il commento al vangelo della domenica

“RABBUNI’ CHE IO VEDA DI NUOVO”

  commento al Vangelo della trentesima domenica del tempo ordinario (25 ottobre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mc  10, 46-52

[In quel tempo], mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.
Gesù ha rimproverato i suoi discepoli usando un’espressione tratta dal profeta Geremia, dove il Signore dice: “Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite”.

Stiamo trattando il vangelo di Marco e l’evangelista presenta la questione di avere orecchie e non udire con il terzo annuncio della passione. Nonostante Gesù avesse indicato chiaramente che a Gerusalemme sarebbe stato ammazzato, due discepoli, Giacomo e Giovanni, gli chiedono i posti più importanti. Quindi hanno le orecchie ma non ascoltano Gesù.
Nell’episodio che segue, siamo al capitolo 10 di Marco, dal versetto 46, viene illustrata la cecità di questi discepoli. Vediamo l’evangelista.
E giunsero a Gerico .. Gerico è la prima città conquistata da Giosuè all’ingresso della terra promessa e ora è diventata una terra di oppressione, dalla quale bisogna uscire.
Mentre partiva da Gerico … l’evangelista per indicare la partenza adopera un verbo tecnico che si adopera nel libro dell’Esodo, quindi la terra promessa si è trasformata ormai in terra di schiavitù dalla quale bisogna allontanarsi. Insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo. Ecco c’è  uno strano personaggio che viene presentato prima con il termine greco “il figlio di Timeo”, e poi con Bartimeo, che non è il nome del figlio di Timeo, ma bar-Timeo significa “il figlio di Timeo” in aramaico.
E’ strana questa doppia presentazione di un individuo il figlio di Timeo, Bartimeo. Timeo in greco significa “onore”, potremmo quindi tradurre con l’ “onorato”. Perché questo? L’evangelista vuole raffigurare attraverso questo individuo i due discepoli Giacomo e Giovanni, che non solo sono sordi, ma sono anche ciechi.
Gesù, dopo il fallimento della sua predicazione nella sinagoga di Nazareth aveva detto: “Un profeta non è disonorato se non nella sua patria”. Ebbene mentre Gesù è disonorato i suoi discepoli cercano l’onore. Allora il figlio di Timeo, Bartimeo, viene ripetuto due volte perché l’evangelista vuole confermare che sta trattando di Giacomo e Giovanni, che erano chiamati anche “i figli di Zebedeo”.
Che era cieco. Ecco la denuncia tratta dal profeta Geremia “Avete occhi e non vedete”. L’espressione sedeva lungo la strada è apparsa già al capitolo 4 al versetto 15 nella parabola del seme gettato lungo la strada, e arrivano gli uccelli, immagine del satana, del potere, che lo mangiano. Quindi incomprensione del messaggio di Gesù.
A mendicare. Sentendo che era Gesù il Nazareno … Il Nazareno significa colui che proviene dalla regione dei rivoluzionari, cominciò a gridare. Grida esattamente come il posseduto nella sinagoga: “Gesù figlio di Davide, abbi pietà di me!” Ecco il motivo della sua cecità: non vede Gesù il figlio di Dio, colui che per amore viene a dare vita al mondo, ma vede Gesù il figlio di Davide, colui che, attraverso la violenza, la morte, la distruzione, conquistò il potere, inaugurò il regno di Israele.
Ecco il motivo della cecità. I discepoli accompagnano Gesù ma non lo seguono perché hanno nella loro testa l’immagine di un messia trionfatore, appunto il figlio di Davide. Molti lo rimproveravano… sono i veri seguitori di Gesù, che vogliono liberare questi discepoli da questa mentalità, perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di Davide, abbi pietà di me!” E qui addirittura scompare il nome Gesù. Figlio di Davide è colui che doveva restaurare la monarchia.
Gesù si fermò. Gesù non va verso il cielo, ma deve essere il cieco ad andare verso Gesù. Gesù si fermò e dise: “Chiamatelo!” Il verbo chiamare appare per ben tre volte, il che nel linguaggio ebraico significa “completamente”. Chiamare si chiama qualcuno che è lontano, sono questi discepoli che accompagnano Gesù ma gli sono lontani, non lo seguono.
Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Alzati, ti chiama!” Egli, gettando via il suo mantello .. il mantello nel linguaggio simbolico indica la persona, quindi gettare via il mantello significa rompere finalmente con questa ideologia del figlio di Davide, è la sua conversione. Balzò in piedi e venne da Gesù. Gesù non è andato dal cieco, è il cieco che deve andare da Gesù e, andando da Gesù, riacquista la vista.
Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” Per far comprendere che in questo episodio l’evangelista sta narrando di Giacomo e Giovanni, in bocca a Gesù mette le stesse parole e la stessa domanda che aveva rivolto ai due discepoli, “che cosa volete che io vi faccia”.
Questa volta “che cosa vuoi che io faccia per te”. E il cieco gli rispose… finalmente non lo chiama più figlio di Davide, ma Rabbunì, espressione che si adoperava nei confronti della divinità. “Rabbunì che io veda di nuovo!” Non era sempre stato cieco, c’è stato evidentemente un periodo nella sua vita in cui vedeva, poi ha perso la vista perché gli è stata tolta da una ideologia contraria al progetto di Dio sull’umanità.
E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Gesù non ha compiuto nessuna azione nei confronti del cieco. E’ stato il cieco che ha abbandonato la sua vecchia posizione, si è convertito, ed è andato verso Gesù. E subito vide di nuovo, quindi una volta ci vedeva, e finalmente, ecco il verbo tecnico della sequela di Gesù, lo seguiva nella strada, la strada che porterà poi alla passione a Gerusalemme.

 

 

 

 




il commento al vangelo della domenica

IL FIGLIO DELL’UOMO E’ VENUTO PER DARE LA PROPRIA VITA IN RISCATTO PER MOLTI

commento al vangelo della ventinovesima domenica del tempo ordinario (18 ottobre 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Mc  10, 35-45

[In quel tempo], si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole  diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Il nemico di Dio secondo i vangeli non è tanto il peccato, da cui il Signore può liberare, ma il potere. Mentre Dio è amore che si mette a servizio degli uomini, il potere è un dominio che li sottomette. E’ quanto emerge in questo brano del vangelo, il capitolo 10 di Marco dal versetto 35 al 45. C’è stato il terzo, cioè il definitivo annunzio della morte e passione di Gesù a Gerusalemme.
Ma i discepoli sono sordi e ciechi. Animati dall’ambizione e dalla vanità non comprendono le parole di Gesù. Scrive l’evangelista, Si avvicinarono a Gesù … il fatto che gli si avvicinano significa che questi discepoli sono lontani, lo accompagnano ma non sono capaci di seguirlo.
Giacomo e Giovanni, ecco sono i due discepoli definiti “i figli del tuono”, autoritari, i figli di Zebedeo, dicendogli: “Maestro …”, Maestro significa uno da cui si apprende, ma loro non lo ascoltano perché non lo seguono. “Vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo”. Dopo il secondo annunzio della passione Gesù aveva detto: “Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”.
Ebbene qui questi discepoli vogliono farsi primi senza essere ultimi. “Che cosa volete che io faccia per voi?” Gli risposero: “Concedici di sedere, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra”.
Pensano che Gesù vada a Gerusalemme, conquisti il potere e vogliono i posti d’onore, i posti più importanti, uno a destra e uno a sinistra per governare insieme a lui. Quindi non hanno compreso assolutamente nulla di quello che Gesù per la terza e definitiva volta ha annunziato. Ed ecco la risposta di Gesù: “Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo…” il calice è immagine della sorte, della morte che Gesù affronterà. “Ed essere battezzati …” e qui diverse volte si usa il verbo battezzare che non ha naturalmente il significato sacramentale che poi prenderà, ma significa “essere immersi” quindi con questo significato si comprende meglio. “Ed essere immersi nell’immersione in cui io sono immerso”.
Quindi Gesù viene travolto dagli avvenimenti, proprio come un’immersione che lo travolge. Con tanta presunzione, gli risposero: “Lo possiamo”. Di fatto, scriverà poi l’evangelista, che tutti i discepoli al momento della prova, al momento dell’immersione del battesimo, fuggiranno.
E Gesù disse loro: “Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati”, quindi anche loro andranno incontro alla persecuzione e alla morte, ma “sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato”.
Chi sono coloro per cui è stato preparato? Coloro che al momento della prova saranno capaci di seguirlo. E tra questi non ci sono questi discepoli. Coloro che sono capaci di caricarsi la croce e seguire Gesù. La richiesta dei due discepoli provoca lo sdegno degli altri dieci. Scrive Marco: “Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni”. Non è che si scandalizzano, è che hanno tutti quanti la stessa aspirazione di essere i primi, i più importanti. Allora si arrabbiano con questi due discepoli, loro compagni, che li hanno preceduti.
Il fatto che l’evangelista ricordi il numero dieci allude al grande scisma che portò poi alla fine di Israele quando alla morte di Salomone il figlio Roboamo, di fronte ai capi delle tribù che gli chiedevano di essere meglio del padre, rispose con tracotanza e prepotenza e da quel momento dieci tribù abbandonarono il regno di Israele che restò soltanto con due tribù. Quindi fu lo scisma e la rovina della popolazione.
E quindi l’evangelista allude al fatto che l’ambizione, la vanità che causano la divisione nella comunità cristiana, possono portarla alla rovina. Allora Gesù li chiamò a sé … se li chiama è perché sono lontani … e disse loro: “voi sapete che coloro i quali sono considerati”… sono considerati non è detto che lo siano … “ … i governanti delle nazioni dominano su di esse”. Gesù ha una brutta immagine dei capi, sono dei tiranni. “E i loro capi le opprimono”, spadroneggiano su di loro. E per tre volte Gesù dirà: “Tra voi però non è così”. Nessuna imitazione delle strutture di potere vigente all’interno della società è possibile all’interno della comunità cristiana. Al suo interno non esistono dinamiche di potere, dove c’è chi comanda e chi obbedisce, ma dinamiche familiari dove gli uni vivono per il bene e la felicità degli altri.
Allora Gesù per tre volte lo sottolinea “Tra voi però non è così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”, il servitore è colui che liberamente e volontariamente, per amore, si mette a servizio degli altri. E Gesù non esclude la possibilità di essere primi. Dice: “E chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”, cioè al livello più infimo della società. Perché questo? Perché Gesù è il figlio di Dio, Dio lui stesso, e Dio è amore che si mette a servizio degli uomini.
E Gesù lo conferma dicendo: “Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”, cioè in liberazione per molti. Con Gesù Dio non chiede di essere servito ma si mette a servizio degli uomini. Quanti vogliono essere in comunione con questo Dio devono avere come distintivo il servizio liberamente esercitato per amore.

tra voi però non è così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore

il commento di p. Agostino dall’ ‘inferno’ di una situazione di violenza istituzionale, di repressione di diritti, di disumanizzazione in nome di norme fissate per tutelare sempre noi stessi

agostino

Abbassarsi, farsi piccoli. Per noi discepoli di Gesù dovrebbe essere la “strada maestra”, non dico scontata, non lo è per nessuno, quella di accettare anche la logica della “sconfitta” per amore.      E’ impegnativo per tutti, perché sappiamo bene quanto è innato in ognuno di noi il desiderio di primeggiare, di vincere, del riconoscimento, dell’ebbrezza del successo, del potere.  Questo non solo nelle sfere alte, ma anche nei contesti normali della vita: famiglia, lavoro, scuola, società, associazionismo, volontariato, chiesa, comunità religiose. Nessuno spazio umano è immune da questa tentazione. Per noi cristiani, però la logica del Vangelo è l’antidoto perché il nostro servizio sia almeno più sano, attento..dovremmo avere gli anticorpi in grado di capire e seguire lo Spirito del “servitore”.

Due settimane fa circa, un rappresentante dei Centri Sociali di Pisa (ateo dichiarato), mi ha rispolverato una bella lezione, come un flash che mi illumina questa pagina del Vangelo di oggi. 

Eravamo insieme quei giorni dello sgombero del campo della Bigattiera, giorni intensi e turbolenti, cupi, a volte con tensioni come è facile immaginare, di forte sofferenza perché decine di famiglie Rom rischiavano di finire in strada, senza un tetto sicuro. Abbiamo toccato con mano l’arroganza di chi amministra: “ i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono.”
I Rom, gli amici dei Centri Sociali, tutti eravamo più o meno consapevoli che sarebbe stato molto difficile riuscire a bloccare o rimandare lo sgombero, ma ciò non ha impedito di tentare l’impossibile, eravamo appesi tutti ad un fragile filo di speranza. Ma lo sgombero, alla fine è arrivato.
A fine giornata il commento di questo mio amico è stato: “ Stare dalla parte dei Rom significa accettare di essere perdenti.” Che sintesi perfetta dei Vangeli di questi domeniche.
Noi credenti accettiamo di stare con i perdenti?
Ho apprezzato la presenza di questi giovani dei Centri Sociali, discreta a fianco dei Rom, silenziosa e attenta. Chi cercava di intercedere o mediare con le Forze dell’Ordine, chi intratteneva i bambini con dei giochi, mentre le ruspe (targate PD) demolivano le loro povere baracche e roulotte..sì, una presenza “perdente ed inefficace” ma quanta “simpatia”. Una mamma Rom piangeva davanti la sua baracca, in attesa della sua demolizione e l’abbraccio silenzioso di una ragazza di un centro sociale, non credo solo per consolarla, mi ha commosso quell’abbraccio nella medesima sconfitta: il tuo dolore è anche il mio, siamo sconfitti insieme!
“Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza.” (1° lettura di Isaia).
Oggi sono tanti i gruppi ecclesiali che propongono e organizzano conferenze, convegni, dibattiti sui temi che papa Francesco affronta con la sua semplicità francescana e con coraggio: sui poveri, sui migranti, sulle periferie, sulla Chiesa in uscita, sulla Pace.. ma nessuno era presente in quei giorni di timore e di sgombero. Perché? Nessuna presenza di Chiesa, neanche di quella cosi detta “impegnata”. I Rom soli con i ragazzi dei Centri Sociali e con soli due esponenti politici locali che hanno tentato anche loro di impedire lo sgombero di queste famiglie con tantissimi bambini.
Da anni, anche con altri amici, riflettiamo su questo silenzio, sulla distanza che ancora c’è tra la Chiesa e il mondo dei Rom. Le ragioni possono essere differenti e molteplici, e in gran parte anche vere, ma ce n’è una riconducibile al Vangelo di questa domenica: temiamo di apparire perdenti! I discepoli stanno con Gesù, ma lo seguono a distanza perché hanno timore di perdere il loro onore, la Croce è una minaccia troppo vergognosa e deludente.
Gesù chiede l’abbassamento, i discepoli vogliono essere innalzati, cercano il piedistallo a fianco del Padre..noi oggi non siamo così sfacciati, ci siamo fatti un po’ più furbi: sì, stiamo con i deboli (gli scarti della società, i poveri, i migranti..), ma da forti. Accettiamo di soccorrerli, di aiutarli a condizione che imparino la nostra lezione, che cambino secondo quel copione che i “capi” ci mettono in mano e che poi pone noi sul piedistallo dei buoni e dei bravi.
Gesù invece insegna ai suoi di non aver paura di stare con i perdenti, di non preoccuparsi di perdere la faccia, ma di credere e abbracciare (anche se ci tremano a volte le ginocchia) che il suo Vangelo è veramente un annuncio di vita nuova..ma vista con gli occhi dei perdenti.

 




il commento al vangelo

VENDI QUELLO CHE HAI E SEGUIMI  

commento al della ventottesima domenica del tempo ordinario (11 ottobre 2015) di p. Alberto Maggi

 

p. Maggi
Mc  10, 17-30

[In quel tempo], mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”».
Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».
Pietro allora prese a dirgli: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà».

