il commento al vangelo della domenica

A CHE COSA DEVO CHE LA MADRE DEL MIO SIGNORE VENGA A ME?

commento al Vangelo di della quarta domenica di avvento (20 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi

Lc 1, 39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed  sclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Con poche sapienti pennellate Luca è l’evangelista che più degli altri ci presenta la figura di Maria, la madre di Gesù. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista in questa quarta domenica di Avvento, 20 dicembre, nel capitolo 1, versetti 39-45.
Anzitutto il contesto. C’era stata l’annunziazione, l’angelo Gabriele aveva chiesto a Maria di collaborare al disegno di Dio diventandone la madre del figlio. Ebbene Maria fa qualcosa di assolutamente inconcepibile nella cultura dell’epoca. Nella cultura dell’epoca la donna non era autorizzata a prendere nessuna decisione senza prima aver consultato, e aver avuto l’approvazione, del padre, del marito o del figlio.
Ebbene Maria non chiede a nessun uomo. Maria decide da sola. E’ qualcosa di inconcepibile per la cultura. Ma quello che ora l’evangelista ci scrive è ancora più assurdo. Leggiamo. In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. L’angelo le aveva detto che la sua parente Elisabetta attendeva un bambino e lei, una volta che le è stato annunziato che Dio prenderà forma in lei, non si mette sotto una campana di vetro per essere riverita, per accogliere la venerazione o la devozione degli altri, ma si mette al servizio.         
L’evangelista vuol far comprendere che ogni autentica esperienza dello Spirito si traduce in servizio. Ma un servizio particolare perché qui l’evangelista dice che Maria si alzò, non dice che si unì ad una carovana. Ma si alzò e andò verso una città di Giuda. Dalla Galilea per andare in Giudea c’erano due strade: una che era più lunga però più sicura, quella della vallata del Giordano, l’altra era più breve, ma pericolosa perché passava attraverso la montagna della Samaria.
E noi sappiamo che tra ebrei e samaritani c’era un’inimicizia profonda. Era rischioso passare attraverso la zona montagnosa, c’era rischio di rimetterci la vita. Ebbene per Maria il desiderio di servire, il desiderio di comunicare vita, è più importante della propria incolumità. Quindi in fretta si mette in viaggio verso questa città. Entrata nella casa di Zaccaria, … e qui ci aspetteremmo “salutò il padrone di casa”. Nulla di tutto questo, “salutò Elisabetta”, la moglie. E’ inconcepibile, è il padrone di casa che va salutato per primo. Maria no, Maria saluta Elisabetta, è l’incontro tra due donne per le quali la gravidanza era qualcosa di impossibile: una perché era sterile l’altra perché era vergine.
Quindi Maria entra e saluta come l’angelo aveva fatto con lei. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria….
Non si tratta qui di una formalità, non si limita a desiderare il bene, ma a procurarlo, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo . L’evangelista anticipa qui quella che però poi sarà l’azione di Gesù, di battezzare nello Spirito Santo, immergere ogni persona nella pienezza dell’amore di Dio. Ed esclamò a gran voce …
nella casa del sacerdote incredulo – e che per questo è muto – è al donna colei che svolge il ruolo del profeta:  “Benedetta tu fra le donne”. E qui questo brano contiene una dozzina di citazioni bibliche. Questa parte è tratta dal libro dei Giudici dove si tratta della benedizione di Giaele, una delle grandi donne di Israele. “E benedetto il frutto del tuo grembo!”
Questo è clamoroso. Una sola volta nell’antico testamento si parla del frutto del grembo, ma si riferisce ad un uomo, l’uomo che è fedele al Signore. Questa volta  l’evangelista l’attribuisce a Maria. E si chiede: “A che cosa devo che la madre del mio Signore”, cioè del messia, “venga da me?” Qui l’evangelista scrive questa narrazione tenendo presente un grande episodio nella storia di Israele quando l’arca che conteneva le tavole dell’alleanza fece sosta in casa di una persona. E anche questa persona si meravigliò (il tale è Arauna) dicendo: “Perché il re mio Signore viene dal suo servo?” “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia”, letteralmente di
esultanza , “nel mio grembo”. Ed ecco la prima beatitudine del vangelo. “E beata colei che ha creduto … “
Se Elisabetta proclama beata Maria perché ha creduto, c’è anche un velato rimprovero al marito Zaccaria che invece non ha creduto. “E beata colei che ha creduto  nell’adempimento”, cioè nel compimento di ciò che il Signore le ha detto».
La vergine Maria ha creduto al disegno di Dio e viene proclamata “beata”.
E’ la prima beatitudine con la quale si apre il vangelo. L’ultima la troveremo nel vangelo di Giovanni: “Beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno”. In queste due beatitudini si racchiude l’esistenza di Maria. Qual è il significato di questa beatitudine? Maria ha compreso – e se la chiesa ce la propone come modello di credente questo è valido anche per noi – Maria ha compreso di essere all’interno di un unico straordinario progetto d’amore. E che tutto che incontra nella vita, tutto quello che capiterà nella vita, sia nel bene che nel male, serve soltanto per realizzare questo progetto.
Ecco la Maria che la chiesa ci propone come modello dei credenti

 

il commento al vangelo della domenica

E NOI CHE COSA DOBBIAMO FARE? 

