il commento di p. Maggi

p. Maggi

ECCO L’AGNELLO DI DIO, COLUI CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO

Commento al Vangelo della seconda domenica del tempo ordinario (19 gennaio 2013) di p. Alberto Maggi, giornata  – la centesima – dedicata alla riflessione sulle migrazioni (segno che non si tratta di una casuale emergenza ma di una realtà strutturale che va cambiando gli assetti mondiali) : dopo il commento di p. Maggi mi piace inserire una breve riflessione su questa centesima giornata di Tonio dell’Olio di ‘pax christi’:

Gv 1,29-34

In quel tempo, Giovanni, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: “Dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me”. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell’acqua, perché egli fossemanifestato a Israele». Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una   colomba dal cielo e rimanere su di lui. Io non lo conoscevo, ma proprio colui chemi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse: “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo”. E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio».

Giovanni cadenza il suo vangelo seguendo il ritmo della creazione secondo il libro della Genesi. E’’ per questo che il brano di oggi inizia con l’espressione “Il giorno dopo”. E’ il secondo giorno e l’evangelista cadenzerà questi giorni fino ad arrivare al settimo giorno, il giorno della completezza della creazione, con le nozze di Cana, dove sarà annunziata la nuova alleanza.

Ebbene, Giovanni Battista “il giorno dopo, vedendo Gesù venire verso di lui, disse: «Ecco l’agnello di Dio ”.

Giovanni Battista identifica in Gesù l’agnello di Dio, cosa si intende con questo agnello? E’ l’agnello pasquale, quell’agnello che Mosè ordinò al suo popolo di mangiare la notte della Pasqua, perché la carne avrebbe dato la forza per compiere questo cammino verso la liberazione e il sangue di questo agnello avrebbe privato gli ebrei della morte che l’angelo distruttore quella notte avrebbe portato su tutto l’Egitto.

Quindi carne per avere la forza di camminare verso la libertà, e sangue che libera dalla morte.

Ebbene Giovanni l’evangelista vede in Gesù l’agnello di Dio. Sono numerosi i riferimenti nel vangelo su Gesù come agnello pasquale, per esempio la sua morte che sarà la stessa dell’ora nella quale nel tempio venivano sacrificati gli agnelli per la Pasqua, il fatto che a Gesù non sarà spezzato alcun osso, come era stato stabilito per questo agnello pasquale al quale non dovevano essere spezzate le ossa. Quindi Giovanni vede in Gesù l’agnello di Dio, colui la cui carne darà la capacità e la forza di iniziare il cammino verso la libertà, la liberazione e l’esodo, e il sangue, che non salverà dalla morte fisica, ma salverà dalla morte definitiva. Consentirà a chi accoglie questo sangue una vita di una qualità tale capace di superare la morte.

Ebbene, la funzione dell’agnello di Dio, secondo Giovanni, è “colui che toglie il peccato del mondo”.

Non si tratta dei peccati del mondo, che darebbe il significato dei peccati degli uomini, ma il peccato del mondo. C’è un peccato che precede la venuta di Gesù e rappresenta un ostacolo alla comunicazione tra Dio e l’umanità. Questo peccato è il rifiuto dell’offerta di pienezza di vita che Dio offre all’umanità, causato dall’adesione a un sistema ideologico, religioso che è contrario alla volontà di Dio. E Giovanni Battista definisce Gesù come “colui del quale ho detto «Dopo di me viene un uomo ”, quindi per adesso viene presentato soltanto come uomo. Dice che non lo conosceva, ma è venuto “a battezzare nell’acqua perché Gesù fosse manifestato a Israele” Israele sarà stato sempre un piccolo gruppo che è rimasto fedele al Signore, all’alleanza, alle sue promesse, e nel libro del profeta Sofonia si legge “Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero, un resto di Israele che confiderà nel nome del Signore”

E a questo resto la promessa del Signore. Ma questa promessa che adesso è per Israele dopo con Gesù si rivolgerà da Israele a tutta l’umanità. “Giovanni testimoniò dicendo: «Ho contemplato lo Spirito»”, l’articolo determinativo indica la totalità dello Spirito, cioè l’energia divina, la pienezza della forza di Dio, cioè l’amore, «Discendere come una colomba dal cielo»”,  ricordiamo che la colomba rimanda sia allo Spirito che aleggiava sulla creazione nel racconto del Genesi, sia all’affetto della colomba per il suo nido «E rimanere su di lui»”. E’ importante come l’evangelista sottolinei non soltanto il fatto che lo Spirito discenda su Gesù, ma che rimanga. Cosa vuol dire? L’esperienza dello Spirito è possibile a molti, ma solo colui sul quale questo Spirito rimane, questi lo può comunicare all’altro; questa sarà infatti l’attività di Gesù che adesso vedremo «Io non lo conoscevo, ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell’acqua mi disse ‘Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito’ »” …  ecco di nuovo l’evangelista sottolinea che, non solo lo Spirito, cioè la forza, la potenza di Dio scende su Gesù, ma su lui rimane. Prosegue letteralmente «’… è colui che battezza nello Spirito Santo’»”.

L’evangelista pone in parallelo l’espressione usata “colui che toglie il peccato del mondo” con “colui che battezza nello Spirito Santo”. Questo peccato non deve essere espiato ma deve essere estirpato. Come? Non attraverso una lotta, non attraverso una violenza. Giovanni ha già scritto nel suo prologo che la luce splende tra le tenebre, la luce non combatte contro le tenebre; la luce si limita a brillare e le tenebre se ne vanno.

L’azione di Gesù è di battezzare nello Spirito Santo. Mentre il battesimo nell’acqua significava immergersi in un liquido che era esterno all’uomo, il battesimo nello Spirito Santo significa lasciarsi impregnare, inzuppare con la pienezza della potenza divina che viene da Dio attraverso Gesù. Quindi l’azione di Gesù è comunicare ad ogni persona la sua stessa vita divina.

Mentre su Gesù scende la forza di Dio, lo Spirito, l’azione di Gesù è quella di battezzare in Spirito Santo; ‘Santo’ indica non solo la qualità, la santità di questo Spirito, ma la sua attività di santificare, cioè separare quanti accolgono questo Spirito, dalla sfera del male, dalla sfera delle tenebre. Quindi l’azione di Gesù è quella di comunicare il suo stesso Spirito.

Una volta che questo Spirito è accolto nella persona, questo diventa una sorgente zampillante che comunica, in maniera crescente, continua e traboccante, la vita divina. E conclude il brano, “«E io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio»”. Colui che era stato annunziato semplicemente come un uomo , “dopo di me viene un uomo che è davanti a me”, ora viene rivelato come il figlio di Dio.

Una volta che è discesa la pienezza dello Spirito Santo, in Gesù c’è la pienezza della condizione divina e Gesù manifesta pienamente la realtà di Dio.

migranti

Il sesto continente 

Tonio Dell’Olio

Domenica prossima in tutte le chiese cattoliche del mondo sarà celebrata la centesima giornata mondiale del migrante e del rifugiato. Centesima. Segno che non può essere emergenziale l’attenzione per coloro che sono costretti ad abbandonare la propria terra. Che a buon ragione quello dei migranti deve essere considerato ormai il sesto continente. E che lo sguardo va oltre Lampedusa e si sposta ai mille confini del mondo in cui tanta povera gente gioca a dadi col proprio destino. Per cercare una vita dignitosa per sė e per la propria famiglia. Segno che le migrazioni dei popoli cambiano lingua e rotte, modalità e origine, ma sono endemiche. Ce ne dobbiamo fare una ragione. Al contrario la stragrande maggioranza dei soldi del capitolo immigrazione nel nostro Paese vengono destinati per la gestione dei CIE e per i respingimenti. Briciole, solo briciole, per scuola e servizi sanitari che sono i luoghi in cui si costruisce sicurezza sociale. Una politica miope che non riesce nemmeno ad affrontare il tema in senso planetario, ovvero con accordi internazionali e politiche di cooperazione. E intanto il carico delle vittime si fa insostenibile per le nostre coscienze da Prato a Lampedusa, ma anche dai confini messicani a quelli asiatici. Mi dice padre Giovani La Manna: “Per strappare all’anonimato i morti della notte del 3 ottobre a Lampedusa ho deciso di celebrare ogni giorno una messa per ciascuno di loro e mi sono accorto che sono 368 i morti ufficiali. Non mi basteranno tutti i giorni dell’anno”.

 

p.Maggi e p.Pagola commentano il vangelo della domenica

p. Maggi

BATTESIMO DEL SIGNORE 

12 gennaio 2014

 Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Mt 3,13-17

In quel tempo, Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui.
Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare.
Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

L’attività di Gesù nel vangelo di Matteo si apre e si chiude all’insegna del battesimo. Nel brano che adesso vedremo Gesù viene battezzato e con il battesimo Gesù diventa manifestazione visibile della presenza del Padre nell’umanità e le ultime parole di Gesù ai suoi discepoli, una volta risuscitato, sarà di mandarli a battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Cioè essere manifestazione visibile della pienezza dell’amore di Dio e farla sperimentare ad ogni persona. Nel vangelo di Matteo, appena Gesù entra in scena, iniziano subito i problemi. Scrive infatti l’evangelista al capitolo 3, versetto 13, “Allora Gesù dalla Galilea venne…”. Qui l’evangelista adopera lo stesso verbo adoperato per l’apparizione di Giovanni Battista.
Con questo stratagemma letterario l’evangelista vuole indicare che in Gesù c’è il prolungamento e il compimento dell’attività del Battista. “… Al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui”, da sempre nella chiesa ha creato problema il battesimo di Gesù. Se il battesimo di Gesù, come annunciava Marco, era mirato ad ottenere il perdono dei peccati, perché Gesù è andato a farsi battezzare?
Se il battesimo di Gesù, come nel vangelo di Matteo, è mirato alla conversione, cioè ad un cambiamento del proprio comportamento, da un comportamento sbagliato a uno orientato verso il bene degli uomini. Perché Gesù fa a farsi battezzare?  Lui aveva bisogno di conversione?
Il battesimo è un simbolo di morte, morte a quello che si è e che si è stati, per accogliere la vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un simbolo di morte, ma non al passato, poiché lui non ha un passato ingiusto da dover cancellare, ma morte nel senso di accettazione di morte al futuro per essere fedele alla volontà del Padre e manifestare il suo volto d’amore. Gesù parlerà di questo battesimo proprio come simbolo di morte. Nel vangelo di Marco dirà: “Potete ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?”
Quindi il battesimo è un simbolo di morte. Se per il popolo è un simbolo di morte al passato, per Gesù lo è al futuro. Ebbene Matteo scrive: “Giovanni voleva però impedirglielo”, perché questo Gesù che va a farsi battezzare come se fosse anche lui bisognoso di conversione non è in linea con il messia che Giovanni Battista ha annunziato, il messia giustiziere, il messia che viene a giudicare, a premiare e castigare, che viene a battezzare in Spirito Santo, ma anche col fuoco, quello che viene a bruciare la pula.
E quindi Giovanni Battista protesta e dice: “«Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me? » Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia»”. Il termine ‘giustizia’ nell’Antico e nel Nuovo ha il significato di fedeltà, fedeltà all’alleanza. La giustizia di Dio consiste nella sua fedeltà all’alleanza, anche se gli uomini possono abbandonarla, anche se il popolo può tradirla, Dio è sempre fedele all’alleanza e al suo popolo.
E l’uomo è giusto, cioè la giustizia dell’uomo, quando è fedele a questa alleanza. Quindi Gesù invita ad essere fedeli all’alleanza, cioè a compiere la volontà di Dio. E qui l’evangelista colloca un’espressione strana che si trova solo due volte nel vangelo di Matteo, qui e alla fine delle tentazioni nel deserto, quando si legge che i”l diavolo allora lo lasciò”. E’ la stessa frase.
“Allora egli lo lasciò”, Giovanni Battista lo lasciò. Non è “lasciò fare”, come alcuni traduttori cercano poi di completare la frase. “Allora egli lo lasciò”, esattamente come il diavolo.  L’evangelista vuole indicare che questa per Gesù è la prima tentazione: essere il messia atteso dalla popolazione, il messia annunziato dalla tradizione. Sarebbe stato subito riconosciuto, accolto e acclamato.
Invece Gesù dovrà liberare il popolo da questa idea del messia per presentarne una completamente diversa, non un messia di potenza, ma un messia d’amore, non un messia di dominio, ma un messia di servizio.
Ebbene, “Appena battezzato Gesù immediatamente uscì dall’acqua”, l’acqua è simbolo di morte, quindi l’evangelista anticipa quella che sarà la risurrezione di Gesù, “ed ecco si aprirono per lui i cieli”, i cieli sono la dimora di Dio, “ed egli vide lo Spirito” – lo, articolo determinativo indica la totalità – “Spirito di Dio”, ad indicare la pienezza dell’amore, dell’energia, della vita di Dio, “scendere come una colomba e venire sopra di lui”.
Qual è il significato del simbolo della colomba? E’ duplice.  Uno è il riferimento al libro del Genesi, nel racconto della creazione, dove si legge che “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”, quindi l’evangelista vede in Gesù la vera nuova definitiva creazione voluta da Dio. E l’altro si rifà a un proverbio nel quale si richiamava l’amore della colomba al suo nido.
La colomba è fedele al suo nido, anche se le viene cambiato, fatto più bello, più nuovo, lei è sempre fedele al suo nido originario. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è la dimora dello Spirito, lì risiede la pienezza dell’amore di Dio.
“Ed ecco una voce dal cielo”, il cielo indica la dimora divina, e qui l’evangelista  fonde tre testi dell’Antico Testamento. Fonde il salmo 2, il libro del Genesi al capitolo 22 e Isaia al capitolo 42. “«Questi è il figlio mio»”, è l’intronizzazione del messia, quindi Gesù viene confermato da Dio quale il messia, questa è la citazione del salmo.
“«L’amato»”, indica il figlio unico, colui che eredita tutto, ed è un’allusione a Isacco, al figlio di Abramo, che Abramo voleva sacrificare per la divinità, “«In lui ho posto il mio compiacimento»”, che è una citazione del profeta Isaia, nella quale si vede l’attività del messia voluta da Dio. Quindi in Gesù si manifesta completamente e pienamente la volontà di Dio che vede in lui e nella sua attività il messia. In lui non c’è una contrapposizione con Dio perché lui è il figlio, cioè colui che assomiglia in tutto al Padre e lui è l’amato, il figlio unico, colui che eredita tutto dal Padre.
Non si può distinguere Gesù da Dio, ma, vedendo Gesù, si comprenderà chi è Dio, un Dio completamente diverso da quello che la tradizione si aspettava.

UNA NUOVA TAPPA
commento al vangelo di p. Pagola:
Prima di narrare l’attività profetica di Gesù, gli evangelisti ci parlano di un’esperienza che trasforma radicalmente la vita del Maestro.
Dopo essere stato battezzato da Giovanni, Gesù si sente il Figlio caro di Dio, abitato pienamente dal suo Spirito, e incoraggiato da quello Spirito, Gesù si mette in moto per annunciare a tutti, con la sua vita ed il suo messaggio, la Buona …Notizia di un Dio amico e salvatore dell’essere umano.   Non è strano che, invitandoci a vivere nei prossimi anni “una nuova tappa evangelizzante”, il Papa ci ricordi che la Chiesa necessita ora più che mai “evangelizzatori con lo Spirito”. Sa molto bene che solo lo Spirito di Gesù in noi può infondere forza per mettere in moto la conversione radicale che ha bisogno della Chiesa.   Questo rinnovamento della Chiesa può nascere solo dalla novità del Vangelo. Il Papa vuole che la gente di oggi ascolti lo stesso messaggio che Gesù proclamava per le strade di Galilea, niente di diverso. Dobbiamo “ritornare alla fonte e recuperare la freschezza originale del Vangelo”. Solo di questa maniera, “potremo rompere schemi noiosi noi che pretendiamo di rinchiudere Gesù Cristo.”   Il Papa sta pensando ad un rinnovamento radicale “che non può lasciare le cose come stanno; non serve oramai una semplice amministrazione”. per questo motivo, ci chiede “abbandonare il comodo criterio pastorale di sempre, il si, è fatto così” ed insiste una ed un’altra volta: “Invito tutti ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile ed i metodi evangelizzanti delle proprie comunità.”   Francesco cerca una Chiesa nella quale solo ci preoccupi comunicare la Buona Notizia di Gesù al mondo attuale. “Più che la paura di non sbagliare, egli spera che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa sicurezza, nelle norme che ci fanno giudici implacabili, nelle abitudini dove ci sentiamo tranquilli, mentre   c’è fuori una moltitudine affamata, e Gesù ci ripete senza stancarsi: Date a loro voi da mangiare.”   Il Papa vuole che costruiamo una Chiesa con le porte “aperte”, perché la gioia del Vangelo è per tutti e non deve escludersi nessuno. Che gioia poter ascoltare dalle sue labbra una visione di Chiesa che recupera lo Spirito più genuino di Gesù, rompendo atteggiamenti molto radicati nei secoli! “Spesso ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori di essa. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa del Padre dove c’è posto per ognuno con la sua vita sulle spalle.”   Mettiti in moto dunque per iniziare una nuova tappa evangelizzante.
José Antonio Pagola

 

maggi e antonelli commentano il vangelo

p. Maggi

SIAMO VENUTI DALL’ORIENTE PER ADORARE IL RE 

6 gennaio Epifania del Signore

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Mt 2,1-12

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da

oriente a Gerusalemme e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto

spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». All’udire questo, il re Erode restò turbato

e con lui tutta Gerusalemme.

Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui

doveva nascere il Cristo. Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per

mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città

principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».

Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui

era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: «Andate e informatevi accuratamente

sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad

adorarlo».

Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finché

giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono

una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si

prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e

mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro

paese.

Nella festa dell’Epifania la chiesa ci presenta il testo di Matteo nel quale si annunzia l’amore universale

di Dio per tutta l’umanità. Questo amore universale non intende soltanto l’estensione, cioè ovunque, ma

la qualità di questo amore, per tutti.

Vediamo allora il capitolo 2 di Matteo.

 

“Nato Gesù a Betlemme di Giudea al tempo del Re Erode …”, e

qui l’evangelista richiama l’attenzione. Infatti, con un avverbio, coglie la sorpresa di quanto avviene.

“Ecco”,

quando l’evangelista adopera questo avverbio ‘ecco’ è sempre per una sorpresa, “alcuni maghi

vennero da oriente”.

Questo episodio è stato talmente sconcertante e talmente imbarazzante per la

chiesa primitiva, che poi si è provveduto, man mano nel tempo, a trasformarlo quasi in un evento da

fiaba, un evento folclorico, anziché di profonda ricchezza teologica.

Perché? Con il termine mago si indicavano gli ingannatori, i corruttori, era un’attività condannata dalla

Bibbia e vista severamente dalla prima comunità cristiana. Per il dicaché, il primo catechismo della

chiesa, l’attività del mago è proibita ed è collocata tra il divieto di rubare e il divieto di abortire, e anche

nel Nuovo Testamento il mago viene visto in maniera negativa.

Eppure i primi che vengono per adorare Gesù, per accogliere Gesù, sono proprio dei maghi e per di più

pagani, quindi le persone ritenute le più lontane da Dio. I pagani non sarebbero risuscitati, i pagani non

erano degni della salvezza, e per di più sono dediti ad un’attività che la stessa Bibbia condanna. Ecco la

sorpresa.

Questo fatto è stato talmente imbarazzante che poi, nella tradizione i maghi sono diventati l’innocuo

termine ‘magi’, si è provveduto a dare loro dignità regale e a farli diventare re, in base ai doni stabilito il

numero, e stabilito anche il nome. I personaggi del presepio erano pronti a discapito della ricchezza

teologica di questo brano.

Vengono questi e dicono di aver visto spuntare la sua stella. Qual è il significato della stella? Era

credenza comune che ogni individuo, quando nasceva, aveva una stella con lui e che poi scompariva con

la sua morte. Usiamo anche noi l’espressione popolare “essere nato sotto una buona stella”, ma qui

soprattutto l’evangelista si riferisce alla profezia di Balaam, nel libro dei Numeri al capitolo 24, dove si

legge

 

“un astro sorge da Giacobbe”, una stella, “e uno scettro si eleva da Israele”.

Era la profezia con la quale si indicava prima il re Davide e poi era passata ad indicare il messia, quindi

l’evangelista vuol dire che questa è la stella che indica il segno divino della nascita del messia. Ebbene,

“All’udire questo Erode restò turbato”,

si capisce perché Erode era un re illegittimo, sospettoso di

chiunque potesse togliergli il regno.

Quindi qui è venuto a sapere che è nato il re dei Giudei, lui che ha ucciso addirittura tre figli suoi, ma

quello che è strano è che con lui si turba, si spaventa tutta Gerusalemme. Sia Erode che Gerusalemme

hanno paura per quello che stanno per perdere, Erode il trono, e Gerusalemme il tempio, l’egemonia e

l’esclusiva sulla figura di Dio.

Trono e tempio sono all’insegna del potere. Ebbene, dopo l’episodio dell’informazione sulla nascita di

questo messia, con l’intento di Erode di arrivare a scoprire il luogo dove andare ad adorarlo … è la

menzogna del potere, perché in effetti poi vedremo che deciderà di di ammazzare – andiamo al versetto

9 –

 

“Udito il re, essi partirono. Ed ecco la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva”.

La stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme, che fin dall’inizio in questo vangelo, viene collocata in

una luce tetra, in una luce negativa. Gerusalemme è la città di morte, quella che uccide i profeti e gli

inviati da Dio, e la stella, segno divino, non brilla su Gerusalemme. Come Gesù risuscitato, in questo

vangelo, non apparirà mai a Gerusalemme.

2

La stella li precede esattamente come il Signore precedeva il popolo d’Israele nel cammino dell’esodo

della liberazione. “

 

Finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”. L’evangelista è

cosciente di non star dando una indicazione storica, una cronaca. Non è possibile che una stella si fermi

su un luogo, quindi sono indicazioni teologiche, sono i segni divini.

E mentre Gerusalemme, ed Erode, hanno tremato per la paura di quello che stavano per perdere, ecco

che i pagani, e per di più dediti a un’attività rimproverata dalla Bibbia, provano una gioia grandissima per

quello che stanno per dare.

Infatti entrano, si prostrano, adorano. Quindi riconoscono in Gesù non solo il re, ma il figlio di Dio, quindi

riconoscono in lui la divinità, e dove vuole arrivare l’evangelista è la conclusione con i doni portati da

questi magi, doni che indicano che il privilegio esclusivo che Israele deteneva, ora è patrimonio di tutta

l’umanità.

Questi doni sono l’oro, incenso e la mirra. L’oro era simbolo di regalità. Ebbene, anche i pagani

entreranno a far parte non del regno di Israele, che non verrà risuscitato, ma del regno di Dio, cioè quel

regno senza confini, che è l’amore universale di Dio che non conosce confini. Quindi anche i pagani

entrano a far parte, a pieno diritto, del regno.

L’incenso era l’esclusiva dell’offerta dei sacerdoti nel tempio. Ebbene anche il privilegio di essere un

popolo di sacerdoti, il Signore aveva detto a Israele “Voi sarete un regno di sacerdoti, un popolo

sacerdotale”, laddove sacerdotale significa avere un rapporto diretto con il Signore, anche questo

privilegio che era di Israele, passa a tutta l’umanità.

Tutta l’umanità diventa popolo sacerdotale, cioè un popolo che può entrare in relazione immediata,

senza mediatori, con Dio. E infine la mirra. La mirra è il profumo della sposa verso il suo sposo, troviamo

questo nel Cantico dei Cantici. Uno dei privilegi di Israele era di considerarsi il popolo sposa di Dio, il

Signore era lo sposo, Israele la sposa.

Ebbene, anche questo privilegio, di essere considerata lo sposo di Dio, non è più esclusivo di Israele, ma

passa a tutta l’umanità. Questo è l’annunzio dell’Epifania, l’amore universale di Dio per tutta l’umanità,

nessuno si può sentire escluso da questo amore.

 

RE E MAGHI 

Alberto Maggi
Al tempo di Gesù chi erano le persone ritenute più lontane da Dio? Indubbiamente i pagani. I pagani erano disprezzati, dovevano essere sottomessi. Basti pensare che il pio salmista nel salmo 79 scrive “Signore, riversa lo sdegno sulle genti e sui regni che non invocano il tuo nome”. Quindi le persone più lontane da Dio sono i pagani. E tra i pagani qual era la categori…a di persone più disprezzata, la più ignobile? Indubbiamente quelli che esercitavano l’attività di mago, un’attività severamente proibita e condannata dalla Bibbia, dal libro del Levitico. E’ comprensibile quindi lo sconcerto, la sorpresa della comunità cristiana primitiva nel trovarsi di fronte a questa pagina di Matteo, al capitolo 2, nel quale si legge che i primi a riconoscere Gesù come Dio e Signore sono proprio dei pagani, cioè persone lontane, escluse da Dio, ma che esercitavano addirittura un’attività talmente condannata e maledetta che nel primo catechismo della chiesa cristiana che si chiama Didaché, cioè dottrina, insegnamento, l’attività del mago è proibita ed è situata tra il divieto di rubare e quello di abortire. E quindi creò sconcerto il fatto che fossero proprio dei maghi. Il termine “mago” all’epoca dell’evangelista significava “ingannatore, condannatore”. Nel Talmud si legge che “chi impara qualcosa da un mago, merita la morte”. E quindi creò grande sconcerto. Allora questo scandalo della misericordia che adesso vedremo, cioè l’amore universale di Dio, un amore universale per la sua estensione (ovunque), ma soprattutto per la qualità (per tutti), un amore dal quale nessuno, qualunque sia la sua condizione o la sua condotta, si possa sentire escluso. Tutto questo sconcertò la chiesa e cominciò anche qui in questa pagina un’operazione di annacquamento della portata teologica dell’evangelista. Anzitutto il nome. Il termine “mago” era sconveniente, era indecente, e si creò il termine neutro, insignificante, “magi”. Quindi non tre maghi, come scrive l’evangelista, ma “magi”. Poi in base ai doni viene definito il numero,re, per dare dignità a queste persone che erano soltanto dei pagani, degli ingannatori, dei corruttori,venne data loro la dignità regale, vennero poi suddivisi per razza, bianco, nero e meticcio, e infine trovarono i nomi Gasparre, Melchiorre e Baldassarre, e i personaggi dei presepi erano pronti, ma a scapito della portata teologica di questo brano. In questo brano l’evangelista scrive che: “E’ nato Gesù … Ecco”, suscita sorpresa, “alcuni maghi”, non magi, il termine greco è maghi, “vennero da oriente”. Quindi sono dei pagani e dicono di aver visto una stella. Si credeva a quell’epoca che ogni persona nata avesse una stella; lo diciamo anche noi nella lingua italiana, “essere nato sotto una buona stella”. (..)Vedremo che la stella dei maghi non brillerà su questa città, e Gesù risuscitato mai apparirà in questa città assassina e sinistra. Ebbene questi maghi continuano a seguire questo segno di Dio, questa stella, “e giungono sul luogo in cui si trovava il bambino”, ed ecco qui importante la logica che l’evangelista ci vuole trasmettere. Anzitutto provano una gioia grandissima, mentre Erode e Gerusalemme – cioè l’istituzione religiosa – sono turbati per quello che sanno che dovranno perdere, i maghi, questi pagani, sono entusiasti e pieni di gioia per quello che stanno per dare, hanno capito che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.(..)

Il Bimbo che fa tremare il Re

Nella celebrazione di ieri, dopo la lettura del vangelo, là dove si legge che “Erode cerca il bambino per ucciderlo”, mi sono chiesto ed ho chiesto ai presenti: «Perché mai Erode, armato e potente, dovrebbe aver paura di un Bambino, debole e indifeso?». Il Potere ha sempre paura di un amore che non sia sdolcinata evanescenza. Il potere ha paura dell’amore “archtetto…nico” (direbbe Balducci) e combattivo. Oggi leggo, sull’ultimo numero di Qualevita dellamico pasquale, questo bello e significativo brano di un certo Pietro Verri, filosofo e scrittore milanese del fine Settecento.
«Se vuoi essere tu il padrone, poiché non puoi fare tutto da te medesimo e ti sarà forza servirti dell’opera de’ tuoi ministri, bada bene alla scelta.
Un uomo che abbia principi e che operi di conseguenza non è da sceglier¬si, perché s’opporrà alla tua volontà ogniqualvolta ella sia diversa da’ suoi principi.
Guardati dall’uomo virtuoso, fermo e che abbia l’animo libero; egli cerche¬rebbe di fare l’interesse de’ popoli, […] sacrificherebbe tutto alle sue idee e ti darebbe inciampo ad eseguire la volontà tua e ad agire da vero padrone. La superstizione è necessaria per sempre più contenere il popolo. I ministri del culto sono interessati a coltivarla, perché essa dà loro pane e considera¬zione. Bada a non screditarli, ma bada pure a contenerli.
Quanto meno ha il popolo di religione e quanto ha più di superstizione, tanto più è sicura l’obbedienza. L’uomo religioso ragiona; l’uomo fanatico odia chi ragiona, lo perseguita, lo maledice, lo sradicherebbe dal mondo se potesse. La superstizione tiene il popolo avvilito, è l’anello al naso del buffalo, non lo togliere se vuoi lunga¬mente regnare».
Aldo Antonelli

p. Maggi e p.Pagola commentano il vangelo

 

p. Maggi

II NATALE 

5 gennaio 2014

IL VERBO SI FECE CARNE E VENNE AD ABITARE IN MEZZO A NOI

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

Gv 1,1-18

[ In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è

stato fatto di ciò che esiste.

In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre

non l’hanno vinta. ]

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per

dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.

[ Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo

è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto.

Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto.

A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono

nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da

Dio sono stati generati.

E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la

sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. ]

Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di

me è avanti a me, perché era prima di me».

Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia.

Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù

Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è

lui che lo ha rivelato.

1

Nel prologo al suo vangelo Giovanni riassume e formula tutto il contenuto della sua opera. Quindi sonodiciotto versetti preziosi e molto molto ricchi. Per comprenderli iniziano dall’affermazione clamorosa chel’evangelista mette alla fine del prologo. Scrive l’evangelista:“Dio nessuno lo ha mai visto”. Questa è un’affermazione grave, perentoria, che, tra l’altro, contraddice la stessa Bibbia, perché nella Bibbia si afferma che Mosè ed altri personaggi hanno visto io.Giovanni non è d’accordo,“Dio nessuno lo ha mai visto”. Pertanto le descrizioni che si sono fatte di Dio,anche da parte di Mosè, sono limitate, sono incomplete, a volte devianti, o addirittura false. Quindi Dio nessuno lo ha mai visto.“Il figlio unigenito”, unigenito nel senso dell’unicità di questo figlio, “che è Dio”,che è Dio lui stesso,“ed è nel seno del Padre”, cioè nella piena intimità del Padre, “è lui che lo ha rivelato”.con questa affermazione l’evangelista conclude il prologo invitando quindi a porre tutta l’attenzione sulla figura di Gesù. Cosa vuole dire che Dio nessuno lo ha mai visto e solo il figlio ce lo ha rivelato? Che Gesù non è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù. Se noi diciamo che Gesù è uguale a Dio significa che abbiamo un’immagine, un’idea di Dio. Ebbene l’evangelista ci invita a sospendere questa immagine e a centrare tutta la nostra attenzione su Gesù. Tutto quello che vediamo in Gesù questo è Dio. Quindi non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è uguale a Gesù, e molte immagini e molte idee su Dio, vedendo il comportamento e l’insegnamento di Gesù, inevitabilmente verranno a cadere. Quindi l’evangelista ci invita a porre tutta l’attenzione su Gesù perché in lui si manifesta Dio. E proprio perché in Gesù si manifesta la divinità, e andiamo a ritroso in questa lettura del prologo, c’è stato bisogno di una nuova relazione tra gli uomini e Dio. Mosè, il servo di Dio, aveva imposto una relazione tra i servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza; ebbene Gesù, che non è il servo di Dio, ma il figlio di Dio, propone una nuova relazione tra dei figli e il loro Padre, non basata sull’obbedienza, ma sulla somiglianza e l’accoglienza del suo amore. Ecco perché allora nel versetto che precede l’evangelista ha scritto“Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità”,‘grazia e verità’ è un’espressione che indica l’amore fedele, l’amore vero,“vennero per mezzo di Gesù Cristo”. Quindi una nuova relazione non più basata sulla legge, masull’accoglienza del suo amore. E, sempre andando a ritroso nella lettura di questo prologo, scrive l’evangelista  dalla sua pienezza”,cioè dalla pienezza di questo uomo nel quale si manifesta la condizione divina,“noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Cosa vuol dire l’evangelista? E’ il dinamismo della vita del credente e della omunità cristiana.

All’amore ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato ai fratelli, questo è il dinamismo di crescita dei credenti. Più sarà grande la risposta di questo amore al fratello e più, a sua volta, sarà grande da parte di Dio la risposta del suo amore. Quindi più noi comunichiamo quest’amore ai fratelli e più da Dio riceviamo amore. Questo in un crescendo senza fine.

Questa crescita nell’amore è quello che realizza l’individuo e il credente. E, andando ancora indietro saltando qualche versetto, l’affermazione importante dell’evangelista che“il Verbo’, ‘il Verbo’ significa la parola creatrice, la sapienza creatrice“si fece …”, l’evangelista non scrive che si fece uomo, ma usa il termine carne che indica l’uomo nella sua piena debolezza. Il progetto di Dio non si realizza in un superuomo, difficile da imitare, soltanto da ammirare, ma si realizza nella debolezza umana. Questo vuol dire che Dio si manifesta nell’umanità. Più l’uomo diventa umano più manifesta il divino che è in lui. E questo Verbo che si fece carne, questo progetto di Dio, che si fa carne, è la pienezza dell’amore di Dio che si manifesta in un uomo che diventa l’unico vero santuario dal quale si irradia l’amore del Padre.

E questo Verbo che si è fatto carne, si è fatto uomo nella sua debolezza, scrive l’evangelista,“E’ pieno, di grazia e verità”, cioè completo. La caratteristica che distingue Gesù è l’amore fedele. L’amore quando è vero? Quando è fedele. E questo Verbo che si è fatto carne, che si è fatto uomo, ci rimanda allora all’inizio del prologo, dove l’evangelista scrive,“In principio era il Verbo”.Giovanni prende le distanze dalla teologia del libro del Genesi, dove si affermava che“In principio Dio creò il cielo e la terra”.

No, l’evangelista non è d’accordo, in principio, prima ancora di creare il cielo e la terra, c’era questo Verbo, cioè questa parola creatrice, sapienza creatrice, una parola che ha un progetto e, prima ancora della creazione, questo progetto interpellava Dio.

E qual’era questo progetto? Donare all’uomo la condizione divina. Questo è il progetto di Dio

sull’umanità, quindi possiamo definire il prologo l’inno d’amore di Dio per tutta l’umanità, l’inno

dell’ottimismo di Dio. Dio è talmente innamorato degli uomini che, prima ancora di creare il mondo, aveva il progetto di dare agli uomini la sua stessa condizione, la condizione divina.

E per questo, proprio al centro del prologo, quindi il versetto più importante di tutta questa

composizione, l’evangelista scrive che “Mentre questo progetto venne tra i suoi e i suoi non l’hanno accolto”, questo è un monito sempre presente per tutte le comunità,“A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio”.

Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, accogliendo Gesù come progetto d’amore di Dio per la propria esistenza. Questo fatto di poter diventare figli di Dio a chi accoglie Gesù, significa che Dio non assorbe quindi l’uomo, non lo distoglie o lo distrae dagli altri, è un Dio che potenzia l’uomo, gli comunica la sua stessa capacità d’amore perché con lui e come lui vada verso gli altri.

La novità portata da Gesù è che non si vive più per Dio, ma si vive di Dio. Questo è il prologo di Giovanni, quindi un inno all’ottimismo di Dio sull’umanità e una proposta per ogni uomo di diventare figlio di Dio. Figli di Dio non si nasce, ma si diventa, per una scelta continua e quotidiana dell’amore fedele come quello che il Padre ci comunica.

anche p. Pagola commenta il brano odierno del vangelo:

RECUPERARE LA FRESCHEZZA DELL’EVANGELO

Nel prologo dell’Evangelo di Giovanni si fanno due affermazioni fondamentali che ci obbligano a rivedere in maniera radicale il nostro modo d’intendere e di vivere la fede cristiana, dopo venti secoli di non poche deviazioni, riduzionismi e impostazioni poco fedeli all’Evangelo di Gesù.
La prima affermazione è questa: La Parola di Dio si fece carne. Dio non è rimasto in silenzio, chiuso per sempre nel suo mistero. Ci ha parlato. Ma non… ci si è rivelato per mezzo di concetti e dottrine sublimi. La sua Parola si è incarnata nella vita concreta di Gesù perché la possano intendere e accogliere fino i più semplici.
La seconda affermazione dice così: Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Come teologi parliamo molto di Dio, ma nessuno di noi lo ha visto. Capi religiosi e predicatori parliamo di lui con sicurezza, ma nessuno di noi ha visto il suo volto. Solo Gesù, il Figlio unico del Padre, ci ha raccontato come è Dio, come ci ama e come cerca di costruire un mondo più umano per tutti.
Queste due affermazioni sono lo sfondo del programma rivelatore del Papa Francesco.
Per questo cerca “una Chiesa radicata nell’Evangelo di Gesù, senza complicarci con dottrine o abitudini “non legate direttamente al nucleo dell’Evangelo”.Se non facciamo così, “non sarà l’Evangelo a essere annunciato, ma qualche sottolineatura dottrinale o morale che procede da certe opzioni ideologiche”.
L’atteggiamento del Papa è chiaro. Solo in Gesù ci è stata rivelata la misericordia di Dio. Per questo dobbiamo tornare alla forza trasformatrice del primo annunzio evangelico senza eclissare la Buona Notizia di Gesù e “senza ossessionarci con una moltitudine di dottrine che si cerca d’imporre a forza d’insistenza”.
Il Papa pensa a una Chiesa nella quale l’Evangelo possa recuperare la sua forza di attrazione, senza che sia oscurata da altri modi di intendere e vivere oggi la fede cristiana. Per questo, ci invita a “recuperare la freschezza originale dell’Evangelo” come la cosa più bella, la più grande, la più attraente e, nello stesso tempo, la più necessaria, senza chiudere Gesù “nei nostri noiosi schemi”.
In questi momenti non possiamo permetterci di vivere la fede senza sollecitare nelle nostre comunità cristiane la conversione a Gesù Cristo e al suo Evangelo, alla quale ci chiama il Papa. Egli stesso chiede a tutti noi che “applichiamo con generosità e coraggio i suoi orientamenti senza proibizioni né paure”
José Antonio Pagola.

p.Maggi commenta il vangelo della domenica

 

 

p. Maggi

SANTA FAMIGLIA 

29 dicembre 2013

PRENDI CON TE IL BAMBINO E SUA MADRE E FUGGI IN EGITTO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

 

Mt 2,13-15.19-23

I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli

disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti

avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo».

Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino

alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del

profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».

Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse:

«Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti

quelli che cercavano di uccidere il bambino».

Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a

sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città

chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Saràchiamato Nazareno».

La terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte, dalla quale bisogna scappare.

L’evangelista anticipa, negli episodi dell’infanzia di Gesù, quei tragici avvenimenti che poi si

svilupperanno durante tutta l’esistenza del Cristo. Ma vediamo il testo.

“Essi erano appena partiti”,

sta parlando dei magi, “quando l’angelo del Signore”, ecco tornare questa

formula, cioè Dio. Dio, quando interviene presso gli uomini, non viene mai presentato come realtà

divina, come se stesso, come il Signore, ma sempre con questa formula ‘angelo del Signore’, ma è

sempre il Signore quando entra in contatto con l’umanità.

Questo angelo del Signore interviene tre volte in questo vangelo per annunziare la vita di Gesù a

Giuseppe, per proteggerla, come in questo caso, dalle mire omicide di Erode, e poi per confermarlo al

momento della risurrezione.

“Apparve in sogno”,

il Signore appare in sogno ai profeti, quindi Giuseppe viene in qualche modo

qualificato come un profeta,

“E gli disse: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi inEgitto»”.

Ecco la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù. Il popolo era scappato

dall’Egitto per entrare nella terra promessa, ma adesso deve scappare dalla terra promessa per andare a

trovare rifugio proprio in Egitto.

«E resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per uccide»rl”o.

La notizia è

verosimile. Sappiamo che Erode, il re legittimo, sospettoso di chiunque potesse togliergli in qualche

maniera la corona, non esitò ad eliminare una decina di suoi familiari, addirittura ammazzò tre figli,

l’ultimo appena qualche giorno prima di morire. Quindi la notizia è verosimile.

Ma è la risposta del potere al dono di Dio, come il faraone tentò di uccidere Mosè, così Erode tenta di

uccidere Gesù. E l’evangelista descrive la fuga di Giuseppe come la fuga del popolo ebraico dall’Egitto

nella notte di Pasqua. Infatti

“Egli si alzò nella notte”, come la notte della liberazione, “prese il bambino

e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse quello che era

stato detto dal Signore per mezzo del profeta

«Dall’Egitto ho chiamato mio figlio ”.

Quindi l’evangelista adopera questa profezia di Osea per vedere come l’azione del Signore protegge

sempre il suo popolo quando si trova in situazioni di pericolo.

“Morto Erode …”, ecco di nuovo l’angelo

del Signore che torna di nuovo in azione,

“…. Un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse:

« Alzati, prendi con te il bambino e sua madre» …”,

e ci saremmo aspettati che l’angelo dicesse a

Giuseppe “Torna nella terra di Israele”.

E invece gli dice

«Va nella terra d’Israele»”, e vedremo il perché. «Sono morti infatti quelli checercavano di uccidere il bambino

L’evangelista prende questa ultima espressione dal libro dell’Esodo

dove si legge che

“il Signore disse a Mos«èA: lzati e torna in Egitto: sono morti quelli che attentavano

alla tua vita»”.

Quindi l’evangelista presenta Gesù come il nuovo Mosè, il nuovo liberatore del suo popolo. Ma perché

l’evangelista qui, oltre alla citazione del libro dell’Esodo, dice che sono morti quelli che cercavano di

uccidere il bambino quando in realtà è uno, Erode, quello che cerca di uccidere il bambino? Perché

l’evangelista vuole anticipare quella che sarà l’azione dell’istituzione religiosa contro Gesù. Quindi nei

‘quelli’ vengono compresi i farisei, i sommi sacerdoti, gli anziani, tutta l’élite religiosa che si scatenerà

contro Gesù “Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra di Israele”.

Ecco anche qui di nuovo ci saremmo aspettati ‘tornò nella terra di Israele’, invece l’evangelista scrive che Giuseppe, con il bambino e la moglie, non torna nella terra di Israele, ma entra. Fa l’ingresso come il popolo quando entrò nellaterra promessa. Quindi c’è già l’anticipo di quello che sarà il processo di liberazione, il nuovo esodo che

Gesù compirà.

Ma quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao, al posto di suo padre Erode”. Alla morte

di Erode il regno venne diviso fra i tre figli. Ad Archelao andò la Giudea con la Samaria, e l’Idumea, a

Erode Antipa la Galilea con la Perea, e a Filippo tutto il nord a oriente del lago di Tiberiade. Bene questo

Archelao era sanguinario. Iniziò con un massacro di ben tremila cittadini,

“Ebbe paura di andarvi.

Avvertito poi in sogno”,

ecco di nuovo l’azione del Signore come sempre guida Giuseppe, “si ritirò nellaGalilea”,

la regione più malfamata di Israele, una regione talmente malfamata che non ha nome.

Mentre la Giudea prende il nome da Giuda, uno dei patriarchi delle dodici tribù che hanno composto

Israele, l’espressione Galilea viene dal disprezzo con il quale Isaia, nel capitolo 8 indica la regione dei

pagani. In ebraico Isaia scrive Gelil, che significa ‘distretto, territorio’ dei pagani. Da Gelil viene il nome

Galilea, quindi indica una zona semi-pagana, una zona lontana dal centro religioso.

E non solo,

“E andò ad abitare in una città chiamata Nazaret”, una città malfamata. Sappiamo nel

vangelo di Giovanni, la meraviglia di Natanaele quando gli dicono che Gesù viene da Nazaret, e lui

sorpreso dice “Da Nazaret può uscire qualcosa di buono?“Perché si compisse ciò che era stato detto

per mezzo dei pro feta e l’evangelista non scrive ‘Nazareno’, quindi abitante di Nazaret,

ma scrive ‘Nazoreo’, ed è importante questo termine,

perché in questo termine l’evangelista racchiude tre significati:

– Nezer, che significa virgulto, dalla profezia di Isaia al cap. 11 “Un virgulto spunterà dalle sue

radici, dalla casa di Davide”, Iesse è il padre di Davide

– Nazir, che significa consacrato

– E naturalmente Nazaret, la provenienza di Gesù.

 

il ‘vangelo’ di natale

 

NATALE

 UN DIO DAL VOLTO UMANO

 

Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e “diventerete come Dio” è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli (“Non è forse Dio nell’alto dei cieli?”, Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti (“Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo”, Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.
Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la “follia di Dio” (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore “spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini” (Fil 2,7).
Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.
Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.
Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, “nella profondità dell’abisso” (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).
Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.
Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere (“A quanti l’hanno accolto…”, Gv 1,12). Lui è il “Dio con noi” (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.
In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore

Alberto Maggi

 

NATALE: UN DIO DAL VOLTO UMANO<br /><br /><br />
Di Alberto Maggi </p><br /><br />
<p>Da sempre gli uomini hanno cercato di diventare dèi, di innalzarsi sugli altri uomini, e "diventerete come Dio" è la menzogna dell’antico serpente (Gen 3,5). Gli uomini avevano collocato la divinità nel più alto dei cieli ("Non è forse Dio nell’alto dei cieli?", Gb 22,12), e in ogni tempo il sogno dei potenti è stato quello di elevarsi al di sopra di tutti ("Salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono… mi farò uguale all’Altissimo", Is 14,12.14). Raggiungere il Signore è stata anche la massima aspirazione di ogni persona religiosa: salire, spiritualizzarsi, per fondersi misticamente con il Dio invisibile. I potenti pensavano di raggiungere dio e di essere alla sua pari mediante l’accumulo del potere; le persone religiose attraverso l’accumulo delle preghiere.</p><br /><br />
<p>Con il Natale, invece, Dio diventa uomo, abbassandosi al livello di ogni altra creatura. Solo la "follia di Dio" (1 Cor 1,25) poteva spingere l’Altissimo non solo a diventare un uomo, ma a rimanerlo: il Signore "spogliò se stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini" (Fil 2,7).</p><br /><br />
<p>Con la nascita di Gesù, Dio non è più lo stesso e l’uomo neanche. È cambiato completamente il rapporto tra Dio e gli uomini, e tra questi e il loro Signore.</p><br /><br />
<p>Potenti e religiosi pensavano di raggiungere la condizione divina separandosi dagli altri uomini, i primi per dominarli, i secondi per essere loro fulgido esempio.</p><br /><br />
<p>Più il potente voleva salire e più sprofondava nelle tenebre, "nella profondità dell’abisso" (Is 14,15), perché più si allontanava dagli altri uomini più diventava disumano. Più l’uomo religioso si distaccava dagli altri per incontrare Dio e più questi pareva allontanarsi, diventare irraggiungibile, perché separandosi dagli uomini si separava dal Signore (Lc 18,14).</p><br /><br />
<p>Con il Natale si è capito perché. Non bisogna salire per incontrare il Signore, ma scendere, perché in Gesù Dio si è fatto uomo, profondamente umano e si è messo a servizio degli uomini.</p><br /><br />
<p>Con Gesù Dio non è più da cercare, ma da accogliere ("A quanti l’hanno accolto…", Gv 1,12). Lui è il "Dio con noi" (Mt 1,23), e chiede di essere accolto e con lui, e come lui, andare verso ogni persona per inondarla del suo amore e rendere il mondo più umano.</p><br /><br />
<p>In Gesù Dio si è rivelato attento e sensibile alle sofferenze degli uomini e alle loro necessità. Più si è umani e più si libera il divino che è già in noi. È questa la meravigliosa sorpresa del Natale del Signore.<br /><br /><br />
(Natale 2012)

p. Maggi commenta il vangelo

p. Maggi

 

 

GESU’ NASCERA’ DA MARIA, SPOSA DI GIUSEPPE, DELLA STIRPE DI DAVIDE

 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi

IV DOMENICA AVVENTO

22 dicembre 2013

Mt 1,18-24

 

Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di

Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello

Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva

accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto.

Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un

angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di

prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene

dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti

salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore

per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui

sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”.

Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del

Signore e prese con sé la sua sposa.

Matteo descrive la nascita di Gesù ispirandosi al primo libro della Bibbia, la Genesi, perché

vuole indicare che, in Gesù, c’è una nuova creazione. Il libro della Genesi inizia con queste

parole

 

“In principio Dio creò il cielo e la terra”, e poi scrive l’autore, “lo spirito di Dio aleggiava

sulle acque”.

Ugualmente ora lo spirito creatore ora interviene per la nuova creazione.

Gesù è il vero uomo creato da Dio, l’uomo che ha vita divina, capace di superare la morte.

Vediamo cosa dice Matteo.

 

“Così fu generato Gesù Cristo”. Dopo che per 39 volte il verbo

generare è stato attribuito a un uomo che genera un altro uomo, arrivato a “Giacobbe generò

Giuseppe”, lì la catena della generazione si interrompe.

L’evangelista non scrive “Giuseppe generò Gesù”, ma da Maria viene generato. Quindi tutta

quella tradizione – il padre non trasmetteva soltanto la vita, ma la tradizione e la spiritualità – nel

1

popolo di Israele si interrompe con Giuseppe.

 

“Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria,

essendo …”,

qui traducono con “promessa sposa”, è difficile nella nostra lingua usare un

termine che non c’è per indicare il rito del matrimonio e delle nozze in Israele.

Il matrimonio avviene in due tappe. La prima, quando la ragazza ha dodici anni e il ragazzo

diciotto, avviene lo sposalizio. Da quel momento sono marito e moglie, poi, un anno dopo,

avvengono le nozze e la ragazza entra nella casa dello sposo. Nell’intervallo di questo anno

non è lecito avere rapporti matrimoniali e, in caso di adulterio, è prevista la lapidazione.

Quindi Maria è già sposata. E’ la prima fase del matrimonio.

 

“Prima che andassero a vivere

insieme”,

quindi prima che passassero alle nozze, “si trovò incinta per opera dello Spirito

Santo”.

Il vangelo non è un libro di ginecologia e neanche di biologia, ma è teologia.

L’evangelista vuole dire che in Gesù c’è la nuova creazione. Come lo Spirito aleggiava sulle

acque, così lo Spirito creatore aleggia su Maria e Gesù nasce come esempio e modello della

creazione voluta da Dio.

Quindi per questo Spirito Santo si intende la forza creatrice di Dio.

 

“Giuseppe, suo sposo,

poiché era uomo giusto”,

uomo giusto non ha la nostra connotazione di persona moralmente

integra, giusto è la persona fedele, osservante della legge e di tutte le prescrizioni di Mosè.

Ebbene, il fatto di essere giusto costringeva Giuseppe a denunciare la moglie come adultera, e

farla lapidare.

 

E non voleva accusarla pubblicamente”, quindi Giuseppe entra in crisi tra l’osservanza della

legge e un sentimento, se non d’amore, di misericordia.

 

“Pensò di ripudiarla in segreto”. Il

ripudio era molto semplice a quell’epoca, si poteva ripudiare la moglie anche per una pietanza

bruciata, bastava scrivere su un foglio di carta “tu non sei più mia moglie”, e la donna veniva

cacciata via. Quindi Giuseppe non vuole denunciarla, non vuole far uccidere la propria sposa,

però neanche la può tenere.

Allora pensa di ripudiarla in segreto. Ma basta che il fronte della legge venga leggermente

incrinato dall’amore che lo Spirito entra e interviene. Infatti,

 

“mentre stava considerando queste

cose, ecco, in sogno …”.

Perché in sogno? Nel mondo ebraico – e Matteo scrive per una

comunità di giudei – si evita il contatto diretto tra Dio e gli uomini, allora Dio interviene in sogno.

Nel Libro dei Numeri si legge

 

“Se ci sarà un vostro profeta, io Jahvè in visione a lui mi rivelerò,

in sogno parlerò con lui”.

Quindi il sogno è la maniera che Dio ha per comunicare con gli uomini.

“Gli apparve in sogno un angelo del Signore”.

Angelo del Signore non si intende un angelo

inviato dal Signore, ma quando Dio interviene con gli uomini, viene raffigurato attraverso questo

angelo del Signore, che è Dio stesso.

C’era una distanza tra Dio e gli uomini, c’era una lontananza, e nel mondo ebraico non si

permetteva che Dio si avvicinasse agli uomini. Quando lo faceva si usava questa formula

“angelo de Signore”, ma è Dio stesso. L’angelo del Signore interviene tre volte in questo

vangelo sempre in funzione della vita, perché Dio è il Dio amante della vita. Interviene qui per

annunziare la vita di Gesù a Giuseppe; poi interverrà per difenderla dalle trame assassine del re

2

Erode e infine al momento della risurrezione, per confermare che la vita, quando proviene da

Dio, è capace di superare la morte. E questa è la prima volta.

“E gli disse:

 

«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa»”,

ecco

che infatti sono sposati.

 

«Il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo»”, quindi c’è

questa nuova creazione che si manifesta in Gesù.

 

«Ella darà alla luce …»letteralmente

‘partorirà’

 

«… un figlio e tu lo chiamerai …»”, e qui c’è una novità.

Al bambino si metteva il nome del papà oppure del nonno, in maniera che il nome si

perpetuasse in eterno, una maniera per rimanere vivi per sempre. Quindi la tradizione voleva

che il bambino portasse il nome del padre o del nonno. Ebbene, con Gesù si interrompe la

tradizione, con Gesù inizia un’epoca nuova.

 

«Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo

popolo dai suoi peccati

 

»”.

Non vediamo nessun nesso tra il fatto che si chiami Gesù e il fatto che salvi il suo popolo dai

suoi peccati. In italiano, per rendere l’idea di quello che l’evangelista ci vuole trasmettere,

dovremmo tradurre: “Si chiamerà Salvatore, perché salverà il suo popolo dai peccati”. Infatti in

ebraico Gesù si dice Jeshuà, e il verbo ‘salverà’ si dice joshuà. Quindi c’è una differenza di

vocale.

Si chiamerà Jeshuà perché joshuà, quindi potremmo rendere si chiamerà Salvatore perché

salverà il suo popolo dai suoi peccati. Ma quello a cui l’evangelista vuole arrivare, è la citazione

del cap. 7 versetto 14 del profeta Isaia,

 

“Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio”, il

profeta sta parlando al re Acaz della nascita del figlio Ezechia,

 

«A lui sarà dato il nome di

Emmanuele che significa “Dio con noi”

 

»”.

Ecco questo è il motivo portante, il filo conduttore di tutto il vangelo di Matteo. Questa formula

del “Dio con noi”, che riapparirà a circa metà del vangelo, quando Gesù dirà ai discepoli

 

“Fino a

quando dovrò stare starò con voi”,

oppure quando dirà “Quando due o più sono riuniti nel mio

nome io sono in mezzo a loro”,

e poi sarà l’ultima parola di Gesù.

Le ultime parole di Gesù “Io sono con voi per sempre”, questo è il filo conduttore del vangelo di

Matteo, il Dio con noi, un Dio allora che non è più da cercare, ma da accogliere, e con lui e

come lui andare verso gli uomini. Se Dio si è fatto uomo, l’uomo non deve andare più verso Dio,

ma accoglierlo. Inizia l’epoca in cui non si vive più per Dio, ma si vive di Dio e con Dio si va

verso l’umanità.

E termina il vangelo,

 

“Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato

l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa”.

Quindi è un Vangelo di una grande novità.

Con Gesù Dio si è fatto uomo, questo significa che Dio si è fatto pienamente umano pertanto,

più gli uomini saranno umani, e più scopriranno e manifesteranno la divinità che è in loro.

 

p.Maggi e p.Pagola commentano il vangelo

p. Maggi

 

III DOMENICA AVVENTO – 15 dicembre 2013

SEI TU COLUI CHE DEVE VENIRE O DOBBIAMO ASPETTARE UN ALTRO?

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 

Mt 11,2-11

In quel tempo, Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!».
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via”.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Il vangelo di oggi ci riporta alla profonda crisi nella quale cadde Giovanni Battista. Lui, che pur aveva riconosciuto in Gesù il Messia, ora comincia a dubitarne. Perché? Giovanni Battista era l’erede di una spiritualità, di una tradizione, di una religiosità, che sperava in un popolo di giusti, come aveva profetato il profeta Isaia: il tuo popolo sarà tutto di giusti.
E rimane sconcertato dal comportamento di Gesù che afferma di non essere venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori. Lui aveva presentato un messia che avrebbe castigato peccatori e miscredenti e sente dire che Gesù non annunzia il castigo di Dio, ma l’amore di Dio proprio per queste categorie.
Allora Giovanni è in crisi e gli manda un ultimatum che ha tutto il sapore di una scomunica. “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro?” Gesù nella sua risposta elenca le azioni del messia così come erano descritte nel libro del profeta Isaia, e sono sei azioni, corrispondenti ai sei giorni della creazione, coi quali si comunica vita ai chi vita non ce l’ha.
“I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la Buona Notizia”, ma Gesù censura l’ultima delle azioni del messia, la vendetta contro i pagani, la vendetta contro i dominatori.
Gesù non parla di vendette, ma parla soltanto di amore di Dio. Gesù non presenta il castigo di Dio, ma presenta una via di Dio, quella dell’amore, per far crescere tutte le persone. E c’è un monito di Gesù, che è attuale più che mai, “E beato colui che non trova in me motivo di scandalo!”
Cosa significa questo? Le persone del tempo tremavano naturalmente all’immagine del Dio presentato da Giovanni Battista, un Dio che punisce, un Dio che castiga, un Dio che si offende. Però era il Dio che loro conoscevano, per cui tremavano, ne avevano paura, ma non si scandalizzavano. Al contrario si scandalizzano del Dio di Gesù.
Le stesse persone che non si scandalizzavano sentendo parlare di un Dio terribile nelle sue vendette e nei suoi castighi, sono proprio quelle che si scandalizzano sentendo l’annunzio di Gesù di un Dio che ama tutti quanti indipendentemente dalla loro condotta e dal loro comportamento. Questo alle persone pie, alle persone religiose, di oggi come allora, porta sempre sconcerto. E’ intollerabile, inaccettabile, che Dio il suo amore lo riversi sugli uomini indipendentemente dai loro meriti o dal loro comportamento.
Bene, una volta che i discepoli di Giovanni se ne sono andati, Gesù elogia Giovanni di fronte alle folle. E lo fa con due paragoni importanti. Dice: “Cosa siete andati a vedere nel deserto?” Si tratta di Giovanni. “Una canna sbattuta dal vento?”, cioè un opportunista che si china ad ogni vento di potere, che si mette al servizio di ogni potente.
“Cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi del re”. Allora Gesù sta mettendo in guardia i suoi ascoltatori, Giovanni è l’inviato di Dio, ma gli inviati non possono essere degli opportunisti, sempre a galla con il potente di turno. Gli inviati di Dio non possono essere cortigiani, vivere al palazzo, mangiare alla mensa del potente, ma devono essere coloro che denunciano le nefandezze del potente.
E poi Gesù conclude dicendo che: “Fra i nati di donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel Regno dei cieli è più grande di lui”.
Cosa vuol dire Gesù con questa espressione? Come Mosè non è potuto entrare nella terra promessa pur avendo guidato il popolo, così Giovanni Battista ha annunziato il regno di Dio, ma non c’è potuto entrare perché è stato ucciso. Ecco qui la grandezza di Giovanni Battista, però quelli del Regno saranno ben più grandi di Giovanni, inviato di Dio.

 

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CURARE FERITE

commento di p. Pagola al brano evangelico di Mt 11, 2-11 della odierna domenica:

L’attuazione di Gesù lasciò sconcertato il Battista. Egli aspettava un Messia che avrebbe estirpato dal mondo il peccato imponendo il giudizio rigoroso di Dio, non un Messia affezionato a curare ferite ed alleviare sofferenze.

Dalla prigione di Maqueronte invia un messaggio a Gesù: “Sei tu quello che deve venire o dobbiamo sperare in un’altro?.” Gesù gli risponde con la sua vita di profeta curatore: “Raccontate a Giovanni quello che state vedendo e sentendo: i ciechi vedono e gli zoppi camminano; i lebbrosi guariscono ed i sordi sentono; i morti resuscitano ed ai poveri è annunciato loro la Buona Notizia”. Questo è il vero Messia: quello che viene ad alleviare la sofferenza, curare la vita ed aprire un orizzonte di speranza nei poveri.

Gesù si sente inviato da un Padre misericordioso che vuole per tutti un mondo più degno e felice. Per questo motivo, Lui si dedica a curare ferite, guarire dalle indisposizioni e liberare la vita. E Perciò chiede a tutti: “Siate compassionevoli come lo è vostro Padre.”
Gesù non si sente inviato da un Giudice rigoroso per giudicare i peccatori e condannare il mondo. Per questo motivo, egli non spaventa nessuno con gesti da giustiziere, ma offre ai peccatori e alle prostitute la sua amicizia ed il suo perdono. E quindi chiede a tutti: “Non giudicate e non sarete giudicati.”
Gesù non cura mai in maniera arbitraria o per puro sensazionalismo. Egli è mosso dalla compassione, e cerca di restaurare la vita di quelle genti malate, abbattute e distrutte. Queste persone sono le prime che devono sperimentare che Dio è amico di una vita degna e per questi motivi egli guarisce.
Gesù non insisté mai nel carattere prodigioso delle sue cure né pensò ad esse come ricetta facile per sopprimere quella sofferenza nel mondo. Presentò la sua attività curatrice come testimonianza per dimostrare ai suoi seguaci in che direzione bisogna agire per fare strade a quel progetto umanizzatore del Padre che egli stesso chiamava “regno di Dio.”
Il Papa Francesco afferma che “curare ferite” è un compito urgente: “Vedo con chiarezza che quello che la Chiesa necessita oggi è una capacità di curare ferite e dare calore, vicinanza e prossimità ai cuori…. Questa è in primo luogo la cosa: curare ferite, curare ferite”. Egli poi ci dice di “farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce e consola”. Parla anche di “camminare con le persone nella notte, saper dialogare e perfino discendere nella loro notte e nella loro oscurità senza perdersi.
Confidando la sua missione ai discepoli, Gesù non li immagina come dottori, gerarchi, liturgisti o teologi, bensì come curatori. Il loro compito sarà doppio: annunciare che il regno di Dio è vicino e curare malati.
Per questo motivo tu aiuta a curare ferite.

José Antonio Pagola

p. Maggi commenta il vangelo della prima domenica d’avvento

p. Maggi

 

“VEGLIATE PER ESSERE PRONTI AL SUO ARRIVO”

Commento al Vangelo

di p.Alberto Maggi 

1 dicembre 2013

Mt 24,37-44

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti,
come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano
moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca, e non si
accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la
venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno verrà
portato via e l’altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una verrà portata
via e l’altra lasciata.
Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora della notte
viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. Perciò anche
voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio
dell’uomo».

 

Per cercare di comprendere il brano del vangelo che la liturgia ci presenta in questa prima domenica di Avvento, dobbiamo inserirlo nel contesto, quindi andare indietro di qualche versetto. Allora iniziamo dal versetto 33 del capitolo 24 del vangelo di Matteo.
Scrive l’evangelista: “Così anche voi”, dice Gesù, “quando vedrete tutte queste cose sappiate che egli è vicino alle porte”
Gesù ha annunziato la distruzione di Gerusalemme e, con la distruzione di del tempio di Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa giudaica, inizia il tempo in cui il Regno di Dio cessa di essere appannaggio esclusivo del popolo  di Israele, ma viene esteso a tutta l’umanità. Quindi Gesù non vede come una sventura, ma come l’eliminazione di quello che era un impedimento per il disegno di Dio sopra tutti i popoli.
Dio non può essere accaparrato da qualcuno, da una nazione, da una religione. L’amore di Dio è universale, quindi la fine del Regno di Israele, per Gesù, coincide con l’inizio del Regno di Dio. E Gesù aveva assicurato: “In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto 1
questo accada”, infatti la generazione alla quale Gesù si rivolge assisterà nell’anno 70 all’invasione da parte dei romani e la distruzione del tempio di Gerusalemme. E Gesù assicura: “Il cielo e la terra”, un modo per dire tutto quanto, “passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
Allora Gesù garantisce che quello che aveva detto alla fine del discorso della montagna, assicurando che affinché non passassero il cielo e la terra, non passera dalla legge neppure uno iota, un segno, senza che tutto sia compiuto, e indicava che le promesse riguardanti il Regno di Dio si sarebbero sicuramente compiute.
E, a questo punto, Gesù afferma: “Quanto a quel giorno e a quell’ora”, e qui sta parlando della fine individuale, non dell’ora di Gerusalemme, “nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre”.
Per ogni generazione che passa c’è una fine del tempo, ma questo lo sa soltanto il Padre. E qui Gesù inserisce l’esempio dei tempi di Noè, non per un rimprovero ai contemporanei di Gesù, quando dice: “Come furono i giorni di Noè così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano  moglie e prendevano marito …”, Gesù non sta rimproverando di questi atteggiamenti, ma vuole dire che, tutti presi dalla ordinarietà della vita, non si sono accorti di quello che stava per accadere.
Quindi le azioni della normalità, della routine quotidiana, rischiano di non far accorgere della straordinarietà di quello che sta accadendo. Allora dice Gesù: “Due uomini saranno nel campo: uno sarà …”, il verbo usato qui significa “accogliere”, come quando l’angelo dice a Giuseppe di non temere di accogliere Maria come sua sposa. Quindi uno “sarà accolto”, per dargli salvezza, “e l’altro lasciato”, e così anche le donne.
Cosa vuol dire Gesù? L’arca costruita da Noè non ha accolto tutti, ma solo chi si è accorto del disastro incombente. Ugualmente il Regno di Dio è una proposta di salvezza per tutti, ma non è di tutti perché entrare nel Regno è frutto di una libera scelta a favore della beatitudine della povertà. Gesù aveva detto in questo vangelo: “Beati i poveri per lo Spirito perché di questi è il Regno dei Cieli”.
Quanti la scelgono vengono accolti, e quanti non la scelgono invece vengono lasciati. E Gesù continua dicendo: “Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà”. Questo invito alla vigilanza verrà poi ripetuto tra poco nel momento drammatico del Getsemani. La venuta del Signore viene quindi associata alla vigilanza e indica che questo è il momento della persecuzione, dell’uccisione dei suoi.
Per questo Gesù alle Beatitudini, alla prima beatitudine, quella che permette al realizzazione del Regno di Dio, aveva associato l’ultima beatitudine, la persecuzione che si scatena. Allora Gesù invita a non rimanere impreparati di fronte a questo. E dice: “Questo invece considerate. Se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro veglierebbe e non si lascerebbe perforare la casa. Perciò anche voi state pronti perché nell’ora che non immaginate viene il Figlio dell’uomo”.
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Il seguace di Gesù sa che in quanto costruttore di pace per gli altri, la propria pace è sempre precaria e, in ogni momento si può scatenare improvvisa la persecuzione, che sarà tanto più violenta quanto inaspettata è la sua provenienza. Gesù aveva detto che il fratello consegnerà a morte il fratello, il padre il proprio figlio.
Quindi l’invito di Gesù è un invito a rinnovare la scelta per il Regno di Dio, tenendo presente che questa scelta comporta la persecuzione, ma con l’assicurazione che il Dio di Gesù, il Padre, sta sempre a fianco dei perseguitati e mai di chi perseguita.

p. Maggi e p. Pagola commentano il vangelo della domenica

 

rosellina

 

domenica 24 novembre  2013  XXXIV TEMPO ORDINARIO 

propongo due riflessioni-commento del vangelo , la prima di p. Maggi e la seconda di p. Pagola:

Lc 23,35-43

In quel tempo, [dopo che ebbero crocifisso Gesù,] il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto».                                             Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei».
Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male».
E disse: «Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno». Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso».

