.
E’ preoccupato che altri possano aver visto questo segno che indicava la nascita del re dei Giudei. E li inviò a Betlemme, e qui l’evangelista ci presenta un’immagine del potere che è sempre menzognero e assassino. E’ menzognero perché impone con la menzogna il suo potere, e assassino perché lo difende con la violenza.
Infatti Erode dice: “Andate e informatevi accuratamente sul bambino, e quando l’avrete trovato, fatemelo sapere perché anch’io venga ad adorarlo”. In realtà lo vuole eliminare. Il potere è sempre menzognero e assassino. L’evangelista ci invita a prenderne le distanze.
Udito il re, essi partirono. Ed ecco – qui c’è di nuovo la sorpresa – la stella che avevano visto in Oriente li precedeva.
Loro non hanno seguito la stella per andare a Gerusalemme, hanno visto sorgere la stella, ma hanno sbagliato strada. Sono andati nel luogo sbagliato, a Gerusalemme, dove Gesù sarà assassinato, e non a Betlemme dove Gesù è nato.
Allora questa volta la stella ha il ruolo come di Dio nel deserto che guida il suo popolo, come il pastore che guida il suo gregge. E’ la stella che li guida.
Li precedeva, finché giunse e si fermò, letteralmente, sopra dove si trovava il bambino.
E’ chiaro che l’evangelista non è così ingenuo da presentare un astro che si muove e si ferma in un luogo. E’ impossibile che una stella possa indicare dove sta un bambino. Quindi, come abbiamo detto all’inizio, questa stella non va ricercata in cielo, nel cosmo, ma nella Bibbia.
Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. E’ la prima volta che appare l’espressione di una grande, incontenibile gioia. L’ultima volta apparirà nelle donne, nell’incontro con il risuscitato.
I pagani e le donne sono i più distanti da Dio, secondo la concezione dell’epoca, eppure sono quelli che lo riconoscono e lo accolgono.
Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre – l’evangelista presenta la coppia regale – si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono …
I doni dei maghi sono simbolici e indicano che on c’è più un’esclusività di un popolo, Israele, ma una possibilità per tutta l’umanità.
• Infatti offrono ORO, che era simbolo della regalità. L’evangelista vuole anticipare il fatto che il regno di Dio sarà anche per i pagani. Non c’è più il regno di Israele, limitato a una nazione, a un popolo, a una religione, ma il regno di Dio, l’amore universale, è per tutti, anche per i pagani.
• Offrono INCENSO. L’offerta dell’incenso era riservata ai sacerdoti. La caratteristica esclusiva di Israele era di essere un popolo sacerdotale, cioè di avere contatto con Dio. Anche questa prerogativa non sarà più solo del popolo di Israele, ma essere popolo sacerdotale – nel senso di comunicazione diretta con Dio – sarà per tutta l’umanità.
• Infine offrono MIRRA, che era il profumo della sposa. La si trova nel Cantico dei Cantici. Ebbene il privilegio di Israele di essere considerato la sposa di Dio non è più soltanto per questa nazione, ma per tutta l’umanità.
Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
“Per un’altra strada” è un’espressione molto rara che troviamo nella Bibbia, nel primo libro dei Re , in cui indica il santuario di Betel dove veniva adorato il vitello d’oro. L’evangelista vuole indicare che ormai Gerusalemme è una città idolatrica dalla quale bisogna prendere le distanze

il commento al vangelo del primo giorno del’anno

MARIA MADRE DI DIO

I PASTORI TROVARONO MARIA E GIUSEPPE E IL BAMBINO 

DOPO OTTO GIORNI GLI FU MESSO NOME GESU’

commento al vangelo del primo giorno dell’anno (1 gennaio 2016) di fra Alberto Maggi 

p. Maggi
Lc 2,16-21

<Ebbene, quando Dio si incontra con i peccatori, smentisce quello che la religione ha insegnato. Non li rimprovera, non li punisce, non li incenerisce nel fuoco della sua ira, ma li avvolge del suo amore. Infatti i pastori vengono avvolti dalla luce del Signore. Quindi loro annunciano questo: per essi è nato un salvatore, colui che li viene a salvare.
E’ lo scandalo della misericordia che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.>


[In quel tempo, i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo.