commento al vangelo della terza domenica d’avvento (13 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi
Lc 3, 10-18
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?».
Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se nonfosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene coluiche è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà inSpirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumentonel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo
Nel vangelo della scorsa domenica l’evangelista ha presentato Giovanni che, nel deserto, annunzia un
battesimo in segno di conversione per ottenere il perdono dei peccati. E’ una sfida quella che lancia Giovanni perché il perdono veniva concesso al tempio attraverso un rito liturgico, e soprattutto attraverso l’offerta di un sacrificio da fare al Signore.Quale sarà la risposta del popolo? Lo vediamo nel vangelo di questa domenica, Leggiamo. Le folle… quindi la gente risponde a quest’invito alla conversione, la gente ha compreso che ilpeccato non può essere perdonato attraverso un rito liturgico, ma attraverso un profondo cambiamentodi vita. Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?» Ebbene, nelle risposte che Giovanni Battista dà nulla riguarda il culto, nulla riguarda Dio. Con GiovanniBattista è poi con Gesù è cambiato il concetto di peccato: da offesa a Dio a ciò che offende l’uomo. Ecco allora la risposta di Giovanni Battista alle folle:«Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha”,quindi si tratta della condivisione, “e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».Con Gesù, il Dio che si è fatto uomo, l’evangelista ci presenta il nuovo orientamento dell’umanità: nonpiù rivolta verso Dio, ma verso gli uomini. Con Gesù l’uomo non vivrà più per Dio, ma vivrà di Dio e, con lui e come lui, deve andare verso gli altri. E Dio si esprime attraverso l’amore che diventa generosacondivisione. Poi c’è una sorpresa qui. Vennero anche dei pubblicani. I pubblicani che ci vanno a fare? Loro erano considerati i paria dellasocietà, senza diritti civili, erano gli esattori del dazio, considerati e marchiati in maniera indelebile conl’impurità. Per loro non c’era alcuna speranza di salvezza. Ebbene abbiamo visto nel vangelo della scorsa domenica che la salvezza di Dio è annunziata per ogni uomo, anche per gli esclusi, anche per gliemarginati, anche per i condannati. Ebbene, anche questi vanno a farsi battezzare . Ma questi con timidezza chiedono: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?»,tradotto letteralmente “E noi che facciamo?” Si sentono quasi intimiditi di fronte al profeta di Dio. Ebbene anche per loro c’è una speranza di salvezza. Stranamente Giovanni Battista nondice: “Smettetela con questo mestiere che vi rende impuri”, dice: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».Possono continuare a svolgere un’attività che la religione considera immorale se la vivono normalmente, senza pretendere di più. E questa è una grande sorpresa. Ma le sorprese non sono finite. Dopo gli esclusi che chiedono anche loro il battesimo si avvicinano anche i pagani (per i pagani, come per i pubblicani non c’era speranza di salvezza). Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Ecco la parola di Dio è rivolta a tutti quanti, anche perle categorie per le quali non c’era speranza.  Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete (cioè prendere il denaro con violenza, con ricatto) niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe». Cioè è un invito ad evitare l’ingiustizia, i saccheggi, le rapine di cui erano soliti macchiarsi i soldati. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo … c’era l’attesa del messia, il grande liberatore, e pensano di identificarlo in questo Giovanni.  ebbene Giovanni chiarisce che non è lui il messia. Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua, quindi vi aiuto a fare un cambiamento di vita, ma poi colui che vi darà la forza per vivere questa vita non sono io. E qui l’evangelista adopera un linguaggio che si rifà all’istituto matrimoniale del tempo, che va spiegato. “Ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali”. Cosa significa questo? A quel tempo esisteva la legge de levirato. In cosa consiste? Quando una donna rimaneva vedova senza un figlio il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del defunto. Era una maniera per perpetuare il nome della persona morta.      
Quando il cognato si rifiutava prendeva il suo posto colui che nella scala sociale e giuridica veniva dopo di lui, e si procedeva ad una cerimonia dello scalzamento, scioglieva i legacci dei sandali dell’avente diritto, li prendeva, ci sputava sopra, ed era un gesto simbolico con il quale si diceva: “il tuo diritto di mettere incinta questa donna vedova passa a me”.
Allora l’evangelista qui sta dicendo, e non è una semplice lezione di umiltà da parte di Giovanni Battista: “colui che deve fecondare questo popolo, considerato una vedova senza più rapporto con Dio, non sono io, ma colui che deve venire”. Infatti, aggiunge Giovanni, “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”. L’azione di Gesù non sarà quelladi mettere le persone in un battesimo d’acqua, un liquido che è esterno all’uomo, ma di impregnarli della stessa forza dell’amore divino. Il fuoco era il castigo per chi meritava di essere castigato dal Signore. Ma Gesù poi quando riferirà quest’annunzio di Giovanni Battista, ometterà il fuoco. In Gesù c’è soltanto amore per tutti e non c’è castigo. “Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile». Ecco qui Giovanni Battista presenta il messia secondo la tradizione di
un Dio che premia i buoni e castiga i malvagi. Lo stesso Giovanni Battista più avanti andrà in crisi perché Gesù presenterà un Dio che è semplicemente amore e offre il suo amore a tutti quanti, un Dio che non premia e non castiga i malvagi, ma a tutti, indipendentemente dal loro comportamento, offre continuamente il suo amore. Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo. E’ l’annunzio della buona notizia, una buona notizia che poi Gesù porterà a compimento ma sarà talmente grande che manderà in crisi lo stesso Giovanni che pure l’aveva riconosciuto come messia, che dal carcere gli manderà un avviso molto severo: “Sei tu quello che doveva venire o ne dobbiamo aspettare un altro” La novità dell’amore di Dio, la potenza di questo amore, è talmente grande che sconvolge anche unapersona come Giovanni Battista, anche tutti coloro che immaginavano un Dio
 
 

 

il commento al vangelo

ECCO, CONCEPIRAI UN FIGLIO E LO DARAI ALLA LUCE

commento al vangelo della solennità della Immacolata Concezione di Maria (8 dicembre) di p. José María CASTILLO

Castillo

Lc 1,26-38

Al sesto mese l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di  Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te».  A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato  grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore  Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
Allora Maria disse all’angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l’angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo  ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha  concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del  Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò da lei.

1. È un fatto che la festa dell’Immacolata Concezione è una delle celebrazioni più importanti istituite e conservate dalla Chiesa per quanto riguarda Maria,  la madre di Gesù. La devozione e la pietà del popolo cristiano verso Maria sono elemento costitutivo ed importante nella spiritualità di molti cattolici  e di non poche istituzioni e congregazioni religiose a partire dal Medioevo. Una spiritualità che si è intensificata nei secoli XIX e XX, soprattutto in  occasione delle definizioni dogmatiche dell’Immacolata (1854) e dell’Assunzione (1950). In questi secoli hanno avuto rilievo speciale le apparizioni della  Vergine e i numerosi santuari che richiamano migliaia di fedeli.

2. La esemplarità di Maria, madre di Gesù, così come di lei parlano i vangeli, è più importante di tutto quello che possono esprimere le immagini popolari  ed i libri di pietà mariana. Non si tratta solo dell’umiltà di una giovane che di sé pensa di essere una “schiava” (Lc 1,38) nei confronti del Signore
e della vita. Maria aveva un sentimento profondo: essere una persona umile, che apparteneva al gradino più basso della scala sociale in Israele (la tapéinosis,  Lc 1,48) (W. Grundmann). Ed a partire da tale condizione pronuncia il suo Magnificat, l’inno che “evoca i pericoli del potere e della proprietà”. E che annuncia la trasformazione che farà il Signore: abbattere i potenti ed esaltare quelli che non contavano nulla (Lc 1,52-53) (F. Bovon).