Per la comprensione del brano evangelico dobbiamo lasciarci guidare da quelle chiavi di lettura, cioè dai termini che l’evangelista mette nel suo racconto per indicare quello che lui vuole esprimere. Come in questo brano, il capitolo 10 del vangelo di Marco, dal versetto 17 al 30.
L’evangelista scrive: Mentre andava per la strada. Ecco la prima indicazione. “Lungo la strada” è il luogo della semina infruttuosa, dove il seme è stato gettato per terra, ma subito sono venuti gli uccelli. Quindi
l’evangelista ci mette in guardia sul fatto che questo brano sarà all’insegna della semina infruttuosa, la parola non verrà accolta.
Un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio…  ecco sono altri due elementi importanti. Finora è corso incontro a Gesù l’indemoniato, cioè una persona posseduta da qualcosa di più forte di lui che lo tiene prigioniero e si è gettato in ginocchio presso Gesù il lebbroso, cioè la persona impura che si riteneva esclusa da Dio.
Quindi l’evangelista ci sta dicendo che questo tale è più posseduto di un indemoniato e più impuro di un lebbroso. La preoccupazione di questo tale – che è anonimo quindi significa che è un personaggio rappresentativo – è cosa deve fare per ottenere la vita eterna.
Ebbene Gesù gli risponde quasi in maniera seccata, perché lui è venuto ad inaugurare il regno di Dio, una società alternativa, non è venuto a dare indicazioni per la vita eterna. Comunque Gesù lo rimanda a Dio e ai comandamenti e qui Gesù elimina i tre che erano esclusivi di Israele, i comandamenti più importanti, gli obblighi nei confronti di Dio e gli elenca soltanto cinque comandamenti più un precetto che riguardano il comportamento verso gli altri.
Per la vita eterna non importa come e quello che si è creduto, ma importa come si sono amati i fratelli. E Gesù glieli elenca. “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso…”, e qui Gesù inserisce Non frodare che era un precetto e non un comandamento. Perché Gesù lo mette tra i comandamenti, dandogli valore di comandamento?
E’ un brano preso dal libro del Deuteronomio dove si chiede di non imbrogliare i lavoratori, i dipendenti. Allora Gesù insinua che alla base di ogni ricchezza – perché vedremo che questo tale è molto ricco – c’è sempre la frode e l’imbroglio. E poi “Onora il padre e la madre”.
L’individuo afferma di aver fatto tutte queste cose fin dalla giovinezza. Il testo greco fa vedere  che l’individuo si riempie la bocca, fiero, orgoglioso di tutto questo … In greco tutte queste cose si dice Tauta panta. È un’espressione che riempie la bocca.
Allora Gesù lo fissò, lo amò e gli disse: “Uno ti manca”. Traduco letteralmente il testo, non è una cosa sola ti manca, cioè a dire “hai fatto tanto metti anche questo”. No. “Uno ti manca” era un’espressione per indicare “Ti manca tutto”. Tanta osservanza dei comandamenti, tante osservanze religiose, eppure ti hanno reso un individuo – come abbiamo visto – angosciato, preoccupato.
Allora Gesù, che lo ama, gli chiede di essere felici facendo felici gli altri. E’ andato da Gesù per avere di più, per avere un consiglio per la sua vita spirituale e Gesù lo invita a dare di più. E infatti gli dice: “Va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri…”, cioè fai felice per essere felice, “ e avrai un tesoro in cielo”, cioè in Dio.
“E vieni! Seguimi!” Non ha portato bene a questo individuo incontrare Gesù. Infatti a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato … e la conclusione dell’evangelista … possedeva infatti molti beni. Ecco perché all’inizio ha presentato l’individuo che corre come un indemoniato e si inginocchia
come un impuro. Costui credeva di possedere i propri beni, in realtà ne era posseduto. E il possesso di questi beni, l’egoismo che nasce lo chiudeva alla comunicazione con Dio.
La sua condizione è più grave del lebbroso che Gesù ha purificato e più grave anche dell’indemoniato che Gesù ha liberato. Allora Gesù ora si rivolge ai suoi discepoli ed esclude tassativamente che nella sua comunità ci possa entrare un ricco perché nella comunità del Regno c’è posto per i signori ma non per i ricchi. Qual è la differenza?
Il signore è colui che dà, condivide con gli altri; il ricco è colui che ha e trattiene per sé.
E Gesù appunto spiega quanto è difficile per quelli che possiedono ricchezze entrare nel regno di Dio. Questa dichiarazione di Gesù crea sconcerto tra i discepoli. Contenti che finalmente nel suo gruppo entrava un benestante, un ricco che poteva provvedere al sostentamento di questo gruppo di discepoli che aveva lasciato tutto per seguire Gesù, Gesù invece lascia che se ne vada.
Dicevano tra di loro: “E chi potrà essere salvato?” Non si tratta della salvezza eterna, il verbo indica sostentare, sopravvivere, sfuggire ad un pericolo, cioè “Come andiamo avanti se tu uno che ha i soldi non lo vuoi qui con noi?”
E Gesù dice che è impossibile agli uomini ma non a Dio. Gli uomini pensano che la sicurezza stia nell’accumulo, per Gesù la sicurezza, la felicità, stanno nel condividere con gli altri. E allora reagisce il discepolo Pietro, che, con aria di sfida, dice: “Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. E qui Gesù gli risponde elencando una serie di sette impedimenti che, se ostacolano il seguire Gesù e la pienezza della felicità, devono essere eliminati. Per questo afferma: “Non c’è nessuno che abbia abbandonato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo … “, alla minima rinuncia corrisponde la piena abbondanza, “… cento volte tanto.”
Il numero cento indica la benedizione… “in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e la vita eterna nel tempo che verrà”. E’ la vita eterna che viene ereditata, non si ottiene per i propri sforzi, ma è un regalo da parte di Dio. Poi c’è un ultimo versetto, che è importante ma non c’è nel testo liturgico.
“Ma tutti anche se primi devono essere ultimi e questi ultimi saranno primi”. Gesù ha incontrato uno che nella società è considerato un primo e lo invita a farsi ultimo in modo che gli ultimi possano sentirsi primi.

 




il commento al vangelo della domenica

L’UOMO NON DIVIDA QUELLO CHE DIO HA CONGIUNTO 

commento al Vangelo della ventisettesima domenica del tempo ordinario (4 ottobre 2015 di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mc  10, 2-16

[In quel tempo] alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?».
Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso». E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Ogniqualvolta Gesù annunzia il suo messaggio, la buona notizia di Dio, cioè il suo amore per tutta l’umanità, ecco che nel vangelo di Marco spuntano sempre i nemici di questo messaggio. E non sono i peccatori, ma sono proprio le persone pie, i zelanti custodi della legge, i farisei.
Vediamo cosa ci scrive l’evangelista Marco. Alcuni farisei, quindi queste persone che mettevano in pratica tutti i precetti e le osservanze della legge, si avvicinarono e, per tentarlo … il verbo tentare è apparso la prima volta all’inizio del vangelo quale azione del Satana, del diavolo, poi l’evangelista lo attribuisce sempre ai farisei. Come mai queste persone che erano ritenute sante, i santoni dell’epoca, ammirati per le loro osservanze, invece per l’evangelista e per Gesù sono soltanto strumenti del diavolo? Perché mentre Dio è amore che si mette a servizio degli uomini, il diavolo è potere che li domina.
Allora i farisei sono coloro che dominano, anche se per motivi religiosi, dominano le persone; e le dominano in nome di Dio. Questo per Gesù è intollerabile. Chi domina, anche se lo fa per motivi religiosi, in nome di Dio, è sempre uno strumento del diavolo.
Si avvicinarono per tentarlo e gli domandavano … gli fanno la domanda la cui risposta era scontata. Infatti chiedono se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma certo che sì. Si sapeva. Nessuno metteva in discussione la possibilità da parte dell’uomo di ripudiare la moglie, il problema era sapere quali sono i motivi per farlo.
Ma perché fanno questa domanda? Perché vedono che Gesù parla di questo amore per tutta l’umanità e Gesù non distingue tra uomo e donna. Allora vogliono portare Gesù in un ambito, quello familiare, dove era indiscusso il potere dell’uomo, del marito sopra la moglie. E Gesù non risponde, ma fa un’altra domanda.
“Che cosa vi ha ordinato Mosè?” E’ strano che Gesù non dica “cosa ci ha ordinato Mosè”, anche Gesù era ebreo. Ma lui prende le distanze dalla legislazione di Mosè. Per Gesù non tutto quello che è scritto nella legge, a cui si attribuisce autorità divina, ce l’ha realmente. Già nel capitolo precedente Gesù aveva dichiarato puri tutti gli alimenti.
Così era il commento dell’evangelista Marco all’azione di Gesù, in contraddizione con quanto scritto nel libro del Levitico. In parte quello che c’è scritto nella legge è cedimento alle perverse inclinazioni umane. Quindi che cosa vi ha ordinato Mosè? Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”.
Questo atto di ripudio lo troviamo al capitolo 24 del libro del Deuteronomio dove c’è scritto Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi … Ecco al tempo di Gesù la discussione era su cosa significasse non trovare grazia, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano, e la mandi via dalla casa.
Quindi era un foglio nel quale l’uomo scriveva: “Da oggi tu non sei più mia moglie” e la cacciava via. Il motivo, la discussione al tempo di Gesù era capire quale fosse questo qualcosa di vergognoso. Ebbene, Gesù risponde loro: “Per la durezza del vostro cuore” … il cuore lo ricordiamo nel mondo ebraico non è la sede degli affetti ma significa la testa, la mente, la coscienza
Quindi per la vostra durezza, per la vostra spietatezza… “egli scrisse” … e di nuovo Gesù prende le distanze. Mentre i farisei si rifanno a Mosè e al Dio della legge, Gesù si rifà all’inizio della creazione, li fece maschio e femmina. Quest’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie.
Qui Gesù adopera dei brani del libro del Genesi, e fa risaltare il consenso personale, il matrimonio era un contratto tra le famiglie, Gesù richiama il disegno originale. “Per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre”. Il padre è colui che da la sicurezza, la madre è l’amore incondizionato, e si unirà a sua moglie. E qui Gesù omette il versetto del Genesi sulla fecondità.
Per Gesù quello che importa è l’unione tra l’uomo e la donna, questo amore che li rende uno. Infatti dice: “E i due diventeranno una carne sola”. Gesù parla di due persone che trovano l’una nell’altra una protezione, una sicurezza ancora più grande di quella che il padre poteva assicurare e un amore incondizionato ancora più grande di quello che la madre poteva offrire.
“Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”. Due persone si possono dividere, ma quando diventano una sola cosa sono indivisibili perché sarebbe una mutilazione. Quello che Gesù ha detto non provoca reazione da parte dei farisei, ma da parte dei discepoli, per i quali è inaccettabile questa novità di Gesù.
E infatti, a casa i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. Quindi si vede che era un problema che a loro stava a cuore. E’ una difesa delle istituzioni religiose, della tradizione, e allora Gesù disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito… “
Questo è strano perché nel m ondo ebraico non esisteva per la donna la possibilità di ripudiare il marito… Gesù ne fa una legge universale. “E se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Gesù si mette sempre dalla parte della persona debole. Era accettato a quel tempo che l’uomo avesse potere sulla moglie al punto da poterla cacciare. Per Gesù questo è inaccettabile. Gesù sta sempre dalla parte dei deboli. Il brano è iniziato con quelli che erano i vertici della società, i farisei, e termina con quelli che erano in fondo, proprio per mettere in contrasto.
Gli presentavano dei ragazzini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproveravano. Addirittura l’evangelista adopera il verbo “sgridare”, come si usa per gli indemoniati. Chi sono questi ragazzini? Non sono i bambini di un certo romanticismo; i ragazzini sono esseri insignificanti, gli ultimi della società, quelli che non valgono nulla. Li presentano a Gesù perché lui li tocchi, gli comunichi vita, ebbene i discepoli, che sono animati da questi desideri di supremazia, di gerarchia, non lo tollerano e li rimproverano.
E Gesù, al vedere questo, s’indignò … L’unica volta in tutto il vangelo di Marco in cui Gesù si indigna … e disse loro: “Lasciate che i ragazzini vengano a me, non glielo impedite”, quindi è con molta forza che Gesù dice questo, “A chi è come loro, infatti, appartiene il regno di Dio”. In contrapposizione ai farisei che credevano che, per la loro santità, per la loro osservanza dei precetti, avrebbero meritato il regno di Dio, Gesù contrappone gli ultimi della società.
E’ un invito ai discepoli, che continuamente litigano tra di loro per sapere chi è il più importante, di farsi ultimi. Dio per amore si è messo a fianco agli ultimi e chi vuole essere in comunione con questo Dio si deve fare ultimo. A chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. E Gesù assicura: “In verità io vi dico:
chi non accoglie in regno di Dio come lo accoglie un ragazzino, non entrerà in esso”. Per entrare nel regno di Dio, la società alternativa di Gesù, occorre farsi ultimi.
 E, prendendoli tra le braccia… Quindi Gesù si identifica con loro. Li benediceva, imponendo le mani su di loro. Quindi Gesù benedice quelli che nella società si fanno ultimi, che sono i più vicini a lui.

