don Angelo Casati commenta il vangelo di domani

la parola della domenicaAnno liturgico C omelia di don Angelo nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario mare fiore

Am 6,1.4-7  Sal 14 1 Tm 6,11-16  Lc 16,19-31

Tra le due parabole, quella della scorsa domenica -la parabola dell’amministratore astuto e questa del ricco e del povero Lazzaro-, c’è una notazione di Luca che fa quasi da cerniera: “I farisei” -è scritto- “che erano attaccati al denaro, ascoltava- no tutte queste cose e si burlavano di lui. Egli disse: “voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.

Noi, ma forse no, non ci beffiamo di Gesù, non arriviamo al punto di deriderlo. Però è proprio così vero che noi non esaltiamo ricchi e potenti? Non è forse vero che sono loro a fare notizia, loro ad avere giullari e cortigiani, loro circondati di deferenza, quasi una sacra deferenza? Loro hanno un nome. Condanniamo i farisei che si facevano beffa di Gesù. Però nei nostri criteri, quelli correnti che riguardano la vita di tutti i giorni, diciamo sì “beati i poveri”, però il culto lo diamo ai ricchi. I ricchi che dispongono già di una corte: anche il ricco del vangelo. Il povero – Lazzaro – non ha nessuno, solo come un cane e vegliato dai cani. I ricchi hanno un nome, i poveri no. Che è proprio il contrario di quello che vuole Dio. Per Lui il nome l’hanno i poveri. Non per nulla nella parabola il ricco che ha tutto -è nella casa, veste di porpora, ha amici con cui banchetta- ha tutto. Non ha un nome, per Dio non ha nome. Al contrario ha un nome quel povero che non ha niente, non ha casa, non ha soldi, non ha salute, non ha amici. