il commento al vangelo della domenica

 

 

DIO HA MANDATO IL FIGLIO PERCHE’ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI

commento al Vangelo della quarta domenica di quaresima (15 marzo 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Gv 3,14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodemo:  «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Nel dialogo con il fariseo Nicodemo, capo dei Giudei, Gesù si rifà ad un episodio conosciuto della storia di Israele contenuto nel Libro dei Numeri.
Al capitolo 3, versetto 14 l’evangelista scrive: “«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto»”; i serpenti erano stati inviati da Dio per castigare il popolo secondo lo schema classico di “castigosalvezza/perdono”. In Gesù invece c’è soltanto salvezza.
“«Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo»”, Gesù si riferisce alla sua futura morte in croce e parla del Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha la pienezza della condizione divina. “«Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»” – credere nel Figlio dell’uomo significa aspirare alla pienezza umana che risplende in questo figlio dell’uomo.
Per la prima volta appare in questo vangelo un tema molto caro all’evangelista, cioè quello della vita eterna. La vita eterna non è, come insegnavano i farisei, un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una qualità di vita già nel presente. E si chiama “eterna” non tanto per la durata senza fine, ma per la qualità indistruttibile.

E questa vita eterna non si avrà in futuro, ma si ha già. Chiunque da adesione a Gesù, quindi aspira alla pienezza umana che risplende in Gesù.
“«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»”, il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre, che arriva addirittura a offrire se stesso. “«Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»”.
La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, cioè un codice esterno all’uomo, ma dando adesione al Figlio dell’uomo. E Gesù appare qui come il dono dell’amore di Dio per l’umanità. Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicare. E Gesù è la massima espressione di questa manifestazione e comunicazione di Dio. “«Dio infatti non ha mai mandato il Figlio nel mondo per condannare»”, anche se il verbo qui non è condannare, ma “«giudicare il mondo»”.
Di nuovo qui Gesù sta parlando con un fariseo, demolisce le attese di un messia giudice del popolo. Quindi il Figlio non è venuto per giudicare il mondo, “«ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»”. Dio è amore e in lui non c’è né giudizio né condanna, ma c’è soltanto offerta di vita.
“«Chi crede in lui non è giudicato»”, chi crede in lui non va incontro a nessun giudizio, “«ma chi non crede è già stato giudicato»”. E’ l’uomo che si giudica. E vediamo perché … “«Perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio»”. E’ l’uomo che si giudica rifiutando l’amore che Dio gli offre; colui che agisce contro la vita rimane nella morte.
E infatti Gesù continua, “«E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo»”, la luce è immagine della vita, “«ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie»”. Chi opprime gli uomini non accetterà mai un messaggio che lo porterà poi a servire. Ma quello che è importante è che qui Gesù si riferisce – e sta parlando a un fariseo, all’osservante della legge, della dottrina – alle opere, non al credo o all’ortodossia.
Non è la dottrina che separa da Dio, ma la condotta. Per questo Dio non offre dottrine, ma pienezza di vita. “«Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate»”. Gesù si rifà a quella che è l’esperienza comune. Il delinquente, chi agisce male, non ama i riflettori, non ama la luce, ma si rintana nelle tenebre. Ebbene di fronte a un’offerta di pienezza di luce, chi fa il male si rintana ancora di più nelle tenebre e ne rimane intrappolato.
“«Chi invece fa la verità…»”. In contrapposizione a fare il male, Gesù parla di “fare la verità”. La verità non va creduta, diventando una dottrina, ma va fatta. Ecco perché Gesù in questo vangelo non dirà che lui ha la verità, ma che lui è la verità. Chi ha la verità, in base a questa verità, a questa dottrina, si sente in grado di giudicare, condannare e dividersi dagli altri, a differenza di chi è nella verità. Cosa significa invece “essere nella verità?”
Se è in contrapposizione con il “fare il male”, essere nella verità significa “fare il bene”, inserirsi nel dinamismo creatore di Dio che ama la sua creatura e vuole che il bene della sua creatura, il bene dell’uomo, sia il valore più importante nell’esistenza dei suoi figli. Quindi “«chi fa la verità»”, significa colui che ha messo il bene dell’uomo come valore principale della sua esistenza, “«viene verso la luce»”, più si ama e più la persona diventa luminosa perché risplende la stessa luce di Dio. “«Perché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio»”.
Le sue opere sono fatte in Dio perché Dio è colui che fa il bene dell’uomo. Quindi invita a fare la verità, a inserirsi nel suo stesso dinamismo creatore che mette il bene dell’uomo come valore assoluto. Chi ha la verità si divide dagli altri; chi è nella verità si unisce e comunica vita a tutti quanti.

 

commento al vangelo della terza domenica di quaresima

DISTRUGGETE QUESTO TEMPIO E IN TRE GIORNI LO FARO’ RISORGERE

commento al Vangelo della terza domenica di quaresima (8 marzo 2015) di p. Alberto Maggi:

maggi

 

 

Gv 2,13-25

Si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori del tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: «Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!». I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: «Lo zelo per la tua casa mi divorerà».
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?». Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere». Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?». Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.
Mentre era a Gerusalemme per la Pasqua, durante la festa, molti, vedendo i segni che egli compiva, credettero nel suo nome. Ma lui, Gesù, non si fidava di loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che alcuno desse testimonianza sull’uomo. Egli infatti conosceva quello che c’è nell’uomo.

L’analisi completa del brano della cacciata dei mercanti dal tempio nel vangelo di Giovanni, capitolo 2, versetti 13-25 è già stata fatta l’11 marzo 2012, quindi per chi la vuole può rivedere la registrazione, ma questa volta pensavo di analizzare il motivo profondo del gesto di Gesù nel tempio di Gerusalemme.
Quel motivo che nel brano in questione appare al versetto 21, dopo la replica dei Giudei, cioè dell’autorità, che chiedono “Questo santuario è stato costruito in 46 anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”

L’evangelista commenta: Ma egli parlava del santuario del suo corpo. E’ questo il motivo di fondo di tutta l’azione di Gesù. Il commento dell’evangelista, in una cultura che, per l’influenza della filosofia greca vedeva il corpo come una prigione dell’anima, addirittura come una tomba dell’anima, la dichiarazione dell’evangelista è esplosiva. Egli parlava del santuario del suo corpo.
Il corpo di Gesù, come il corpo di ogni persona, il corpo di ogni credente, non è una prigione dove l’anima sta in sofferenza e avverte l’anelito di ritornare verso Dio. Purtroppo questa è la concezione che ha influito anche su una certa spiritualità del cristianesimo, quindi con il disprezzo di tutto il corpo, e tutto quello che riguarda le funzioni, le manifestazioni del corpo, come se fossero negative. Invece qui l’evangelista dichiara che il corpo è un santuario.
Nel suo vangelo Giovanni, al termine del prologo dichiara che Dio nessuno lo ha mai visto, solo il figlio ne è la rivelazione, e questa nuova rivelazione che Gesù fa di Dio è che lui è venuto a proporre e a portare una nuova relazione tra Dio e gli uomini che comporta la scomparsa di tutte le istituzioni dell’Antico Testamento, quelle importanti. E tra queste la più importante era il tempio, il santuario di Dio, dove i fedeli dovevano andare per offrire a Dio, un Dio che assorbiva le energie degli uomini.
Ebbene Gesù, eliminando il tempio, cambia il concetto di santuario. Non c’è più bisogno per l’uomo di andare verso il tempio, dove non tutti potevano andare. C’erano determinate condizioni, alcuni erano esclusi. Perché il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre; non un Dio che assorbe le energie degli uomini, ma un Dio che comunica loro le sue.
Il Dio di Gesù è un Dio che ad ogni credente, ad ogni persona, chiede di essere accolto nella sua vita per fondersi con lui e dilatare la sua capacità d’amare in modo da rendere ogni persona e ogni comunità l’unico vero santuario dal quale si irradia e si manifesta l’amore, il perdono e la compassione di Dio. A questo santuario le persone non devono andare, ma è il santuario, l’uomo vivente che va verso di loro. E verso chi va? Verso gli emarginati, e gli esclusi.
E l’evangelista Giovanni già dalle prime battute del suo brano porta a compimento questa nuova sensazionale, straordinaria rivelazione di Dio, un Dio che non è lontano dagli uomini, un Dio che addirittura è loro intimo. Nel capitolo 14 al versetto 23 Gesù dichiarerà: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui”.
L’uomo, il credente diventa la dimora di Dio. Questa di Gesù non è la promessa per l’aldilà, ma la risposta del Padre a un comportamento tenuto in questa vita. Chi orienta la propria vita per il bene e il benessere degli altri, il Padre prende dimora in questa persona. Nell’Esodo Dio aveva posto la sua dimora in una tenda in mezzo al suo popolo e camminava con esso guidandolo verso la libertà. Poi Dio venne come sequestrato dalla casta sacerdotale, dall’istituzione religiosa, e relegato in un tempio dove non a tutti era possibile l’accesso e soprattutto si era ammessi a determinate condizioni, con determinati cerimoniali.
Ebbene con Gesù Dio ha abbandonato il tempio e, come scrive Giovanni nel suo prologo, ha posto la sua tenda in mezzo a noi, in noi. E ha iniziato un nuovo esodo dove ogni discepolo di Cristo diventa la dimora della divinità. L’uomo aveva sacralizzato Dio; mediante la comunicazione del suo Spirito, Dio ora    sacralizza l’uomo. La portata e la comprensione di questa espressione cambia completamente il rapporto con Dio e con gli altri. Questo significa che non esistono ambiti sacri al di fuori dell’uomo. La sacralizzazione dell’uomo desacralizza tutto quello che prima veniva concepito come sacro.
Quindi Dio non è più una realtà esterna all’uomo e lontana da lui, ma interiore. E ha un nome. E questo nome è “Padre”. E, mentre la relazione con Dio aveva bisogno di mediatori, l’intimità con il padre rende le mediazioni superflue. Dio chiede dei sacerdoti incensanti, il Padre richiede dei figli assomiglianti.
Quando l’uomo comprende tutto questo, cambia il rapporto con Dio, comprende che Dio non chiede che l’uomo viva per lui, ma che vivendo di lui, sia come lui.
Quindi con Gesù l’uomo non vive più per Dio, ma vive di Dio e come Dio. Vivere come Dio significa fare della propria vita un dono, amore totale. Questo sarà poi l’unico comandamento che Gesù trasmetterà. Compiendo questo l’uomo sperimenta che l’adesione a Dio non lo diminuisce, ma lo potenzia. E l’uomo sperimenta cosa significa essere il santuario di Dio. Poi San Paolo svilupperà quest’idea nella Lettera ai Corinzi e dirà: Non sapete che siete il santuario di Dio?

“Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire..”

il commento di p. Agostino Rota Martir:

p. agostino

Il Vangelo di questa domenica narra del “casino” di Gesù al  tempio santo di Gerusalemme. Siamo poco abituati a considerare i tratti spigolosi  di un Gesù arrabbiato, anzi infuriato..più disposti  ad abbracciare quelli di Gesù misericordioso, dolce  e compassionevole:  quando si intrattiene a parlare con l’ emarginato, il peccatore, il malato, quando gioca con i bambini  o interviene alla festa di un matrimonio, come aveva fatto a  Cana, appena qualche giorno prima.

Ci  è un pochino difficile conciliare atteggiamenti così diversi, diciamolo pure: del tutto opposti. Forse ci piace poco questo Gesù al tempio di Gerusalemme, poco edificante ai nostri occhi religiosi..lo vorremmo più “diplomatico”, con i piedi per terra, realistico cioè capace di  accettare la realtà dei fatti, insomma un buon moderato.

Il Vangelo è moderato?

La vita è più importante della religione. A maggior ragione se il tempio diventa ormai privo di relazione con Dio, anzi si confonde e si identifica esclusivamente con scambi di carattere  sacro-economico, gestito da imprenditori religiosi. Già i profeti dell’A.T. avevano sollevato  la tentazione di un culto a Dio slegato dalla vita e il rischio di dimenticare il Dio che libera dalla schiavitù, che accompagna Israele in una tenda e che lo segue nel suo peregrinare, che manifesta il suo volto nel rispetto dei più deboli. E’ un Dio nomade che vive in una tenda, fuori l’accampamento, ma ben impiantato nella vita del suo popolo.                                                           Il tempio, invece stabilizza Dio, allontanandolo dalla vita della gente, un tempio magnifico, ma con vetri oscurati!

Dio ha bisogno di uscire, proprio come ha fatto uscire Israele dall’Egitto, mentre il tempio rischia di rinchiuderlo in spazi sacri, accessibili solo a chi gestisce il potere sacerdotale..perché anche Dio và controllato! E spesso, a ben guardare succede anche nella nostra società, che tende sempre di più a chiudere spazi, a privatizzarli in nome dell’economia, del profitto. Così come si controllano i poveri Cristi di oggi..

Gesù con il suo annuncio del Regno, intende proprio far uscire Dio dal tempio, per farlo entrare nella vita degli uomini lo fa con gesti semplici, vivendo relazioni con gli esclusi, i peccatori, gli emarginati gli stessi che si sentivano abbandonati o castigati dalla legge del tempio santo, sussurrando alle loro orecchie che il Regno di Dio è in loro!  Gesù parla di Dio non dal tempio santo, dal luogo preposto per eccellenza, ma attraverso la sua stessa itineranza, è dal cammino che è possibile capire meglio, non solo la Scrittura ma anche discernere la presenza di Dio nella storia.

E’ un Gesù che attraverserà i confini, migrante del Padre, incurante anche delle prescrizione sacre del Tempio, che proibiva di calpestare frontiere pagane, perché tutta la terra è santa agli occhi di Dio suo Padre. Bello quel Tempio che non trattiene per sé Dio e gli uomini, ma raccoglie il loro respiro per poi spingerli sempre fuori, nella vita di nuovo insieme sulle strade di questo mondo, per “bene dire” le speranze e le lacrime degli uomini. Perché la vita di ogni essere umano diventi l’unico Tempio, dove Dio posa fiducioso il suo sguardo.

p. Agostino Rota Martir

6 marzo 2015

 

il commento al vangelo domenicale

 

QUESTI E’ IL FIGLIO MIO, L’AMATO

commento al vangelo della seconda domenica di avvento (1 marzo 2015) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

Mc 9,2-10

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

L’episodio della trasfigurazione  è la risposta di Gesù all’incomprensione dei discepoli per i quali la morte è la fine di tutto.
Sentiamo cosa dice Marco. “Sei giorni dopo”. E’ un’indicazione preziosa, il sesto  giorno è quello che indicava la manifestazione della gloria di Dio sul Sinai e il giorno della  creazione.  Allora, ponendo questa cifra  – i numeri nella Bibbia  hanno sempre valore figurato , simbolico – l’evangelista vuole raffigurare  il fatto che Gesù è la realizzazione piena  della gloria di Dio.
E la gloria di Dio, cone vedremo, si manifesta in una vita capace di superare la morte. Quindi “Sei giorni dopo Gesù prese con sé Pietro”. Il discepolo che si chiama Simone è presentato solo con il suo soprannome negativo che indica la testardaggine, di questo discepolo, la sua caparbietà, lo stare sempre in opposizione.
Precedentemente Gesù  si era rivolto a Simone chiamandolo “Satana.”, diavolo. Quindi “prese con sé Pietro” e gli altri due discepoli difficili, “Giacomo e Giovanni” che in questo vangelo sono stati soprannominati  “boanerghes”, cioè figli del tuono per il loro carattere autoritario e violento. “Li   condusse  su un alto monte”, il monte è il luogo della manifestazione  della condizione divina, “in disparte”. Questa espressione “in disparte” è una chiave di lettura preziosa. Ogni volta che l’evangelista colloca questa  espressione  indica l’incomprensione o addirittura l’ostilità da parte dei discepoli. 
“Fu trasfigurato”, letteralmente “ebbe  una metamorfosi davanti a loro”, “le sue vesti divennero splendenti, bianchissime “. E l’evangelista fa un paragone,  “Nessun lavandaio sulla terra  potrebbe renderle così bianche”. Vuole indicare che questa trasfigurazione di Gesù, questa trasformazione,  non è frutto dello sforzo umano, ma è frutto dell’azione divina, in risposta all’impegno di Gesù a favore dell’umanità.
L’evangelista dimostra che la morte non distrugge la persona,  ma la potenzia. La morte non è un limite per la persona, ma il suo massimo sviluppo.  “E apparve loro”, quindi a questi discepoli,  “Elia con Mosè”. Quindi il personaggio importante è Mosè poiché viene posto in risalto. E’ il personaggio principale, l’autore della legge , ed Elia il profeta è colui che, con il suo zelo,  l’ha fatta osservare.
“Conversavano con Gesù”. Elia  e Mosè, cioè la legge e i profeti, non hanno nulla più da dire, ai discepoli, conversano con Gesù.  Sono gli uomini  che nell’Antico Testamento  hanno parlato con Dio e ora parlano con Gesù, che è Dio. “Prendendo la parola”, letteralmente reagì, o rivoltosi a, quindi è una reazione quella  del discepolo. “Pietro”, di nuovo con il suo soprannome  negativo, “disse a Gesù: ꜙ«Rabbì». Solo due personaggi chiamano Gesù “Rabbì” che era il titolo che si dava agli scribi, cioè coloro che insegnavano e imponevano l’osservanza della legge, e sono i due traditori, Pietro e Giuda.
Questo dimostra quale fosse la comprensione di Gesù che Simone aveva. “«Rabbì è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne» ”. Qual è il significato? C’era nell’attesa dell’epoca la speranza che il messia si sarebbe rivelato durante la festa più importante di tutte. C’era una festa in Israele, talmente importante che non aveva bisogno di essere nominata.  Bastava dire “la festa”.
La festa per eccellenza era la festa delle capanne, che era un ricordo della liberazione dalla schiavitù egiziana e per una settimana si viveva sotto delle capanne. Ebbene si credeva che il nuovo liberatore sarebbe arrivato nel ricordo dell’antica liberazione. Quindi la festa delle capanne è la festa della liberazione. Allora Pietro vuole che Gesù si manifesti come messia durante questa festa, ecco il fatto di fare tre capanne, “«Una per te, una per Mosè, una per Elia»”.Dei tre personaggi quello al centro è sempre il più importante. Per Pietro non è importante Gesù, ma Mosè.
Gesù ancora non è riuscito a far comprendere la novità che lui è venuto a portare e i discepoli sono rimasti a questa mentalità antica in cui c’è la centralità della legge con la violenza di Elia. Elia è il profeta che scannò personalmente 450 sacerdoti di un’altra divinità. Allora  Pietro continua nella sua azione di Satana, è il tentatore. “Questo è il messia che io voglio, quindi manifestati come messia osservando la legge di Mosè e imponendola con lo zelo profetico e violento di Elia.
“Non sapeva infatti cosa dire perché erano spaventati”, letteralmente terrorizzati. Perché? Pietro s’è scontrato già con Gesù, che l’ha chiamato Satana, e di fronte alla manifestazione della divinità in Gesù teme un suo castigo. “Venne una nube”, la nube è segno della presenza divina, e in particolare segno di liberazione da parte di Dio, “Che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce”, e quindi è la voce 
di Dio, “«Questi è il figlio mio, l’amato»”, l’amato significa il figlio primogenito che è l’erede di tutto. “«Lui ascoltate!»” L’ordine è imperativo. Non devono ascoltare né Mosè né Elia. E’ soltanto Gesù che va ascoltato. Quello che ha scritto Mosè e quello che ha fatto e scritto Elia vanno reintrerpretati e messi in relazione con l’insegnamento di Gesù. Gesù va ascoltato. Tutto quello che lo precede e che coincide con lui va accolto, tutto quello che si distanzia o è contrario non sarà norma di comportamento per la comunità dei credenti.
“E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro”. Cercano ancora Mosè ed Elia cercano ancora la sicurezza della tradizione. Ma se prima Mosè e Elia non avevano niente da dire ai discepoli, ora scompaiono dalla loro azione.
“Mentre scendevano dal monte ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”. Perché? Abbiamo visto qual è la condizione dell’uomo che passa attraverso la morte, quindi non è una condizione di distruzione, ma di potenza divina, ma non sanno ancora che questa condizione divina passerà attraverso la morte più infamante, la morte di croce. Quindi potrebbero avere dei falsi sentimenti di trionfalismo.
“Essi tennero per loro la cosa chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti”. Continuano ad escludere la morte di Cristo, non riescono a capire come il messia possa andare incontro alla morte. Secondo la tradizione il messia non poteva morire

 

 

il vangelo della domenica

 

GESU’, TENTATO DA SATANA, E’ SERVITO DAGLI ANGELI

commento al Vangelo della prima domenica di quaresima (22 febbraio 2015) di p. Alberto Maggi:

maggi

 

Mc 1,12-15
In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».