 

 




il commento al vangelo della domenica

commento al Vangelo della ventiseiesima domenica del tempo ordinario (27 settembre 2015) di p. Alberto Maggi e di p. Enzo Bianchi:

 

 

  9, 38-43.45.47-48

[In quel tempo] Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi assicuro, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».

CHI NON E’ CONTRO DI NOI E’ PER NOI

  SE LA TUA MANO TI E’ MOTIVO DI SCANDALO, TAGLIALA

il commento di p. Maggi:

p. Maggi
Gesù aveva dato ai suoi discepoli la capacità di liberare dai demòni, cioè di liberare da quelle ideologie che impediscono di accogliere il messaggio della Buona Notizia. Ebbene, non solo essi non ne sono capaci, ma tentano, con arroganza, di fermare quelli che lo fanno.
Infatti, scrive l’evangelista presentandoci Giovanni – Giovanni, insieme al fratello Giacomo, è stato soprannominato da Gesù “figlio del tuono”, in aramaico “Boanerghes” (3,17), che dà l’idea del tuono, per il loro fanatismo, per le loro intemperanze, per la loro violenza – che si rivolge a Gesù dicendo: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome”. “Nel nome di Gesù”, non significa usare la formula del nome di Gesù, ma identificandosi con Gesù.  
“E glielo abbiamo impedito”, e sentiamo la motivazione, “perché non ci seguiva”. Non può dire “perché non seguiva te”, perché agisce nel nome di Gesù, ma “non seguiva loro”. Loro pretendono che tutti i seguaci di Gesù facciano parte del gruppo dei discepoli.
Ebbene, Gesù amplia l’orizzonte della sua comunità e dice “Non glielo impedite” – ed è imperativo  “perché non c’è nessuno che agisca con forza” – è questo il significato del termine adoperato – “nel mio nome” , cioè identificandosi con me, “e subito possa parlar male di me”.
“Chi non è contro di noi è per noi”. Quindi Gesù ammette che ci possano essere suoi discepoli anche se non appartengono al gruppo che pretende di avere il monopolio del suo insegnamento. E poi Gesù invita anche i discepoli a identificarsi con lui: infatti dice: “chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua, nel mio nome” – quindi invita anche loro ad identificarsi con lui, perché loro non lo sono ancora  – “non perderà la sua ricompensa”.
La presenza di Gesù e del Padre è la ricompensa di chi lo accoglie.
Ma poi, subito dopo Gesù di fronte a questo attacco di Giovanni con il quale il discepolo aveva addirittura interrotto il suo importante discorso sul servizio, ecco che Gesù li ammonisce. “Chi scandalizza”, cioè chi è di inciampo “uno solo di questi piccoli”.
Chi sono questi piccoli? Il testo greco ha il termine Micron  che non indica i bambini; indica le nullità, le persone emarginate, gli insignificanti della società. “Che credono in me”, quindi non sono bambini; sono persone adulte che hanno dato adesione a Gesù, ma sono persone senza importanza.
Ebbene, le parole di Gesù sono terribili, sono tremende: se uno di voi mi fa inciampare una di queste persone che credono in me, queste persone che hanno sentito parlare di questo messaggio di amore e invece vedono che tra di voi c’è rivalità, queste persone che hanno sentito parlare di un messaggio di fratellanza e invece vedono che tra voi ci sono divisioni –  ebbene le parole di Gesù sono tremende – “è meglio per lui che gli venga messa al collo una macina”, e poteva bastare, invece Gesù precisa  “da mulino”.
C’erano due tipi di macina, una domestica, quella girata dalla donna, e quella da mulino, che serviva per il frantoio ed era pesante, “e sia gettato nel mare”. Perché Gesù dà queste indicazioni? Gesù dice che questo individuo deve scomparire definitivamente e, per assicurarsi che scompaia definitivamente, deve essere gettato nel mare, ma con una macina enorme – da mulino – fissata al collo. Perché? Gli ebrei avevano il terrore di morire affogati; credevano che se si moriva affogati non c’era speranza di risurrezione.
Allora Gesù dice che non basta gettarlo nel mare questo qui, perché poi il corpo può tornare a galla, allora bisogna evitare che il corpo torni a galla per poi essere seppellito. Quindi le parole di Gesù sono davvero tremende.
E poi Gesù dà una serie di avvisi alla sua comunità e dice: “Se la tua mano”, poi parlerà del piede e dell’occhio; la mano indica l’attività, il piede la condotta, l’occhio il criterio con il quale si osservano le cose della vita, “ti è motivo di scandalo”, cioè è motivo di inciampo per te, se fai un’attività che ti fa   inciampare, Gesù è radicale “tagliala! E’ meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con due mani andare nella Geènna”.
Cos’è questa Geènna? “Gêhinnôm” significa Valle di Hinnom; era ed è un burrone, a sud del tempio di Gerusalemme, che al tempo di Gesù veniva usato come discarica dei rifiuti. Questi rifiuti venivano continuamente ammucchiati e poi bruciati per eliminarli completamente. Quindi Gesù dice: “è meglio che, anche se doloroso, ti togli qualcosa che ti impedisce la pienezza di vita, piuttosto che finire nell’immondezzaio di Gerusalemme”.
E così via, Gesù parla del piede, parla dell’occhio. Ed ecco la finale; dice “E’ meglio per te tutto questo, anziché essere gettato nella Geènna”, e Gesù qui cita il finale del libro di Isaia (66,24):“dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”.
Gesù non sta parlando di un castigo dopo la morte, tutt’altro. La finale del libro di Isaia illustra la pena per gli israeliti che erano stati infedeli. La maniera per eliminare i cadaveri era duplice: da una parte c’era la putrefazione, e dall’altra la cremazione. Ebbene qui il profeta le mette insieme, “il loro verme non muore”, quindi la putrefazione è completa, e “il fuoco non si estingue”, quindi la cremazione è completa.
Significa la distruzione totale. O si entra con Gesù nella pienezza della  vita, o, quando arriva la morte fisica, questa trova un corpo svuotato di vita ed è quella che nell’Apocalisse (2,11; 20,6.14; 21,8) si chiama “la morte seconda”, la fine totale dell’esistenza.

 

Il Signore conosce i suoi 

il commento di p. Bianhi

Bianchi

 

Il testo evangelico di questa domenica si presenta composito, riportando una serie di parole di Gesù appartenenti a contesti diversi ed eterogenei, eppure legate da alcune espressioni ricorrenti: “nel tuo/mio nome”, “scandalizzare”. Mi soffermerò dunque unicamente sull’episodio dell’esorcista che compie azioni di liberazione pur non seguendo Gesù.

Gesù sta continuando il cammino verso Gerusalemme insieme ai suoi discepoli, ma il clima comunitario non è pacifico. Egli fa annunci della sua passione e i discepoli non capiscono (cf. Mt 9,32) o si ribellano, come Pietro (cf. Mc 8,31-33); quando, in assenza di Gesù, viene chiesto ai discepoli di guarire un ragazzo epilettico, forse giudicato posseduto da uno spirito impuro, essi si mostrano incapaci di liberarlo dalla malattia (cf. Mc 9,14-29); infine, tutti i Dodici si mettono a discutere su “chi tra loro fosse più grande” (Mc 9,34). Sì, ormai tra Gesù e la sua comunità vi è distanza, incomprensione. Se il passo di Gesù è sempre convinto, con uno scopo preciso che gli richiede una radicale obbedienza, quello dei discepoli è invece incerto e sbandato. Nel vangelo secondo Marco tutto il viaggio verso la città santa sarà caratterizzato da questa tensione tra Gesù e i suoi, dall’incomprensione da parte di tutti, nessuno escluso.

Ed ecco, puntualmente, un nuovo episodio che attesta tale stato di cose: Giovanni, il fratello di Giacomo, uno dei primi quattro chiamati (cf. Mc 1,16-20), uno dei discepoli più intimi di Gesù, testimone privilegiato della sua trasfigurazione (cf. Mc 9,2), vede un tale che scaccia demoni, compie azioni di liberazione sui malati nel nome di Gesù, pur non facendo parte della comunità, dunque non seguendo Gesù con gli altri discepoli. Allora si reca da Gesù e dichiara risolutamente: “Lo abbiamo visto fare ciò e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Cosa c’è in questa reazione di Giovanni? Certamente uno zelo mal riposto, ma uno zelo che rivela un amore per Gesù, una gelosia nei suoi confronti: se uno usa il nome di Gesù, dovrebbe seguirlo e dunque fare corpo con la sua comunità… Mescolato a questo sentimento vi è però anche uno spirito di pretesa, il pensiero che solo i Dodici siano autorizzati a compiere gesti di liberazione nel nome di Gesù; c’è un senso di appartenenza che esclude la possibilità del bene per chi è fuori dal gruppo comunitario; c’è la volontà di controllare il bene che viene fatto, affinché sia imputato all’istituzione alla quale si appartiene.

Sono qui ritratte le nostre patologie ecclesiali, che a volte emergono fino ad avvelenare il clima nella chiesa, fino a creare al suo interno divisioni e opposizioni, fino a fare della chiesa una cittadella che si erge contro il mondo, contro gli altri uomini e donne, ritenuti tutti nello spazio della tenebra. Dobbiamo confessarlo con franchezza: negli ultimi trent’anni il clima della chiesa è stato avvelenato in questo modo e tale malattia non è ancora stata vinta. Vi sono movimenti ecclesiali che si ergono a giudici degli altri, che si ritengono una chiesa migliore di quella degli altri. Vi sono cristiani che, con certezze granitiche, giudicano gli altri fuori della tradizione o della chiesa cattolica e aspettano di poter ascoltare da parte dell’autorità ecclesiastica condanne verso quanti non somigliano a loro o non fanno parte del loro movimento, che cede a tentazioni settarie. Non possiamo negare che molti hanno dovuto soffrire e sentirsi figli bastardi, poco amati da una chiesa che privilegiava altri in quanto militanti, facili e ben disposti a essere ingaggiati in battaglie contro il mondo.

Guai alla comunità cristiana che pensa di essere chiesa autentica, guai all’autoreferenzialità e all’autarchia spirituale, atteggiamenti di chi pensa di non avere bisogno delle altre membra, perché si crede lui il corpo di Cristo (cf. 1Cor 12,12-27). Cristo è Signore, è il Signore di tutta la chiesa e lui solo conosce i suoi (cf. 2Tm 2,19): non spetta dunque ai suoi, o ai pretesi suoi, giudicare altri come zizzania, fino a tentare di estirparli (cf. Mt 13,24-30). Cristo trascende le frontiere di ogni comunità cristiana e può operare il bene in molte forme attraverso la potenza del suo Spirito santo, che “soffia dove vuole” (Gv 3,8). Nella chiesa, purtroppo, si soffre di questa malattia dell’“esclusivismo” e facilmente non si riconosce all’altro la capacità di compiere il bene, di operare per la liberazione dell’uomo dai mali che lo opprimono.

Papa Francesco in questi pochi anni di pontificato è tornato più volte a denunciare questi mali ecclesiastici, chiedendo soprattutto ai cristiani appartenenti ai movimenti di imparare a camminare insieme agli altri cristiani, non separati, non al di sopra, non con itinerari in opposizione. La diversità è ricchezza, è multiforme grazia dello Spirito che rende policroma la chiesa (cf. Ef 3,10), la sposa del Signore, la rende più bella. Se uno fa il bene in nome di Cristo, questo bene va innanzitutto riconosciuto, non negato, e poi occorre avere fiducia in lui: se compie il bene in nome di Gesù, potrà forse subito dopo parlare male di lui? “Chi non è contro di noi è per noi”, chiosa lo stesso Gesù. Ovvero, egli esorta ad accettare di non essere i soli a compiere il bene, ad accettare che altri, diversi da noi, che neppure conosciamo, possano compiere azioni segnate dall’amore. Si tenga anche presente che vi sono molti che sembrano seguire Gesù, profetizzare, scacciare demoni e compiere miracoli nel suo nome (cf. Mt 7,22), che magari hanno anche una pratica di ascolto delle sue parole e una pratica sacramentale eucaristica (“Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza”: Lc 13,26). Tutti costoro, però, risulteranno estranei al Signore, che dirà loro: “Non vi ho mai conosciuti: allontanatevi da me, voi che avete operato il male!” (Mt 7,23; cf. Lc 13,27).

La vera domanda che dobbiamo porci non è dunque: “Chi è contro di me, contro di noi?”, bensì: “Sono io, siamo noi di Cristo?”. Scrive l’Apostolo Paolo: “Tutto è vostro, ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio” (1Cor 3,22-23). Ovvero: se non siamo di Cristo, se non abbiamo i suoi “modi” (cf. Didaché 11,8) e il suo pensiero (cf. 1Cor 2,16), non siamo nulla: non abbiamo sale in noi stessi, ma siamo come il sale insipido (cf. Mc 9,50), che “serve solo ad essere gettato via e calpestato” (Mt 5,13). La nostra responsabilità è quella di lottare ogni giorno contro noi stessi, non contro presunti nemici esterni, perché niente e nessuno può impedirci di vivere il Vangelo, se non noi!




il commento al vangelo della domenica

IL FIGLIO DELL’UOMO VIENE CONSEGNATO …

SE UNO VUOLE ESSERE IL PRIMO, SIA IL SERVITORE DI TUTTI  

commento al Vangelo della domenica quindicesima domenica del tempo ordinario (20 settembre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mc  9, 30-37

[In quel tempo] Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Tutti i brani del Vangelo di Marco che stiamo esaminando in queste domeniche sembrano avere un dato in comune: la difficoltà di Gesù con i suoi discepoli. Non ne vogliono sapere di comprendere chi egli sia e quale sia il suo programma.
Anche questa volta leggiamo il Vangelo e vediamo che Gesù attraversa la Galilea e sta dando un prezioso insegnamento. “Il Figlio dell’uomo” – Figlio dell’uomo è un’espressione che indica l’uomo che raggiunge la sua pienezza ed entra nella condizione divina; Gesù è il Figlio di Dio in quanto rappresenta Dio nella sua condizione umana, ed è il Figlio dell’uomo in quanto raffigura l’uomo nella sua condizione divina . Quindi il Figlio dell’uomo è l’uomo che ha la condizione divina.
“Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini”. Ecco c’è un’opposizione tra il Figlio dell’uomo, colui che ha la pienezza, e gli uomini, quelli che non aspirano a questa pienezza. E sono questi che lo rifiutano, lo uccidono, “ma, una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”.
Quindi è un insegnamento serio, un insegnamento drammatico, ed è un insegnamento chiaro. Gesù non sta parlando in parabole. Però, scrive l’evangelista, “Essi non capivano queste parole”.
Abbiamo visto già nell’episodio della guarigione del sordo, che non si tratta di problemi fisici, ma di problemi interiori – “non c’è peggior sordo di chi non vuol capire”. L’ideologia nazionalista, il loro ideale di successo è tale che impedisce loro di comprendere le parole molto chiare di Gesù.
“Ma avevano timore a interrogarlo”, perché hanno paura che Gesù confermi quello che loro hanno capito, quindi è vero, capivano ma non accettavano. Quindi non è che non capivano, non accettavano quello che Gesù diceva.
“Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa” – quindi la casa palestinese – Gesù li interrogò. Loro non vogliono interrogare ed è Gesù che interroga loro, “e chiese loro: «Di che cosa stavate discorrendo per la strada?». Ecco, questa indicazione ‘per la strada’ è sintomatica, ‘per la strada’ è il luogo della semina infruttuosa. ‘Per la strada’ il seme viene gettato per terra, ma vengono gli uccelli e subito lo raccolgono. E Gesù, spiegando queste immagini, diceva che era il Satana che rendeva inutile la parola. L’immagine del Satana in questo Vangelo è l’immagine del potere, del successo.
“Ed essi tacevano”. Tacciono perché hanno il senso di colpa perché sanno che hanno fatto qualcosa che Gesù non approva. “Per la strada infatti avevano discusso” – Gesù ha chiesto di cosa stessero discorrendo, invece loro hanno discusso, quindi un discorso animato – “tra loro chi fosse più grande”, il più importante.
E’ questo il tarlo che rode i discepoli, l’idea di grandezza, l’ambizione di essere uno il più importante degli altri.
“Sedutosi”, quindi Gesù si siede nella posizione di colui che insegna, “chiamò i Dodici”. E’ strano, è una casa, una casa palestinese, non è molto grande, perché Gesù deve chiamare? L’evangelista avrebbe dovuto scrivere: ‘Gesù disse …’, invece Gesù li deve chiamare. Perché? I Dodici lo seguono, ma non lo accompagnano, non gli sono vicini interiormente. Gli sono vicini fisicamente, ma la loro mentalità è lontana.
Gesù è il Dio che per amore si mette a servizio degli uomini. Gesù ha detto che il Figlio dell’uomo non é venuto per essere servito, ma per servire, loro invece pensano soltanto a comandare. Ecco perché li deve chiamare i Dodici, perché sono lontani.
“E disse loro – loro hanno discusso chi vuol essere il più grande e Gesù non accetta, ma accetta che nella comunità ci sia il primo. Il primo significa il più vicino a lui  – “se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Quindi nella comunità non idee di grandezza, non c’è nessuna persona più importante, più grande, ma sì ci sono persone più vicine a Gesù. Quali sono? Quelle che si mettono a servizio di tutti. Quelli che, liberamente e volontariamente, mettono la loro vita a servizio degli altri.
Mentre i Dodici li ha dovuti chiamare, “Gesù, preso un ragazzino” – è l’individuo che sta accanto a lui, ci si chiede cosa facesse questo ragazzino in questa casa con i discepoli. Il termine adoperato
dall’evangelista indica un individuo che, per età e per ruolo nella società è il meno importante di tutti; potremmo tradurre con il termine ‘garzone’.
Questo garzone, questo ragazzino, è l’immagine del vero seguace di Gesù, di quello che s’è fatto ultimo, fra tutti.
“Lo pose in mezzo”. In mezzo è il posto di Gesù, ebbene al posto di Gesù, il Signore mette questo individuo che si mette a servizio degli altri. “Abbracciandolo”, Gesù si identifica con costui, Gesù si identifica con l’ultimo della società.
“E disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi ragazzini”, di questi garzoni, quindi non si tratta di bambini o di ragazzini qualunque, ma di questi, cioè l’immagine del discepolo che veramente si mette a servizio degli altri; “nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato”.
Gesù garantisce che dove c’è un individuo che per amore, liberamente e volontariamente, si mette a servizio degli altri, in questo individuo si manifesta la presenza di Gesù e la presenza di Gesù porta quella di Dio stesso.
L’uomo che si mette a servizio è l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore di Dio.




il commento al vangelo della domenica

TU SEI IL CRISTO

IL FIGLIO DELL’UOMO DEVE MOLTO SOFFRIRE

commento al vangelo della domenica ventiquattresima del tempo ordinario (13 settembre 2015) di p. Alberto Maggi

p. Maggi
Mc  8, 27-35

[In quel tempo], Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Gesù intraprende un lunghissimo viaggio e conduce i suoi discepoli all’estremo nord del paese in terra pagana, a Cesarèa di Filippo, lontano dalla mentalità giudaica, nazionalista, per vedere se i discepoli hanno capito qualcosa.
Ma già l’evangelista ci dà un’indicazione che ci fa comprendere che il brano sarà all’insegna dell’incomprensione. Infatti, scrive l’evangelista, “per la strada interrogava i suoi discepoli”. Questa espressione “per la strada” è la stessa che è apparsa nel capitolo 4 nella parabola dei quattro terreni, per indicare la semina infruttuosa.
Il seme gettato per la strada viene subito preso dagli uccelli e Gesù, spiegando la parabola, dice che questi uccelli sono “il Satana”. Quindi è una parola infruttuosa che viene resa inutilizzata dal Satana. Il Satana in questo Vangelo è l’immagine del potere, l’immagine del successo, ma vediamo l’evangelista.
Ebbene, Gesù chiede ai suoi discepoli: “la gente chi dice che io sia?”. Frutto della predicazione dei discepoli doveva essere questa immagine di Gesù. E la risposta è desolante; la confusione totale. “Ed essi gli risposero «Giovanni il Battista »”, perché si credeva che i martiri sarebbero prontamente risuscitati. “Altri dicono Elìa”, Elìa il violento profeta che doveva venire a preparare la strada del Messia, “oppure uno dei profeti”. Comunque tutti personaggi che appartengono all’antichità, al passato. Non comprendono la novità di Gesù.
Allora Gesù insiste e domanda loro “Ma voi” – quindi la domanda di  Gesù è rivolta a tutto il gruppo “chi dite che io sia?”
E gli risponde un discepolo, presentato con il soprannome negativo, che fa comprendere che la sua risposta è inesatta e il suo atteggiamento sarà in contraddizione con Gesù. “Gli rispose Pietro”. Il soprannome negativo verrà ripetuto per ben 3 volte – il numero 3 significa “ciò che è completo” – in questo brano.
Quindi questo discepolo si chiama Simone e, quando viene presentato soltanto con questo soprannome, significa che sta all’opposizione, o contraddice Gesù. “Gli rispose: «Tu sei il Cristo!»”
Ha risposto bene? Non pare, perché Gesù dice “e sgridò” – il verbo ‘sgridare’ è quello che si usava per liberare le persone dai demòni – “severamente loro di non parlare di lui ad alcuno”.
Pietro non ha risposto bene. Gesù in questo Vangelo è stato presentato come ‘Messia’, non ‘il Messia’. L’articolo determinativo ‘il’  indica che è il Messia atteso dalla tradizione, quello che verrà a restaurare la monarchia, quello che imporrà la legge. Gesù è Messia, ma non il Messia della tradizione. Quindi Pietro non ha risposto bene.
Allora, visto che non hanno capito, Gesù “cominciò a insegnare loro”, e non parla del Messia, ma parla del “Figlio dell’uomo”, cioè l’uomo nella sua pienezza, è questo l’ideale di uomo creato da Dio, “che doveva soffrire molto ed essere rifiutato da tutto il sinedrio, dagli anziani, i presbiteri, i sommi sacerdoti e dagli scribi e venire ucciso”.
Quindi il progetto di Dio sull’umanità, l’uomo che raggiunge la pienezza della condizione divina, questo è il Figlio dell’uomo, Figlio dell’uomo è l’uomo che ha la condizione divina, questo è rifiutato dall’istituzione religiosa che lo vede come un pericolo per la propria esistenza.
“E dopo tre giorni risorgere. Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo afferrò e cominciò….”  E’ interessante che, come Gesù ha cominciato a parlare, subito Pietro comincia. E’ l’immagine del seme che viene gettato per terra e subito, immediatamente, vengono gli uccelli e lo prendono.
L’ideologia del Satana, del potere, impedisce a Pietro di accogliere il messaggio di Gesù. “E cominciò a sgridarlo”. Come Gesù aveva sgridato Pietro, così Pietro sgrida Gesù, come se quella detta da Gesù fosse un’idea demoniaca.
“Ma egli, voltandosi, guardando i suoi discepoli” – quindi Gesù guarda i discepoli, ma si rivolge a Pietro, facendo capire che tutto il gruppo mantiene la stessa mentalità di Pietro – “sgridò Pietro”. Ecco il verbo  ‘sgridare’ viene ripetuto per la terza volta. “E gli disse: «Và dietro di me, Satana!»  Gesù si rivolge a Pietro chiamandolo ‘Satana’. E’ il Satana perché tenta Gesù, tenta Gesù definendolo ‘il Messia del potere’, ed è il Satana perché vanifica la parola. Viene gettata la parola, ma immediatamente viene il Satana. Quindi Gesù si rivolge a Satana, ma non rompe con lui. Gli dice “torna a metterti dietro di me”.
E’ Pietro che deve seguire Gesù, non il contrario.
E poi Gesù “convocata la folla”, dà un annuncio drammatico “Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso” – cioè rinneghi questi suoi ideali di successo e di potere, “e sollevi la croce”. La croce non viene data dal Signore, la croce non viene presa, la croce viene sollevata. E’ l’individuo che volontariamente, per seguire Gesù, accetta il marchio dell’infamia da parte della società.
Ai discepoli che seguono il Messia coltivando sogni di gloria, Gesù dice che, se lo vogliono seguire, devono accettare di essere considerati “rifiuti della società”.

 




il commento al vangelo della domenica

FA UDIRE I SORDI E FA PARLARE I MUTI

commento al Vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (6 settembre 2015) di p. Alberto Maggi

maggi

Mc 7, 31-37

[In quel tempo] Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Se ogniqualvolta leggiamo il Vangelo dobbiamo sempre tener presente che i Vangeli non riguardano la cronaca, ma la fede, che non riguardano la storia, ma la teologia, che non sono un elenco di fatti, ma di verità, questo è tanto più vero in un episodio del genere. Un episodio completamente strampalato, sconclusionato.
Vediamo che in questo episodio Gesù non viene nominato, non sono nominati i discepoli, non c’è nessuna reazione da parte del personaggio che viene guarito, e, soprattutto, inizia l’evangelista con un itinerario inverosimile, sconclusionato. Leggiamo.
Di nuovo “uscito dalla regione di Tiro”, Tiro è al sud, “passando per Sidòne”, quindi Gesù sale su al nord a Sidòne, ma poi dice “venne verso il mare di Galilea”, quindi torna giù, “in pieno territorio della Decàpoli”. Un itinerario completamente inverosimile, sconclusionato. Perché l’evangelista inizia con queste indicazioni cosi strane?
Vuole indicare l’azione di Gesù con i popoli pagani, perché il messaggio d’amore di Gesù è un messaggio d’amore universale, che incontra, però, la resistenza dei suoi discepoli. E questo è il significato del brano.
“Gli portarono…” – chi sono costoro? Sono i collaboratori di Gesù che l’evangelista all’inizio del Vangelo ha definito “angeli”, sono coloro che hanno compreso e accettato il messaggio di Gesù e collaborano con lui.
Gli portano un sordo, non muto, ma balbuziente. E’ l’unica volta che nel NT appare questo termine “balbuziente” (mogil£loj) e appare nell’AT una sola volta, per indicare la liberazione dall’esodo di Babilonia (“La lingua del balbuziente griderà di gioia”, Is 35,6 LXX). Quindi è un’immagine di liberazione. Attenzione, non è una guarigione tanto del fisico, ma una guarigione interiore quella che Gesù sta facendo.
“E lo pregarono di imporgli le mani”. “Lo prese in disparte..”; sette volte nel Vangelo di Marco troviamo l’espressione “in disparte” (kat’ „d…an), e ben sei riguardano i discepoli, l’incomprensione dei discepoli, come anche questa volta.
“.. lontano dalla folla e gli pose le dita…” L’azione di Gesù è violenta, Gesù gli stura le orecchie. L’evangelista, per indicare le orecchie, adopera il greco “òta” (ðta), da cui deriva l’italiano “otite”, che conosciamo tutti quanti, e vedremo poi il perché.
“…con la saliva” – La saliva veniva considerata come alito condensato, immagine dello Spirito – “gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo” – il cielo è la comunione con Dio – “emise un sospiro” – E’ l’unica volta in tutto in NT che Gesù sospira (™stšnaxen), per la resistenza che i suoi discepoli gli oppongono, nella figura di questo sordo balbuziente – “e gli disse «Effatà»”. Ecco, quando nel Vangelo di Marco appare un termine in lingua aramaica, vuol dire che l’episodio si rivolge soltanto a coloro che provengono dal giudaismo, non è per i pagani. 
“Cioè «Apriti!»” L’invito di Gesù non riguarda soltanto le orecchie, ma riguarda tutto l’individuo, è tutto l’individuo che si deve aprire perché ha questa chiusura.
“E subito gli si aprirono … “. Ecco, prima abbiamo detto che l’evangelista adopera il termine “orecchi”, (ðta), qui adopera un altro termine greco (¢koa…), che indica l’udito. Era questo il problema: non era un problema fisico, un problema degli orecchi, ma era un problema di comprensione, come diciamo con un’espressione italiana: “non c’è peggior sordo di chi non vuol capire”.
“Gli si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente”. Quindi l’incapacità di esporre il messaggio era perché non ascoltava, sono i discepoli che non ascoltano il messaggio di Gesù.
E Gesù l’aveva detto: “siete anche voi così privi di intelletto?”
“Ma Gesù comandò loro di non dirlo a nessuno”. Gesù sa che ancora il lavoro di liberazione dei discepoli non è completo, ma sarà lungo e faticoso, e continuerà per tutto il Vangelo.
“Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano, e pieni di stupore dicevano «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti»”. L’evangelista adopera gli stessi termini che nel Libro del Genesi  indicano l’azione del Creatore, che, per ogni cosa che crea dice “Ha fatto bella ogni cosa”, “Vide che era cosa buona”.
Quindi in Gesù si prolunga l’azione creatrice nel dare pienezza di vita agli uomini.

la ‘lettura’ del vangelo a partire da un piccolo bambino in cerca di vita ma che arriva dal mare morto …

il ‘lettore’ è p. Agostino Rota Martir abituato a ‘leggere’ da tanti anni il vangelo da un’area di marginalità e di disagio abitata da rom

p. agostino

EFFATA’

Gesù continua il suo viaggio, un itinerario un po’ strano perché esce dai confini di Israele, poi ci rientra, per poi attraversare di nuovo i suoi confini..allora non c’erano i controlli e permessi da chiedere, altri tempi..

venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli.”

Territorio pagano, impuro, abitato da stranieri, regione vista con sospetto e diffidenza da Israele.

E’ un Gesù a tutto campo, avrà avuto i suoi validi motivi, forse l’ottusità dei suoi stessi discepoli e dei suoi compaesani, dei farisei che ormai si opponevano al suo annuncio del Regno, quello di un Dio che manifesta il suo amore verso tutti, che manifesta il suo volto ai poveri e peccatori, un Dio che sconfina dal Tempio di Gerusalemme lasciandosi toccare anche dai lebbrosi, samaritani e stranieri.

Meglio cambiare aria, e nello stesso tempo mostrare ai suoi discepoli che Dio non fa preferenza di persone, che ama tutti e nessuno è escluso dalla sua compassione. Gesù già lo aveva capito con una donna siro fenicia, al punto di rimanere edificato dalla sua grande fede. I discepoli lo capiranno più tardi, a suo tempo!

Sente il bisogno di lasciarsi contagiare anche dalla libertà del Regno che annuncia, di fuggire dalla “fortezza” di Israele che imprigionava Dio dentro gli schemi di puro e impuro, di osservanze a precetti religiosi fatti dall’uomo. Per scoprirlo deve frequentare la regione di Tiro e di Sidone.

Dio non è un tappo che chiude ermeticamente il suo Spirito, ma è energia di vita che si sprigiona, libera, rimette in cammino, apre cammini, consola..

Passa ancora anche oggi dentro di noi, dentro le nostre comunità perché tutti abbiamo bisogno di essere “sturati” dal cerume dell’indifferenza dell’ ipocrisia e da tutto ciò che ci impedisce di ascoltare la Parola. La nostra sordità verso i fratelli nasce anche dalla nostra incapacità di ascoltare Dio, che ci parla dalla sua Parola, ma anche attraverso la storia, i fatti e oggi i migranti sono “parlanti” di Dio. Lui passa in tanti modi..

Questa foto che tutti abbiamo visto in questi giorni, in un certo modo è la testimonianza eloquente della nostra sordità all’uomo e a Dio che passa. Attraverso questa immagine tragica Dio “ci prende in disparte, lontano dal blaterare della folla, ci pone le dita negli orecchi e con la saliva ci tocca la lingua..e ci dice: Effatà, cioè Apriti!”

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Quelle onde, in un certo senso hanno mostrato più compassione di tanti uomini, come ad adagiare delicatamente il corpo, senza vita di Aylan, piccolo profugo Siriano, in fuga dalla guerra insieme la sua famiglia, disteso come stesse dormendo, con i vestite e le scarpe in ordine, ben composto proprio come fa ogni mamma con il suo bambino tra le sue braccia.

Anche il mare sembra avere, in questa occasione un sussulto di quella pietas che l’essere umano sta accantonando,

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perché per molti di noi contano di più i numeri, le quote, gli interessi, i trattati, la nostra sicurezza..un mare stanco di essersi trasformato in un cimitero di poveri disgraziati e non più ponte di incontro, di salvezza, di dialogo.

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Vi restituisco questo angelo, nella carezze delle onde, composto e indifeso perché voi uomini possiate aprire, sturare (Effatà) il vostro cuore per comprendere il linguaggio di Dio che è Vita.

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4 Settembre 2015

Campo Rom della Bigattiera (Pisa)




il commento al vangelo della domenica

TRASCURANDO IL COMANDAMENTO DI DIO

VOI OSSERVATE LA TRADIZIONE DEGLI UOMINI

commento al vangelo della domenica ventiduesima del tempo ordinario (30 agosto 2015)  di p. Alberto Maggi