3. A partire da queste convinzioni Maria ha educato Gesù, il figlio delle sue viscere. Gli ha contagiato quello che lei viveva e sentiva così fortemente.
Questo è l’aspetto più evangelico e geniale che possiamo ammirare in Maria Immacolata.

il commento al vangelo

OGNI UOMO VEDRA’ LA SALVEZZA DI DIO 

commento al vangelo della seconda domenica di avvento (6 dicembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc   3,1-6

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».

Quando leggiamo il vangelo, per gustarne la ricchezza dobbiamo metterci nei panni dei primi lettori o dei primi ascoltatori che non sapevano come andava a finire. E vedremo nel brano di questa domenica, 6 dicembre, seconda di Avvento, i primi sei versetti del capitolo terzo del vangelo di Luca, come l’evangelista crea la sorpresa.
Scrive l’evangelista: Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare… l’inizio di questo brano è ridondante, solenne, perché poi l’evangelista vuole destare la sorpresa e sarà veramente una sorpresa. Inizia con Tiberio Cesare. A quel tempo i potenti si consideravano degli dei, quindi l’evangelista inizia con la persona che è più vicina a Dio, ed è un Dio lui stesso, l’imperatore.
Mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, vediamo come è solenne e pomposo questo inizio, l’evangelista va a pescare anche un certo Lisània, personaggio semi sconosciuto, tetràrca dell’Abilène, cioè dell’anti Libano,  sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa.
Perché “sommi sacerdoti”? Il sommo sacerdote era uno. Ma l’evangelista ne pone due, Anna e Caifa. Perché tutto questo? L’evangelista vuole raggiungere il numero sette. Il numero sette, nel linguaggio  della Bibbia, rappresenta quello che è pieno, quello che è completo, quello che è totale. Potremmo dire con un linguaggio comprensibile a noi oggi “era il G7 del tempo”, i massimi potenti della terra.
Ebbene ecco la sorpresa:   la parola di Dio venne su … Su chi scenderà la parola di Dio? Qui abbiamo Tiberio Cesare, l’imperatore, Dio  lui stesso, abbiamo anche i sommi sacerdoti che erano i rappresentanti di Dio sulla terra. A chi si rivolgerà Dio per manifestare la sua parola? Ebbene, quando Dio deve intervenire nella storia – questa è la sopresa – evita accuramente luoghi e persone sacri e religiosi perché sa che notoriamente sono ostili e refrattari al suo messaggio.
Infatti ecco la sorpresa, la parola di Dio venne su … nessuno dei potenti, ma su un certo Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto. Ma che ci fa Giovanni nel deserto? Giovanni, in quanto figlio di un sacerdote, all’età di diciotto anni doveva presentarsi al tempio per essere esaminato per verificare che non avesse nessuno dei difetti che impedivano l’esercizio del sacerdozio e poi continuare, perpetuare il sacerdozio del padre.
Giovanni no. Giovanni è il bambino che fin dal seno della madre è stato ripieno di Spirito Santo, lui è l’uomo dello Spirito, non l’uomo del rito.
Per cui rompe con la società e va nel deserto, lontano da Gerusalemme e lontano dal tempio. La parola di Dio scende proprio su di lui.
Egli percorse tutta la regione del Giordano, il Giordano ci ricorda il fiume che il popolo ebraico ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa; ora la terra promessa è diventata una terra di schiavitù dalla quale il popolo deve uscire.  Predicando un battesimo … il termine “battesimo” non ha il nostro significato liturgico, era un rito nel quale – il termine significa immersione – ci si immergeva completamente nell’acqua, si moriva simbolicamente a quello che si era stato, e si usciva come una persona nuova.
Quindi Giovanni predica questo segno come immagine di un cambiamento di conversione. Nella lingua greca la conversione si esprime in due maniere: una è la conversione religiosa, il ritorno a Dio, il ritorno alla religione e gli evangelisti evitano accuratamente questo termine. L’altro, adoperato dall’evangelista, è il cambiamento di comportamento, un cambiamento radicale nella propria esistenza.
Ecco perché questo messaggio di cambiamento non poteva essere rivolto alla casta sacerdotale al potere, che non ama i cambiamenti. Ma Giovanni dice: “Cambiate vita”. Cosa significa conversione? Se fino ad ora hai vissuto per te, da adesso vivi per gli altri.
Ebbene questo avviene per il perdono dei peccati. Quello che fa  Giovanni è inaudito, è una sfida tremenda, perché i peccati venivano perdonati andando al tempio di Gerusalemme, portando delle offerte a Dio. Giovanni non è d’accordo. Lui, l’uomo dello Spirito, dice che il perdono dei peccati non avviene attraverso un rito liturgico, offrendo dei doni al Signore, ma attraverso un cambiamento radicale di vita – vivendo per gli altri, e questo ottiene la cancellazione dei peccati.
Com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa, e qui l’evangelista cita quello che si chiama “il libro della consolazione”, la seconda parte del profeta Isaia ed è stata scritta da un profeta anonimo, alla fine  dell’esilio, ed è un invito a lasciare la terra della schiavitù.  «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!».
Il testo del profeta Isaia diceva: “Ogni uomo vedrà la gloria di Dio”. L’evangelista lo modifica: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. La gloria di Dio si manifesta nella salvezza di ogni uomo. E’ importante quest’accezione “ogni uomo”. Non ci sono persone escluse dall’amore di Dio. Non ci sono persone escluse da quest’invito alla conversione per realizzare il regno di Dio. Ogni uomo è destinato a sperimentare la gloria del Signore, l’amore del Signore.
Dirà poi Pietro negli Atti degli Apostoli, ricollegandosi a tutto questo, che Dio gli aveva rivelato che nessun uomo poteva essere considerato immondo, cioè impuro, escluso dall’amore di Dio. Ecco questo è l’annunzio della buona notizia: la parola di Dio si rivolge su Giovanni per un invito a un cambiamento di vita e questo è un messaggio offerto a tutta l’umanità.
Nessuno se ne può sentire escluso.