Il primo giorno del nuovo anno si apre con la buona notizia.
E qual è questa buona notizia?
Quelli che la religione considera i più lontani da Dio, in realtà per Gesù, per il vangelo, sono i più vicini a Dio. Questa è la buona notizia che Luca l’evangelista ci riporta nel brano della visita dei pastori a Betlemme.
Scrive Luca: “andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ci che del bambino era stato detto loro”.
Che cosa era stato detto loro? Cos’era questa grande novità, la buona notizia?
L’angelo aveva annunziato loro una grande gioia per loro, che era nato per loro il salvatore. Quindi non un giustiziere.
I pastori, lo sappiamo, erano considerati una categoria di gente lontana da Dio perché viveva in uno stato continuo di impurità, di furti. Erano selvatici come le bestie che accudivano. Quindi i pastori erano nella lista degli individui che il messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto eliminare in quanto peccatori.
Ebbene, quando Dio si incontra con i peccatori, smentisce quello che la religione ha insegnato. Non li rimprovera, non li punisce, non li incenerisce nel fuoco della sua ira, ma li avvolge del suo amore. Infatti i pastori vengono avvolti dalla luce del Signore. Quindi loro annunciano questo: per essi è nato un salvatore, colui che li viene a salvare.
Ebbene, nessuna gioia da parte di quelli che ascoltano. La gioia dei pastori non è condivisa, ma, scrive Luca “tutti quelli che udivano si stupirono”. C’è qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito in quello che viene detto. E’ lo scandalo della misericordia che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.
Gesù con la sua misericordia scandalizzerà tutti quanti, specialmente le persone pie, quelle che pensano che l’amore di Dio vada meritato e non hanno sperimentato come i pastori l’amore come regalo anziché come premio.
Quindi “si stupirono delle cose delle loro dai pastori”, perché crolla quello che la religione insegnava loro riguardo a Dio. Un Dio che premiava i giusti, ma che puniva i malvagi. Anche se tutti si stupiscono di questa novità, c’è Maria, la madre di Gesù, che “da parte sua custodiva tutte queste cose”, non “meditandole”, come qui è stato tradotto: il verbo (sumb£llw) significa “esaminare, interpretare, cercare il vero senso”.
Quindi anche Maria è stupita, è sconcertata di fronte a questa novità, ma lei non la rifiuta. Cerca di capire il vero senso. E’ questo atteggiamento di Maria che non si chiude al nuovo, anzi si apre e cerca di capirlo, che la porterà da madre di Gesù a diventarne poi la discepola.
“I pastori se ne tornarono”, e poi Luca scrive qualcosa di straordinario. Nella cultura dell’epoca i pastori erano ritenuti i più lontani da Dio per la loro condizione di impurità, di peccato. Dio, nell’alto dei cieli, era circondato da quelli che erano chiamati i sette angeli del servizio. Questi sette angeli avevano il compito di lodarlo e glorificarlo continuamente.
Ebbene, scrive Luca, “I pastori si se ne tornarono glorificando e lodando Dio”. Una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio – un amore che, come abbiamo visto, non viene dato come un premio per i propri meriti, ma come un regalo per i propri bisogni – anche le categorie ritenute le più lontane da Dio sono le più vicine.
L’amore rende intimi al Signore. E’ cambiata l’immagine di Dio, è cambiata la situazione dei pastori. Non c’è nessuna persona al mondo che, per la sua condizione, si possa sentire esclusa o emarginata dall’amore di Dio.
Quindi i pastori se ne tornano lodando e glorificando Dio esattamente come gli esseri più vicini a Dio. Ma la novità di Gesù fa fatica ad essere accolta. Il piano divino incontra la resistenza degli uomini e l’evangelista infatti scrive che “quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione gli fu messo nome Gesù”.
I genitori vogliono rendere figlio di Abramo – era questo il significato della circoncisione – colui che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo, il figlio di Dio. L’evangelista vuol far comprendere la resistenza da parte del suo popolo verso l’accoglienza di questa novità portata da Gesù e ci anticipa il conflitto che subito si scatenerà perché Gesù non seguirà la via dei padri, ma seguirà la via del Padre.