SIGNORE RICORDATI DI ME QUANDO ENTRERAI NEL TUO REGNO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 

Non esistono situazioni impossibili, casi irrimediabili. Anche per quelle vicende umane che sembrano le più disperate c’è più che una speranza, c’è la certezza dell’amore di quel Dio che, come scrive Paolo nella lettera ai Romani, ha rinchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti.
Dal paradiso, secondo il Libro della Genesi, era stato cacciato via l’uomo peccatore, quindi l’immagine di un Dio che punisce, che castiga i peccatori. Ebbene nel vangelo di Luca la prima persona che entrerà in paradiso con Gesù sarà proprio un’anonima canaglia, un bandito, e, dal quel momento, le porte del paradiso, cioè della salvezza, resteranno aperte per tutti quelli che riconoscono Gesù come re, cioè come colui che si prende cura di loro, qualunque sia il loro passato, anche per quelli dell’ultimo minuto.
Perché? Gesù, come ha affermato lui stesso, è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. E questo l’evangelista Luca lo dimostra dall’inizio alla fine del suo vangelo. All’inizio, 1
quando i pastori che erano considerati peccatori, che temevano la punizione e il castigo di Dio, vengono circondati non dall’ira di Dio che li incenerisce, ma dalla gloria di Dio, dalla luce di Dio, e sentono il coro angelico annunziare: “Pace in terra agli uomini che egli ama”, l’amore di Dio è per tutta l’umanità. Fino alle ultime pagine del vangelo dove Gesù assicura a un bandito crocifisso con lui che sarebbe entrato in paradiso senza chiedergli di fare un minimo di penitenza, senza chiedere se era pentito, senza dirgli di soggiornare per un po’ in purgatorio, Gesù gli dice: “Oggi sarai con me in paradiso”.
La chiesa primitiva si trovò a disagio con questi episodi di questo amore incondizionato perché contrastava con il suo rigore. Allora si è provveduto in parte ad annacquarlo. Pertanto l’annunzio angelico ai pastori “Pace in terra agli uomini che egli ama”, quindi un amore incondizionato a tutti, venne trasformato. “E pace in terra agli uomini di buona volontà”. La categoria del dono espressa dall’evangelista era subito stata trasformata nella categoria del merito, quel merito che Gesù è venuto a eliminare.
La buona notizia è questa: Gesù presenta un Padre che è benevolo verso gli ingrati e i malvagi, il cui amore si da non per i meriti degli uomini, ma per i loro bisogni, non per le loro virtù, ma per le loro necessità, ma questo era intollerabile per la chiesa primitiva, pertanto l’espressione “E pace in terra agli uomini che egli ama” venne trasformata in “pace in terra agli uomini di buona volontà”, quelli che lo meritano.
E anche l’episodio finale, cioè che Gesù abbia assicurato a questo delinquente un posto in paradiso, non andava giù. Allora si è cercato di annacquare un po’ questa immagine per cui venne creata la figura del buon ladrone, ma nulla in questo brano parla della bontà di questa canaglia. Venne inventato, creato un nome, Disma, creato santo, San Disma, e trovato perfino il giorno in cui celebrarlo, il 25 marzo, festa di San Disma, protettore dei ladri – almeno si spera pentiti – dei moribondi e dei becchini.
Ma vediamo questa pagina stupenda di Luca dove l’evangelista non descrive il fallimento di Gesù, quest’uomo inchiodato su una croce, ma il trionfo dell’amore. Gesù ha tutti contro. Ha contro il popolo, ha contro i capi, ha contro i soldati e ha contro anche uno dei malfattori crocifissi con lui. E quello che accomuna tutti questi personaggi è il rinnovo delle tentazioni del diavolo nel deserto.
Il diavolo nel deserto aveva detto a Gesù: “Se tu sei il Figlio di Dio, usa le tue capacità a tuo vantaggio”. Gesù aveva seccamente rifiutato, e il diavolo aveva detto che sarebbe ritornato al momento opportuno, al momento propizio. Eccolo. Gesù è debole, crocifisso, e ha tutti contro. Ha contro il popolo, ha contro i capi, che addirittura lo deridono, ha contro i soldati che lo disprezzano, ha contro anche uno dei malfattori e tutti quanti dicono: “Salva te stesso”.
Non hanno compreso che Gesù non è venuto a salvare se stesso, ma a salvare gli altri. In tutto questo la persona considerata la più lontana da Dio, un peccatore, un bandito, un delinquente, crocifisso con lui, si rivolge a Gesù– con una fede indubbiamente spudorata – “Gesù ricordati di me quando entrerai nel tuo regno”.
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Quindi la persona che è ritenuta la più lontana da Dio, esclusa da Dio, la persona che doveva essere punita, castigata da Dio, vede in Gesù una speranza anche per lui. Ma non osa più di tanto, chiede soltanto di essere ricordato. Ma Gesù va al di là delle aspettative, dei desideri e delle speranze degli uomini e concede molto di più. E Gesù gli risponde: “In verità io ti dico: ‘oggi con me sarai in paradiso’”
Gesù non ricorda questo delinquente quando sarà nel suo regno, ma gli garantisce che nello stesso giorno sarà con lui in paradiso. E’ l’unica volta che in bocca a Gesù si trova questo termine “paradiso”. Quando deve parlare della vita eterna usa altri termini; l’unica volta è per contrastare la teologia espressa nel Libro del Genesi dove Dio castiga l’uomo peccatore e lo caccia dal paradiso. Con Gesù avviene tutto il contrario: il peccatore proprio entra con lui in paradiso.
Perché? Perché la teologia di Luca, l’espressione della buona notizia di Gesù: Dio non guarda i meriti delle persone, ma guarda i loro bisogni, non le loro virtù, ma le loro necessità. Gesù è venuto a cercare e salvare chi era perduto. Pertanto non esistono casi impossibili, casi disperati, ma la salvezza è per tutti quelli che riconoscono Gesù come il loro liberatore e come il loro re.

margheritissime

 

 

RICORDATI DI ME

commento al vangelo di p. Pagola
Secondo il racconto di Luca, Gesù è agonizzante in mezzo agli scherzi e ai disprezzi di quelli che lo circondano. Nessuno sembra aver compreso la sua vita. Nessuno sembra aver captato il suo sacrificio e la sua sofferenza, né il suo perdono verso i colpevoli. Nessuno ha visto   nel suo volto lo sguardo compassionevole di Dio. Nessuno sembra ora intuire in quella morte alcun m…istero.   Le autorità religiose si prendono gioco di lui con gesti spregevoli: ha preteso di salvare gli altri; che salvi ora se stesso. Se è il Messia di Dio, il suo “Eletto”, verrà Dio in sua difesa.   Anche i soldati si aggiungono allo scherno. Essi non credono in nessun Inviato di Dio. Ridono dell’insegna che Pilato ha fatto collocare sulla croce: “Questo è il re degli ebrei”. È assurdo che qualcuno possa regnare senza potere. Che dimostri la sua forza salvando sé stesso.   Gesù rimane silenzioso, ma non scende dalla croce. Che cosa faremmo noi se l’Inviato di Dio cercasse la sua propria salvezza scappando da quella croce che lo unisce per sempre a tutti i crocifissi della storia? Come potremmo credere in un Dio che ci abbandona per sempre lasciandoci alla mercé della nostra fortuna?   All’improvviso, in mezzo a tanti scherzi e a tanti disprezzi, si sente una sorprendente invocazione: “Gesù, ricordati di me quando arriverai nel  tuo regno”. non è un discepolo né un seguace di Gesù. È uno dei due delinquenti crocifissi insieme a lui. Luca lo propone come un esempio ammirabile di fede nel Crocifisso. Quest’uomo, sul punto di morire giustiziato, sa che Gesù è un uomo innocente che ha fatto solamente del bene a tutti. Intuisce nella sua vita un mistero che gli è sfuggito, ma è convinto che Gesù non è sconfitto dalla morte. Dal suo cuore nasce una supplica. Solo chiede a Gesù che non lo dimentichi: ma il Messia qualcosa potrà fare per lui. Gesù gli risponde immediatamente: “Oggi sarai con me nel paradiso”. Ora i due sono uniti nell’angoscia e nell’impotenza, ma Gesù lo accoglie come compagno inseparabile. Morranno crocifissi, ma entreranno insieme nel mistero di Dio.   In mezzo alla società miscredente dei nostri giorni, non pochi vivono sconcertati. Non sanno se credono o non credono. Quasi senza saperlo, portano nel loro cuore una fede piccola e fragile. A volte, senza sapere perché né come, spossati per il peso della vita, invocano Gesù alla loro maniera. “Gesù, ricordati di me” e Gesù li ascolta: “Tu sarai sempre con me”. Dio ha le sue strade per ritrovarsi con ogni persona e queste strade non sempre passano per dove indicano i teologi. La cosa importante è   avere un cuore che ascolta la propria coscienza. “Gesù, ricordati di me”.
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