 

il commento al vangelo

LA VOSTRA LIBERAZIONE E’ VICINA

commento al vangelo della prima domenica d’avvento (29 novembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Lc  21, 25-28, 34-36

[In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli:] «Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina.
State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra.
Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo».

Il vangelo di questa domenica, il 29 novembre, prima domenica di avvento, è una parola di grande incoraggiamento che Gesù dà alla sua comunità. Una comunità piccola, inerme e indifesa che può scoraggiarsi di fronte alle strutture di potere che dominano la società.
Ebbene le parole di Gesù sono un grande incoraggiamento.
Ogni potere hai piedi d’argilla e prima o poi è destinato a crollare. Ma leggiamo e vediamo il significato del vangelo di questa domenica.
E’ il capitolo 21 del vangelo di Luca dai versetti 25 a 36. Dice Gesù: “Vi saranno segni”. Gesù risponde alla domanda che i discepoli gli hanno fatto. Gesù aveva annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme. Perché? Un’istituzione religiosa che adopera il nome di Dio per sfruttare il popolo, per sfruttare i poveri, non ha diritto di esistere. 
Dio comunica vita, non la toglie alle persone. Il Dio di Gesù è un padre che non assorbe le energie degli uomini, ma comunica loro le sue. Ebbene un’istituzione religiosa che invece presenta un Dio che sfrutta gli uomini non ha diritto di esistere. Quindi Gesù ha annunziato la distruzione del tempio di Gerusalemme, immagine di questa istituzione.
Allora i discepoli gli hanno chiesto: “E quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?” Ecco la risposta di Gesù: “Vi saranno segni …” e qui Gesù adopera il linguaggio dei profeti, in particolare cita il profeta Gioele, segni con i quali si annuncia l’arrivo del Signore. Vediamoli. “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle”. Il sole e la luna, nella cultura del tempo, nel mondo pagano, erano degli dei che venivano adorati dai popoli. E le stelle chi sono?
A quel tempo tutti coloro che detenevano un potere si consideravano risiedenti nei cieli; il faraone era un Dio, l’imperatore romano era un Dio o un figlio di Dio. Tutti quelli che detenevano un potere si consideravano come stelle.
Ebbene Gesù assicura che, grazie all’annunzio del vangelo, tutte queste strutture di potere una dopo l’altra verranno a crollare. “E sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti”. E’ il crollo degli imperi che dominavano, però davano sicurezza, ordine. Lo stesso Sant’Agostino quando sente scricchiolare l’impero romano, questa struttura portentosa, dice: “E’ arrivata la fine del mondo”. Non era pensabile concepire un mondo senza la struttura dell’impero romano.
Ebbene gli uomini hanno paura perché quello che sembrava eterno, quello che sembrava stabile, quello che sembrava vero non lo è più. E soprattutto nel campo religioso quello che sembrava sacro in realtà non lo era. E Gesù annunzia: “Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte”. Chi sono queste potenze dei cieli? Nei cieli secondo i vangeli c’è il Padre, c’è Gesù, il figlio dell’Uomo e ci sono gli angeli.
Chi sono quindi questi usurpatori che stanno nei cieli? Sono appunto questi potenti che si arrogano la condizione divina per dominare e sfruttare le persone. Nelle lettere di San Paolo queste potenze dei cieli vanno sotto il nome di “troni, dominazioni, principati, potestà”, tutte immagini legate al potere, al dominio.
Allora “le potenze dei cieli”, quindi questi potenti che detengono il potere, che dominano e sfruttano le persone, “saranno sconvolte”. L’annunzio della buona notizia di Gesù mostrerà il vero Dio e le false divinità perderanno il loro splendore e quei re, quei potenti che appoggiano il loro potere su queste divinità, vedranno la fine del loro dominio.
“Allora vedranno”. E’ interessante che Gesù non dica “vedrete”. Chi sono quelli che vedranno? Questi grandi potenti, nel momento in cui si sfalda e si sbriciola il loro potere, sono loro che nel momento della caduta, vedranno il Figlio dell’uomo. Figlio dell’uomo è un termine con il quale Gesù indica se stesso, l’uomo nella pienezza della condizione divina. “Venire su una nube”, immagine della condizione divina, “con grande potenza”.
Nel momento in cui le potenze saranno sconvolte, si afferma la potenza del Figlio dell’uomo. Con Gesù si inaugura il regno dell’umano e tutto quello che è disumano è destinato a scomparire. “E gloria”. La gloria del Figlio dell’uomo è l’amore incondizionato di Dio per la sua gente.
Ed ecco le parole di grande consolazione, di grande speranza e di grande incoraggiamento. “Quando cominceranno ad accadere queste cose”… queste immagini non devono mettere paura, ma anzi devono mettere allegria. Infatti Gesù aggiunge: “Risollevatevi e alzate il capo”, laddove il capo rappresenta la dignità della persona,” perché la vostra liberazione è vicina”.
Tutti i regimi di potere civili e religiosi che, anziché servire l’uomo lo dominano e lo sfruttano, sono destinati a scomparire. Poi qui ci sono dei versetti che stranamente i liturgisti hanno creduto di omettere, ma sono importanti.
E Gesù disse loro una parabola. “Osservate una pianta di fico e tutti gli alberi. Quando già germogliano capite voi stessi, guardandoli, che ormai l’estate è vicina”. Ed ecco il punto centrale: “Così anche voi, quando vedrete accadere queste cose…”, quindi la fine di Gerusalemme e l’inizio dello sfaldamento di tutti i regimi che dominano le persone, “sappiate che il Regno di Dio è vicino”.
La società alternativa proposta da Gesù, con l’avvento del Regno di Dio diventerà realtà. E anche i pagani saranno ammessi. E poi Gesù mette in guardia con un monito. “Attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita”. Ricorda la parabola che giù Gesù ha già annunziato al capitolo 4, del seme che viene soffocato dalle preoccupazioni economiche che portano l’individuo a centrarsi su se stesso.
Cosa vuole dire Gesù? Se i discepoli si sono integrati nella società ingiusta, quella che deve scomparire, incorreranno nella stessa sorte di questa società. Allora la frase finale di Gesù:  “Vegliate”, cioè vigilate, “in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere, e di comparire davanti al Figlio dell’uomo». Gesù invita a non essere conformi ad una società ingiusta perché questa è destinata a scomparire.

il vangelo della domenica

 

“TU LO DICI: IO SONO RE”

commento al vangelo della trentaquattresima domenica del tempo ordinario (22 novembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 18, 33b-37

[In quel tempo] Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Il vangelo di Giovanni ci presenta il primo interrogatorio di Pilato nei confronti d Gesù. Pilato già conosceva Gesù, aveva contribuito al suo arresto mandando le sue guardie. Leggiamo il vangelo. Pilato allora rientrò nel pretorio, fece chiamare Gesù e gli disse: “Sei tu il re dei Giudei?” La domanda di Pilato sembra esprimere tutta la sua sorpresa perché gli hanno detto che questo Gesù è l’atteso messia, il re dei Giudei, colui che mediante una rivolta avrebbe dovuto buttare via tutto il sistema di potere, avrebbe dovuto cacciare via i romani, ma evidentemente la persona di Gesù non dà l’idea di un bellicoso rivoluzionario per cui Pilato esprime tutta la sua sorpresa. Ebbene Gesù non gli risponde. Gesù, l’imputato, fa lui le domande al giudice che lo deve giudicare. Infatti Gesù rispose: “Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?” Gesù non risponde ma invita Pilato a ragionare con la propria testa. Come già ha fatto con la guardia che lo ha schiaffeggiato – Gesù gli ha detto “Se ho fatto del male dimostrami dov’è il male, se non ho fatto del male perché questa violenza?” – così Gesù cerca di convincere Pilato a ragionare con la propria testa. Ma la domanda di Gesù provoca la reazione furibonda di Pilato che reagì dicendo: “Sono forse io Giudeo?” In questa espressione c’è tutto il disprezzo del procuratore verso questo popolo che lui doveva governare.  Ed ecco la denuncia: “La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?” Sono tutti contro Gesù. Giovanni nel su prologo l’aveva scritto: venne tra i suoi ma i suoi non lo hanno accolto. Ma non solo coloro che detengono il potere – i sommi sacerdoti si può capire perché il messaggio di Gesù toglie il potere perché il Dio di Gesù non è un Dio di potere, ma amore che si mette a servizio degli uomini – ma anche la gente perché sono dominati e questo dominio dell’istituzione religiosa dà loro sicurezza. Quindi sono tutti contro Gesù. Ed ecco la domanda: “Che cosa hai fatto?” Pilato già lo sa perché le autorità gli hanno detto: “Se non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato”. Ed ecco che finalmente Gesù risponde alla prima domanda (Sei il re dei Giudei?), rispose Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo”. Gesù non sta contrapponendo il cielo alla terra, non due mondi differenti, sta dicendo che il suo regno non è di questo mondo, cioè non assomiglia ai sistemi di questo mondo. Questo non significa che il suo regno non sia in questo mondo, quindi Gesù non sta contrapponendo il cielo alla terra. E lo dice. “Se io mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di qui”. Gesù non ha servitori in quanto lui è servitore. Il suo regno è quello dal quale è esclusa ogni forma di potere, di dominio, e quindi di violenza e di sopraffazione. Quindi in regno di Gesù non di questo mondo, è in questo mondo, ma è una società alternativa. Pilato, ancora più sconcertato, gli chiede: “Dunque tu sei re?” Ebbene Gesù tronca questo argomento della regalità che non gli interessa e risponde: “Tu lo dici: io sono re”, cioè “questo è il tuo parere”. Poi Gesù tronca perché non è interessato a parlare della regalità, ma riprende a parlare di quella che è la sua missione. “Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”. Nel discorso con Nicodemo Gesù aveva contrapposto chi fa la verità con chi fa il male. Quindi essere nella verità, fare la verità, significa fare il bene. Se nella propria vita non si mette come valore assoluto il bene dell’uomo e non si orienta la propria vita per procurare questo bene dell’uomo, la voce del Signore non può essere compresa. Si può ascoltare ma senza comprendere. Quindi Gesù non dice: “Chi ascolta la mia voce si mette poi nella verità” ma il contrario. Per ascoltare la voce del Signore bisogna fare una scelta: orientare la propria vita al bene dell’uomo. Naturalmente tutto questo è incomprensibile per Pilato perché rappresenta il potere. Infatti Pilato, come Gesù non è interessato al discorso della regalità, lui non lo è a quello della verità. E chiude dicendo: “Che cos’è verità?”

 

il commento al vangelo della domenica

 

IL FIGLIO DELL’UOMO RADUNERA’ I SUOI ELETTI DAI QUATTRO VENTI

commento al vangel odella domenica trentatreesima del tempo ordinario (15 novembre 2015) di p. Alberto Maggi: 

p. Maggi

Mc 13, 24-32

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Il capitolo 13 del Vangelo di Marco è estremamente complesso. L’evangelista ne è consapevole al punto che al versetto 14 dice “chi legge”, cioè il lettore, “capisca”. Vediamo allora di capire quello che l’evangelista ci trasmette. In quei giorni, dopo quella tribolazione… la tribolazione è stata la distruzione del tempio e di Gerusalemme, che Gesù ha annunziato. E qui Gesù, rifacendosi ai testi dei profeti, in particolare il profeta Isaia, usa il linguaggio profetico della caduta dei regimi oppressori. E dice Gesù: “Il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce”. Il sole e la luna in quella cultura erano divinità adorate dai popoli pagani. Quindi le divinità pagane perdono il loro splendore. Perché? Gesù prima aveva detto: “E’ necessario che il vangelo, la buona notizia, sia proclamata a tutti quanti”. Allora il 1 processo di liberazione che è iniziato con la caduta di Gerusalemme, comincia a dare effetti. L’annuncio della buona notizia con la luce, lo splendore del vero Dio, mette in ombra tutte le false divinità. Ecco gli effetti: “E le stelle cadranno dal cielo”. Cosa si intende per “stelle”? A quell’epoca tutti coloro che detenevano un potere, il re, l’imperatore, il faraone, si consideravano di condizione divina, per cui stavano metaforicamente nei cieli, considerati come stelle. Allora Gesù, attraverso l’evangelista, ci dice che tutti quei regimi, quei potenti, che basano il loro potere su false divinità, dal momento che c’è l’annuncio del vangelo di Gesù, queste false divinità perdono il loro splendore e queste stelle incominciano a cadere una dopo l’altra. Qui il riferimento di Gesù è all’oracolo contro Babilonia del profeta Isaia, dove il profeta contro il re di Babilonia dice: “Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Volevi dire ‘salirò nel cielo’ e invece sarai sprofondato negli inferi”. Quindi l’effetto positivo dell’annunzio della buona notizia di Gesù è che tutte le strutture di potere, ogni regime basato sul potere, cadrà per la liberazione dell’uomo. “E le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”. Nei cieli, secondo l’evangelista, c’è il Padre, il figlio dell’Uomo e gli angeli. Le potenze sono poteri che usurpano la condizione divina, e incominciano ad essere sconvolte. Quindi Gesù assicura: “Allora vedranno”. Gesù non dice “vedrete”, ma “vedranno”. Chi è che vedrà? I potenti che cadono dal loro trono. “Il figlio dell’Uomo venire sulle nubi”. Le nubi indicano la condizione divina. “Con grande potenza e gloria”. Nel momento in cui le potenze sono sconvolte, le stelle incominciano a cadere, si manifesta la potenza e la gloria nel Figlio dell’Uomo. E Gesù aggiunge che “Egli manderà gli angeli”, cioè quanti lo hanno aiutato a realizzare la sua opera, “e radunerà i suoi eletti”. La caduta dei persecutori sarà il trionfo dei perseguitati. “Dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.” Tutto questo per un nuovo inizio. E poi Gesù continua: “Dalla pianta di fico”… Il fico già è apparso in questo vangelo come immagine del tempio, dell’istituzione religiosa che era tutto splendore ma niente frutto, tutto foglie e niente frutto. “Imparate la parabola”. E’ una parabola particolare, potremmo tradurre con “quella parabola”. Ma qual è la parabola? E’ quella che Gesù ha pronunziato contro l’istituzione religiosa, i sommi sacerdoti, è la parabola dei vignaiuoli omicidi ai quali Dio toglierà la vigna. “Quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi”… quindi Gesù si rivolge alla sua comunità … “quando vedrete accadere queste cose, sappiate che è vicino, è alle porte”. Che cosa è vicino? Che cosa è alle porte? Il regno di Dio. Nel momento che cade Gerusalemme e cade il tempio, questo grande ostacolo per andare a predicare la buona notizia anche ai pagani; dal momento che con l’annunzio della buona notizia tutti i poteri che si basano sul dominio, sullo sfruttamento dell’uomo incominciano a cadere, ecco che si inaugura il regno di Dio.  E Gesù rassicura: “In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga”. Sappiamo che la distruzione di Gerusalemme sarà nell’anno 70. La rovina di Gerusalemme permetterà l’entrata dei pagani nel regno di Dio. “Il cielo e la terra passeranno”, cioè tutto passerà, “ma le mie parole non passeranno”. Quindi la certezza assoluta che se la comunità annunzia e vive la buona notizia di Gesù, ogni sistema ingiusto, ogni sistema oppressore cadrà perché tutti i potenti, tutti i regimi hanno i piedi d’argilla e prima o poi sono destinati a cadere. E poi questo brano finisce con un’immagine di grande fiducia. “Quanto però a quel giorno”, è il giorno della morte di Gesù, “o a quell’ora”, l’ora della persecuzione e morte dei suoi discepoli, “nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre”. Cosa ci vuol dire Gesù? Non è importante conoscere il momento, ma sapere che è nelle mani del Padre. Quindi questa pagina si chiude con un invito a fidarsi pienamente dell’azione del Padre. Quindi è una pagina pienamente positiva, certamente non una pagina che tende a mettere paura alle persone, quanto a liberarle e soprattutto è una pagina che incoraggia la piccola comunità dei credenti che si trova impotente di fronte ai grandi regimi che governano il mondo.

 

 

commento al vangelo della domenica

“QUESTA VEDOVA, COSI’ POVERA, HA GETTATO NEL TESORO PIU’ DI TUTTI GLI ALTRI”

 commento al vangelo della domenica trentaduesima del tempo ordinario (8 novembre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi
Mc  12, 38-44

[In quel tempo], Gesù [nel tempio] diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa».
Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete.
Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo.
Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri.
Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere».

