commento al Vangelo domenicale

 

SE QUALCUNO VUOLE VENIRE DIETRO A ME, RINNEGHI SE STESSO 

Commento al Vangelo della ventiduesima domenica del tempo ordinario (31 agosto 2014) di p. Alberto Maggi

p. Maggi

Mt 16,21-27

In quel tempo, Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo dicendo: «Dio non voglia, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!». Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita? Perché il Figlio dell’uomo sta per venire nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e allora renderà a ciascuno secondo le sue azioni».

Ai discepoli che seguono Gesù pensando che lui sia il messia trionfatore, vincitore, quello annunziato dalla tradizione, che a Gerusalemme avrebbe conquistato e preso il potere, Gesù per la prima volta parla apertamente di quello che l’attende a Gerusalemme. Siamo al capitolo 16 del vangelo di Matteo, dal versetto 21. “Da allora Gesù cominciò”, quindi significa una serie di insegnamenti che continuano lungo tutto il suo percorso, “a spiegare ai suoi discepoli che doveva …”, il verbo dovere è un verbo tecnico che indica la volontà di Dio, “andare a Gerusalemme e soffrire”. Questo verbo è una creazione degli evangelisti perché assomiglia molto al termine Pasqua, infatti il verbo soffrire in greco è Pàsco ed ha assonanza con il termine Pasca, che significa Pasqua, perché gli evangelisti hanno visto in Gesù il vero agnello pasquale. “Soffrire molto da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi”; tutti questi sono i componenti del sinedrio, il massimo organo giuridico di Israele, “venire ucciso”, quindi Gesù non andrà a conquistare il potere, ma sarà ucciso dai detentori del potere religioso. I massimi rappresentanti dell’istituzione religiosa saranno gli assassini di Gesù. Però aggiunge, “E risorgere il terzo giorno”. Il terzo giorno non è un’indicazione cronologica, il numero tre indica ciò che è pieno, ciò che è completo, quindi sarà ucciso, ma tornerà in vita pienamente. Ebbene, appena Gesù ha detto questo, Pietro entra in gioco. L’evangelista presenta Simone soltanto con il soprannome negativo, termine tecnico con il quale Matteo indica l’opposizione, la contrarietà di questo discepolo a quanto Gesù annunzia. “Pietro lo prese a sé”, quindi lo afferra e non appena Gesù ha cominciato a spiegare, Pietro comincia al sua resistenza. “E cominciò a rimproverarlo”, letteralmente sgridarlo, ed è il termine che si adopera per scacciare i demoni. Quindi per Pietro quello che Gesù ha detto non corrisponde alla volontà divina, ma è addirittura un pensiero satanico, un pensiero demoniaco. La traduzione traduce con “Dio non voglia”, ma letteralmente è «Ti perdoni»”, e si sottintende Dio. E’ un’espressione che veniva adoperata per quelli che avevano abbandonato Dio. Si trova anche nel profeta Geremia, capitolo 5, versetto 7. Quindi «Ti perdoni, Signore; questo non ti accadrà mai»”. Quindi per Pietro quello che Gesù sta dicendo è una cosa lontana da Dio, per cui Dio deve perdonarlo, addirittura un pensiero demoniaco. “Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Va’ dietro a me, Satana!»Sono gli stessi termini che Gesù ha adoperato nel deserto per rifiutare le seduzioni del tentatore. Come al tentatore, al diavolo, Gesù dice “Vattene”, però Gesù non rompe con il discepolo, gli dà una possibilità: “torna a metterti dietro di me”. Fintanto Pietro sta davanti e vuole lui indicare la traccia, la via, lui è il Satana, l’avversario. Allora Gesù dice «Vattene dietro di me, Satana! Tu mi sei di scandalo»”. Quello che Gesù aveva definito una pietra adatta per la costruzione della sua ecclesia, cioè la comunità dei credenti convocati dal Signore, quello che era stato chiamato ad essere un mattone per la costruzione, adesso diventa una pietra di inciampo, una pietra di scandalo. Perché? “«Perché non pensi secondo Dio»”, cioè le categorie dell’amore e del servizio, “«ma secondo gli uomini»”, cioè le categorie del potere e del dominio. Gesù comprende che non è solo Pietro ad avere questa mentalità, ma anche tutti i discepoli. Ecco allora che si rivolge a tutto il resto dei suoi. “Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se qualcuno vuole venire dietro a me»”, Gesù ha invitato Pietro ad andare dietro di lui e ora fa comprendere quali sono le condizioni per poterlo seguire. «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso»”, rinnegare se stesso non significa mortificare la propria esistenza, ma rinunciare a questi pensieri di ambizione, di successo, di supremazia, e poi prosegue, letteralmente «e sollevi la sua croce»”. La croce non viene data da Dio, ma viene presa dagli uomini. L’evangelista adopera il termine “sollevare”, che indicava il momento nel quale il condannato doveva sollevare da terra il patibolo e caricarselo sulle spalle. Poi da lì, dal tribunale, uscire dalla porta della città per andare nel luogo dove doveva essere giustiziato. Era il momento più tremendo, il momento della solitudine. La gente aveva l’obbligo religioso di insultare e malmenare questa persona.  «Sollevi la sua croce»”, la croce era la pena di morte riservata ai rifiuti della società. Quindi Gesù non sta parlando di sofferenze e di dolore, ma sta parlando dello scandalo che seguire Gesù comporta, uno scandalo che arriva a far considerare Gesù e quelli che lo seguono rifiuti della società, persone addirittura rifiutate da Dio, perché la croce era il supplizio per i maledetti da Dio, «e mi segua»”. Gesù quindi non sta parlando della morte in croce, ma della via verso il supplizio, una via in solitudine, una via del disonore. Se i discepoli non sono pronti a perdere la propria reputazione – perché di questo si tratta – che non pensino a seguirlo, perché seguire Gesù significa andare incontro al massimo disonore. E poi Gesù aggiunge: «Perché chi vuole salvare la propria vita la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà»”. Chi vive per gli altri realizza pienamente la propria esistenza, chi vive centrato esclusivamente sui propri bisogni, sulle proprie necessità, la distrugge. Quindi questa è l’alternativa che Gesù offre. Vivere per gli altri, dare, non è perdere, ma guadagnare. Significa realizzare pienamente se stessi. E Gesù commenta: «Quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?»A che serve guadagnare tanto, conquistare tanto e poi smarrire se stesso? Questo è il significato. E’ una critica che Gesù fa alle persone di potere, qualunque potere. Le persone che hanno conquistato il potere, divorati dalla loro ambizione, sono persone che hanno tanto, ma non hanno nulla perché hanno completamente smarrito se stesse. Sono persone alla deriva dalla vita, alla deriva dalla felicità. «Perché il Figlio dell’Uomo»”, Figlio dell’uomo indica Gesù nella pienezza della condizione divina, «Sta per venire nella gloria del Padre suo»”. Gesù contrappone al massimo disonore, la pena di morte alla quale è stato condannato dal sinedrio, quindi il massimo disonore dell’istituzione religiosa, il massimo onore da parte di Dio. Quindi “«nella gloria del Padre suo con i suoi angeli»”. E qui Gesù cita il libro dei Proverbi, capitolo 24, versetto 12, «e renderà a ciascuno secondo le sue azioni»”, letteralmente “la prassi”. L’uomo è valutato per la vita che ha praticato, per le opere che ha fatto, e non per le idee o le dottrine religiose che ha professato. E’ quello che si fa per gli altri che determina la propria esistenza. C’è un’altra parte che non è presente nella versione liturgica, ma è importante. Gesù annunzia che “I presenti non moriranno prima di aver visto arrivare il Figlio dell’uomo con il suo regno”. Infatti annunzia l’episodio che poi seguirà che è quello della trasfigurazione, in cui Gesù dimostra che la morte non distrugge la persona, ma la potenzia pienamente.

 

croce

 

 

 

 

 

 

 

IMPARARE A PERDERE

commento di p.José Antonio Pagola

 

Il detto è registrato nei Vangeli e ripetuto sei volte: “Se si vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà per causa mia, la troverà.” Gesù non sta parlando di un tema religioso. Egli sta insegnando a i suoi discepoli ciò che il vero valore della vita.
Il detto è espresso in modo paradossale e provocatorio. Ci sono due modi diversi di guidare la vita, uno conduce alla salvezza, l’altra alla distruzione. Gesù invita tutti a seguire il percorso che sembra più difficile e meno attraente, in quanto porta l’uomo alla salvezza finale.
Il primo modo è quello di aggrapparsi alla vita vivere solo per se stessi: per fare “sé” l’ultima ragione e il fine ultimo dell’esistenza. Questo modo di vita, sempre alla ricerca di sé guadagno o vantaggio, che porta alla distruzione dell’essere umano.
Il secondo modo è quello di saper perdere, vivere come Gesù, aperto al fine ultimo di umanizzare il Padre: cioè rinunciando alla propria sicurezza o di guadagno, cercando non solo proprio bene, ma il bene degli altri. In questo modo generoso di vita porta ad umana per essere la sua salvezza.
Gesù parla della sua fede in un Dio salvatore, ma le sue parole sono un serio monito per tutti. Quale futuro attende una umanità divisa e frammentata, dove i poteri economici cercano il loro proprio beneficio; paesi, il proprio benessere; individui, il loro interesse?
La logica che conduce in questo momento il modo in cui il mondo è irrazionale. I popoli e gli individui stanno lentamente cadendo in schiavitù “hanno sempre”. Niente è troppo per sentirsi soddisfatti. Per vivere bene, abbiamo sempre bisogno di più produttività, più consumi, comodità materiale, più potere sugli altri.
Insaziabilmente cercano il benessere, ma non stiamo sempre disumanizzante un po ‘di più? Vogliamo “progresso” sempre, ma ciò che il progresso è questo che ci porta ad abbandonare milioni di esseri umani in miseria, la fame e la malnutrizione? Quanti anni può godere il nostro benessere, chiudendo le nostre frontiere a chi ha fame?
Se solo i paesi ricchi cercano di “salvare” il nostro tenore di vita, a meno che non perdiamo il nostro potenziale economico, non dare mai passi verso la solidarietà globale. Ma non fare errore. Il mondo sarà sempre più pericoloso e inabitabile per tutti, noi compresi. Per salvare la vita umana nel mondo, dobbiamo imparare a perdere.
José Antonio Pagola

p. Maggi e p. Agostino commentano il vangelo domenicale

TU SEI PIETRO, E A TE DARO’ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI  

Commento al Vangelo della domenica ventunesima del tempo ordinario (24 agosto 2014) di p. Alberto Maggi:

p. Maggi

 

 

 

 

 

 

 

 