 

Stupisce la sobrietà dell’evangelista Marco nel descrivere le tentazioni di Gesù nel deserto. Infatti scrive Marco: E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato dal Satana. Secondo Marco Gesù non prega, non digiuna. E Marco neanche elenca il numero delle tentazioni come invece fanno nei loro vangeli Matteo e Luca. Cosa ci vuol trasmettere l’evangelista?
Il “subito”  mette in relazione le tentazioni con l’episodio del battesimo quando Gesù ha ricevuto lo spirito, cioè l’amore di Dio. La risposta di Gesù all’amore del padre è l’amore per gli uomini che lui viene a liberare. Questo spirito lo sospinge, il verbo ha un’immagine di forza, di violenza quasi nei confronti di Gesù. Lo sospinge nel deserto per quaranta giorni. Il deserto e i quaranta giorni richiamano i quaranta anni che il popolo di Israele stette nel deserto prima di entrare nella terra promessa.
Quindi l’evangelista ci vuole indicare che tutta la vita di Gesù è stata un cammino, una traversia nel deserto verso la pienezza della liberazione. Quello che l’evangelista ci sta descrivendo non è un episodio della vita di Gesù, ma una sintesi di tutta la sua esistenza.
Ebbene in questo deserto per quaranta giorni fu tentato dal Satana. E’ la prima volta che in questo vangelo compare il termine “Satana”, poi scompare per riapparire poi nel capitolo 8 in bocca a Gesù rivolto a uno dei suoi discepoli, a Simon Pietro, che Gesù chiamerà “Satana”. “Vattene Satana, torna a metterti dietro di me!”
E’ quindi la prima e l’ultima volta che compare il Satana. Nell’episodio in cui Gesù rifiuta Pietro e lo definisce Satana, Pietro non accetta la morte di Gesù, Pietro vuole il potere di Gesù. Il Satana poi ricompare nella parabola dei quattro terreni come immagine degli uccelli che raccolgono il seme appena seminato e l’evangelista indica che è il potere.  Chi ha un’ideologia di potere è refrattario e ostile all’annunzio di Gesù. Poi riapparirà nella polemica di Gesù quando dichiarerà che “un Satana che è diviso contro se stesso è destinato alla fine”.
Quindi il Satana compare pochissime volte. Ma quello che l’evangelista ci aiuta a comprendere, l’azione di questo Satana e il suo significato è soprattutto il verbo “tentare” comparirà ancora tre volte in questo vangelo, da parte di chi non ci saremmo aspettati, cioè i Farisei.
Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto zelanti, tanto osservanti di ogni dettaglio della legge, l’evangelista li identifica invece come diavoli, come strumenti del Satana, perché sono loro che tentano Gesù, e tutte e tre le volte che tentano Gesù sono all’insegna della divisione. Satana, il diavolo, è colui che divide. Ebbene i Farisei che si credevano tanto vicini a Dio, in realtà sono strumenti del diavolo per dividere.
La prima volta che compaiono, e compare di nuovo il verbo “tentare”, è quando Gesù ha condiviso i pani non solo il terra d’Israele, ma anche in terra dei pagani, per indicare che l’amore di Dio è per tutta l’umanità. Questo era inaccettabile. Scrive l’evangelista al capitolo 8, versetto 11, Vennero i Farisei e si misero a discutere con lui chiedendogli un segno dal cielo per tentarlo.
Quello che sta facendo Gesù è assurdo, l’amore di Dio anche per i pagani. Allora vogliono un avvallo da parte di Dio. Loro vogliono dividere Dio dai pagani, ma l’amore di Dio è per tutta l’umanità. Poi la volta sarà quando alcuni Farisei, avvicinatisi per tentarlo, gli chiedono se è lecito a un uomo ripudiare la propria moglie. Vogliono dividere l’uomo dalla donna.
L’uomo ha una superiorità, dei diritti che la donna non ha. E Gesù invece si richiama al disegno della creazione e riafferma l’unità tra l’uomo e la donna e la perfetta uguaglianza. Infine la terza volta, forse la volta più subdola, sarà Gesù che chiederà “Perché volete tentarmi?” Gli hanno chiesto lecito o no pagare il tributo, la tassa a Cesare e Gesù non cadrà nella loro trappola e dirà che sia Cesare che i Farisei hanno occupato il posto di Dio.
I Farisei hanno diviso Dio dagli uomini. E Gesù dirà: “Restituite a Dio quello che è di Dio”, cioè restituitegli il suo popolo. Quindi i Farisei, questi leader spirituali, questi rappresentanti della spiritualità, della massima santità, che la gente guardava con ammirazione, l’evangelista sin dalle prime battute del suo vangelo, li denuncia come strumenti del diavolo. Il diavolo è colui che divide, colui che crea fenomeni di divisione.

 

il commento al vangelo della domenica

 LA LEBBRA SCOMPARVE DA LUI ED EGLI FU PURIFICATO

commento al vangelo della sesta domenica del tempo ordinario (15 febbraio 2015) di p. Alberto Maggi: 

maggi

Mc 1,40-45

In quel tempo, venne da Gesù un lebbroso, che lo supplicava in ginocchio e gli diceva: «Se vuoi, puoi purificarmi!». Ne ebbe compassione, tese la mano, lo toccò e gli disse: «Lo voglio, sii purificato!». E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato. E, ammonendolo severamente, lo cacciò via subito e gli disse: «Guarda di non dire niente a nessuno; va’, invece, a mostrarti al sacerdote e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha prescritto, come testimonianza per loro». Ma quello si allontanò e si mise a proclamare e a divulgare il fatto, tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti; e venivano a lui da ogni parte.