Nel tempio di Gerusalemme, dopo aver attaccato la dottrina degli scribi – gli scribi erano i teologi ufficiali, il magistero infallibile dell’istituzione religiosa giudaica – dopo aver attaccato la loro dottrina, Gesù attacca la loro condotta. E’ quanto ci scrive l’evangelista Marco nel capitolo 12 dal versetto 38 al 44.
Vediamo. Diceva loro… Gesù sta insegnando alla folla … nel suo insegnamento. Ecco è importante questa indicazione, è un insegnamento che è sempre valido per le comunità dei credenti. Quella che segue non è tanto una polemica contro un mondo giudaico dal quale la comunità dei credenti si era ormai distaccata, ma un monito – purtroppo inascoltato – perché all’interno della comunità cristiana non rinascano gli stessi perversi atteggiamenti che Gesù denuncia.
Nel suo insegnamento Gesù diceva: “Guardatevi…” Guardatevi significa state attenti, state in guardia. E’ strano, Gesù mai invita a stare in guardia dai peccatori, dai miscredenti, ma sempre dalle persone religiose. Sono queste pericolose per la fede delle persone.
E da chi mette in guardia Gesù? Dagli scribi. La loro parola era considerata come avente lo stesso valore della parola di Dio, le massime autorità religiose. Ebbene Gesù dice: “State in guardia da questi tipi, da questi individui”. E poi Gesù offre tre indicazioni per saperli riconoscere, in modo che questo resti valido per le comunità di tutti i tempi.
La prima: amano passeggiare in lunghe vesti. Sono persone che sono nulla. Hanno il vuoto dentro, ma allora mascherano questo loro nulla, questo loro vuoto con addobbi, indumenti, paramenti religiosi per coprire la nullità che sono.
Gesù aggiunge “Ricevere i saluti nelle piazze” che significa essere ossequiati, riveriti, essere riconosciuti per il loro grado religioso, “avere i primi seggi nelle sinagoghe”. Nelle sinagoghe il primo seggio era quello più lontano dal popolo, e soprattutto era in alto, una posizione dalla quale controllare soprattutto dominare la popolazione con la loro dottrina. E, quando c’è da stare con la gente si prendono le distanze, stanno lontano e in alto, quando c’è da mangiare sono ai primi posti, infatti “i primi posti nei banchetti”, dice Gesù, cioè quelli più vicini al padrone di casa, dove si viene serviti prima e nutriti meglio.
E poi ecco l’accusa, “Divorano”, cioè spogliano, “le case delle vedove”. Per vedova si indica tutti coloro che non hanno un uomo che le protegga, le persone bisognose. Anziché comunicare vita alle persone più bisognose, loro le spogliano, quindi comunicano morte.
Attenti a queste persone che, anche se apparentemente, con tutti i loro paramenti, abiti religiosi, distintivi, sembrano indicare una vicinanza al Signore, il Dio della vita, in realtà sono agenti di morte. E l’unica volta che Gesù condanna delle persone lo fa con queste autorità religiose. Gesù continua: “Essi riceveranno una condanna più severa”.
Qual è la condanna? Che Gesù toglierà la vigna che Dio aveva loro affidato, cioè toglierà il popolo dalle loro grinfie, dalla loro avidità. E poi l’evangelista ci presenta un Gesù che spiega quello che ha anticipato verbalmente. Seduto di fronte al tesoro, che è in vero Dio del tempio, il luogo dove venivano poste le offerte, il vero Dio adorato dagli scribi, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte.
I ricchi sostengono un’istituzione che non denuncia l’ingiustizia della ricchezza, ma addirittura l’appoggia. Quindi i ricchi sostengono un sistema del genere. Ma, venuta una vedova povera … per comprendere quello che segue dobbiamo sapere che, secondo il libro del Deuteronomio, nel capitolo 14, dal versetto 28, leggiamo che con i proventi del tempio bisognava mantenere le vedove e gli orfani, cioè le persone che più avevano bisogno.
Qui adesso vedremo che succede il contrario, sono stati gli scribi che, nella loro avidità, fanno sì che siano le vedove a mantenere questo tempio, questa sanguisuga che è il tesoro del tempio contrabbandato come luogo della presenza di Dio.
Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo, le monete minime, di infimo valore. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli… Gesù i suoi discepoli li deve sempre chiamare, sono lontani. Non è tanto una distanza fisica, quanto spirituale. E disse loro: “In verità … “ Se prima l’evangelista ha parlato di insegnamento, ora mette la parola “verità”, quindi sono insegnamenti che sono validi per sempre anche per la comunità cristiana.
E Gesù non fa un elogio della vedova, ma piange questa vittima dell’istituzione religiosa, dell’avarizia, della cupidigia dell’autorità religiosa, che sfrutta il popolo per i propri interessi. Certo non lo dà a vedere, sono furbi, sembra che tutto si faccia a gloria di Dio, in realtà si fa soltanto per la sua pancia.
“In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere”, cioè la sua vita intera.
La donna, la vedova, è immagine del popolo sfruttato in nome di Dio. Quindi non è una lode, ma un lamento. Poi, non c’è nel brano liturgico, ma bisogna leggerlo per completarlo. Poi uno dei discepoli attira l’attenzione di Gesù sulla magnificenza del tempio e dice: “Maestro, guarda che splendide pietre, che splendide costruzioni”. E poi la sentenza di Gesù: “Un’istituzione che sfrutta i poveri per il proprio interesse, un’istituzione che, anziché comunicare vita la toglie, non ha diritto di esistere”.
Ed ecco le parole di Gesù: “Non rimarrà qui pietra su pietra che non sia distrutta”.

fare memoria dei morti: il 2 novembre

Bianchi

 

memoria dei morti

2 novembre

commento di E. Bianchi

Con questa memoria, siamo al cuore dell’autunno: gli alberi si spogliano delle foglie, le nebbie mattutine indugiano a dissolversi, il giorno si accorcia e la luce perde la sua intensità. Eppure ci sono lembi di terra, i cimiteri, che paiono prati primaverili in fiore, animati nella penombra da un crepitare di lucciole. Sì, perché da secoli gli abitanti delle nostre terre, finita la stagione dei frutti, seminato il grano destinato a rinascere in primavera, hanno voluto che in questi primi giorni di novembre si ricordassero i morti.

Sono stati i celti a collocare in questo tempo dell’anno la memoria dei morti, memoria che poi la chiesa ha cristianizzato, rendendola una delle ricorrenze più vissute e partecipate, non solo nei secoli passati e nelle campagne, ma ancora oggi e nelle città più anonime, nonostante la cultura dominante tenda a rimuovere la morte. Nell’accogliere questa memoria, questa risposta umana alla “grande domanda” posta a ogni uomo, la chiesa l’ha proiettata nella luce della fede pasquale che canta la resurrezione di Gesù Cristo da morte, e per questo ha voluto farla precedere dalla festa di tutti i santi, quasi a indicare che i santi trascinano con sé i morti, li prendono per mano per ricordare a noi tutti che non ci si salva da soli. Ed è al tramonto della festa di tutti i santi che i cristiani non solo ricordano i morti, ma si recano al cimitero per visitarli, come a incontrarli e a manifestare l’affetto per loro coprendo di fiori le loro tombe: un affetto che in questa circostanza diventa capace anche di assumere il male che si è potuto leggere nella vita dei propri cari e di avvolgerlo in una grande compassione che abbraccia le proprie e le altrui ombre. Per molti di noi là sotto terra ci sono le nostre radici, il padre, la madre, quanti ci hanno preceduti e ci hanno trasmesso la vita, la fede cristiana e quell’eredità culturale, quel tessuto di valori su cui, pur tra molte contraddizioni, cerchiamo di fondare il nostro vivere quotidiano.

Questa memoria dei morti è per i cristiani una grande celebrazione della resurrezione: quello che è stato confessato, creduto e cantato nella celebrazione delle singole esequie, viene riproposto qui, in un unico giorno, per tutti i morti. La morte non è più l’ultima realtà per gli uomini, e quanti sono già morti, andando verso Cristo, non sono da lui respinti ma vengono risuscitati per la vita eterna, la vita per sempre con lui, il Risorto-Vivente. Sì, c’è questa parola di Gesù, questa sua promessa nel Vangelo di Giovanni che oggi dobbiamo ripetere nel cuore per vincere ogni tristezza e ogni timore: “Chi viene a me, io non lo respingerò!” (cf. Gv 6,37ss.). Il cristiano è colui che va al Figlio ogni giorno, anche se la sua vita è contraddetta dal peccato e dalle cadute, è colui che si allontana e ritorna, che cade e si rialza, che riprende con fiducia il cammino di sequela. E Gesù non lo respinge, anzi, abbracciandolo nel suo amore gli dona la remissione dei peccati e lo conduce definitivamente alla vita eterna.