Mt 16,13-20

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».
Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente».
E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».
Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Per tenere lontani i  suoi discepoli dal lievito dei farisei, cioè dalla dottrina dei farisei e dei sadducei, Gesù li porta lontano dall’istituzione religiosa giudaica e li conduce all’estremo nord del paese. E quanto scrive Matteo, nel capitolo 16, versetti 13-20.
“Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo”, Cesarea di Filippo è all’estremo nord del paese, è la città costruita da uno dei figli di Erode il Grande, Filippo, e, per distinguerla dall’altra Cesarea marittima, è stata chiamata Cesarèa di Filippo.
All’epoca di Gesù la città era in costruzione. Questo è un dettaglio da tener presente, nei pressi della città si trovava una delle tre sorgenti del fiume Giordano, che era anche ritenuta l’ingresso del regno dei morti. Quindi sono elementi che occorre tener presente per la comprensione di quello che l’evangelista ci narra.
Ebbene Gesù conduce i suoi discepoli così lontano dalla Giudea e anche dalla Galilea per porre loro una domanda. “Domandò ai suoi discepoli: «La gente»”, letteralmente “gli uomini”, “«chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»” L’evangelista contrappone gli uomini al Figlio dell’uomo, l’uomo che ha la condizione divina, quindi l’uomo che ha lo spirito e quelli che non ce l’hanno.
Gesù vuole rendersi conto di quale sia stato l’effetto della predicazione dei discepoli che lui ha inviato ad annunziare la novità del regno. La risposta è deludente. “Risposero: «Alcuni dicono Giovani il Battista»”, perché si credeva che i martiri sarebbero subito risuscitati, “«altri Elìa»”. Elia, secondo la tradizione, non era morto, ma era stato rapito in cielo e sarebbe tornato all’arrivo del futuro messia.
“«Altri Geremia»”, sempre secondo la tradizione era scampato a un tentativo di lapidazione, “«o qualcuno dei profeti». Si aspettava uno dei profeti annunziato da Mosè, comunque tutti personaggi che riguardano l’antico. Nessuno, né i discepoli né la gente alla quale essi si sono rivolti, ha compreso la novità portata da Gesù.
Allora Gesù dice: “«Ma voi»”, quindi si rivolge a tutto il gruppo, “«Chi dite che io sia?»” Gesù si è rivolto a tutto il gruppo dei discepoli, ma è soltanto uno che prende l’iniziativa. “Rispose  Simon Pietro”, Simone è il nome, Pietro è un soprannome negativo che indica la sua testardaggine, e quando l’evangelista lo presenta con questo soprannome, significa che c’è qualcosa di contrario all’annunzio di Gesù.
“Rispose  Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»”. Finalmente c’è uno dei discepoli che ha capito che Gesù non è il figlio di Davide, colui che con la violenza impone il regno, ma è il figlio del Dio (letteralmente) vivificante, cioè comunica vita. “E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone»”. Perché beato? Pietro è il puro di cuore e quindi può vedere Dio.
Gli dice “beato”, però lo chiama “«figlio di Giona»”. “Figlio”, nella cultura ebraica non indica soltanto chi è nato da qualcuno, ma chi gli assomiglia nel comportamento. E Gesù lo chiama “figlio di Giona”. Giona è l’unico tra i profeti dell’Antico Testamento che ha fatto esattamente il contrario di quello che il Signore gli aveva comandato. Infatti il Signore gli aveva detto: “Giona, vai a Ninive a predicare la conversione altrimenti io la distruggo” e Giona fece il contrario.
Anziché andare verso est, si imbarcò sulla nave e puntò ad ovest. Poi finalmente Giona si convertì. Quindi in questo figlio di Giona Gesù fa il ritratto di Pietro: farà sempre il contrario di quello che Gesù gli chiederà di fare, ma poi alla fine si convertirà.
“«Perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.»” Ecco Pietro è il beato perché è il puro di cuore che può vedere Dio. “E io dico a te: «Tu sei Pietro»”, il termine greco adoperato dall’evangelista è Petros, che indica un mattone, un sasso, che può essere raccolto e usato per una costruzione. “«E su questa pietra»”. Pietra no è il femminile di Pietro. L’evangelista adopera il termine greco Petra che indica la roccia che è buona per le costruzioni. E’ lo stesso termine che Gesù, nel capitolo 7, ha scelto per la casa costruita sulla roccia.
Quindi Gesù dice a Simone: “Tu sei un mattone. Su questa roccia”, e la roccia è Gesù, “«Edificherò la mia chiesa»”. Il termine greco ecclesia non ha nulla di sacrale, ma è un termine profano che indica l’adunanza, l’assemblea di quelli che sono convocati. Quindi Gesù non viene a costruire una nuova  sinagoga, ma una nuova realtà che non ha connotazioni religiose, e per questo adopera questo termine laico. “«E le potenze»”, letteralmente “le porte”; le porte di una città indicavano la sua forza, la potenza. “«Degli inferi»”, cioè del regno dei morti. Ricordo che la scena si svolge vicino a una delle grotte che si pensava essere l’ingresso nel regno dei morti,  “«Non prevarranno contro di essa».
Quando una comunità è costruita su Gesù, il figlio del Dio vivente, quindi si comunica vita, le forze negative, le forze della morte, non avranno alcun potere.
“«A te darò le chiavi del regno dei cieli»”. Concedere le chiavi a qualcuno significava ritenerlo responsabile della sicurezza di quelli che stavano dentro. Abbiamo detto altre volte che il regno dei cieli nel vangelo di Matteo non significa un regno nei cieli, ma è il regno di Dio. Quindi Gesù non dà a Pietro le chiavi per l’accesso all’aldilà, non lo incarica di aprire o chiudere, ma lo ritiene responsabile di quelli che sono all’interno di questo regno, che è l’alternativa che Gesù è venuto a proporre.
“«Tutto ciò che legherai sulla terra»”, qui l’evangelista adopera un linguaggio rabbinico, che significa dichiarare autentica o meno una dottrina, “«sarà legato nei cieli»”, cioè in Dio, “«E tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»”. Quello che Gesù ora dice a Pietro poi più tardi, al capitolo 18, lo dirà a tutti i discepoli.
Le ultime parole che Gesù adopererà in questo vangelo rappresentano l’invio dei discepoli ad andare ad insegnare “tutto ciò che vi ho comandato”. Quindi nell’insegnamento di Gesù, questo messaggio che comunica vita, c’è l’approvazione divina, da parte dei cieli. Però, ecco la sorpresa, “Ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”.
Quando Gesù ordina significa che c’è resistenza. Nella risposta di Pietro c’era stata una parte positiva in quanto ha riconosciuto Gesù come il figlio del Dio che comunica vita, il Dio vivente, ma la parte negativa qual è? La gente ha detto che tu sei il Cristo, cioè il messia atteso dalla tradizione. Allora Gesù dice: “questo non lo dovete dire a nessuno”, perché lui non è il messia atteso dalla tradizione.
Gesù è Cristo, è il messia, ma in una forma completamente diversa, non adopererà il potere, ma l’amore; non il comando, ma il servizio. E questo provocherà adesso lo scontro proprio con Simone. Quello che era stato definito “pietra” da costruzione, diventerà una pietra di scandalo.

il commento di p. Agostino:

p. agostino

 

 

 Camminare .. domandando.

La gente, chi dice che sia il Figlio dell’Uomo?”

Ma era così necessario chiedere a loro, per sentire l’opinione che la gente aveva di Gesù’?

Che bisogno c’era, d’altronde Gesù’ già durante il suo Battesimo al Giordano, sentì bene quella voce che veniva dall’alto, aveva parlato chiaro e forte. Come avvenne anche sul monte della Trasfigurazione. Non c’era alcun dubbio: ” Tu sei il mio Figlio prediletto, ascoltatelo!”. Sono gli altri che lo devono star a sentire, non viceversa!

Perché Gesù’ sente il bisogno di sapere, cosa dice e pensa la gente di Lui?

Non certo per il gusto dei sondaggi, tipico di chi aspira al potere e fa di tutto per tenerselo stretto.

In fin dei conti e’ il Figlio di Dio, che bisogno ha di domandare conferma, di interrogare i suoi discepoli..non e’ forse una perdita di tempo e di credibilità: vatti poi a fidare dei commenti della gente! Tutto sommato a questa precisa domanda di Gesù, le risposte questa volta, non erano state del tutto negative: Elia, Geremia, Giovanni o uno dei profeti: tutte figure di rilievo. Altre volte invece, i commenti erano stati di tutt’altro genere!

 

Non e’ forse più urgente e importante affrettarsi ad annunciare il Regno, guarendo dentro i peccatori, curando i malati, amare i poveri..che fermarsi ad ascoltare quello che dice la gente?

 

“Sai cosa pensano di te, quelli del..?”

Varie volte i Rom del campo mi raccontano le voci, raccolte su di me da diverse persone: gage’, reom. In genere ci rimango un po’ male (ora un po’ meno), perché non sempre sono impressioni positive, a volte sono anche simpatiche, ma riconosco che c’e’ anche del vero. Credo sia utile lasciarmi “pensare” anche dagli altri, anche perché il loro punto di vista può aiutarmi/ci a mettere a fuoco aspetti dati per scontati, addirittura trascurati. Certo a volte e’ faticoso e anche doloroso, quando scopri di non essere stato capito proprio dall’amico, con il quale hai condiviso confidenze e fiducia.

Non e’ certo simpatico sentirsi ” spogliare”.

 

In questo brano Gesù’ sente il bisogno di confermare la sua identità, non attraverso il “colpo di illuminazione dall’alto”, ma in un modo del tutto umano, dal basso, attraverso la relazione con le persone e la gente che incontra lungo il suo cammino.

Anche il loro “punto di vista” interroga e aiuta Gesù a camminare e a scoprire la sua identità di uomo e di inviato dal Padre per manifestare la sua Misericordia. L’identità di Gesù, come la nostra è un cammino, non è un dato acquisito una volta per sempre, ma da cercare e costruire giorno per giorno, attraverso la fedeltà all’Amore e la compagnia degli uomini che Dio ci ha affidato: bravi e meno bravi, affidabili e no.

“Gesù cammina domandando” (Lidia Maggi).

E’ come un “lasciarsi fare dagli altri”, cosa non sempre facile, almeno per noi, più portati a dover essere sempre noi a voler fare per gli altri, soprattutto se questi, sono soggetti deboli e marginali.

Eppure Gesù domanda anche a ognuno di loro e a noi: “Ma voi, chi dite che io sia?”

 

 

23 Agosto 2014 – Campo Rom di Coltano (PI)

il commento al vangelo della domenica di p. Maggi e p. Agostino

croce

 

 

 

 

 

 

Mt 15,21-28

In quel tempo, partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidòne. Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quella regione, si mise a gridare: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide! Mia figlia è molto tormentata da un demonio». Ma egli non le rivolse neppure una parola. Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono: «Esaudiscila, perché ci viene dietro gridando!». Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui, dicendo: «Signore, aiutami!». Ed egli rispose: «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». «È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni». Allora Gesù le replicò: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri». E da quell’istante sua figlia fu guarita.

DONNA, GRANDE E’ LA TUA FEDE!

 commento al vangelo della domenica ventesima del tempo ordinario (17 agosto) di p. Alberto Maggi :

maggi

Gesù intende annunciare l’amore universale del Padre. Universale non soltanto per l’estensione (ovunque), ma per la qualità di questo amore (per tutti), ma incontra tanta resistenza. Ne incontra nel suo popolo, la incontra tra i discepoli e la incontra tra gli stessi pagani che si erano abituati all’idea della supremazia di Israele. Allora Gesù, già nel capitolo 8 del vangelo di Matteo, annunzia che nel banchetto del regno il pane che è stato rifiutato dai giudei, diverrà il cibo per i pagani. E Gesù dice: “Verranno da oriente e da occidente”, cioè da tutte le popolazioni pagane, “e prenderanno il vostro posto”. Poi Gesù nel capitolo 15 di Matteo affronta la questione importante del puro e dell’impuro. La affronta dal punto di vista alimentare, ma era la base che distingueva la gente pura dai pagani, che erano impuri. E Gesù, dopo aver contraddetto il libro del Levitico che si basa proprio su questa distinzione, deve fuggire all’estero perché ha detto che non è quello che entra nella bocca che ti rende impuro, ma quello che esce. Dopo questo Gesù deve fuggire all’estero. Qui l’evangelista ci presenta l’incontro con la donna Cananèa. Leggiamo Matteo capitolo 15, dal versetto 21. “Partito di là”, quindi dopo essere fuggito dalla terra di Israele ed entrato in terra pagana, “Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone. Ed ecco una donna Cananèa”. I Cananèi erano i Fenici ed erano uno dei popoli che nel libro del Deuteronomio (cap 7), devono essere votati allo sterminio, e“tu le voterai allo sterminio”. Quindi è una popolazione pagana, è una popolazione disprezzata e va sottomessa da Israele. “Che veniva da quella regione si mise a gridare: «Pietà di me»”. E’ il kyrie eleison che poi entrò nella liturgia della chiesa. Ebbene l’espressione “Signore pietà” nei vangeli è un’invocazione riservata a quelli che non conoscono Gesù. Quelli che non conoscono Gesù, che non sanno chi è, gli si rivolgono con “Signore pietà”. Quando si conosce Gesù, quando si conosce il Padre, non si dice più “Signore pietà” o “Signore misericordia”, perché si è già sperimentata nella sua pienezza. E lo chiama «Signore, figlio di Davide»”, come i ciechi che abbiamo visto in  precedenza in questo vangelo e che poi dopo ritorneranno – i due ciechi che si rivolgono a Gesù chiamandolo figlio di Davide. Ma Gesù non è il figlio di Davide! Figlio di Davide significa il messia, il messia guerriero che con la violenza inaugurerà il regno di Israele e sottometterà i popoli pagani. Il motivo della richiesta della donna è che «Mia figlia è molto tormentata da un demonio. Ma egli non le rivolse neppure una parola»”. Come mai Gesù non risponde all’invocazione di questa donna? Perché lei si è rivolta al figlio di Davide e Gesù non è il figlio di Davide, Gesù è il figlio di Dio. Ecco perché non risponde. Teniamo presente che tutto questo brano non è tanto una cronaca, quanto una catechesi per la comunità cristiana che ancora fa resistenza nell’andare verso i pagani. “Allora i suoi discepoli gli si avvicinarono e lo implorarono”, qui la traduzione della CEI riporta “esaudiscila”, ma è invece letteralmente “mandala via”. E’ lo stesso verbo che è stato usato quando, nella condivisione dei pani, i discepoli dicono a Gesù “manda via la folla”. Quindi «Mandala via, perché ci viene dietro gridando!»Quindi i discepoli non tollerano questa vicinanza da parte dei pagani che chiedono soccorso al Signore. “Ma egli rispose …” A chi risponde? Risponde ai discepoli che condividono la  stessa mentalità. «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa di Israele»”. Questo è il messia, figlio di Davide, che è venuto per la casa di Israele ad inaugurare il regno e sottomettere i pagani. “Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui dicendo: «Signore, aiutami!»  già un progresso. Mentre prima s’è rivolta a Gesù invocandolo come figlio di Davide, adesso lo riconosce come Signore, ma chiede ancora di essere aiutata, quindi deve fare ancora un gradino in più per comprendere la pienezza dell’amore di Dio. “Ed egli rispose”, risponde sempre come figlio di Davide, «Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini»”. I cagnolini non sono i cuccioli, ma i cani domestici che stavano in casa. Ebbene Gesù, secondo questa indicazione, distingue tra coloro che hanno diritto, i figli di Israele, e i cani, termine alquanto dispregiativo – il cane era un animale impuro – che indicava i pagani. Gesù, attraverso queste risposte, sta preparando i discepoli a quello che i discepoli non vorranno, a condividere il pane anche con i pagani. Gesù ha condiviso il pane con il popolo d’Israele e ora vuole portare i discepoli a condividere il pane con i pagani, ma loro non ci pensano, appunto perché i pagani sono considerati come i cani, esseri inferiori e impuri. Quindi nella crescita della fede della donna, l’evangelista vuole educare la crescita della fede dei discepoli, ma sappiamo che sarà più facile per Gesù convincere una persona pagana che i propri discepoli. E la risposta della donna è «E’ vero Signore – disse la donna -, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni»”. La donna comprende che la compassione e l’amore vanno al di là delle divisioni razziali, etniche e religiose che ci possono essere. «Donna, grande e la tua fede!»Gesù non elogia gli israeliti, gli ebrei, per la loro fede, ma sempre i pagani. Ha elogiato il centurione e adesso elogia una donna pagana. «Avvenga per te come desideri.» E da quell’istante sua figlia fu guarita”. Gesù non ha compiuto alcuna azione, Gesù non ha cacciato il demonio. La fede della donna è ciò che caccia il demonio, figura del pregiudizio religioso che discrimina le persone. Quindi, in questo brano l’evangelista vuole educare la comunità cristiana ad aprirsi ai pagani e far comprendere che i pagani non vanno dominati secondo la tradizione del messia figlio di Davide, ma vanno serviti secondo la novità del messia figlio di Dio.

una bella preghiera che, a commento di questo brano evangelico, p. Agostino eleva alla stessa donna cananea, per mezzo della quale Gesù è sollecitato ad una ‘conversione’ lasciandosi ‘evangelizzare’ da lei alla comprensione di un Dio presente ovunque, al di là di ogni steccato:

 

p. agostinoGrazie, donna Cananea, briciola di Dio

 

Hai spinto l’ebreo Gesù’ ad andare oltre gli steccati religiosi che ancora lo imprigionavano, che imponevano di diffidare degli stranieri, visti come pagani e a sentire la Fede nel Dio Liberatore come un monopolio di Israele.

Di fatto tu sei stata come una porta aperta, attraverso la quale Gesù’ si e’ sentito evangelizzato anche da una “pagana cananea”, scoprendo con gioia e meraviglia che Dio e’ veramente all’opera ovunque. Cosa hai sentito dentro di te quando lo hai visto avvicinarsi e passarti vicino? Senz’altro la preoccupazione per tua figlia malata era forte, doveva certo soffocarti dentro, chissà quanti tentativi, quante persone, dottori, santoni di ogni genere hai consultato..inutilmente.

 

E’ anche Grazie a te, che la luce del Vangelo oggi può brillare ovunque, anzi e’ viva e nascosta in ogni popolo e attende ancora di essere scoperta e mostrata a tutti.

 

Può essere nella “zingara” che chiede l’elemosina e supplica di essere aiutata, spesso ci da fastidio, non ci molla e ci segue supplicando un aiuto.. e’ lo stesso fastidio che hai dato tu a Gesù’, al punto che con poche parole stizzite ti ha invitato a stare al tuo posto, alla larga da Lui, a debita distanza.

Sapessi quante volte lo facciamo anche noi, ancora oggi. Non ci e’ facile scoprire ed accogliere il Vangelo che i lontani e gli stessi migranti portano nelle loro vite, sta a poca distanza da noi, eppure quasi sempre, notiamo e ci fermiamo solo al fastidio che ci procurano e non riusciamo ad andare oltre.

 

In fondo, anche noi crediamo di essere gli unici depositari di Dio, convinti che nel nostro zaino c’e’ già tutto di Dio, basta solo consegnarlo ai “pagani”, invece a volte dovremmo imparare ad andare da loro con lo zaino vuoto, perché possano loro: i poveri, i migranti, gli accattoni, i rom.. riempircelo delle ricchezze che Dio ha messo anche nelle loro mani e nelle loro vite.

Per noi e’ facile sentirci più portatori di Dio, che “scambiatori” di doni e di cammini aperti.

 

Tu hai come “sturato” la mente e il cuore di Gesù’, così che si aprisse un buco attraverso il quale, anche i pagani e gli stranieri potessero passare, superando così quei pregiudizi di Israele verso il tuo popolo, visto con disprezzo, perché pagano e straniero.

 

Per questo ti siamo riconoscenti, se anche oggi tu aiutassi pure noi ad allargare i nostri orizzonti, spesso ancora limitati e ristretti ai nostri campanili. Stimolaci a non temere di abbracciare quel Dio senza confini, come aiutasti quel giorno a farlo comprendere a quel Gesù’, che osò passare dalle tue parti, nella zona di Tiro e di Sidone..

Oggi sei tu che “sbarchi” (migranti, profughi) dalle nostre parti, ebbene noi ti supplichiamo, aiutaci a guarire i nostri cuori freddi e spesso senza vigore, a non temere di sedere insieme alla stessa tavola, per mangiare con gioia il pane della fiducia e scambiarci i reciproci doni.

Anche le briciole hanno lo stesso sapore del pane sulla tavola del Regno. Forse anche Gesù’ deve aver intuito che Dio suo Padre e di tutti (pagani compresi), piace sparpagliarsi così nel cuore della umanità, incurante dei nostri confini e dei nostri steccati religiosi.

E questo grazie anche a te, per la tua “grande fede”, tu semplice briciola di Dio, ma capace di far lievitare il cuore di Gesù, il Figlio di Dio.

 

15 Agosto 2014

 

Campo Rom di Coltano (PI)

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi e da p. Agostino

COMANDAMI DI VENIRE VERSO DI TE SULLE ACQUE

cp. Maggiommento al vangelo della diciannovesima domenica del tempo ordinario (10 agosto) di p. Alberto Maggi

Mt 14,22-33

[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo. La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».

Il messaggio di Gesù è un messaggio universale. Lui non è venuto a restaurare il regno di Israele, ma a inaugurare il regno di Dio. Il regno di Dio significa che il suo amore è universale, non soltanto per estensione, ma per la qualità, è per tutti. E quindi Gesù vuole comunicare questo amore anche ai pagani, ma trova la resistenza dei discepoli. E’ quanto ci scrive Matteo nel capitolo 14, versetti 22-33. “Subito dopo”, sarebbe subito dopo la prima condivisione dei pani, “costrinse …”, Gesù deve costringere i discepoli a fare qualcosa che quindi loro non vogliono fare, “… a salire sulla barca”, la barca è immagine della comunità cristiana, “e a  precederlo sull’altra riva”. Ecco perché deve costringerli. L’altra riva, la riva orientale del lago di Tiberiade, è terra pagana e i discepoli non ne vogliono sapere di andare verso i pagani, e soprattutto non vogliono che l’episodio della condivisione dei pani, in cui Gesù aveva anticipato il suo farsi pane, alimento di vita per il suo popolo, fosse esteso anche ai pagani. “Congedata la folla salì sul monte”, il monte non né indicato e rappresenta il monte delle beatitudini, dove Gesù ha annunziato il suo messaggio, “in disparte”. In disparte è un termine tecnico adoperato dall’evangelista che indica sempre resistenza, ostilità da parte dei discepoli. “A pregare”. Gesù, nel vangelo di Matteo, prega unicamente due volte: qui e al Getsemani e sempre in momenti di crisi per il proprio gruppo. “Venuta la sera”, l’indicazione era già stata data e quindi è superflua, ma l’evangelista vuole richiamare l’effetto della cena del Signore, “egli se ne stava lassù da solo”. Come Gesù sarà solo nel Getsemani, sarà solo anche qui, i discepoli lo accompagnano ma non lo seguono. “La barca intanto distava gi molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario”. Cos’è questo vento? Il termine “vento” nel brano apparirà per ben tre volte, quindi significa la totalità. Il vento era contrario, quindi rappresenta la resistenza dei discepoli che non ne vogliono sapere di andare verso i pagani. Loro pensano alla supremazia di Israele, al dominio di Israele sopra i popoli pagani, e non pensano di andare a servire i popoli pagani. Ecco il vento contrario. “Sul finire della notte” … Dio è colui che soccorre allo spuntare dell’alba … “egli andò verso di loro camminando sul mare”. L’indicazione è preziosa perché nel libro di Giobbe si dice che Dio è l’unico, il solo che cammina sul mare. Il mare indicava il caos, quello che era impossibile all’uomo sottomettere, l’unico che poteva camminare sul mare era Dio. Quindi l’evangelista vuol dire che Gesù mostra la sua condizione divina. “Ma, vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «E’ un fantasma!» e gridarono dalla paura”. Perché questo? Perché per i discepoli, che non hanno ancora capito chi è Gesù, è impossibile per un uomo avere la condizione divina. Loro pensano che Gesù sia un inviato da Dio, un profeta, ma che Gesù sia Dio, ancora non l’hanno compreso. Quindi pensano che sia uno spirito perché è impossibile per l’uomo avere la condizione divina. Dio era talmente distante dagli uomini che immaginare che si potesse manifestare in una creatura umana per loro era inconcepibile. “Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, Io Sono»”, io sono è il nome di Dio, è il nome con il quale Dio ha risposto a Mosè nel famoso episodio del roveto ardente e nel libro del Deuteronomio il Signore dice “Vedrete che Io Sono e nessun altro Dio è accanto a me”. Quindi Gesù conferma la sua condizione divina, “Io sono”. «Coraggio, Io Sono, non abbiate paura»”. “Pietro”, cioè Simone presentato con il suo soprannome negativo che significa che sta facendo qualcosa di contrario a Gesù, “gli rispose: «Signore, se sei tu…»”, esattamente come il diavolo nel deserto “Se tu sei il figlio di Dio”. Pietro inizia la sua attività di tentatore di Gesù, di satana, sarà l’unico discepolo che meriterà da Gesù l’epiteto “satana”, “Satana, torna a metterti dietro di me!” E Pietro lo sfida, lo tenta, “Se sei tu”, esattamente come il diavolo nel deserto, «Comandami di venire a te sulle acque»”. Vuole avere la condizione divina, ma pensa che questo avvenga con un’imposizione dall’alto. Gesù lo invita, Pietro comincia a camminare sulle acque, “Ma, vedendo che il vento era forte  …”, il vento forte è quello che Gesù nella parabola della casa costruita sulla roccia indica come avversità normali che piombano sulla vita del credente, ma se la casa è fondata sulla roccia, questa rimane salda. Se invece è costruita sulla sabbia crolla. Ebbene, Pietro ha costruito la sua casa sulla sabbia. Vedendo quindi le difficoltà, “si impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!»Gesù aveva chiamato Simone ad essere pescatore di uomini ed è l’unico che deve essere pescato. Infatti “Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede perché hai dubitato?»Pietro è l’unico che merita per due volte questo rimprovero “uomo di poca fede”. Quindi colui che era stato chiamato ad essere pescatore di uomini ha dovuto essere pescato da Gesù. “Appena saliti sulla barca, il vento cessò”, quando nella comunità c’è la presenza di Gesù ed è lui a guidare, a dirigere la comunità, le ostilità cessano. “Quelli che erano sulla barca, quindi non Pietro, si prostrarono”, riconoscendo in lui la condizione divina, dicendo: «Davvero tu sei figlio di Dio!»Manca l’articolo determinativo. Non è il figlio di Dio, quello atteso dalla tradizione, il messia violento, giustiziere, ma è figlio di Dio, una modalità di Dio di manifestarsi completamente nuova che sarà finalmente conosciuta dai discepoli qui e anche dai soldati al momento della risurrezione di Gesù.

il commento di p. Agostino Rota Martir:

p. agostino

Coraggio, IO SONO, non abbiate paura!

 

Subito dopo il segno (miracolo) della condivisione dei pani, ecco che Gesù costrinse i suoi discepoli a salire sulla barca e attenderlo all’altra riva (terra pagana!).