La buona notizia che Gesù comunica all’umanità è che Dio non emargina alcuna persona. E’ la religione che divide le persone tra puri e impuri, meritevoli e no, ma non Dio. Come dirà Pietro negli Atti degli Apostoli, “Dio mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro nessun individuo”. E’ questo il tema che ci presenta l’evangelista Marco nel capitolo primo con l’episodio del lebbroso. “Venne da lui un lebbroso”, il personaggio è anonimo. E quando nei vangeli un personaggi è anonimo significa che è un personaggio rappresentativo, cioè un individuo nel quale chiunque vive una situazione simile ci si può identificare. La lebbra a quel tempo era considerata un castigo da Dio per determinati peccati e non si guariva dalla lebbra. In tutto l’Antico Testamento si narrano soltanto due guarigioni dalla lebbra, una di Maria, la sorella di Mosè, ad opera di Dio stesso, e l’altra di Eliseo verso la mano di un pagano. Quindi soltanto due guarigioni. La lebbra è considerata un castigo di Dio per determinati peccati, per cui il lebbroso non destava compassione, doveva vivere lontano dai villaggi, emarginati. Era in pratica un cadavere vivente e soprattutto non può né avvicinare, né essere avvicinato. Ebbene qui il lebbroso invece trasgredisce la legge. Va verso Gesù e lo supplica in ginocchio. Lo supplica in ginocchio perché non sa quale potrà essere la reazione di Gesù. “gli diceva: «Se vuoi puoi purificarmi!»” Non chiede di essere guarito, perché si sapeva che dalla lebbra non si poteva guarire. Lui chiede di essere purificato. In tutto il brano mai apparirà il verbo “curare o guarire”, ma sempre per tre volte, il che indica la completezza, il verbo “purificare”, cioè lui vuole almeno il contatto con Dio. Ha perso tutto, la famiglia, gli affetti, gli amici, e ha perso anche Dio, si sente veramente un fallito, un abbandonato. Allora chiede almeno il contatto con Dio, perché la religione lo ha posto in una situazione disperata. E’ impuro, l’unico che può togliergli l’impurità è Dio, ma siccome lui è impuro, non può rivolgersi a Dio. Quindi la disperazione più totale. La reazione di Gesù verso quest’uomo peccatore – secondo la cultura dell’epoca che continua a peccare trasgredendo la legge – è di compassione. Il termine “compassione” indica un sentimento divino con il quale si restituisce vita a chi vita non ce l’ha. “Tese la mano”. Ecco qui crea un po’ allarme questa espressione perché l’evangelista la prende dal libro dell’Esodo, dall’elenco delle dieci piaghe, dove stendere la mano è sempre un’azione di Dio o di Mosè contro i nemici del suo popolo, per castigarli. Allora non sapendo come va a finire l’episodio il lettore, l’ascoltatore si chiede: Cosa fa, lo castiga? Perché è un peccatore che continua a trasgredire la legge. E poi lo tocca. Non era necessario toccare un ammalato, un lebbroso. Quante volte Gesù ha guarito soltanto con la potenza della sua parola. Qui perché lo tocca? Lo tocca perché era proibito. E cosa succede? “Gli disse: «Lo voglio»”. La volontà di Dio è l’eliminazione di ogni emarginazione attuata in nome suo, cancellando così definitivamente per sempre la categoria degli impuri. Non esistono persone impure per il Signore. “«Lo voglio, sii purificato!»”. E Gesù, toccandolo, trasgredisce anche lui la legge e da quel momento, ritualmente, giuridicamente, lui diventa impuro. “E subito la lebbra scomparve da lui ed egli fu purificato”. Per la terza volta appare il verbo “purificare”. Che meriti aveva il lebbroso per essere purificato? Nessuno, anzi ha continuato a trasgredire la legge. L’evangelista sta presentando la novità di Gesù: che l’amore di Dio non è attratto dai meriti delle persone – questo lebbroso non ha alcun merito – ma dai loro bisogni. E soprattutto la grande novità: non è vero, come insegna la religione, che l’uomo deve purificarsi per avvicinarsi e accogliere il Signore, ma è vero il contrario, accogliere il Signore è ciò che purifica l’uomo. Questa è la buona notizia portata da Gesù. Ma qui sembra che Gesù improvvisamente cambi umore .”E”, non è “ammonendolo”, ma “rimproverandolo severamente, lo cacciò via”. Perché? Casomai Gesù lo avrebbe dovuto rimproverare prima, quando quest’uomo peccatore ha trasgredito la legge e gli si è avvicinato. Perché adesso lo rimprovera? E soprattutto da dov’è che lo caccia? Lo rimprovera per aver creduto che Dio lo avrebbe escluso dal suo amore. E lo caccia via dal luogo simbolico, dalla sinagoga, dall’istituzione religiosa, che invece insegnava quest’immagine terribile di un Dio che minacciava, castigava e allontanava le persone da lui. Ecco perché Gesù lo rimprovera. Come hai potuto credere che tu fossi abbandonato da Dio, lontano da Dio? E poi gli dice: “«Guarda di non dire niente a nessuno»”, perché prima deve prendere coscienza di quello che gli è accaduto, “«Va invece a mostrarti al sacerdote»”. Perché “«Mostrati al sacerdote E offri per la tua purificazione quello che Mosè»”, non Dio, “« ha prescritto»”? La lebbra è un termine generico col quale si indicavano altre malattie della pelle o del cuoio capelluto. E da queste si poteva guarire. Allora per poter rientrare nel villaggio, nella famiglia, occorreva farsi esaminare dai sacerdoti che certificavano che la persona era sana. E naturalmente questa visita non era gratuita, ma si dovevano pagare ben tre agnelli, o uno se la persona era povera. Cioè Gesù lo invita a paragonare due modi di Dio, il Dio dei sacerdoti, un Dio esoso, un Dio che abbandona, un Dio che emargina, e il Padre di Gesù il cui amore viene dato gratuitamente. E infatti Gesù dice “«come testimonianza»”, non “per loro”, ma il testo dice “«contro di loro»”. L’evangelista si rifà al libo del Deuteronomio, cap. 31, vers. 26, in cui Mosè dice: “«Prendete questo libro della legge, vi rimanga come testimone contro di te»”, come trasgressione della legge, della volontà di Dio. Ebbene il lebbroso ha capito e non va più dai sacerdoti. E infatti “Quello uscì”, abbandona quest’istituzione che lo aveva reso impuro, “e si mise a predicare”. L’evangelista adopera per quest’individuo lo stesso verbo adoperato per l’insegnamento di Gesù. “E a divulgare”, non “il fatto”, come è tradotto qui. E’ il termine greco “logos” che significa parola, il messaggio. Cioè quello che annunzia non è tanto il fatto che gli è accaduto, ma va ad annunziare la novità: Dio non emargina, Dio non esclude, Dio non lascia che le persone stiano lontane da lui, ma il suo amore è rivolto a tutti quanti. Questo è il messaggio che l’ex lebbroso va a testimoniare. “Tanto che”, e qui l’evangelista non pone il soggetto Gesù, perché identifica Gesù e il lebbroso come se fossero la stessa persona. Il messaggio che il lebbroso sta divulgando è che Dio non è come i sacerdoti gli hanno fatto credere. Non discrimina, non emargina gli uomini, ma a tutti offre il suo amore. “Tanto che non poteva più entrare pubblicamente in una città”. Naturalmente l’evangelista si riferisce a Gesù. Gesù, toccando il lebbroso, è diventato anche lui impuro e quindi non può entrare pubblicamente in una città, perché dovrebbe prima sottoporsi anche lui ai riti di purificazione. “Ma rimaneva fuori”, esattamente come un lebbroso, “in luoghi deserti”, i luoghi dove dovevano stare le persone impure. Ma, come venne, il lebbroso all’inizio di questo brano, ecco che “venivano a lui da ogni parte”. Tutte le persone che si sono sentite emarginate, tutte le persone che si sono sentite rifiutate, tutte le persone che si sono sentite disprezzate, ecco accorrono a Gesù. E’ un Dio che ha purificato la persona, l’ha resa pienamente in comunione con lui. E’ questa la buona notizia che la gente aspettava, specialmente i più lontani, i più abbandonati, i più emarginati e disprezzati dalla religione.

ne ebbe compassione e lo toccò

una riflessione in proposito da parte di p. Agostino Rota Martir :

p. agostino

 

Domenica scorsa, terminata la Messa, una signora mi chiede se posso confessarla. Accetto e ci accomodiamo su una panca della Chiesa, ormai deserta e silenziosa.  Confessa i suoi peccati, poi iniziamo a riflettere sul vangelo di questa domenica e da subito mi accorgo che alcuni passaggi della mia predica, l’avevano lasciata un pochino dubbiosa e perplessa.

La signora sa che vivo con i Rom: “ma come è possibile avere compassione dei rom, dei clandestini quando questi se ne approfittano, sfruttano i loro stessi bambini..rubano, fanno razzie nelle nostre case? Ormai ci dobbiamo difendere da costoro! Ma come farlo da cristiani?”  

Il vangelo di questa domenica è il racconto del lebbroso che incontra Gesù: “Se vuoi puoi purificarmi!”, è la sua sola richiesta. Non domanda per sè la guarigione dalla lebbra, cosa del tutto comprensibile, chiede di essere purificato, condizione essenziale per riprendere il rapporto con Dio, interrotto a causa del contagio della lebbra, anzi castigato da Dio stesso. Era un impuro, e proprio per questo “messo fuori” dalla città, al margine, uno scarto della stessa società, condannato a gridare questa sua condizione lungo la strada, a non toccare anima viva e pura. Regole imposte dai puri, dai sani per difendersi e tutelarsi. Ieri come oggi. Quante regole, quante ordinanze emanate per salvaguardare i buoni e distinguersi dai cattivi e creano altre esclusioni, le fomentano, invece di combatterle.

I migranti oggi sono visti spesso come portatori di malattie, raccolti in veri centri di detenzione, quante le associazioni incaricate a controllare gli “scarti”, anche per tenerli a debita distanza di sicurezza..sì, è vero toccano le loro vite, ma senza compassione.

Quanti accampamenti di Rom fuori le nostre città, visti con diffidenza e sospetto e esclusi da ogni possibile compassione, anzi, guai a mostrare compassione verso di loro.  Mentre Dio non scarta proprio nessuno, neanche il lebbroso che in nome di una obbedienza “sacra”, scandalosamente è messo fuori dalla comunità dai sacerdoti stessi: in nome di una falsa fedeltà a Dio.

Ne ebbe compassione, tese la mano e lo toccò..”

È questa la Buona Notizia che Gesù racconta e rivela..grazie anche alla disobbedienza di questo lebbroso che contagia lo stesso Gesù a fare un’altro gesto, decisamente disobbediente: muoversi a compassione e toccarlo con la mano, gesto proibito e scandaloso. A volte Dio può rivelare la sua Volontà più attraverso un gesto di trasgressione, che ad una fedeltà fredda, meschina e distante. Un’obbedienza priva di compassione non apre cammini nuovi, a differenza della compassione (patire-con) che arriva a superare barriere e steccati di ogni genere. Sappiamo essere “compassionevoli disobbedienti”?  Mi affascina questo Dio capace di trasgressioni feconde..si ripete spesso quando ci confessiamo: Dio ha compassione di ognuno di noi, non si schifa delle nostre lebbre, ma continua a stendere la sua mano e ci tocca..è un Dio che per amore trasgredisce la legge dei “buoni e puri”, ancora oggi pronti a rinchiudere il suo Vangelo negli steccati del buon senso e della sicurezza. Costoro sarebbero capaci anche di emanare ordinanze per obbligare Dio a non mischiarsi troppo e a tenere le dovute distanze con chi disturba la tranquillità, non si integra a modino alle regole..