La morte è un passaggio, una pasqua, un esodo da questo mondo al Padre: per i credenti essa non è più enigma ma mistero perché inscritta una volta per tutte nella morte di Gesù, il Figlio di Dio che ha saputo fare di essa in modo autentico e totale un atto di offerta al Padre. Il cristiano, che per vocazione con-muore con Cristo (cf. Rm 6,8) ed è con Cristo con-sepolto nella sua morte, proprio quando muore porta a pienezza la sua obbedienza di creatura e in Cristo è trasfigurato, risuscitato dalle energie di vita eterna dello Spirito santo.

E’ in questa consapevolezza, in questa visione che deriva dalla sola fede, che la morte finisce per apparire “sorella”, per trasfigurarsi in un atto in cui si riconsegna a Dio, per amore e nella libertà, quello che lui stesso ci ha donato: la vita e la comunione. Per questo la chiesa della terra, ricordando i fedeli defunti, si unisce alla chiesa del cielo e in una grande intercessione invoca misericordia per chi è morto e sta davanti a Dio in giudizio per rendere conto di tutte le sue opere (cf. Ap 20,12).

Certo, nel ricordo di chi vive ci sono anche i morti la cui vita è stata segnata dal male, dai vizi, dalla cattiveria, dall’errore; ma c’è come un’urgenza, un istinto del cuore che chiede di onorare tutti i morti, di pensarli in questo giorno come all’ombra dei beati, sperando che “tutti siano salvati”.

La preghiera per i morti è un atto di autentica intercessione, di amore e carità per chi ha raggiunto la patria celeste; è un atto dovuto a chi muore perché la solidarietà con lui non dev’essere interrotta ma vissuta ancora come communio sanctorum, “comunione dei santi”, cioè di poveri uomini e donne perdonati da Dio: è il modo per eccellenza per entrare nella preghiera di Gesù Cristo: “Padre, che nessuno si perda… che tutti siano uno!”.

 
 

il commento al vangelo della domenica

 

solennità di TUTTI I SANTI – 1 novembre 2015

RALLEGRATEVI ED ESULTATE, PERCHE’ GRANDE E’ LA VOSTRA RICOMPENSA NEI CIELI

commento al vangelo di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mt 5,1-12

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

La nuova relazione d’amore tra Dio e il suo popolo ha bisogno di una nuova alleanza. E’ quanto ci presenta Matteo nel suo vangelo al capitolo 5 con le beatitudini di Gesù. L’evangelista presenta Gesù collocato su “il” monte. L’articolo determinativo indica che no né un monte qualunque, ma il monte già conosciuto. Vuole rappresentare il monte Sinai dove Mosè ricevette da Dio l’alleanza con il popolo di Israele. 1 Ebbene ora Gesù non riceve da Dio, ma lui – che è Dio e l’evangelista lo ha presentato come “il Dio con noi” – propone una nuova alleanza con il popolo. Mosè, il servo del Signore, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore basata sull’obbedienza. Gesù, che non è il servo del Signore, ma il figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro padre basata sull’accoglienza e la pratica del suo amore. E poi Gesù apre bocca ed elenca le beatitudini. L’evangelista ha curato in maniera particolare questo testo, sia per il numero delle beatitudini che sono otto. Perché otto? Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana, cioè l’ottavo giorno e questo nel cristianesimo primitivo, questa cifra “otto” ha sempre indicato la vita capace di superare la morte. Il numero otto era il numero della risurrezione. Allora l’evangelista, che ha in mente il decalogo di Mosè, presenta l’alternativa delle beatitudini. Mentre l’accoglienza e la pratica del decalogo garantiva lunga vita in questa terra, l’accoglienza e la pratica delle beatitudini garantisce una vita talmente forte, talmente potente che non sarà interrotta neanche dalla morte. Ma non solo, l’evangelista addirittura calcola con quante parole, secondo lo stile letterario del tempo, comporre il suo scritto. Ebbene sono esattamente 72. Perché proprio 72? Perché secondo il libro del Genesi era il numero delle nazioni pagane conosciute. Mentre il decalogo era esclusivo per il popolo di Israele, le beatitudini sono per tutta l’umanità. Poi il decalogo si apriva con l’affermazione, la rivendicazione di Dio quale unico Signore del suo popolo, ecco perché la prima delle beatitudini non è uguale alle altre, ha il verbo al presente. E’ la scelta del Padre come unico Dio. Nel decalogo poi si proseguiva con tre comandamenti, che erano esclusivi del popolo di Israele, ed erano gli obblighi assoluti nei confronti di Dio. Nelle beatitudini non ci sono obblighi nei confronti di Dio, perché Gesù è il Dio con noi, Dio si è fatto uomo e c’è da andare con lui e come lui verso l’umanità. Ecco allora che al primo posto vengono elencate situazioni di sofferenza dell’umanità con la possibilità di soluzione e d’aiuto da parte di Dio e del suo popolo. Nel decalogo si continuava con sette comandamenti nei confronti degli uomini, ebbene nelle beatitudini non ci sono questi doveri nei confronti egli uomini, che sono già stati espressi, ma l’azione di Dio nella comunità che accoglie le beatitudini. E allora, accogliendo le beatitudini, sarà una fioritura di atteggiamenti diversi che emergeranno non come qualità di qualcuno, ma come atteggiamenti riconoscibili da parte di coloro che, mediante l’accoglienza delle beatitudini, saranno a loro volta misericordiosi come il Padre è misericordioso, saranno puri di cuore, saranno costruttori di pace. E, infine, l’ultima beatitudine, che ha il verbo al presente come la prima, l’accoglienza e la fedeltà alle beatitudini non porterà al plauso delle persone, ma porterà alla persecuzione. Ma come la scelta della prima beatitudine, quella della povertà, cioè la decisione di condividere gioiosamente e liberamente con gli altri, non comporta effetti negativi perché Dio si prende cura di queste persone, così ugualmente l’ultima beatitudine, quella della persecuzione, è attenuata dal fatto che Dio si prende cura di costoro. 2 La beatitudine iniziale si riallaccia all’ultimo dei comandamenti. L’ultimo dei comandamenti qual era? Non desiderare le cose degli altri. La prima beatitudine è “desidera che gli altri abbiano le tue stesse cose”.

Questa è la novità del regno che Gesù è venuto a proporre.

In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli».

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