maggi
Mc 7,1-8,14-15,21-23

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti -, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Ogni volta che Gesù comunica vita spuntano immediatamente i nemici della vita.
Infatti, scrive l’evangelista, “si riunirono intorno a lui i farisei e alcuni degli scribi”. Gli scribi erano i teologi ufficiali, il magistero della religione giudaica, “venuti da Gerusalemme”. Questa volta Gesù deve aver combinato qualcosa di grave perché si scomodano questi grandi personaggi addirittura dalla Santa Sede dell’epoca, la capitale religiosa, da Gerusalemme.
E uno si chiede “cosa potrà mai aver combinato di grave questa volta Gesù
Dice Marco “Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano” – non ‘cibo’ come è stato tradotto, ma “pani con mani impure”. L’evangelista si riferisce all’episodi della condivisione dei pani che, come per ogni evangelista, raffigura l’Eucaristia, e Gesù quando aveva dato i pani alla gente non aveva chiesto loro di purificarsi prima. Perché – e questo è il significato dell’Eucaristia – non bisogna essere puri per mangiare, ma è il mangiare che rende puri.
Ebbene, questo scandalizza, questa libertà scandalizza, e questi farisei e scribi rimproverano Gesù “perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi” Secondo loro Mosè sul Sinai aveva ricevuto due leggi. Una, quella scritta, e l’altra, quella orale, che aveva lo stesso valore di quella scritta; questa si chiamava la tradizione degli antichi, aveva lo stesso valore di Parola di Dio. “Ma prendono il cibo con mani impure?”
La risposta di Gesù è sorprendente. Gesù si rivolge – ripeto, siamo davanti ai massimi esponenti della gerarchia religiosa, quando parlava lo scriba aveva lo stesso valore della Parola di Dio. Ebbene, Gesù si rivolge a loro dicendo “Bene ha profetato Isaia di voi!” E uno si aspetta chissà forse un complimento. “Teatranti!” Il termine ‘ipocrita’ non indicava a quel tempo una connotazione morale come si ha oggi, ma indicava il commediante, colui che lavorava al teatro. L’ipocrita era colui che, quando si esibiva al teatro non lo faceva con il proprio volto, ma con una maschera sul volto.
E Gesù cita il  profeta Isaia, capitolo 29 vers. 13, “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore” – il cuore nel mondo ebraico è la mente, la coscienza – “è lontano da me”. Quindi tutto il vostro culto, tutta la vostra religiosità è soltanto una facciata esterna, ma sono altri i vostri interessi.
Ed ecco l’affondo “invano vi rendono culto insegnando dottrine che sono” – loro si sono lamentati che i discepoli non osservano la tradizione degli antichi, Gesù invece la squalifica, “precetti di uomini”. Loro pretendono di dare autorità divina a quelle che sono soltanto le loro invenzioni per dominare. Quindi pretendono che certe tradizioni procedano da Dio, quando loro sanno che non procedono da Dio, soltanto per dominare il popolo.
E infatti, accusa Gesù, “trascurando il comandamento di Dio”, il comandamento di Dio è a favore degli uomini, “voi osservate la tradizione degli uomini”, per il vostro interesse. E qui è lamentevole vedere come i liturgisti  hanno massacrato questo testo eliminando il brano del Korban, dell’offerta sacra a Dio, il brano in cui “per onorare Dio si disonoravano gli uomini”. Questo per i loro interessi.
Allora Gesù chiama di nuovo la folla e si rivolge a tutti quanti. Dice “ascoltatemi”. E’ un invito a un ascolto attento, non solo all’ascolto, anche a comprendere, e Gesù fa qualcosa di grave, qualcosa di talmente grave che poi dopo dovrà scappare all’estero. “Non c’è nulla al di fuori dell’uomo che entrando in lui possa renderlo impuro”. E il libro del Levitico? Il libro del Levitico contiene tanti capitoli indicando quello che è impuro e entrando nell’uomo gli rende impossibile la comunione con Dio. Ebbene Gesù qui alza il tiro. Gesù, dalla critica alla legge orale, il Talmud, passa addirittura – e questo è gravissimo – a criticare la legge scritta. Tanto è vero – e questo è un altro massacro dei liturgisti  che eliminano i versetti importanti dell’incomprensione dei discepoli – i discepoli erano pronti a rompere con la legge orale, ma non con quella scritta. 
E, c’è un commento dell’evangelista che è contenuto soltanto nel vangelo di Marco, che è molto grave, “così rendeva puri tutti gli alimenti”. Cioè Gesù smentisce il libro del Levitico, Gesù smentisce la Parola di Dio. Quello che è contenuto nel libro del Levitico, con l’elenco di tutti i cibi puri e impuri, non corrisponde alla volontà di Dio. Dicevo che è talmente grave che dopo di questo Gesù dovrà scappare a Tiro.
Ed ecco l’indicazione di Gesù: quello che determina il rapporto con Dio non è qualcosa di esterno all’uomo, e neanche riguarda il culto, ma sono tutti i cattivi atteggiamenti che fanno male agli altri. E qui Gesù elenca dodici atteggiamenti tutti contro l’uomo e nessuno contro la religione.
La prima è – non l’impurità come hanno tradotto –  ma “prostituzioni” e per prostituzioni non si intende soltanto l’esercizio della prostituzione, ma il vendersi per fare carriera, il vendersi per successo, per la propria ambizione e così via. Ci sono dodici atteggiamenti, nessuno di questi riguarda Dio e, quando si faceva un elenco per far ricordare a memoria, il primo e l’ultimo erano i più importanti, perché erano quelli che rimanevano meglio in memoria. Il primo è “prostituzioni”, l’ultimo “la stoltezza”, la stupidità.
Stupido nei vangeli è chi vive soltanto per sé. Chi pensa soltanto al proprio interesse e non si accorge dei bisogni, delle necessità degli altri. Ed ecco la dichiarazione di Gesù “tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo”. Quindi per Gesù la distinzione tra puro e impuro non procede da Dio. L’impurità nasce dalla cattiva relazione che si ha con gli altri uomini.

 




commento al vangelo della domenica

DA CHI ANDREMO? TU HAI PAROLE DI VITA ETERNA

commento al Vangelo della domenica ventunesima del tempo ordinario (23 agosto 2015) di p. Alberto Maggi:

 
Gv 6, 60-69

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e cp. Maggihi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».

L’evangelista registra con amarezza come il lungo discorso di Gesù nella sinagoga di Cafarnao , tutto incentrato sull’Eucaristia, sia stato un gran fallimento.
Ridicolizzato dai capi religiosi che non capiscono come quest’uomo parli di mangiare la sua carne e bere il suo sangue, Gesù non viene compreso neanche dai suoi discepoli.
Scrive l’evangelista che “molti dei suoi discepoli dopo aver ascoltato dissero ‘questa parola è dura’”. Il termine tradotto qui con ‘duro’ è il greco ‘skleros’ (skleros), che significa cioè quello che è insolente, quello che è offensivo. Cos’è questa parola dura?
Anzitutto il distacco che Gesù ha preso dalla tradizione dei padri, mentre i discepoli seguono i padri di Israele, Gesù invita a seguire il Padre, ma poi soprattutto hanno capito, loro che seguono Gesù per ambizione – ricordiamo che lo seguono perché vogliono che Gesù diventi il re del popolo – hanno capito che, se vogliono seguire Gesù, come lui devono farsi dono, devono farsi pane per gli altri. Questo ‘duro’ significa inaccettabile.
E quindi mormorano contro di lui. Hanno mormorato i giudei, mormora la folla e anche i discepoli mormorano contro Gesù.
Allora Gesù dichiara “questo vi scandalizza?” Lo scandalo è la morte del Messia. Non possono accettare un Messia che vada incontro alla morte e dice Gesù “se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?”. La morte era considerata una discesa nel regno dei morti e la risurrezione una salita. Ma per salire bisogna passare attraverso la morte, Gesù passerà attraverso la morte più scandalosa, più infamante, la crocifissione, riservata ai maledetti da Dio.
Ed ecco l’indicazione importante e preziosa che Gesù dà, e l’evangelista ci sottolinea, sul significato dell’Eucaristia. “E’ lo Spirito che da la vita, la carne non giova a nulla”. Cosa vuol dire Gesù? Mangiare il pane, è il significato dell’Eucaristia, la carne, senza poi farsi pane per gli altri, questo non serve a nulla. Una partecipazione all’Eucaristia nella quale l’amore che viene ricevuto non si trasformi anche in amore comunicato, non serve assolutamente a nulla.
Ma Gesù garantisce “le parole che io vi ho detto sono Spirito e sono vita”. Chi accoglie questo pane e si fa pane per gli altri, scopre dentro di sé la potenza generatrice di queste parole che sprigionano energie vitali.
“Ma tra di voi” aggiunge Gesù “vi sono alcuni che non credono”. E’ i fallimento di Gesù, molti replicano che il suo discorso è duro, molti non credono, addirittura aggiunge “tra di voi c’è addirittura uno che mi avrebbe tradito”. Il fallimento totale di Gesù. Ma Gesù non intende cambiare il programma, anzi provoca i suoi discepoli “che da quel momento”, sottolinea l’evangelista, “tornarono indietro e non andavano più con lui”, Gesù non li rincorre. Gesù è disposto a rimanere solo pur di non cambiare il programma, ma li provoca e dice ai Dodici “volete andare via anche voi?” Loro seguono Gesù per la propria convenienza, per la propria necessità e non hanno capito che invece per seguire Gesù bisogna proiettare la propria vita per il bene e la necessità degli altri.
“Gli risponde Simon Pietro” – ricordiamo che questo discepolo si chiama Simone, ha un soprannome negativo, Pietro, che gli evangelisti indicano quando è in opposizione a Gesù. Quando viene presentato con il nome e il soprannome significa che questo discepolo da una parte è d’accordo con Gesù e dall’altra no – “Signore da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna”.
Ecco Pietro, Simone ha compreso che le parole di Gesù che si sono fatte carne in lui sono quelle che comunicano la vita capace di superare la morte. Ma, ecco la parte negativa “noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio”.
Il Santo di Dio è un’espressione che indica il Messia della tradizione che è apparso altre volte nei vangeli sempre in un contesto negativo, in Marco e in Luca, in bocca agli spiriti impuri o ai demòni e al Messia dell’aspettativa popolare, cioè quello che avrebbe dovuto restaurare la monarchia, quello che avrebbe dovuto dominare i pagani e soprattutto quello che avrebbe dovuto rispettare e imporre la legge.

Questo è il Messia che Pietro desidera e questo sarà il motivo che lo porterà al suo tradimento.