il commento al vangelo di natale

NATALE 
IL VERBO SI FECE CARNE
E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

commento al Vangelo di p. Alberto MAGGI

p. Maggi

Gv 1,1-18

In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza  di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno  vinta. Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per  mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo  e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.  Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo  nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in  mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà  testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo  ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto:  il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

Per il giorno di Natale la chiesa ci offre come riflessione i primi diciotto versetti del vangelo di Giovanni, conosciuti come “prologo” al suo vangelo. Nel prologo l’evangelista riassume e anticipa tutta la sua opera e ogni singola parola del prologo sarà poi sviluppata lungo tutta la narrazione.  E’ un prologo che inizia correggendo la sacra scrittura e termina smentendola. Vediamola nei suoi tratti più salienti.  In principio, l’evangelista si rifà al primo libro della Bibbia, il libro del Genesi, che inizia con queste parole: In principio Dio creò il cielo e la  terra.
Ebbene, l’evangelista non è d’accordo.  In principio era il Verbo, cioè prima ancora di creare il cielo e la terra Dio aveva in mente un progetto. “Verbo” (lÒgoj) significa una parola, una parola  creatrice che realizza il progetto di Dio nella creazione.  Quindi, prima ancora della creazione c’era questo Verbo, questo progetto di Dio. E questo Verbo  continuamente interpellava Dio perché arrivasse a realizzarlo. L’evangelista scrive che In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini. Non c’è una luce esterna che deve guidare gli uomini – la luce, nella spiritualità  ebraica, era la legge – ma è la vita la luce degli uomini. E’ la risposta al desiderio di pienezza di vita quello che guida e illumina la via degli uomini. La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta. L’evangelista assicura che la luce, man mano che allarga il suo splendore, vince le tenebre.  La luce non deve combattere le tenebre, non c’è nulla di bellicoso in questo progetto di Dio sull’umanità. La luce deve soltanto splendere. Nella misura  in cui splende, le tenebre restringeranno il loro influsso.  E poi arriviamo a quelli che sono i versetti centrali del prologo, quindi più importanti di tutto questo brano: Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno  accolto.  Com’è stato possibile?  E’ stato possibile perché proprio la casta sacerdotale al potere, in nome del Dio del passato, ha rifiutato il Dio che si manifesta nel presente.  Il Dio del passato l’avevano potuto manipolare presentandolo come un Dio di potere, per poter essi stessi esercitare il potere. Il Dio che si presenta,  che è un Dio-amore che si mette a servizio, scombinava tutti i loro piani, i loro progetti. Per questo lo hanno rifiutato.  Però, l’evangelista assicura, ed è questo il versetto principale di tutto il prologo, A quanti lo hanno accolto – quindi c’è chi ha accolto questo progetto  di Dio, questa parola – ha dato il potere di diventare figli di Dio. “Figli di Dio” non si nasce, ma si diventa, accogliendo questo progetto di vita, facendolo  proprio. Questo progetto, lo vedremo, si realizza nella figura di Gesù e possiamo accoglierlo come modello del proprio comportamento.  E il Verbo – questa parola creatrice – si fece carne.  L’evangelista non scrive, come ci saremmo aspettati, “si fece uomo”, ma “si fece carne!” La carne (sarx) indica l’uomo nella sua debolezza, la debolezza  dell’esistenza umana. E venne ad abitare … non “in mezzo a noi”, ma in noi (™n ¹m‹n).