”Tanto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti..”  Pericolo, non toccare! 

il commento al vangelo della domenica

GUARI’ MOLTI CHE ERANO AFFETTI DA VARIE MALATTIE 

commento al Vangelo della quinta domenica del tempo ordinario (8 febbraio 2015) di p. Alberto Maggi:

maggi

Mc 1,29-39

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Per comprendere il brano di questa domenica occorre inserirlo nel suo contesto che è il giorno del sabato, giorno nel quale sono proibiti ben 1.521 azioni. Questo numero nasce dai 39 lavori che furono necessari per la costruzione del tempio di Gerusalemme, dei quali ognuno è suddiviso in altrettanti 39 attività, per un totale di 1.521 azioni. E tra queste c’è la proibizione di far visita o curare gli ammalati.
Sentiamo Marco. “E subito, usciti dalla sinagoga”, nella sinagoga c’è stato l’incidente, Gesù è stato contestato dalla persona con  lo spirito impuro, “andarono nella casa di Simone e Andrea”, che a quanto pare non sono stati al culto in sinagoga, “in compagnia di Giacomo e Giovanni” che invece evidentemente erano con Gesù in sinagoga.
Quindi abbiamo due coppie di fratelli, una più osservante, Giacomo e Giovanni, e l’altra a quanto pare meno. Infatti hanno dei nomi di origine greca, Simone e Andrea. “La suocera di Simone era a letto con la febbre”. E’ una donna, e le donne sono considerate una nullità, e per di più è ammalata per cui è in una condizione di impurità.
Una donna in quelle condizioni va evitata. E invece, “subito”, immediatamente all’uscita della sinagoga, “gli parlarono di lei”. E’ l’effetto della buona notizia che Gesù  ha proclamato nella sinagoga, una notizia che non divide gli uomini tra puri e impuri, tra emarginati e non, ma a tutti comunica il suo amore.  
“Egli si avvicinò e la fece alzare”, quindi Gesù cerca di curarla, “prendendola per la mano”. E’ proibito, perché toccare una persona impura significa assumere la sua impurità. Ebbene Gesù ignora la regola del sabato. Tutte le volte in cui Gesù si è trovato in conflitto tra l’osservanza della legge di Dio e il bene dell’uomo, non ha avuto esitazioni, ha scelto sempre il bene dell’uomo.
Facendo il bene dell’uomo si è sicuri anche di fare il bene di Dio, spesso per il bene di Dio, per l’onore di Dio, si fa male all’uomo. Quindi Gesù prende per la mano, trasgredisce la legge, “la febbre la lasciò ed ella li serviva”.
Il verbo adoperato dall’evangelista è lo stesso da cui deriva la parola che tutti conosciamo “diacono”. Chi è il diacono? E’ colui che liberamente serve per amore. Ebbene quest’espressione era già stata usata per gli angeli che, dopo le tentazioni, servivano Gesù nel deserto. Quindi Marco equipara il ruolo delle donne a quello degli angeli, sono gli esseri più vicini a Dio. Quindi la donna, considerata l’individuo più lontano da Dio, in realtà secondo l’evangelista è la più vicina a Dio.
Mentre in casa la necessità di una persona è stata più importante del sabato, in città il sabato è più importante della necessità delle persone. Infatti, “venuta la sera”, espressione che in Marco è sempre negativa, “dopo il tramonto del sole”, quindi attendono che sia passato il giorno del sabato nel quale è proibito visitare e curare gli ammalati, “gli portarono tutti i malati”. L’evangelista adopera l’espressione “stavano  male”, ed è un’allusione al profeta Ezechiele, al capitolo 34,4, dove il Signore denuncia i pastori e dice “non avete curato quelle pecore che stavano male”.
Quindi non si tratta tanto di infermi, ma quanto di popolo oppresso dai suoi pastori. “E gli indemoniati”. Indemoniato è colui che è posseduto da uno spirito impuro e che manifesta abitualmente il suo comportamento ed è conosciuto per questo. “Tutta la città era riunita”, letteralmente congregata, la radice del verbo è la stessa da cui deriva la radice “sinagoga”, “davanti alla porta”. E’ un momento di grande successo per Gesù.
“Guarì  molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni”. Abbiamo già visto altre volte che liberare, scacciare i demoni significa liberare da ideologie religiose nazionaliste che rendono refrattari o ostili all’annunzio della buona notizia di Gesù. “Ma on permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano”.
Cioè indicano Gesù come il messia atteso dalla tradizione, esattamente come aveva fatto la persona posseduta da uno spirito impuro dentro la sinagoga. Ebbene Gesù di fronte a tutta una città che lo sta seguendo, che è pronta a seguirlo, Gesù rifiuta la tentazione del potere, del successo. “Al mattino presto si alzò quando ancora era buio”, quindi quando mancava la luce, “e uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”.
E’ la prima delle tre volte nelle quali l’evangelista presenta Gesù in preghiera. E tutte e tre le volte è sempre per una situazione di pericolo o difficoltà per i propri discepoli. Qui prega perché, come vedremo, i discepoli sono esaltati da questo successo di Gesù, poi prega dopo la condivisione dei pani quando c’è la tentazione di vedere in Gesù il leader che può risolvere i problemi della società; e infine  prega al Getzemani poco prima della sua cattura. Prega appunto per i discepoli che non saranno capaci di affrontare questo dramma, questo momento.
“Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce”. L’evangelista adopera la stessa espressione che nel libro dell’Esodo si trova per indicare il faraone che si mette sulle tracce del popolo ebraico per impedirne l’esodo, la liberazione.
“Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano»”. Questo verbo “cercare” in Marco è sempre negativo. Ebbene Gesù non resta a Cafarnao, ma invita a seguirlo. Non c’è la tentazione del potere. “E disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là»”. Gesù comincia a predicare, non più a insegnare. Ha insegnato nella sinagoga dove insegnare significa annunciare qualcosa poggiandosi sui testi della scrittura, quindi l’Antico Testamento.
Gesù, dopo il fiasco della sinagoga, non insegna, ma predica. Predicare significa annunziare la novità del regno di Dio senza poggiarsi sulla tradizione del passato. “«Per questo infatti sono venuto!»” Qui la traduzione “venuto” non è esatta; sembra che Gesù sia venuto al mondo per questo. No, il verbo adoperato dall’evangelista è “uscire”, cioè, “per questo sono uscito, per questo ho lasciato Cafarnao perché non mi limito a Cafarnao, ma devo andare ad annunciare per tutta l’umanità.
“E andò per tutta la Galilea, predicando”, ecco Gesù già non insegna più, ma predica, “nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni”. L’evangelista sembra alludere al fatto che il luogo dove i demoni sono annidati sono proprio le sinagoghe, i luoghi di culto. Era l’istituzione religiosa che indemoniava le persone presentando loro un’immagine di Dio completamente deviata da quella che sarà la forma con la quale Gesù presenterà suo Padre.

 

 una chiesa in uscita

il commento di p. Agostino Rota Martir dal suo luogo di condivisione della vita con un gruppo di rom

 

p. agostino

Il Vangelo di questa domenica racconta una delle tante giornate di Gesù, che inizia uscendo dalla sinagoga e termina nel dire,  che Gesù “predica nelle loro sinagoghe”. 

Dalla sinagoga di Cafarnao alle sinagoghe della Galilea. Ma in mezzo ci sta la vita con le sue esigenze, contrasti, gli incontri con amici, i conoscenti, i malati che desiderano o pretendono di guarire, è un Gesù che vive la città..che si lascia avvolgere dalle case, dalle sue strade, piazze, dall’ascolto dei suoi abitanti..ma anche capace di isolarsi per pregare in un luogo deserto. 

Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!” 

Sono gli inizi della vita pubblica di Gesù, da un lato Gesù è preso dal desiderio di raggiungere e toccare più villaggi possibili, non manca certo l’entusiasmo, e dall’altro il Vangelo racconta lo stile di annuncio che sarà tipico di Gesù: uscire per incontrare la gente, là dove vive, lavora e soffre. Predica la Buona Notizia, ma si lascia anche annunciare dalla vita che incontra lungo la strada.  Gesù non si lascia ingabbiare dalla sinagoga, ma è proprio fuori da essa che bisogna stare, andare, incontrare i poveri, guarire le loro ferite, ascoltare con il cuore i lamenti, raccogliere desideri nascosti di più vita..altrimenti si corre il rischio di tradire la Parola stessa o di farne un totem sacro di sole regole e prescrizioni. 

Il Vangelo di questa domenica è lo “schizzo” di una Chiesa in uscita, capace di uscire dalle sacrestie per raggiungere le periferie, per ascoltarle dal di dentro, per assumere il loro odore, non basta certo andarci con la bomboletta spray per spruzzare sulla gente e sui poveri in genere un po’ di “deodorante del nostro insegnamento”,  per coprire il loro odore che ci da fastidio e sentirci dei bravi cristiani impegnati.. Uscire anche per interrogare la nostra fede, per raccogliere la presenza di Dio nascosta fuori la Chiesa, fra gli scarti della società, capaci forse di evangelizzare anche  le nostre stesse comunità cristiane. 

La Parola ha sempre e ovunque bisogno di incarnarsi in situazioni concrete, per mostrare la sua bellezza e poter guarire le nostre ferite aperte con il suo balsamo. 

“..si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.”  Anche la Parola per sapersi incarnare ha bisogno di silenzio, di preghiera, di deserto in ognuno di noi..per non rischiare di sentirci noi i “padroni della Parola” o gli amministratori di successi sulla pelle degli esclusi.  La preghiera è parte dell’incarnazione, è essenziale per una Chiesa in uscita e non può farne a meno, perché quando la  preghiera si nutre di volti, di situazioni, di conoscenze e condivisioni, è in grado di alimentare e far pulsare il cuore di Dio..è anche capace di rendere la Chiesa umile, povera e gioiosa di stare a fianco dei poveri, fedele alla sua missione di essere Chiesa discepola di Gesù, sempre in uscita, itinerante, ovunque: “perché io predichi anche là.”   Non rintanata per odorare di incensi la propria bellezza, ma disposta a sporcarsi i piedi e di “puzzare di pecora”, pur di annunciare il Vangelo della Gioia. 

 

il commento al vangelo domenicale

 

INSEGNAVA LORO COME UNO CHE HA AUTORITA’

 commento al Vangelo della quarta domenica del tempo ordinario (1nfebbraio 2015) di p. Alberto Maggi

maggi

 

Mc 1-21-28

In quel tempo, Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, [a Cafàrnao] insegnava. Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi.
Ed ecco, nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da uno spirito impuro e cominciò a gridare, dicendo: «Che vuoi da noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Io so chi tu sei: il santo di Dio!». E Gesù gli ordinò severamente: «Taci! Esci da lui!». E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: «Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono!». La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.