Perché Gesù li deve costringere? Perché non esortarli, incoraggiarli..immagino la paura o la resistenza dei dodici ad entrare in terra pagana, d’altronde la Legge parlava chiaro al riguardo: nessun contatto con stranieri e pagani, pena l’impurità e tutto ciò che ne conseguiva.

Costringere qualcuno a fare qualcosa, non è cosa di tutti i giorni, lo puoi fare con dei bambini capricciosi, ma con adulti ci vogliono serie motivazioni.

Insomma, mi urta con l’immagine di un Gesù tollerante, paziente, benevolo soprattutto con i peccatori, i poveri. Mi entusiasma il Gesù che appena qualche ora prima aveva sentito compassione di fronte alla folla che lo seguiva..ora all’improvviso c’è questo cambio di passo: lo stesso Gesù che pocanzi nutriva compassione, ora senza tanti giri di parole “costringe” i discepoli a salire in barca ed affrontare il mare.

  • Costringe perché voleva stare solo a pregare?
  • Costringe perché temeva qualcosa, qualcuno? Giovanni il Battista era appena stato ucciso da Erode.
  • Costringe perché vuole che i suoi discepoli entrino in contatto quanto prima, anche con il mondo pagano..perché il Regno di Dio riguarda anche loro?Il pensiero però mi si ferma sulle migliaia di persone (milioni) costrette anche loro dagli eventi ad andare via, ai profughi di oggi, costretti a lasciare le loro case, i villaggi della loro vita, per mancanza di lavoro, costretti a fuggire per una guerra in corso, perché perseguitati per la loro appartenenza religiosa, penso soprattutto ai cristiani di Mosul e di tanti villaggi Iracheni, a scappare di notte..costretti ad andare verso “un’altra riva del mare”, a dover attraversare confini, mari insidiosi come la tempesta del Vangelo di oggi. “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” E’ un Dio dentro i sogni dei migranti, che si affidano proprio a Lui (non agli scafisti) al momento di imbarcarsi su poveri barconi per attraversare le acque del Mediterraneo. Coraggio, “Io sono” dentro di voi, dentro i vostri timori, dentro i vostri cuori, “Io sono” dentro i vostri piedi pronti a camminare sull’altra riva, “Io sono” il vostro desiderio di Vita. 9 Agosto 2014  
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  • Coltano – campo Rom –
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  • E’ un Dio che è dentro anche le nostre tempeste: si fa profugo con chi fugge, si fa disoccupato con chi ha perso il lavoro, si fa malato con chi è colpito da malattia, si fa mano tesa con chi si sente fallito, disperato e sente ormai la sua vita affondare sempre più.
  • Le tempeste fanno parte della vita, sono diverse e in genere imprevedibili, a volte spazzano come fuscelli le nostre certezze, convinzioni, ci obbligano a rivedere e cambiare le nostre direzioni..Sì è vero sono dure, difficili, anche pericolose ma necessarie.
  • Rimango con il mio interrogativo, anche perché il Vangelo di questa domenica tace e va subito oltre.

 

il vangelo della domenica commentato da p. Maggi e p. Agostino

TUTTI MANGIARONO E FURONO SAZIATI 

 

 


 

Mt 14,13-21

In quel tempo, avendo udito [della morte di Giovanni Battista], Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte.
Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati. Sul far della sera, gli si avvicinarono i discepoli e gli dissero: «Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare». Ma Gesù disse loro: «Non occorre che vadano; voi stessi date loro da mangiare». Gli risposero: «Qui non abbiamo altro che cinque pani e due pesci!». Ed egli disse: «Portatemeli qui».
E, dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull’erba, prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli, e i discepoli alla folla. Tutti mangiarono a sazietà, e portarono via i pezzi avanzati: dodici ceste piene. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

commento al Vangelo della domenica diciottesima del tempo ordinario (3 agosto) di p. Alberto Maggi

maggi

L’episodio della condivisione dei pani e dei pesci è talmente importante che tutti e quattro gli evangelisti lo riportano. Lo riportano perché in questo episodio non vedono soltanto un segno compiuto dal Signore, ma in esso raffigurano e anticipano la cena eucaristica. Quindi tutto il brano è un anticipo – ed è una comprensione – del significato profondo della cena eucaristica di Gesù.
Per questo l’evangelista mette delle indicazioni nel testo per far comprendere che – attenzione! – non sta narrando un semplice fatto di cronaca,  ma sta trasmettendo una verità teologica. Ecco perché in questo episodio che troviamo al capitolo 14 di Matteo, versetti 13-21, intanto l’evangelista indica lo stesso momento dell’ultima cena.
Dice che sul far della sera si avvicinano i discepoli, c’è la folla che ha seguito Gesù e ha iniziato il nuovo esodo, la nuova liberazione, e i discepoli, che non sono solidali con la gente e non capiscono, chiedono a Gesù di licenziare la folla perché vada a comprarsi da mangiare. Non hanno accolto ancora lo spirito delle beatitudini, della condivisione.

E Gesù replica, e qui c’è l’indicazione profonda del significato dell’eucaristia, “«Non occorre che vadano»”, e a quelli che hanno usato il verbo comprare Gesù replica con il verbo dare. Non c’è da comprare, ma c’è da condividere. Ma la particolare forma verbale adoperata dall’evangelista nell’esprimere questa frase ha un significato particolare.
Gesù dice: “«Voi stessi date loro da mangiare»”, letteralmente “date a loro voi da mangiare”. E’ il significato dell’eucaristia. Nell’eucaristia Gesù si fa pane, alimento di vita, perché quanti poi lo accolgono siano capaci a loro volta di farsi pane, alimento di vita per gli altri. Non basta dare il pane alla gente, ma occorre farsi pane per la gente. Ecco perché l’evangelista usa quest’espressione: “Date loro voi da mangiare”.
Questo è il significato dell’eucaristia. Nell’eucaristia non si dà soltanto del pane, ma ci si fa pane per gli altri. I discepoli replicano che quello che hanno è insufficiente, infatti dicono che non hanno che “«Cinque pani e due pesci»”. Raggiungono il numero sette che, nella simbologia ebraica, significa tutto quello che hanno. Quando si trattiene per sé quello che si ha sembra insufficiente; quando si condivide invece si crea l’abbondanza.
Infatti Gesù chiede di portarglieli, e ora ci sono le indicazioni del significato dell’eucaristia. Per prima cosa Gesù ordina, comanda, alla folla di sdraiarsi. Perché Gesù deve comandare? Comanda perché c’è resistenza. E perché chiede a questa folla di sdraiarsi? Non possono mangiare come meglio credono, seduti, in piedi?
Nei pranzi festivi, nei pranzi solenni, si mangiava ad uso romano sdraiati su dei lettucci. Ma chi poteva mangiare in questa maniera? Soltanto chi aveva dei servi che potevano servirlo. Ecco allora la preziosa indicazione che ci dà l’evangelista: l’eucaristia serve per far sentire le persone “signori”. Per cui i discepoli, che sono persone libere, si mettono a servizio degli altri, quelli che sono considerati servi dalla società, gli ultimi, gli emarginati, gli esclusi, per far riscoprire loro la piena dignità, quella di signore.
E perché Gesù deve ordinare? Perché c’è resistenza. Le persone amano essere sottomesse, ma non amano la libertà. E l’evangelista qui ci presenta gli stessi gesti che Gesù compirà nell’ultima cena. “Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo”, significa comunicazione divina, “recitò la benedizione”, benedire significa che quello che si ha non è più possesso proprio, ma è dono ricevuto, e come tale condiviso per  moltiplicare gli effetti della creazione.
“Spezzò i pani e li diede ai discepoli”, gli stessi gesti che Gesù compirà nell’ultima cena quando prende i pani, benedice, li spezza, li dà ai discepoli, “e i discepoli alla folla”. I discepoli non sono i proprietari di questo pane, non sono amministratori, ma sono io servitori.  Il loro compito è prendere questo pane, che raffigura l’eucaristia, e distribuirlo alla folla, senza mettere condizioni e senza mettere limiti.
Soprattutto risalta l’assenza di un comando di Gesù. Perché Gesù non comanda alla folla di purificarsi? Prima di mangiare c’era un rito ben conosciuto, obbligatorio, che non era un semplice rituale igienico, non bastava essersi lavati le mani; bisognava purificarsi le mani seguendo determinati riti e determinate preghiere. Ebbene Gesù ogniqualvolta si trova a pranzo o a cena – e i pranzi e le cene nei vangeli anticipano sempre l’eucaristia – mai chiede o impone di lavarsi le mani.
Qual è il significato? Non è vero che gli uomini devono purificarsi per partecipare al banchetto del Signore, ma al contrario è partecipare al banchetto del Signore quello che li purifica. Questa è la grande novità portata da Gesù. L’uomo non dev’essere degno per partecipare al banchetto, ma è la partecipazione al banchetto che lo rende signore. Per questo Gesù si fa pane e chiede ai discepoli di essere donato, distribuito alla folla senza mettere condizioni.
Mangiano a sazietà, e avanzano dodici ceste. Il numero dodici è il numero delle tribù di Israele, e l’evangelista indica che attraverso la condivisione – e non l’accaparramento – si risolve la fame per tutto il popolo. Ed ecco infine un dettaglio prezioso. “Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini”.  L’evangelista riporta qui la stessa cifra di persone che erano i componenti, secondo gli Atti degli Apostoli, al capitolo 4, versetto 4, della primitiva comunità cristiana.
Ma perché proprio cinquemila? I multipli di cinquanta nella Bibbia indicano l’azione dello Spirito. I profeti, guidati dallo Spirito, andavano a gruppi di cinquanta. Pentecostè non significa altro che cinquantesimo, il cinquantesimo giorno dopo la Pasqua, ed è il giorno nel quale nella comunità cristiana scende lo spirito. Non  più una legge esterna da osservare, ma lo Spirito, una forza interiore da accogliere. Quindi i multipli di cinquanta indicano l’azione dello spirito.
Allora l’evangelista, attraverso questa cifra, vuol far comprendere che, con il pane, è stato comunicato lo spirito che era alla base del dono. E, infine, il dettaglio “senza contare le donne e i bambini”. Perché questo dettaglio? Perché nel culto sinagogale la celebrazione poteva iniziare soltanto quando erano presenti dieci maschi adulti; la sinagoga poteva essere piena di donne e bambini, ma finché non c’erano dieci maschi adulti non si poteva iniziare il culto.
Allora dando questa indicazione “senza contare le donne e i bambini”, che è una maniera di contare i partecipanti alla sinagoga,  l’evangelista vuol far comprendere che con Gesù, in questo episodio della condivisione dei pani, è nato il nuovo culto. Il nuovo culto non si esercita più in una sinagoga, ma ovunque esista la pratica delle beatitudini, la condivisione generosa. Il nuovo culto non parte più dagli uomini rivolta a Dio, ma parte da Dio ed è rivolto agli uomini, perché il Gesù di Matteo è il Dio con noi, che chiede di essere accolto perché con lui e come lui l’umanità vada ad essere alimento di vita, di forza, verso ogni uomo che ne ha bisogno.

il commento di p. Agostino Rota Martir:

p. agostino

“Voi stessi date loro da mangiare”

“Voi stessi siete il pane da distribuire per essere mangiato”

Il Vangelo di questa domenica è uno di quelli che mi sorprende, non tanto per il “miracolo” descritto, ma per la sua ordinarietà. Mi piace leggerlo attraverso questa lente, penso possa aiutare a capirlo meglio per evitare di restare catturati solo dall’evento della moltiplicazione.

Innanzitutto mi piace questo Gesù che sente la necessità di mettersi un po’ in disparte, solo a pensare (il vangelo di Matteo non dice che si ritira a pregare, come fanno ad esempio altri vangeli): aveva appena saputo della morte di Giovanni Battista. Deve essere stato un duro colpo anche per lui.

Caspita, anche Gesù sembra accusare il colpo! Che farà ora, le acque si stanno agitando: continuare quello che aveva intravisto al momento del Battesimo al Giordano? Oppure nascondersi fino a quando le acque si sarebbero calmate un pochino? E’ un momento delicato e problematico. Chissà quante volte anche a noi sarà capitato in certi momenti di sentire la necessità di trovare un posto tranquillo in disparte, lontano dai problemi che ci assillano, ci turbano, con la voglia di riflettere e di calma anche per pensare di fare il punto della nostra situazione..magari anche per pregare. Stare un po’ soli.

Ma le folle, avendolo saputo, lo seguirono a piedi dalle città..sceso dalla barca, sentì compassione per loro e guarì tanti malati.”

Certo, ognuno di noi non ha questa fiumana di gente che ci segue..non è questa la questione più importante. E’ un Gesù che si lascia disturbare proprio nel momento più riservato, lascia il suo spazio tranquillo per entrare in quello della gente, imprevedibile, esigente e spesse volte confuso e nello stesso tempo riesce ad “avere compassione”.

Penso a me, quante volte mi sento disturbato da chi mi cerca per motivi diversissimi e in nome del mio “spazio sacro” la fatica a “scendere dal piedistallo” e a nutrire vera compassione, non un fastidio camuffato da buona educazione. E’ facile la compassione quando siamo a distanza di sicurezza dal povero, dal malato, profugo, mendicante..dall’inquilino che abita al piano di sopra. Facile la compassione dal mio “piedistallo”, ma lontana dal cuore della gente, da lassù non arrivano i sussurri, i pianti e gli odori delle persone, comprese le loro pretese e furbizie. Penso alle folle che seguivano Gesù, senz’altro un mondo variegato di attese e di astuzie.

Per amore di quella folla Gesù abbandona l’idea di ritirarsi, senza recriminare, lascia la preghiera perché il rapporto con la folla è più importante. I discepoli, invece, sembrano infastiditi da quella folla e alla fine vorrebbero congedarla.” (don Luciano Cantini)

“Il luogo è deserto ed è ormai tardi, congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare”.

Oggi c’è una forte crisi economica, abbiamo già tanti problemi, c’è disoccupazione, chiudono tante fabbriche per mancanza di lavoro, non riusciamo ad arrivare a fine mese, la spesa sociale è diventata un peso insopportabile per le comunità..e la litania non finisce qui. Basta migranti, ne arrivano troppi, non ce la possiamo fare da soli, basta buonismo che finisce con il desertificare le nostre ormai poche risorse e privare i nostri poveri e i nostri pensionati di risorse utili. Rimandiamoli a casa, ai loro villaggi di origine è lì che dobbiamo aiutarli a rimanere a guadagnarsi il pane.

“Voi stessi siete il pane da distribuire per essere mangiato”. Non è forse anche questa la risposta di Gesù alla richiesta dei suoi discepoli? Diventare noi pane spezzato che si offre: saper dare senza aspettarsi niente, senza ricatto, senza calcolo, senza pretesa di cambiare l’altro..

Non è certo facile pensare e comportarsi così, sopratutto quando ormai la “compassione” sembra essere agli sgoccioli in questa nostra società, considerata inutile e insignificante.. di certo continuerà a stare dentro le nostre Chiesa fin quando le parole di Isaia riecheggeranno: “ Voi che non avete denaro, venite, comprate e mangiate: venite, comprate senza denaro, senza pagare, vino e latte.” (Is.55,1)

 

3 Agosto 2014

 

p. Maggi e Pagola commentano il vangelo

 

VENDE TUTTI I SUOI AVERI E COMPRA QUEL CAMPO


Mt 13,44-52

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: «Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra. Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete compreso tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

 commento al Vangelo della domenica diciassettesima (27 luglio)
del tempo ordinario di p. Maggi: maggi

Gesù non parla mai di sacrifici per il regno, bensì di gioia. La parola “sacrifici” nel vangelo di Matteo appare solo due volte ed è per negarli. Gesù, rifacendosi all’espressione del profeta Osea, ribadisce che il Signore non chiede sacrifici rivolti a lui, ma misericordia, cioè lo stesso atteggiamento d’amore rivolto verso gli uomini. Se Gesù mai parla e richiede dei sacrifici per il regno, invece continuamente parla di gioia. Il termine “gioia” nel vangelo di Matteo appare sei volte. E qui lo ritroviamo alla fine delle sette parabole che riguardano il regno, al capitolo 13 di Matteo, versetti 44-52. Scrive l’evangelista: «Il regno dei cieli»”, ricordo che regno dei cieli è un’espressione tipica di Matteo che significa il regno di Dio, quindi non un regno nell’aldilà, ma il regno di qua, un’alternativa alla società che Gesù presenta. Ebbene Gesù presenta questa alternativa come «Simile a un tesoro»”, il termine tesoro apre e chiude il brano liturgico di oggi, «nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia»”, letteralmente “per la gioia”. E’ la motivazione. L’aver trovato nel messaggio di Gesù, nell’alternativa di società, la risposta al desiderio della propria pienezza di vita. “«Vende tutti i tuoi averi e compra quel campo»”. Quindi non è frutto di chissà quali sforzi o rinunce, ma è per la gioia. Non consiste nel lasciare qualcosa, ma nel trovare tutto. E qui non si parla di una ricompensa esterna, ma di una pienezza interiore. Quindi l’immagine del regno che Gesù presenta è quella di aver trovato nell’alternativa di società e nel suo messaggio, la risposta al desiderio di pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro. Questo è fonte di gioia. Il rischio c’è, e l’abbiamo visto nei vangeli, ed è quello di lasciare senza trovare, allora si cerca di recuperare quello che si è perduto. Come quando Pietro dice: “Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito, che cosa ne avremo?” Ma chi lascia e trova questo tesoro, perché lo trova questo tesoro, ha una gioia incontenibile, una  gioia che è la caratteristica del credente. Ugualmente la seconda parabola. «Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose»”, il mercante è uno che se ne intende di affari, «trovata una perla di grande valore …»”, ne capisce l’importanza e tutto il resto perde valore. Anche Paolo nelle sue lettere, in quella ai Filippesi scrive “Quello che per me era un guadagno l’ho considerato una perdita a motivo di Cristo. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura”. Quindi Gesù invita a vedere nel suo messaggio la pienezza di vita alla quale ogni uomo aspira. E quando si trova questa pienezza di vita tutto il resto perde valore. La terza parabola è differente e parla del risultato di questa scelta. «Ancora, il regno dei cieli è simile a una rete gettata nel mare, che raccoglie  ogni genere …»”, l’evangelista non scrive “di pesci”, è un’aggiunta del traduttore. Perché non scrive “di pesci” anche se di questi si tratta? Perché si rifà alla missione dei discepoli ad essere pescatori di uomini. Gesù li chiama a pescare gli uomini. Pescare un pesce significa tirare fuori dal suo habitat naturale nell’acqua dove hanno la vita per dargli la morte; pescare un uomo significa invece tirarlo fuori da ciò che può dargli la morte per dargli la vita. «Quando è piena, i pescatori la tirano a riva, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via …»”, ecco qui l’evangelista non adopera il termine “cattivi”, che può indicare un giudizio, con un significato morale. L’evangelista adopera il termine “marcio”. I pescatori non danno un giudizio morale sui pesci, i buoni e i cattivi, ma si trovano quelli che sono pieni di vita, e quelli che invece sono già morti in stato di avanzata putrefazione. E’ la stessa espressione che Gesù ha usato per l’albero, un albero marcio che non può che produrre frutti cattivi. Quindi non è un giudizio quello di Gesù, ma una constatazione. Tra chi ha pienezza di vita e chi è invece nella putrefazione della morte. L’accoglienza del messaggio di Gesù conduce l’uomo ad una pienezza di vita tale che è quella definitiva; il rifiuto di questo messaggio, vivere soltanto per sé, porta alla morte definitiva, alla putrefazione della propria esistenza. E l’evangelista continua: «Così sarà alla fine dei tempi. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi»”, ma letteralmente il termine è maligni, quelli che si comportano come il loro padre, il maligno, il diavolo,  «dai buoni»”, letteralmente i giusti, «e li getteranno nella fornace ardente»”. Il termine fornace ardente l’evangelista lo prende dal libro di Daniele, capitolo 3, versetto 6, in cui rappresentava la pena per chi non adorava la statua di Nabucodonosor. Quella che era la pena per chi non adorava il potere diventa invece la fine per chi ha adorato il potere. Chi orienta la propria vita per il bene degli altri, si realizza. Chi ha pensato soltanto a sé, chi ha pensato al proprio potere in realtà si distrugge. Vediamo il finale. Scrive l’evangelista: «Dove sarà pianto e stridore di denti»”. E’ un’immagine biblica che indica la constatazione del fallimento della propria esistenza. Gesù già dirà “a che serve guadagnare il mondo intero e poi smarrire se stessi”! E Gesù chiede ai suoi discepoli: «Avete compreso tutte queste cose?» Gli risposero: «Sì». Ecco la conclusione nella quale l’evangelista probabilmente mette la sua firma. Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba»”, lo scriba è il grande teologo, colui che quando parlava era Dio stesso che parlava, era colui che aveva la più grande importanza, il più grande prestigio nel mondo di Israele. «Per questo ogni scriba, divenuto discepolo»”. Gesù è abbastanza ironico. Lo scriba, colui che insegna, di fronte alla novità portata da Gesù, deve tornare scolaro, deve farsi discepolo. «Discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro»” – ecco il brano è iniziato col tesoro e termina col tesoro – “«cose nuove e cose antiche»”. E’ importante questa dinamica, prima le cose nuove. Il messaggio di Gesù ha la precedenza su quello di Mosè. E quello di Mosè si accoglie soltanto nella misura in cui è conforme al suo insegnamento.

LA DECISIONE PIÙ IMPORTANTE

il commento di p. Pagola:

 

Il vangelo raccoglie due brevi parabole di Gesù con uno stesso messaggio.
In entrambi i racconti, il protagonista scopre un tesoro enormemente prezioso o una perla di valore incalcolabile. Ed i due reagiscono allo stesso modo: vendono decisamente con gioia quello che hanno, e si impadroniscono del tesoro o la perla.

Secondo Gesù, così reagiscono quelli che scoprono il regno di Dio.
All’opinione, Gesù teme che la gente lo segue per interessi diversi, senza scoprire la cosa più attraente ed importante: quel progetto appassionante del Padre che consiste in condurre su una strada più giusta l’umanità verso un mondo, fraterno e felice, avviandolo così verso la sua salvezza definitiva in Dio.

Che cosa possiamo dire oggi dopo venti secoli di cristianesimo? Perché tanti cristiani buoni vivono rinchiusi nella loro pratica religiosa con la sensazione di non avere scoperto in lui nessun “tesoro”?. Dove sta la radice ultima di quella fetta di entusiasmo e di gioia in non pochi ambiti della nostra Chiesa, incapace di attrarre verso quel nucleo del Vangelo tanti uomini e donne che si vanno allontanando da essa, senza rinunciare però per questo motivo a Dio e a Gesù?

Dopo il Concilio, Paolo VI fece questa precisa affermazione: ” Solo il regno di Dio è assoluto. Tutto il resto è relativo”. Alcuni anni più tardi, Giovanni Paolo II lo riaffermò dicendo: “La Chiesa non vedrà mai la sua fine, perché è orientata verso il regno di Dio del quale è germe, segno e strumento”.

Papa Francesco ci va ripetendo: “Il progetto di Gesù è instaurare il regno di Dio.” Se questa è la fede della Chiesa, perché ci sono cristiani che neanche hanno sentito parlare di quel progetto che Gesù chiamava “regno di Dio?” Perché non sanno che la passione che incoraggiò tutta la vita di Gesù, fu la ragione di essere e l’obiettivo di tutta la sua attuazione, annunciare e promuovere quel progetto umanizzatore del Padre: cercare il regno di Dio e la sua giustizia!

La Chiesa non può rinnovarsi dalla sua radice se non scopre il “tesoro” del regno di Dio. Non è la stessa cosa richiamare i cristiani a collaborare con Dio nel suo grande progetto di fare un mondo più umano più tosto che vivere distratti in pratiche e abitudini che ci fanno dimenticare il vero nucleo del Vangelo.

Papa Francesco sta dicendoci che il regno di Dio ci “reclama”. Questo grido ci arriva dal cuore stesso di quel Vangelo. Dobbiamo ascoltarlo. Sicuramente, la decisione più importante che dobbiamo prendere oggi nella Chiesa e nelle nostre comunità cristiane è quella di recuperare il progetto del regno di Dio con gioia ed entusiasmo.

Cerca di scoprire il tesoro nascosto del regno di Dio.

José Antonio Pagola

il vangelo commentato da p. Maggi

maggi

“LASCIATE CHE L’UNA E L’ALTRO CRESCANO INSIEME FINO ALLA MIETITURA”

Commento al Vangelo della sedicesima domenica del tempo ordinario (20 giugno) di p. Alberto Maggi

Mt 13,24-43

In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”». Espose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un granello di senape, che un uomo prese e seminò nel suo campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto e diventa un albero, tanto che gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami». Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata». Tutte queste cose Gesù disse alle folle con parabole e non parlava ad esse se non con parabole, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò la mia bocca con parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo». Poi congedò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si avvicinarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo. La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!».

Gesù propone ai suoi discepoli tre parabole che riguardano le tre grandi tentazioni della comunità:

– la tentazione di essere una comunità di eletti

– la tentazione della grandezza

– la tentazione dello scoraggiamento

Per queste parabole Gesù prende tre elementi della natura, il grano, la senape e il lievito, che richiedono un processo di crescita paziente; ogni accelerazione può essere nefasta. Queste parabole servono per far comprendere cosa sia il regno dei cieli. Questa espressione tipica di Matteo non indica il regno nei cieli, ma il regno di Dio, cioè l’alternativa di società che Gesù è venuto a proporre. La prima parabola parla di un uomo che ha seminato del buon seme, ma di notte il nemico gli semina la zizzania. La zizzania è una pianta i cui grani sono tossici e hanno un effetto narcotico. Ebbene i servi si meravigliano che nel campo del signore ci sia la zizzania e mettono in dubbio la bontà della sua semina e gli chiedono: “«Non hai seminato del buon seme?»” E il padrone risponde: “«Un nemico ha fatto questo!»” Ed ecco pronto lo zelo dei servi: «Vuoi che andiamo a raccoglierla?»La loro azione rischia di essere più pericolosa della zizzania. Lo zelo dei servi è più pericoloso del danno che può fare la zizzania. E l’uomo risponde: «No, perché non succeda che raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano»”. Poi verrà il momento della maturazione e là sarà palese quello che è grano, che offre la vita, e quello che è zizzania, che invece è tossica e produce la morte. Nella seconda parabola Gesù prende le distanze dall’immagine grandiosa del regno che era stata descritta dal profeta Ezechiele nel capitolo 17 del suo libro. Il profeta immaginava un altissimo monte e sopra a questo altissimo monte un cedro. Il cedro è la pianta più bella, l’albero più bello, chiamato “il re degli alberi”, quindi qualcosa che anche da lontano attira l’attenzione. Ebbene Gesù prende le distanze da tutto questo, “il regno è come un chicco di senape “, che è l’elemento più piccolo, quasi microscopico, “che viene gettato nel campo. Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, è più grande delle altre piante dell’orto”. Attenzione a questo particolare. Non è una pianta che cresce nell’alto di un monte, ma nell’orto di casa. L’arbusto della senape – perché nemmeno si può parlare di albero – anche nel momento del suo massimo sviluppo raggiunge 2 metri e mezzo, tre al massimo. E’ una pianta comune che non attira l’attenzione. Il regno di Dio, anche nel momento del suo massimo

sviluppo, non attirerà l’attenzione degli uomini per la sua grandiosità, per la sua magnificenza. Ma, essendo questi semi piccolissimi, il vento li porta ovunque ed è una pianta infestante. Infine la terza parabola che riguarda il regno, dice: «Il regno è simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina finché non fu tutta lievitata»”. Perché l’evangelista adopera questa unità di misura? Tre misure di farina sono circa 40 Kg. e questa unità si ritrova in tre episodi dell’Antico Testamento che riguardano la realizzazione di quello che veniva ritenuto impossibile. E’ quello che offrono Abramo e Sara quando viene loro annunziato che avranno un figlio nonostante la loro tarda età. E’ la stessa di Gedeone che si sente abbandonato da Dio e crede che le promesse di liberazione del Signore ormai non si possano realizzare, ed è quella di Anna, la madre del profeta Samuele che era sterile e invece avrà un figlio. Quindi si tratta di situazioni in cui quello che sembrava impossibile diventa realtà. Allora Gesù assicura che la forza del suo messaggio è tale che sarà capace di fermentare il mondo intero. Tre parabole, l’unica nella quale i discepoli chiedono spiegazioni è quella della zizzania, ma non perché non l’abbiano capita; è proprio perché l’hanno capita che non sono d’accordo. Loro sono animati da sentimenti di superiorità, di ambizione, di rivalità tra di loro, e quindi non sono d’accordo su questo fatto di non essere una comunità di giusti, una comunità di eletti. Si avvicinano a Gesù e, in maniera imperativa, gli dicono: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo»”. Quindi il tono è di chi non è d’accordo. E Gesù la spiega. «Colui che semina il buon seme è il Figlio

dell’uomo»”, Figlio dell’uomo indica Gesù nella sua condizione divina, «Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno.»Figli del Regno sono coloro che hanno accolto le condizioni perché il regno diventi realtà. E la condizione perché il regno diventi realtà è la conversione, la sostituzione di falsi valori che reggono la società, per accogliere i nuovi proposti da Gesù, cioè la condivisione, il servizio, e l’amore universale. «La zizzania sono i figli del Maligno»”, con il termine “figlio” si indica colui che assomiglia al padre, e questo nemico Gesù lo individua nel diavolo, che è il potere, il dominio, l’apparenza. «La mietitura è la fine di quest’epoca»”, non la fine del mondo, “«e i mietitori sono gli angeli»”, cioè gli inviati del Signore. E Gesù aggiunge, spiegando: «Come dunque si raccoglie la zizzania»”, quello che è tossico «e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine di questo tempo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali»”. L’espressione scandalo ricorre nello scontro tra Gesù e Pietro, quando Gesù gli dirà: “Allontanati da me che sei causa di scandalo”. Lo scandalo è dovuto all’idea di un messia trionfante, di un messia di successo, che non sarà quello che si manifesterà in Gesù. Quindi qui si riferisce a tutti quelli che vogliono il trionfo, «E tutti quelli che commettono iniquità»”. L’espressione è apparsa per quei discepoli che sono costruttori del nulla, aveva detto Gesù, perché annunziano il messaggio, ma non come espressione della loro vita, bensì come uso del nome del Signore. Convertono gli altri, ma non hanno convertito se stessi. Questi Gesù li considera come coloro che commettono iniquità, cioè coloro che costruiscono il nulla. E qui Gesù prende in prestito l’immagine del profeta Daniele e dice: «Li getteranno nella  ardente»”, che significa la distruzione completa, simbolo di morte, «Dove sarà pianto e stridore di denti»”. Questa è un’immagine che indica la disperazione per il  fallimento. Nella nostra lingua italiana possiamo usare l’espressione “strapparsi i capelli”, ha lo stesso significato, segno di disperazione e di fallimento. Allora, sempre usando espressioni del libro di Daniele, «I giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro»”. Chi sceglie la vita ha la vita. E’ questo il significato di questa parabola: chi produce la vita entra nella pienezza di vita; chi è morto e ha prodotto morte sprofonda nella pienezza della morte.

 

il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

 

maggi

IL SEMINATORE USCI’ A SEMINARE 

Commento al Vangelo della domenica 15° del tempo ordinario (13 luglio) di p. Alberto Maggi

Mt 13,1-23

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti». Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: «Perché a loro parli con parabole?». Egli rispose loro: «Perché a voi è dato conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato. Infatti a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Per questo a loro parlo con parabole: perché guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono. Così si compie per loro la profezia di Isaìa che dice: “Udrete, sì, ma non comprenderete, guarderete, sì, ma non vedrete. Perché il cuore di questo popolo è diventato insensibile, sono diventati duri di orecchi e hanno chiuso gli occhi, perché non vedano con gli occhi, non ascoltino con gli orecchi e non comprendano con il cuore e non si convertano e io li guarisca!”. Beati invece i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché ascoltano. In verità io vi dico: molti profeti e molti giusti hanno desiderato vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono! Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno»

. La parabola de seminatore che troviamo nel capitolo 13 del vangelo di Matteo non vuole essere tanto un invito a esaminare se stessi, quanto un incoraggiamento ai discepoli ad annunziare il vangelo. Se in tre terreni si fallisce, nel quarto il frutto abbondante ripaga di tutte le perdite. Perché? Gesù confida nella potenza della parola creatrice. La parola di Gesù è la stessa parola di quel Dio che disse: “Sia la luce e la luce fu”. Quel Dio che nel profeta Isaia garantisce: “Così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me  effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”. Questa è la forza del messaggio di Gesù. Quindi la sua parola contiene in sé un’energia, una potenza creatrice che, quando viene accolta, libera tutta quanta la sua potenza. Allora Gesù esprime questo in parabole. Perché lo esprime in parabole? Ai discepoli che ha iniziato “ai misteri del regno dei cieli” … cosa sono i misteri? I misteri sono una conoscenza segreta. E qual è la conoscenza segreta del regno dei cieli? Che l’amore di Dio è universale. L’amore di Dio non ha un popolo preferito o una parte del mondo privilegiata. L’amore di Dio è universale. Ma questo al popolo non si può dire. Il popolo, imbevuto di una ideologia nazionalista, avrebbe rifiutato Gesù, come quando nel vangelo di Luca Gesù prova a proporre questo a Nazaret e sfugge per poco al linciaggio. Quindi Gesù alla gente parla in parabole, in modo che chi è in sintonia può capire; per gli altri sarà un pensiero che poi dovranno maturare. E Gesù propone questa parabola del seminatore ed è Gesù stesso che la commenta, quindi noi ci limiteremo a sottolineare il suo commento. “Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono”. Quindi qui c’è una parte del seme che, appena è caduta, subito viene portata via. Quindi una parte che non germoglia. E Gesù stesso  commenterà: “Ogni volta che uno ascolta la parola del regno e non la comprende…”, perché per comprendere questa parola c’è bisogno della conversione. Come nel brano del capitolo 6, versetti 9-10, che Gesù ha citato lungo questa parabola, quando il profeta Isaia si scontra con l’incomprensione del popolo, e terminava con “non comprendano con il cuore, non si convertano e io li guarisca”. Per comprendere la parola del Signore c’è bisogno di una conversione e la conversione nel vangelo di Matteo è mettere il bene dell’uomo al primo posto come valore assoluto. Ebbene, dice Gesù, “Ogni volta che uno ascolta la parola del regno e non la comprende”, appunto perché manca la conversione “viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato. Questo è il seme seminato lungo la strada”. Il maligno è immagine del potere, dell’ambizione. Queste persone sono completamente refrattarie o ostili alla parola del Signore, la vedono addirittura come una minaccia ai propri interessi. Quindi fallimento totale; nella prima neanche germoglia. “Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole fu bruciata”. L’effetto del sole sulla pianta è benefico, è ciò che la rafforza e la fa crescere. Qui invece fu bruciata. Ma la colpa non è del sole, la colpa è della pianta, anzi del terreno, perché essendo sassoso, la pianta non ha potuto mettere radici e si è seccata. Quindi nella prima non germoglia e nella seconda spunta, ma subito si secca. Ed è Gesù stesso che commenta: “Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la parola e l’accoglie subito con gioia”, quindi gli entusiasti di questo messaggio, che vedono nella parola di Gesù una risposta al proprio desiderio di pienezza di vita, ma “non ha in sé radici”, cioè la parola non mette radici nella persona, non la compenetra, non la trasforma. La parola di Dio va accolta e, una volta accolta, questa sprigiona tutte le sue capacità che trasformano l’individuo. Se non c’è questo “appena giunge una tribolazione o una persecuzione …”. Ma Gesù ha proclamato beati i perseguitati! E’ ovvio che annunziare questo messaggio d’amore va contro gli interessi del mondo che vive sul potere ed è normale che ci sia l’incomprensione o la persecuzione a causa della parola. E Gesù dice: “E subito viene meno”. Letteralmente “si scandalizza”, cioè inciampa. Quindi queste persone entusiaste che pensano che seguire Gesù sia andare incontro ad applausi, a riconoscimenti, quando vedono invece che si va incontro a incomprensioni e persecuzioni, crollano. Gesù continua: “Un’altra parte cadde sui rovi, i rovi crebbero e la soffocarono”. Qui il terreno era buono, ma era un terreno dove c’erano anche le spine. E’ cresciuta la pianta, sono cresciute le spine e l’hanno soffocata. E commenta Gesù: “Quello che è seminato tra i rovi è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la parola ed essa non da frutto”. Cosa significa? Le preoccupazioni del mondo fanno vedere nel denaro e nella ricchezza la loro soluzione. Ebbene quando si riesce a raggiungere questa ricchezza, questo denaro, però subito dopo questa suscita nuove ambizioni, nuovi desideri, nuove esigenze, e ci fa trovare di nuovo in preoccupazioni economiche, vedendo nel denaro ancora la soluzione. Allora una persona che è sempre preoccupata economicamente, una persona che pensa sempre ed esclusivamente per sé, come può pensare per gli altri? E’ per quello che soffoca la parola. Qui la tragedia è che il terreno è buono, produce, però la persona non ha sradicato la mala pianta dell’ambizione, della ricchezza. Per Gesù il valore della persona consiste nella sua generosità, e un individuo che è sempre preoccupato per sé naturalmente non può essere generoso. Infine Gesù dice: “Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto”. Quindi nella prima non germoglia, nella seconda spunta e si secca, nella terza cresce e si soffoca, qui invece nel terreno buono libera tutte le sue energie “e diede frutto, il cento, il sessanta, il trenta per uno”. Al tempo di Gesù, nella cultura dell’epoca, quando da un chicco di grano nasceva una spiga con dieci o tredici chicchi era già considerato un buon raccolto, perché la media era di sette o otto chicchi. In annate eccezionali si aveva una spiga addirittura con trenta chicchi. Ebbene, quello che è l’eccezione, l’abbondanza, Gesù lo mette alla fine. Gesù dice che darà frutto cento, sessanta o trenta. Non comincia da trenta e poi sessanta e cento. Quello che già è straordinario Gesù lo mette alla fine. All’inizio invece mette il cento. Quando c’è la conversione e si accoglie questa parola senza mettergli alcun limite, la parola libera tutta la sua energia creatrice e si trasforma in benedizione. Il numero cento nella Bibbia è immagine di benedizione. La parola entra nell’individuo, lo trasforma, l’individuo stesso diventa questa parola, e la sua esistenza è una benedizione per quanti avvicina. 