L’evangelista sta indicando qualcosa di straordinario. Con la nascita Dio non è più da cercare, ma da accogliere. E’ un Dio che non solo è vicino, ma un  Dio che chiede a ogni uomo di diventare l’unico vero santuario dal quale irradiare il suo amore, la sua santità e la sua compassione. Quindi questo Verbo  si è fatto carne, nella debolezza dell’esistenza umana, il che significa che non esiste dono di Dio che non passi attraverso la carne, attraverso l’umanità. Il Dio di Gesù chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne le capacità d’amore, e renderlo l’unico vero santuario dal quale si irradia  il suo amore. Questo è il progetto di Dio sull’umanità: ogni uomo diventa l’unico vero santuario.
Gesù un po’ più avanti in questo vangelo dirà che se uno lo ama osserverà la sua parola, il Padre e lui verranno nell’individuo e prenderanno dimora presso  di lui. Quindi questa è la grande novità. E’ finita l’epoca dei templi dove l’uomo deve andare, ma inizia l’epoca dell’unico vero santuario che è Gesù  e quanti lo accolgono, che non attende che le persone vadano verso di lui, ma è il santuario che si orienta verso le persone, specialmente verso gli ultimi,
verso le persone che sono state emarginate e rifiutate.  Dalla sua pienezza – questa pienezza d’amore – noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Questa espressione (carin ¢ntˆ caritoj) indica che l’amore  alimenta l’amore. C’è un amore ricevuto che va accolto e trasformato in amore comunicato. L’amore che l’uomo riceve da Dio, che accoglie e che poi trasforma  in amore comunicato all’altro, permette a Dio una nuova, più abbondante, risposta d’amore. E questo in un crescendo senza fine.  Ed ecco i versetti conclusivi e importanti.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè – parla di legge come di qualcosa del passato – la grazia e la verità – cioè l’amore generoso di Dio, l’amore  fedele – vennero per mezzo di Gesù Cristo.  L’evangelista qui anticipa quella che sarà la nuova alleanza di Gesù.  Mentre Mosè, il servo di Dio, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla legge, Gesù, che è il Figlio di Dio,  propone un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e somiglianza al suo amore.  Quest’amore fedele, questa grazia e verità, non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede. Infine – abbiamo detto che inizia correggendo la scrittura  e smentendola – Dio nessuno lo ha mai visto.
L’evangelista smentisce quello che è scritto nel libro dell’Esodo, dove si legge che Mosè ed altri hanno visto Dio. No, hanno fatto solo esperienze molto  limitate. Pertanto, la volontà di Dio che Mosè ha espresso, è una volontà limitata alla sua esperienza.
Dio nessuno l’ha mai visto, il figlio unigenito, che è Dio – ecco il progetto che si è realizzato – ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Quindi l’evangelista invita a centrare tutta l’attenzione su Gesù. Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi crediamo di sapere su  Dio adesso dobbiamo verificarlo ed esaminarlo in Gesù, quel Gesù che poi dirà a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre”.
Ecco, questo è l’annunzio del Natale: non un uomo che deve salire verso Dio per divinizzarsi, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi.  Tanto più gli uomini saranno umani, tanto più si manifesterà il divino che è in loro.