Gesù ha chiamato i primi quattro discepoli invitandoli ad essere pescatori di uomini. Qual è il significato di pescare gli uomini? Togliere gli uomini da un ambito che può recare loro la morte. E inizia la pesca. Ma dove porterà Gesù i suoi discepoli per pescare gli uomini? E questa è la sorpresa che ci riserva il vangelo di Marco nel brano di questa domenica, al capitolo 1, versetti 21-28.
Gesù non porta i suoi discepoli per salvare gli uomini in luoghi di malaffare o luoghi peccaminosi, ma nei luoghi di culto, nei luoghi religiosi. Sono questi gli ambiti in cui bisogna salvare gli uomini, perché sono questi i luoghi che rischiano di dare la morte alle persone che li frequentano.
Leggiamo Marco.
Giunsero a Cafarnao e subito Gesù, entrato di sabato nella sinagoga, insegna. L’evangelista non afferma che Gesù partecipa al culto della sinagoga, ma va nella sinagoga per insegnare e il suo insegnamento è l’esatto contrario di quello che lì veniva trasmesso. Gesù, nel suo insegnamento, vuole liberare le persone da quelle che lui denuncerà come “dottrine degli uomini”, “tradizioni degli antichi”, che nulla hanno a che fare con la volontà di Dio.

Marco scrive che la reazione della gente è singolare, erano stupiti del suo insegnamento. E sottolinea, egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità. Avere autorità significa avere il mandato divino. E non come gli scribi. Erano gli scribi quelli che avevano questo mandato divino per insegnare.
Gli scribi erano i teologi ufficiali del sinedrio, era il magistero infallibile, persone di straordinaria importanza; si credeva che le parole degli scribi fossero le stesse parole di Dio, quando c’era conflitto tra la parola scritta e l’insegnamento dello scriba bisognava dare retta allo scriba perché lui era l’unico vero interprete della sacra scrittura. Ebbene, appena Gesù insegna, ecco che la gente incomincia ad aprire gli occhi. Questo Gesù ha il mandato divino per insegnare, non i nostri scribi.
Ed ecco che scoppia l’incidente. E immediatamente, come Gesù è entrato nella sinagoga e ha iniziato a insegnare, c’è subito l’incidente. Nella loro sinagoga vi era un uomo posseduto da spirito impuro. La denuncia che fa l’evangelista è molto seria e drammatica: ecco il prodotto della sinagoga, un uomo posseduto da spirito impuro. Frequentare questi luoghi di culto, frequentare questi luoghi religiosi, accogliere in maniera acritica l’insegnamento che lì viene dato, rende le persone impure.
Impure significa nell’impossibilità di comunicare con Dio. L’insegnamento religioso non solo non avvicinava la gente a Dio, ma era quello che glielo impediva. Ebbene, cominciò a gridare, dicendo: “Che vuoi da noi, Gesù Nazareno?” E’ strano perché c’è un uomo ma parla al plurale. “Sei venuto a rovinarci?” Quest’uomo si sente minacciato da Gesù. Ma perché parla al plurale? Chi è che Gesù sta rovinando con il suo insegnamento? Sta rovinando la categoria e la reputazione degli scribi. Allora questo è l’uomo che ha dato un’adesione acritica, incondizionata all’insegnamento degli scribi e quando vede questo insegnamento in cristi, sente in pericolo anche la propria religiosità, la propria fede.
Ecco perché reagisce. E’ l’uomo che si fa portavoce della categoria degli scribi. E lo richiama al suo compito. “Io so chi tu sei: il santo di Dio!” Il santo di Dio è un’espressione che indicava il messia che doveva osservare fedelmente la legge e poi imporla. Gesù non accetta il dialogo. E Gesù gli ordinò severamente: “Taci! Esci da lui!! E lo spirito impuro, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.
Perché questo spirito impuro, che è sconfitto dalla parola di Gesù lascia l’uomo straziandolo? Perché è uno strazio. Quando si arriva a un certo punto della propria esistenza e si incontra il messaggio di Gesù dover riconoscere che tutto l’insegnamento al quale si era creduto, tutte le pratiche religiose che erano state fatte, non solo non permettevano la comunione con Dio, ma erano proprio l’ostacolo che lo impediva, ebbene liberarsi da tutto questo è uno strazio. Ci si sente traditi, ci si sente ingannati.
Tutti furono presi da meraviglia (non timore), tanto che si chiedevano a vicenda: “Che è mai questo? Un insegnamento nuovo”. Il termine “nuovo” adoperato dall’evangelista non ha in senso di aggiunto nel tempo (un nuovo insegnamento) ma un insegnamento nuovo, nuovo di una qualità che soppianta tutto il resto. L’insegnamento di Gesù è la risposta di Dio al bisogno di pienezza di vita che ogni persona porta dentro di sé. E questo la gente lo ha percepito.
“Dato con autorità”. Ecco di nuovo si ribadisce che Gesù ha l’autorità, cioè il mandato divino per insegnare e non gli scribi. “Comanda persino agli spiriti impuri …” E qui Gesù ha comandato a uno, ma la

gente estende l’effetto, l’efficacia dell’insegnamento di Gesù a tutte le situazioni di impurità. “… E gli obbediscono!” La sua fama si diffuse subito dovunque, in tutta la regione della Galilea.
Quindi dilaga l’insegnamento di Gesù. Naturalmente gli scribi non staranno con le mani in mano, ma poi si vendicheranno e più avanti vedremo che saranno gli scribi a dire che Gesù è lui che è posseduto da uno spirito impuro.

https://www.youtube.com/watch?v=-SmknWzMeKA

il commento al vangelo della domenica

 

 

 

commento al vangelo della terza domenica del tempo ordinario (25 gennaio 2015):

Mc 1,14-20

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo».
Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono.
Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.

CONVERTITEVI E CREDETE AL VANGELO 

il commento di p. Maggi:

maggi

L’evangelista Marco denuncia la stupidità del potere. Ogniqualvolta il potente crede di soffocare una voce di denuncia il Signore ne suscita una ancora più forte. E’ quello che ci scrive Marco nel suo vangelo, al capitolo 1, dal versetto 14.
“Dopo che Giovanni fu arrestato”, è il primo conflitto tra il potere e un inviato di Dio. Ma ogni volta Dio suscita sempre una voce ancora più forte. “Dopo che Giovanni fu arrestato”, letteralmente ‘consegnato’, “Gesù andò nella Galilea”. Gesù incomincia nella regione lontana dall’istituzione religiosa giudaica, una regione a contatto con i pagani dove la mentalità poteva essere un poco più aperta.
“Proclamando il vangelo di Dio”, cioè la buona notizia di Dio. E qual è la buona notizia di Dio? Che Dio è diverso da come i sacerdoti l’avevano presentato. E’ un Dio completamente diverso. Non è un Dio che chiede, ma un Dio che dà. Non è un Dio che castiga, ma un Dio che perdona, non un Dio buono, ma esclusivamente buono.
Questo è il contenuto della buona notizia del vangelo di Dio che Gesù proclamerà. Dio è amore e il suo amore viene offerto in maniera incondizionata ad ogni persona. Questa è la buona notizia che Gesù proclama. “E diceva: «Il tempo è compiuto»”. Per esprimere il tempo l’evangelista adopera un termine che significa l’occasione perduta, l’occasione propizia, da prendere al volo perché poi rischia di non ripresentarsi. “«E il regno di Dio è vicino»”.
Per Regno di Dio si intende la signoria di Dio. Nella nuova relazione con Dio che Gesù propone, quella con il Padre, non c’è più una legge, un codice esterno all’uomo che l’individuo deve osservare, ma c’è l’accoglienza e la pratica di un amore simile al suo. Il Dio di Gesù non governa gli uomini emanando leggi che questi devono osservare, ma comunicando loro interiormente la sua stessa forza, il suo stesso Spirito che li rende capaci di amare generosamente come da lui si sentono amati.
Il regno di Dio è vicino, ma per far sì che questo diventi realtà, c’è bisogno di una decisione da parte dell’uomo, la conversione. L’evangelista non adopera il verbo convertire che indica un ritorno alla religione, a Dio, ma indica un cambio di mentalità che incide profondamente nel comportamento, una rinuncia all’ingiustizia e l’orientamento della propria esistenza al bene degli altri.
Questa è la conversione alla quale Gesù chiama, alla quale Gesù invita, perché il regno di Dio diventi realtà. Per regno di Dio in questo vangelo si intende una società alternativa, una società dove anziché il salire ci sia lo scendere, dove anziché comandare ci sia il servire e soprattutto dove anziché l’accumulo dei beni ci sia la condivisione. Allora per far questo ci vuole una conversione, un cambiamento di rotta.
E Gesù invita a credere in questa buona notizia. E qual è la buona notizia? Che Dio governa gli uomini e che è possibile una società alternativa. Ma Gesù per fare questo ha bisogno della collaborazione degli uomini. Ecco perché “passando lungo il mare di Galilea …”. Qui l’evangelista parla di mare di Galilea, in realtà è un lago. Perché l’evangelista adopera il termine “mare”? Perché il mare era il confine con la terra pagana e soprattutto il mare è quello che gli ebrei hanno dovuto varcare per entrare nella terra promessa.
Quindi l’evangelista amplia l’orizzonte del messaggio di Gesù, che non è rivolto soltanto alla Galilea, ma è rivolto a tutto il mondo pagano. “… Vide Simone e Andrea”; sono due nomi di origine greca, quindi una comunità mentalmente più aperta. “Mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro di me»”, questo sarà l’invito che Gesù continuamente farà risuonare nel vangelo ieri e ancora oggi: andare dietro di lui, perché lui sa come realizzare questa società alternativa, il regno di Dio.
“«Vi farò diventare pescatori di uomini»”. Il riferimento dell’evangelista è al capitolo 47 di Ezechiele dove vengono presentate coppie di fratelli che ricevono la terra promessa. Quindi il regno di Dio è una realtà che adesso già sta emergendo attraverso la chiamata dei fratelli. Ma perché Gesà li chiama a diventare pescatori di uomini? Gesù non li invita ad essere pastori, non li invita ad essere guide, non li invita ad essere maestri, ma pescatori.
Qual è il significato? Pescare un pesce significa tirar fuori un animale dal suo habitat naturale per dargli la morte. E si fa per il proprio interesse, si pesca per il proprio beneficio. Pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, ciò che rischia di dar loro la morte; quindi è un ambiente ostile all’uomo, un ambiente nel quale l’uomo può perire, e non si fa per il proprio interesse, ma per l’interesse degli altri.
Questa è la conversione. La conversione alla quale Gesù richiama e invita è: mentre fino ad ora hai vissuto per il tuo interesse, adesso vivi per l’interesse degli altri; mentre fino ad ora hai pescato per te, adesso pesca per gli altri, per comunicare vita agli altri. Allora Gesù li invita a collaborare alla sua azione nel proporre e praticare concretamente uno stile diverso per rendere possibile una società alternativa, quella che viene chiamata regno di Dio, e la prima azione che si fa è quella di togliere gli uomini da ciò che può dar loro la morte. Se ciò che da la vita è la rinuncia al proprio interesse, quello che da la morte è vivere esclusivamente centrati sul proprio interesse, sulla convenienza.
E saranno proprio coloro che sono centrati sulla propria convenienza, sul loro interesse, gli acerrimi nemici di Gesù.
“Subito lasciarono le reti e lo seguirono”, quindi immediatamente questi personaggi, questi primi discepoli, accolgono l’invito di Gesù, ma Gesù continua. E questa volta lo rivolge a due fratelli che hanno nomi ebraici; sono Giacomo e Giovanni, quindi più attaccati alla tradizione e saranno quelli che nel vangelo poi mostreranno delle difficoltà nel seguire Gesù. Ma anche questi al momento lasciano il padre Zebedeo “sulla barca con i garzoni e andarono dietro di lui”.
Quindi l’intento di Gesù è quello di chiamare persone che con lui collaborino facendosi portatori di vita a quanti vivono in un habitat di morte.

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Andarono dietro a lui.”

 

il commento di p. Agostino Rota Martir:

p. agostino

Maestro. Dove abiti?”. Era la domanda dei discepoli di Giovanni Battista, rivolta a Gesù nel Vangelo di domenica scorsa. Domanda semplice, spontanea e del tutto lecita, ma la risposta non stava tanto in un indirizzo anagrafico, ma era in un cammino continuo: da Nazareth a Cafarnao, da lì verso i villaggi della Galilea per annunciare il Vangelo del Regno ormai vicino a tutti, non più asserragliato dentro il tempio santo di Gerusalemme, o nella dimora-scuola stabile di un rabbi, ma ovunque, anche lungo le rive del mare di Galilea, e da lì nelle dimore della gente, nel cuore dilatato dei peccatori e dei poveri.

Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il Vangelo di Dio.”

Non fu un semplice trasloco il suo..ma di certo era la conseguenza di un cambio di situazione, nel senso che le cose stavano mettendosi un po’ male a causa della morte del Battista, eppure Gesù non si nasconde, anzi la morte del cugino è la molla che lo spinge a percorrere la Galilea delle Genti: incoscienza, gusto di sfida o altro?

Stattene un po’ buono, lascia che le acque si calmino un pochino..” In genere è il saggio consiglio che spesso offriamo agli amici, quando la situazione si fa un po’ “movimentata”. Gesù, invece se ne va in giro a trovarsi i suoi primi discepoli, come preso dal desiderio di far conoscere al più presto le strade del Regno di Dio.

La situazione è preoccupante, ma non sono un impedimento per le prime chiamate, che avvengono proprio in questo contesto, perché la notizia dell’uccisione del Battista correva sulla bocca di tutti. Anzi: “Venite dietro a me.”

Gesù non aspetta un momento più tranquillo, che passi la bufera per coinvolgere Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni nella sua sequela..penso ai contesti di tante proposte vocazionali, in genere fatte in ambienti asettici, in spazi artificiosi, avvolti da un silenzio suggestivo e volutamente in disparte dalla realtà e dalle sue preoccupazioni, viste più come un disturbo, che un’occasione. Mentre Gesù si mescola nella vita della gente che incontra: Vi farò diventare pescatori di uomini.” E’ proprio nel “mare della vita” che Gesù rivolge la chiamata ad essere pescatori di uomini, non li conduce in “un’oasi spirituale artificiale”. Lo sfondo delle prime chiamate è proprio l’arresto del profeta Giovanni Battista e la sua uccisione.

Mons. Romero, vescovo del Salvador di fronte all’uccisione del suo amico p.Rutilio Grande, ad opera dell’esercito, cambia radicalmente il suo modo di leggere ed annunciare il Vangelo, ponendosi dalla parte dei poveri e oppressi, questo lo porterà a sua volta, ad essere ucciso dagli stessi sull’altare nel 1984, proprio mentre celebra la Memoria di Gesù: Crocifisso e Risorto.

Gesù non chiede l’autorizzazione ad Erode (spazi, favori..) per iniziare la sua missione di annuncio del Vangelo di Dio, si mette in cammino e chiede ai suoi discepoli di fare altrettanto.

Andarono dietro a lui..” Questo cammino continua, è presente ancora oggi, anche grazie a tanti profeti che camminano lungo le strade del mondo, sparpagliando nei solchi della storia semi di Vangelo, semi di pace, di Giustizia e di Beatitudine..incuranti degli Erode di oggi.

il vangelo della domenica

VIDERO DOVE DIMORAVA E RESTARONO CON LUI 

commento al vangelo della II domenica del tempo ordinario (18 gennaio 2015) di p. Alberto Maggi

maggi

Gv 1,35-42

In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.
Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro –, dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa» – che significa Pietro.

Nel libro dell’Esodo, nel capitolo 12, si descrive la Pasqua, la liberazione degli ebrei dalla schiavitù egiziana. In questo capitolo Dio comanda, attraverso Mosè, a ogni famiglia israelita, di prendere un agnello ucciderlo e mangiarlo. Perché? La carne dell’agnello avrebbe trasmesso l’energia per iniziare questo cammino di liberazione verso la terra della libertà e il sangue li avrebbe preservati dal passaggio dell’angelo sterminatore che avrebbe seminato la morte.
Ebbene l’evangelista Giovanni tiene molto presenti queste linee teologiche per presentare la figura di Gesù. Leggiamo.
Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli, e, fissando lo sguardo … Il verbo “fissare”  nel vangelo di Giovanni appare soltanto due volte e unicamente in questo episodio. Fissare significa svelare la realtà più profonda di un individuo. Qui Giovanni Battista fissa, cioè svela la realtà più profonda di Gesù, e poi alla fine del brano sarà Gesù che fisserà Simone, svelandone la realtà più profonda.

Fissando lo sguardo su Gesù che passava disse: “Ecco l’agnello di Dio”, ecco l’agnello che Dio ha mandato al suo popolo. La carne di Gesù darà la capacità, la forza e l’energia per iniziare questo cammino di pienezza verso la liberazione. E il sangue non libererà dalla morte fisica, ma libererà dalla morte per sempre. Il sangue dell’agnello trasmetterà all’uomo la stessa vita divina. Per questo gli conferirà una vita che è chiamata “eterna” non tanto per la durata (per sempre), quanto per la qualità indistruttibile.
Ebbene, i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, lo seguirono. Quindi inizia questo processo di liberazione. Gesù è indicato come l’agnello e ci sono già i primi discepoli che lasciano Giovanni Battista e seguono Gesù perché dentro di sé sentono questo bisogno di pienezza di vita, di liberazione.
Infatti Gesù, che va incontro ai desideri degli uomini, vedendo che questi lo seguono, si voltò, osservando che essi lo seguivano, disse loro: “Che cosa cercate?”. Gesù non chiede “Chi cercate”, ma “che cosa cercate”. Se cercano pienezza di vita, se cercano la risposta al proprio desiderio di vita, di felicità, possono andare, ma se cercano onori, potere e ricchezze inevitabilmente rimarranno delusi dalla figura di Gesù.
Gli risposero: “Rabbì” – che, tradotto, significa maestro -, dove dimori?”  Ebbene Gesù risponde: “Venite e vedrete”. Il luogo dove Gesù dimora non può conoscersi per una informazione, ma per una esperienza, perché Gesù dimora nella pienezza della sfera, dell’amore divino. Gesù in questo vangelo è stato indicato come “il verbo, la parola di Dio che ha messo la tenda in noi, dimora in noi”, quindi andare verso Gesù significa entrare nella dimensione dell’amore di Dio.
Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui. E’ l’inizio di una tappa di fusione tra Gesù e i suoi discepoli. Ora i discepoli vanno a dimorare con Gesù, ma poi sarà Gesù più avanti, nel capitolo 14-23 che chiederà ai discepoli di dimorare in loro. Gesù dirà: “A chi mi ama, io e il padre mio verremo in lui e prenderemo dimora in lui”. Quindi c’è una fusione tra i discepoli e Gesù per diventare – quello che sarà il tema conduttore di questo vangelo – una unica realtà che esprima la manifestazione di Dio.
L’evangelista sottolinea che erano circa le quattro del pomeriggio, ogni indicazione che troviamo nei vangeli non è superflua, ma ha un profondo significato. Il giorno sta per tramontare e sta per iniziare il nuovo giorno. Con i primi discepoli che seguono Gesù inizia una nuova realtà.
L’evangelista ci sottolinea che uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea. Andrea comparirà ancora due volte in questo vangelo, insieme a Filippo, nell’episodio della condivisione dei pani e quando dei greci chiederanno di vedere Gesù. Fratello di Simon Pietro. Egli incontro per primo suo fratello Simone e gli disse: “Abbiamo trovato il Messia” – che si traduce Cristo.
Stranamente da parte di Simone non c’è nessuna reazione, nessuna risposta e nessun entusiasmo, ma deve essere il fratello che lo conduce a Gesù. Fissando lo sguardo su di lui, quindi Gesù svela la realtà più profonda di questo Simone, Gesù disse: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni”. Ponendo l’articolo determinativo, “il” figlio significa che è figlio unico. Ma qui abbiamo visto che Simone ha un fratello, Andrea, per cui Giovanni non può essere il nome del padre di Simone e di Andrea.