il commento al vangelo della domenica

 

i biblisti p. Maggi e p. Smulders commentano il vangelo della domenica quattordicesima (6 luglio 2014) del tempo ordinario:

Mt 11,25-30

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

IO SONO MITE E UMILE DI CUORE

commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

maggi

Dopo il lamento di Gesù sulle città della Galilea che hanno rifiutato il messaggio del Regno, e l’hanno rifiutato perché sono città dominate dalla sinagoga, dall’insegnamento degli scribi e dei farisei, Gesù benedice invece quelli che lo hanno accolto. Matteo capitolo 11 versetto 25. “In quel tempo”, quindi l’evangelista lega questo che adesso presenta con quanto precede il lamento di Gesù, “Gesù disse: «Ti rendo lode Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli»”. Chiariamo subito che Gesù non prende posizione contro il sapere, contro la cultura, tutt’altro. I sapienti e i dotti sono i dottori della legge, il magistero ufficiale di Israele, quelli che già hanno condannato Gesù come bestemmiatore. Perché Gesù dice che il Padre a loro ha nascosto queste cose? Perché il Dioamore è nascosto ai cultori della legge. Chi è abituato a rapportarsi alle situazioni, agli avvenimenti, alle persone, in base a un codice, in base a una legge, non può comprendere il volto di un Dio che è amore, un Dio che crea l’uomo e ama e difende la sua creatura. Quindi il criterio di interpretazione della scrittura, della Bibbia e della parola di Dio, deve essere il bene dell’uomo. Chi invece ne fa una dottrina, una legge, nella quale l’osservanza di comandamenti, di precetti, è più importante del bene dell’uomo, ebbene queste persone rischiano di avere come un velo davanti agli occhi che impedisce loro di scoprire il disegno d’amore di Dio sull’umanità.  «E le hai rivelate ai piccoli»”. Il termine indica i semplici, cioè le persone che non hanno difficoltà ad accogliere un Dio-amore perché è di questo che hanno bisogno. «Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza»”. Quindi Dio ha deciso che il criterio per conoscerlo è l’amore, non la legge, non la dottrina. «Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo»”. Cosa vuol dire Gesù con questa espressione così importante? Gesù è stato presentato dall’evangelista fin dall’inizio del suo vangelo come il “Dio con noi”, un Dio che non è da cercare, ma da accogliere. E, accogliendo questo Dio, andare con lui e come lui, non verso Dio, ma verso gli uomini. Quindi con Gesù Dio si è fatto uomo, e questo è l’unico valore sacro, l’unico valore importante, l’unico traguardo nella vita del credente. E perché Gesù dice che nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo? Il verbo “rivelare” significa togliere quello che impedisce di vedere, cioè la legge. La legge impediva di conoscere l’amore del Padre. E invece il criterio per accogliere Gesù e per comprendere il Padre è mettere nella propria vita come unico valore assoluto, come unico valore sacro, il bene dell’uomo. E detto questo Gesù, dopo aver preso la distanza da questi sapienti, da questi dotti, che fanno della legge un piedistallo per dominare il popolo, Gesù si rivolge proprio a quelli che sono dominati, gli oppressi. Ed è un invito di una forza, di una tenerezza incredibile. «Venite a me voi tutti»”, Gesù invita tutti quanti, «che siete stanchi e oppressi»”. Stanchi e oppressi per quale motivo? Per via del carico della legge, che non gliela fanno ad osservare tutte queste regole, tutte queste dottrine, tutte queste imposizioni. E questo li stanca, li opprime perché l’osservanza di tutte queste regole, che non riescono praticare, li fa sentire sempre in colpa, sempre in debito nei confronti del Signore. Ed ecco l’annunzio di Gesù: «E io vi darò ristoro»”. Il verbo adoperato dall’evangelista “dare ristoro” significa “far riposare, far cessare la fatica”, cioè recuperare il fiato. E’ Gesù che dice “Io sarò il vostro respiro”. Quindi quanti sono oppressi da un rapporto con Dio che non riescono a portare avanti per via delle troppe leggi e regole, Gesù dice “accogliete me, io sarò il vostro respiro. Io sarò quello che vi darà fiato”. E infatti Gesù continua: «Prendete il mio giogo»”. Il giogo, lo sappiamo, è l’attrezzo che si metteva sopra agli animali per dirigerli nel lavoro. Ebbene, l’osservanza della legge divina era chiamata “giogo”. Era una legge impossibile da osservare. Anche Pietro negli Atti degli Apostoli, quando vogliono imporre queste leggi anche ai pagani, Pietro dice: “Perché continuate a tentare Dio volendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?” Quindi è un fallimento. Questa dottrina, questa imposizione è stata un fallimento perché nessuno è riuscito a seguirle e questo ha fatto sentire sempre l’uomo in colpa, in debito nei confronti di Dio. E quando ci si sente in colpa non si può sperimentare il suo amore.  Allora Gesù dice: «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore»”. Gesù qui non sta dicendo di imitare le qualità del suo carattere – una cosa impossibile avere il carattere e le qualità di Gesù. La mitezza e l’umiltà di Gesù non si riferiscono al carattere, alla qualità di una persona, ma alla condizione sociale. Nella beatitudine “beati i miti”, essi erano i diseredati, gli ultimi della società, e gli umili, in greco tapinos, sono coloro che sono insignificanti. Gesù ha fatto una scelta: s’è messo a fianco degli ultimi, degli invisibili, delle persone insignificanti. Quindi questo si può fare. E cosa significa? Non escludete nessuno dal raggio d’azione del vostro amore. Non cercate le persone importanti, quelle ai primi posti, ma mettetevi a fianco degli ultimi, perché è lì che sono io. Quindi, «imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per la vostra vita»”. Quindi Gesù ci invita a orientare la nostra vita al servizio degli altri e in questo c’è il respiro, quello che dà animo e forza all’esistenza del credente. E Gesù conclude rinnovando l’invito. «Il mio giogo»”, quindi non il giogo della legge, ma il suo giogo, e il giogo di Gesù sono le beatitudini, cioè un invito a tutto quello che concorre alla piena felicità dell’uomo. «Il mio giogo infatti è dolce»”, letteralmente “buono”, “«e il mio peso leggero»”. Ed è un peso leggero perché non ci sono regole da osservare, ma un amore da accogliere. Non una dottrina da accettare nella propria esistenza, ma un Gesù che chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dandogli la sua stessa capacità d’amore.

il commento al vangelo di p. Smulders:

croce

 

 

a) Una chiave di lettura:

Quando Gesù si rese conto che i piccoli capivano la buona novella del Regno, si rallegrò intensamente. Spontaneamente si rivolse al Padre con una preghiera di ringraziamento e fece un invito generoso a tutti i sofferenti, oppressi dal peso della vita. Il testo rivela la tenerezza di Gesù nell’accogliere i piccoli e la sua bontà nell’offrirsi ai poveri come fonte di riposo e di pace.

Matteo 11,25-30b) Una divisione del testo per aiutare nella lettura:

Mt 11,25-26: Preghiera di ringraziamento al Padre
Mt 11,27: Gesù si presenta come via che porta al Padre
Mt 11,28-30: Invito a tutti i sofferenti e gli oppressi.
c) Il testo:

25-26: In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te.
27: Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
28-30: Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

3. Un momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.

4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nell’orazione.
a) Qual è il punto del testo che ha richiamato maggiormente la mia attenzione e che più mi piace?
b) Nella prima parte (25-27), Gesù si rivolge al Padre. Quale immagine del Padre Gesù rivela nella sua preghiera? Quali i motivi che lo spingono a dar lode al Padre? E io, quale immagine ho di Dio? Come e quando lodo il Padre?
c) A si chi rivolge Gesù nella seconda parte (28-30)? Quale era il giogo che maggiormente pesava sul popolo di allora? E oggi, quale è il giogo che più affatica?
d) Quale è il giogo che mi da ristoro?
e) Come le parole di Gesù possono aiutare la nostra comunità ad essere un luogo di riposo per le nostre vite?
f) Gesù si presenta come rivelatore e come via al Padre. Chi è Gesù per me?

5. Una chiave di lettura
per chi vuole approfondire maggiormente il contenuto.
a) Il contesto letterario delle parole di Gesù: capitoli 10-12 del Vangelo di Matteo.
* Nel Vangelo di Matteo, il discorso della Missione occupa tutto il capitolo 10. Nella parte narrativa, che segue dopo i capitoli 11 e 12, dove si descrive come Gesù realizza la Missione, appaiono incomprensioni e resistenze che Gesù deve affrontare. Giovanni Battista, che guardava Gesù con uno sguardo del passato, non lo comprende (Mt 11, 1-15). Il popolo, che guardava Gesù a scopo di interesse, non è capace di capirlo (Mt 11,16-19). Le grandi città attorno al lago, che avevano udito la predicazione e avevano visto i miracoli, non vogliono aprirsi al suo messaggio ( Mt 11, 20-24). Gli scribi e i dottori, che giudicavano tutto a partire dalla loro scienza, non sono capaci di capire la predicazione di Gesù (Mt 11,25). Neppure i parenti lo capiscono (Mt 12,46-50). Solo i piccoli capiscono e accettano la buona novella del Regno. (Mt 11,25-30). Gli altri vogliono sacrifici, ma Gesù vuole misericordia (Mt 1″, 8). La resistenza contro Gesù porta i farisei a cercare di ucciderlo (Mt 12, 9-14). Essi lo chiamano Beelzebul (Mt 12,22-32). Ma Gesù non torna indietro: egli continua ad assumere la missione del Servo, descritto dal profeta Isaia (Is 42, 1-4) e citato per intero da Matteo (Mt 12, 15-21).
* Così, questo contesto dei capitoli 10-12 suggerisce che l’accettazione della buona novella da parte dei piccoli è la realizzazione della profezia di Isaia. Gesù è il Messia atteso, ma è diverso da quello che la maggioranza immaginava. Non è il Messia glorioso nazionalista, neppure un giudice severo, né un Messia re potente. Ma è il Messia umile e servo che “non spezza una canna incrinata, né spegnerà il lucignolo fumigante” (Mt 12,20). Egli proseguirà, lottando, fino a quando la giustizia e il diritto non prevarranno nel mondo (Mt 12,18.20-21). L’accoglienza del Regno da parte dei piccoli è la luce che brilla (Mt 5, 14), è il sale che dà sapore (Mt 5, 13), è il granello di senape che (una volta divenuto albero grande) permetterà agli uccelli del cielo di annidarsi fra i suoi rami (Mt 13, 31-32).
b) Breve commento alle parole di Gesù:
* Matteo 11,25-26: Solo i piccoli possono capire e accettare la buona novella del Regno.
Di fronte all’accoglienza del messaggio del Regno da parte dei piccoli, Gesù ha una grande gioia e, spontaneamente, trasforma la sua gioia in una preghiera di giubilo e di ringraziamento al Padre: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenute nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così è piaciuto a te“. I sapienti, i dottori di quel tempo, avevano creato una serie di leggi attorno alla purezza legale, che poi imponevano al popolo in nome di Dio (Mt 15, 1-9). Essi pensavano che Dio esigesse tutte quelle osservanze, perché il popolo potesse avere pace. Ma la legge dell’amore, rivelata da Gesù, affermava il contrario. Di fatto, quello che conta, non è ciò che facciamo per Dio, ma piuttosto quello che Dio, nel suo grande amore, fa per noi! I piccoli ascoltavano questa buona novella e si rallegravano. I sapienti e i dottori non riuscivano a capire un tale insegnamento. Oggi, come in quel tempo, Gesù sta insegnando molte cose ai poveri e ai piccoli. I sapienti e gli intelligenti farebbero bene a diventare alunni di questi piccoli.
Gesù pregava molto! Pregava con i discepoli, pregava con il popolo, pregava da solo. Passava notti intere in preghiera. Giunse a riassumere tutto il suo messaggio in una preghiera di sette domande, che è il Padre Nostro. A volte, come in questo caso, i vangeli ci informano sul contenuto della preghiera di Gesù (Mt 11,25-26; 26,39; Gv 11,41-42; 17,1-26). Altre volte, ci fanno sapere che Gesù pregava i Salmi (Mt 26, 30; 27,46). Nella maggioranza dei casi, però, dicono semplicemente che Gesù pregava. Oggi ovunque si stanno moltiplicando i gruppi di orazione.
Nel vangelo di Matteo, il termine piccoli (elachistoi, mikroi, nepioi) a volte indica i bambini, altre volte indica i settori esclusi della società. Non è facile distinguere. A volte ciò che è detto piccolo in un vangelo, è chiamato bambino in un altro. Inoltre non sempre è facile distinguere fra quello che appartiene all’epoca di Gesù e quello che è invece del tempo delle comunità per le quali sono stati scritti i vangeli. Ma anche così, ciò che risulta chiaro è il contesto di esclusione che vigeva in quell’epoca e l’immagine di persona accogliente verso i piccoli che le comunità primitive si facevano di Gesù.
* Matteo 11,27: L’origine della nuova Legge: il Figlio conosce il Padre
Gesù, essendo il Figlio, conosce il Padre e sa quello che il Padre voleva quando, in passato, aveva chiamato Abramo e Sara per formare un popolo o quando consegnò la Legge a Mosè per stringere l’alleanza. L’esperienza di Dio come Padre aiutava Gesù a intendere in maniera nuova le cose che Dio aveva detto in passato. Lo aiutava a riconoscere errori e limiti, dentro i quali la buona novella di Dio era stata imprigionata dall’ideologia dominante. L’intimità con il Padre gli offriva un criterio nuovo che lo collocava a diretto contatto con l’autore della Bibbia. Gesù non andava dalla lettera alla radice, ma dalla radice alla lettera. Egli cercava il senso nella fonte. Per capire il senso di una lettera, è importante studiare le parole che contiene. Ma l’amicizia con l’autore della lettera può aiutare a scoprire una dimensione più profonda in quelle parole, che il solo studio non è capace di rivelare.
* Matteo 11,28-30
Gesù invita tutti coloro che sono stanchi e promette loro riposo. Il popolo di quel tempo viveva stanco, sotto il duplice peso delle imposte e delle osservanze esigiate dalle leggi di purità. E Gesù disse: “Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero“. Attraverso il profeta Geremia, Dio aveva invitato il popolo a scrutare nel passato per conoscere quale cammino buono poteva dar ristoro alle anime (Ger 6,16). Questa strada buona appare ora in Gesù. Gesù offre ristoro alle anime. Egli è la via (Gv 14, 6).
Imparate da me che sono mite e umile di cuore . Come Mosè, Gesù era mite e umile (Num 12,3). Molte volte questa frase è stata manipolata per chiedere al popolo sottomissione, mansuetudine e passività. Quello che Gesù vuol dire è il contrario. Egli chiede che il popolo, per poter capire le cose del Regno, non dia tanta importanza ai “sapienti e dottori”, cioè ai professori ufficiali della religione del tempo, e che confidi di più nei piccoli.
Nella Bibbia molte volte la parola umile è sinonimodiumiliato. Gesù non faceva come gli scribi che si vantavano della loro scienza, ma era come il popolo umile e umiliato. Egli, il nostro Maestro, sapeva per esperienza che cosa passasse per il cuore del popolo e quanto il popolo soffrisse nella vita di ogni giorno. Gli oppressi devono cominciare ad imparare da lui, da Gesù, che è “mite e umile di cuore”.