il commento al vangelo della domenica

SANTA FAMIGLIA
GESU’ E’ RITROVATO DAI GENITORI NEL TEMPIO IN MEZZO AI MAESTRI 

commento al Vangelo della prima domenica di natale (27 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

Lc 2,41-52

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.
Al vederlo restarono stupiti, e sua madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo». Ed egli rispose loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto loro.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini.

Ogniqualvolta leggiamo il vangelo dobbiamo sempre tenere presente, per comprenderlo, che non riguarda la cronaca, ma la teologia, cioè non ci riporta una serie di fatti, ma di verità. Quindi non riguarda tanto la storia, ma la fede. Ecco perché sono sempre molto attuali.
Questo è tanto più necessario per il brano del vangelo che abbiamo in questa domenica. Il capitolo 2 di Luca, versetti 41-52, conosciuti come lo smarrimento e il ritrovamento di Gesù nel tempio. Quindi bisogna seguire le indicazioni che l’evangelista ci dà per comprendere quello che ci vuole trasmettere. E  cosa ci vuole trasmettere? La grande resistenza e la grande delusione del popolo di Israele nei confronti di Gesù, perché Gesù non segue le tradizioni dei padri, ma instaura una relazione completamente nuova.
Ma vediamo il vangelo. I suoi genitori … Tutti i personaggi che sono in questo brano sono anonimi. L’unico che ha nome è Gesù. Quando un personaggio è anonimo significa che è rappresentativo. Allora l’evangelista non ci vuole indicare tanto Maria e Giuseppe, ma tutto il popolo di Israele.
I suoi genitori si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Sono le tre grandi feste nelle quali bisognava salire a Gerusalemme, la Pasqua, la Pentecoste e le Capanne. Quando egli ebbe dodici anni… perché questo particolare? Perché l’evangelista rivede nella figura di Gesù uno dei grandi profeti della storia di Israele, il profeta Samuele che, secondo la tradizione, anche lui incominciò a profetare all’età di dodici anni.
Vi salirono secondo la consuetudine alla festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Può sembrare strano: come è possibile che Gesù rimane e i genitori non se ne accorgono? Perché i genitori sono fortemente convinti che il figlio li segua; il figlio deve seguire le orme dei padri. Ma è questa la novità che vedremo che Gesù ci presenta.
Credendo che egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; E non trovano Gesù. Non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.
Può sembrare appunto strano che questa famiglia non si accorga dell’assenza di Gesù. L’evangelista, all’inizio del suo vangelo, annunziando la nascita di Giovanni Battista, aveva detto che sarebbe venuto a portare il cuore dei padri verso i figli. Ed era una citazione del profeta Malachia, che continuava: il cuore dei figli verso i padri.
Luca omette questa seconda parte. E’ l’antico, il passato, che deve comprendere il nuovo, non il nuovo che deve seguire il passato.
Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri. Sono i maestri della legge. Il fatto che Gesù sia nel mezzo richiama la sapienza di Dio secondo il Libro del Siracide, dove si legge: la sapienza loda se stessa, si vanta in mezzo al suo popolo.
Quindi Gesù è immagine della sapienza di Dio. Mentre li ascoltava… E non solo, e li interrogava. A dodici anni lui interroga i maestri della legge.  E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore. Si traduce con “stupore”, ma l’evangelista adopera un’espressione che indica una meraviglia irritata, erano sconvolti dalle risposte di Gesù. Per la sua intelligenza e le sue risposte.
Ecco a quanto pare non solo interroga, ma fornisce risposte. Ed ecco l’incidente.  Al vederlo restarono stupiti, – letteralmente sbigottiti – e sua madre gli disse… qui Maria, la madre di Gesù, come dicevo non è presentata con il nome, ma è rappresentativa del popolo di Israele, commette due errori. Primo lo  chiama “figlio”, e il termine adoperata significa “bambino mio”, cioè qualcuno su cui io ho un diritto, un potere.
«Figlio, perché ci hai fatto questo? Ed ecco il secondo errore: “Ecco, tuo padre … quindi si riferisce alla figura di Giuseppe … e io, angosciati, ti cercavamo». Ora la risposta di Gesù. L’unica volta in cui Gesù, in questo vangelo, si rivolge alla madre, è per una parola di aspro rimprovero. E indubbiamente la madre avrà ricordato la profezia di Simeone nel tempio quando le disse: “A te una spada attraverserà la tua vita”, e la spada è la parola del Signore.
Infatti Gesù risponde: «Perché mi cercavate? Non sapevate – quindi è qualcosa che avrebbero dovuto sapere – che io devo … “ Il verbo “dovere” in questa particolare forma indica la volontà di Dio.
“Devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Mentre la madre gli ha detto: “Tuo padre e io angosciati ti cercavamo”, Gesù dice, no, io devo occuparmi del Padre mio. Suo padre non è Giuseppe. Cosa vuole dire Gesù? Che lui non segue i padri, il passato, ma segue il Padre, colui che fa nuove tutte le cose. Naturalmente essi non compresero ciò che aveva detto loro. Perché non comprendono? Chi guarda al passato non può comprendere il nuovo che avanza.
Scese dunque con loro e venne a Nàzaret e stava loro sottomesso. E qui si apre uno spiraglio, una speranza per Maria, come già nell’episodio dei pastori, Maria non ha capito, anche lei è sconvolta da questa grande novità.
Sua madre custodiva tutte queste cose nel suo cuore. Il cuore indica la mente, la coscienza. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Esattamente come il profeta Samuele che come scritto nella Bibbia, cresceva anche lui con questa sapienza.
Ebbene il brano termina con una speranza per Maria. Maria incomincia il suo processo di crescita che la porterà da essere madre di Gesù a discepola del Cristo.

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