Cosa vuol dire allora “il figlio di Giovanni”? E chi è questo Giovanni? E’ Giovanni Battista. Anche Simone era discepolo di Giovanni Battista, anzi era il discepolo ideale, per questo Gesù lo chiama “il figlio”. Era il discepolo modello di Giovanni Battista.
E Gesù, fissandolo, quindi svela la realtà più profonda, dice:  “Sarai chiamato Cefa”, che significa Pietro”. Pietro indica la durezza, la cocciutaggine, al testardaggine. Per ora questo soprannome legato a Simone rimane misterioso, ma andrà svelandosi lungo tutto il vangelo perché vedrà sempre questo discepolo essere contrario, essere in opposizione a quello che Gesù farà.

 

 

il commento al vangelo della domenica

 

 

TU SEI IL FIGLIO MIO, L’AMATO: IN TE HO POSTO IL MIO COMPIACIMENTO

 commento al Vangelo della domenica del Battesimo del Signore (11 gennaio 2015) di Alberto Maggi:

p. Maggi

Mc 1,7-11 

In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». 
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».  

Tutti gli evangelisti sono concordi nell’indicare l’attività di Gesù, come quella di colui che battezza nello Spirito Santo. E questo è possibile perché in Gesù risiede la pienezza dello Spirito Santo, cioè la forza, la capacità e la potenza d’amore di Dio. Questa accoglienza dello Spirito da parte di Gesù viene indicata dagli evangelisti nell’episodio del battesimo. Leggiamo come ce la narra l’evangelista Marco. 
 “«Ed ecco, in quei giorni…»” – questa espressione ”in quei giorni”, che appare per la prima volta in questo Vangelo, indica il compimento delle promesse di Dio– “«Gesù»” – il nome è lo stesso di Giosuè,in ebraico,colui che fece entrare il popolo nella terra promessa – ma poi le credenziali di questo Gesù sono veramente pessime perché, ci scrive l’evangelista,che “«venne da Nàzaret di Galilea …»”. La Galilea è la regione disprezzata,la regione dei facinorosi,dei rivoluzionari – al tempo di Gesù dire “galileo” significava dire “testa calda”,”fanatico”– ebbene,Gesù viene proprio dalla Galilea. Ma si credeva che il Messia sarebbe dovuto venire dalla Giudea,dalla regione santa,e non dalla Galilea.  
E per giunta viene proprio da Nazaret che era un borgo selvaggio,dalla brutta reputazione,che era un po’ il covo dove si rifugiavano gli zeloti, i rivoluzionari, contro di Roma. Non bisogna dimenticare che era ancora vivo il ricordo di Giuda il Galileo,che proveniva appunto dalla Galilea: si era proclamato Messia ed aveva iniziato una rivolta contro Roma, finita poi in un bagno di sangue. 
“«E fu battezzato nel Giordano da Giovanni »”, Giovanni aveva annunziato un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Perché Gesù va a farsi battezzare? Il battesimo è un simbolo di morte: ci si immerge e si muore al proprio passato. 
Anche per Gesù il battesimo sarà un simbolo di morte,ma non di un passato ingiusto, di peccato – che lui non ha da farsi perdonare – ma di accettazione di morte nel proprio futuro: una donazione del suo amore agli uomini, che può arrivare al punto di accogliere la morte. Infatti Gesù quando parlerà della sua morte,ne parlerà come di un battesimo: ”c’è un battesimo che io devo accogliere” .        1 
E vediamo come ci descrive l’evangelista questo battesimo di Gesù,inserendo nella scena del battesimo gli stessi termini che poi collocherà al momento della morte, per indicare che battesimo e morte di Gesù sono una sola cosa.   
“«E subito salendo dall’acqua …»” – scendere nell’acqua è un’immersione nella morte,ma la morte non trattiene Gesù – Gesù immediatamente sale dall’acqua.  “«…vide squarciarsi…»”– è importante questo verbo squarciarsi -“«…i cieli…»”:  si credeva che Dio era talmente arrabbiato con l’umanità che aveva come sigillato i cieli, non c’era più comunicazione tra Dio ed il suo popolo – basta pensare al desiderio di Isaia nel suo libro, quando scrive “ ah,se tu squarciassi i cieli e discendessi !”.  
Quindi, c’era questa attesa che Dio squarciasse i cieli: ma i cieli erano chiusi, erano sigillati. Ebbene, nel momento in cui Gesù s’impegna a manifestare l’amore di Dio senza limiti, c’è una risposta da parte di Dio di un amore senza limiti. Ed i cieli non si aprono: qualcosa che si apre poi si può richiudere. I cieli si squarciano, si lacerano e quindi non possono più essere ricomposti : con Gesù la comunicazione di Dio con l’umanità sarà, da questo momento, continua,crescente ed ininterrotta.  
Ebbene, questo verbo “squarciare” lo ritroviamo poi al momento della morte di Gesù, quando “il velo del Tempio si squarciò”, il velo nascondeva la stanza segreta dove si credeva ci fosse la presenza di Dio: nel momento in cui Gesù muore in croce,il velo si squarcia e rivela chi è Dio.  Chi è Dio? E’ l’uomo che per amore ha donato la sua stessa vita.   
“« E lo Spirito …»” – l’articolo determinativo,“lo”,indica la totalità – «… lo Spirito …»”  – e Gesù,l’attività di Gesù sarà battezzare nello Spirito Santo,ma su Gesù non scende lo Spirito Santo,ma “lo Spirito” – perché “Santo” non indica soltanto la qualità di questo Spirito ma l’attività di consacrare,di separare l’uomo dal male – e Gesù non ha bisogno di essere separato dal male. 
 “« E lo Spirito …»” – quindi la totalità dell’amore di Dio – “« .. discendere verso di lui …»”  : nel momento in cui Gesù sale dall’acqua, ecco un movimento che dal cielo, scende lo Spirito su Gesù. 
Questo termine – “Spirito” – lo ritroviamo anch’esso poi nella morte di Gesù, quando Gesù “spirò”, che nel greco ha la stessa radice di “Spirito”: Gesù sulla croce,lo Spirito che ha ricevuto al momento del battesimo, lo comunica a quanti lo accolgono, e con lui e come lui vorranno dedicare la propria vita per il bene degli uomini. 
Questo Spirito discende verso di lui “«… come una colomba … »”. Perché questa immagine della colomba? Era proverbiale l’amore della colomba per il proprio nido: alla colomba anche se gli si cambia il nido, lei torna sempre al suo nido originario. 
Quindi, Gesù è il nido,è la dimora dello Spirito. In più l’immagine che c’è nel libro della Genesi, che lo Spirito del Signore si librava – al momento della creazione – sulle acque, veniva interpretata dai rabbini come il volo di una colomba sulla sua nidiata. Quindi, questo riferimento alla creazione fa vedere che in Gesù si realizza il compimento del progetto di Dio sull’umanità, il progetto della creazione.        
 
“« E venne una voce dal cielo …»” – mentre Gesù vide squarciarsi i cieli, quindi fu  una sua esperienza – qui la voce venne dal cielo, quindi è una dimostrazione per tutti. Ebbene, lo stesso termine “voce” – in greco “ fonè ” – lo ritroviamo al momento della morte di Gesù, quando – è strano che Gesù agonizzante, ormai morente – scrive l’evangelista – ”diede un grande grido“ : il termine “grido” e “voce”,in greco è lo stesso.  
E’ un grido di vittoria perché l’amore è più forte della morte,l’amore è più forte del peccato: quando Pietro ha tradito Gesù, il gallo ha cantato ed il verbo nella lingua greca è lo stesso,è il  “grido” . Ebbene,l’amore di Gesù è più forte del peccato del proprio discepolo: quindi è il  “grido”  di vittoria. 
E qui la voce dal cielo – l’evangelista ci riporta una citazione del Salmo 2,il versetto 7 –  “«Tu sei Figlio mio»”. Qui non indica tanto chi è Gesù,ma chi è Dio: se Gesù è intenzionato a dedicare tutta la propria esistenza per comunicare vita agli uomini – figlio è colui che assomiglia al padre nel suo comportamento – significa che questo è il lavoro di Dio.  Il lavoro di Dio è comunicare vita agli uomini perché l’abbiano in abbondanza.      
“«Tu sei il Figlio mio»”- e questa espressione “il Figlio di Dio, Figlio mio” – la ritroviamo anch’essa al momento della morte di Gesù: l’unico che ha capito Gesù, non sono stati né i suoi familiari,né i discepoli,tantomeno i sacerdoti ed i farisei, ma un pagano,uno straniero,il centurione,il boia presente alla crocifissione.       Scrive l’evangelista che “vedendolo spirare in quel modo … “- in quel modo ricco d’amore – “… il centurione esclamò: « Veramente quest’uomo era Figlio di Dio! »”. Quindi, abbiamo visto come i termini del momento del battesimo, l’evangelista poi li ripropone al momento della morte di Gesù, per indicare che, per Gesù, il battesimo è l’accettazione di morte nel futuro: per essere fedele all’amore di Dio, per liberare gli uomini, Gesù andrà incontro alla morte. 
Poi si conclude questo brano con l’espressione “«… l’amato …»” . L’amato significa il figlio erede,colui che eredita tutto del Padre: non si può dividere Gesù da Dio,Dio e Gesù sono la stessa cosa.  In Gesù,Dio manifesta quello che è : Amore senza fine per tutta l’umanità. 
 “«… : in te ho posto il mio compiacimento».” : il compiacimento del Padre è stata la comunicazione di pienezza di vita – lo Spirito – che poi Gesù comunicherà a quanti lo accoglieranno.              

 

 

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