c) Per fare luce sull’atteggiamento di Gesù:
* Lo stile di Gesù nell’annuncio della buona novella del Regno
Nel suo modo di annunciare la buona novella del Regno, Gesù rivela una grande passione per il Padre e per il popolo umiliato. Diverso dai dottori del tempo, Gesù annuncia la buona novella di Dio in qualunque luogo dove incontra gente che lo ascolta. Nelle sinagoghe durante la celebrazione della Parola (Mt 4,23). Nelle case degli amici (Mt 13,36). Camminando per strada con i discepoli (Mt 12,1-8). Lungo il mare, sulla riva della spiaggia, seduto sulla barca (Mt 13,1-3). Sulla montagna, da dove proclama le beatitudini (Mt 5,1). Nelle piazze dei villaggi e delle città, dove il popolo trasporta i malati (Mt 14,34-36). Anche nel tempio di Gerusalemme , durante i pellegrinaggi (Mt 26,55)! In Gesù, tutto è rivelazione di quello che dentro lo anima! Non solo annuncia la buona novella del Regno, ma è egli stesso una prova viva del Regno. In lui appare ciò che accade quando una persona umana lascia che Dio regni e prenda possesso della sua vita.
* L’invito della Sapienza Divina a tutti quelli che la cercano
Gesù invita tutti coloro che soffrono sotto il peso della vita a trovare in lui riposo e sollievo (Mt 11,25-30). In questo invito risuonano le parole tanto belle di Isaia che consolava il popolo stanco per l’esilio (Is 55,1-3). Questo invito è in relazione con la Sapienza divina, che convoca attorno a sé le persone (Sir 24, 18-19), affermando che “le sue vie sono vie deliziose e tutti i suoi sentieri conducono al benessere” (Pro 3,17). Essa dice ancora: “La Sapienza educa i suoi figli e si prende cura di quanti la cercano. Chi la ama, ama la vita, quanti la cercano solleciti saranno ricolmi di gioia” (Sir 4,11-12). Questo invito rivela un aspetto molto importante del volto femminile di Dio: la tenerezza e l’accoglimento che consola, rivitalizza le persone e le fa sentire bene. Gesù è il sollievo che Dio offre al popolo affaticato!

il commento al vangelo domenicale di p. Maggi

 

 

 

p. Maggi

TU SEI PIETRO, E A TE DARO’ LE CHIAVI DEL REGNO DEI CIELI

SOLENNITA’ S.S. PIETRO E PAOLO 

29 giugno 2014

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Mt 16,13-20

In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo.

Per tenere lontani i suoi discepoli dal lievito dei farisei, cioè dalla dottrina dei farisei e dei sadducei, Gesù li porta lontano dall’istituzione religiosa giudaica e li conduce all’estremo nord del paese. E quanto scrive Matteo, nel capitolo 16, versetti 13-20. “Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo”, Cesarea di Filippo è all’estremo nord del paese, è la città costruita da uno dei figli di Erode il Grande, Filippo, e, per distinguerla dall’altra Cesarea marittima, è stata chiamata Cesarèa di Filippo. All’epoca di Gesù la città era in costruzione. Questo è un dettaglio da tener presente, nei pressi della città si trovava una delle tre sorgenti del fiume Giordano, che era anche ritenuta l’ingresso del regno dei morti. Quindi sono elementi che occorre tener presente per la comprensione di quello che l’evangelista ci narra. Ebbene Gesù conduce i suoi discepoli così lontano dalla Giudea e anche dalla Galilea per porre loro una domanda. “Domandò ai suoi discepoli: «La gente»”, letteralmente “gli uomini”, «chi dice che sia il Figlio dell’uomo?»L’evangelista contrappone gli uomini al Figlio dell’uomo, l’uomo che ha la condizione divina, quindi l’uomo che ha lo spirito e quelli che non ce l’hanno. Gesù vuole rendersi conto di quale sia stato l’effetto della predicazione dei discepoli che lui ha inviato ad annunziare la novità del regno. La risposta è deludente. “Risposero: «Alcuni dicono Giovani il Battista»”, perché si credeva che i martiri sarebbero subito risuscitati, «altri Elìa»”. Elia, secondo la tradizione, non era morto, ma era stato rapito in cielo e sarebbe tornato all’arrivo del futuro messia. «Altri Geremia»”, sempre secondo la tradizione era scampato a un tentativo di lapidazione, «o qualcuno dei profeti». Si aspettava uno dei profeti annunziato da Mosè, comunque tutti personaggi che riguardano l’antico. Nessuno, né i discepoli né la gente alla quale essi si sono rivolti, ha compreso la novità portata da Gesù. Allora Gesù dice: «Ma voi»”, quindi si rivolge a tutto il gruppo, «Chi dite che io sia?»Gesù si è rivolto a tutto il gruppo dei discepoli, ma è soltanto uno che prende l’iniziativa. “Rispose Simon Pietro”, Simone è il nome, Pietro è un soprannome negativo che indica la sua testardaggine, e quando l’evangelista lo presenta con questo soprannome, significa che c’è qualcosa di contrario all’annunzio di Gesù. “Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»”. Finalmente c’è uno dei discepoli che ha capito che Gesù non è il figlio di Davide, colui che con la violenza impone il regno, ma è il figlio del Dio (letteralmente) vivificante, cioè comunica vita. “E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone»”. Perché beato? Pietro è il puro di cuore e quindi può vedere Dio. Gli dice “beato”, però lo chiama «figlio di Giona»”. “Figlio”, nella cultura ebraica non indica soltanto chi è nato da qualcuno, ma chi gli assomiglia nel comportamento. E Gesù lo chiama “figlio di Giona”. Giona è l’unico tra i profeti dell’Antico Testamento che ha fatto esattamente il contrario di quello che il Signore gli aveva comandato. Infatti il Signore gli aveva detto: “Giona, vai a Ninive a predicare la conversione altrimenti io la distruggo” e Giona fece il contrario. Anziché andare verso est, si imbarcò sulla nave e puntò ad ovest. Poi finalmente Giona si convertì. Quindi in questo figlio di Giona Gesù fa il ritratto di Pietro: farà sempre il contrario di quello che Gesù gli chiederà di fare, ma poi alla fine si convertirà. «Perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli.»Ecco Pietro è il beato perché è il puro di cuore che può vedere Dio. “E io dico a te: «Tu sei  Pietro»”, il termine greco adoperato dall’evangelista è Petros, che indica un mattone, un sasso, che può essere raccolto e usato per una costruzione. “«E su questa pietra»”. Pietra no è il femminile di Pietro. L’evangelista adopera il termine greco Petra che indica la roccia che è buona per le costruzioni. E’ lo stesso termine che Gesù, nel capitolo 7, ha scelto per la casa costruita sulla roccia. uindi Gesù dice a Simone: “Tu sei un mattone. Su questa roccia”, e la roccia è Gesù, «Edificherò la mia chiesa»”. Il termine greco ecclesia non ha nulla di sacrale, ma è un termine profano che indica l’adunanza, l’assemblea di quelli che sono convocati. Quindi Gesù non viene a costruire una nuova sinagoga, ma una nuova realtà che non ha connotazioni religiose, e per questo adopera questo termine laico. «E le potenze»”, letteralmente “le porte”; le porte di una città indicavano la sua forza, la potenza. “«Degli inferi»”, cioè del regno dei morti. Ricordo che la scena si svolge vicino a una delle grotte che si pensava essere l’ingresso nel regno dei morti, “«Non prevarranno contro di essa». Quando una comunità è costruita su Gesù, il figlio del Dio vivente, quindi si comunica vita, le forze negative, le forze della morte, non avranno alcun potere. “«A te darò le chiavi del regno dei cieli»”. Concedere le chiavi a qualcuno significava ritenerlo responsabile della sicurezza di quelli che stavano dentro. Abbiamo detto altre volte che il regno dei cieli nel vangelo di Matteo non significa un regno nei cieli, ma è il regno di Dio. Quindi Gesù non dà a Pietro le chiavi per l’accesso all’aldilà, non lo incarica di aprire o chiudere, ma lo ritiene responsabile di quelli che sono all’interno di questo regno, che è l’alternativa che Gesù è venuto a proporre. «Tutto ciò che legherai sulla terra»”, qui  l’evangelista adopera un linguaggio rabbinico, che significa dichiarare autentica o meno una dottrina, «sarà legato nei cieli»”, cioè in Dio, «E tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»”. Quello che Gesù ora dice a Pietro poi più tardi, al capitolo 18, lo dirà a tutti i discepoli. Le ultime parole che Gesù adopererà in questo vangelo rappresentano l’invio dei discepoli ad andare ad insegnare “tutto ciò che vi ho comandato”. Quindi nell’insegnamento di Gesù, questo messaggio che comunica vita, c’è l’approvazione divina, da parte dei cieli. Però, ecco la sorpresa, “Ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo”. Quando Gesù ordina significa che c’è resistenza. Nella risposta di Pietro c’era stata una parte positiva in quanto ha riconosciuto Gesù come il figlio del Dio che comunica vita, il Dio vivente, ma la parte negativa qual è? La gente ha detto che tu sei il Cristo, cioè il messia atteso dalla tradizione. Allora Gesù dice: “questo non lo dovete dire a nessuno”, perché lui non è il messia atteso dalla tradizione. Gesù è Cristo, è il messia, ma in una forma completamente diversa, non adopererà il potere, ma l’amore; non il comando, ma il servizio. E questo provocherà adesso lo scontro proprio con Simone. Quello che era stato definito “pietra” da costruzione, diventerà una pietra di scandalo.

 

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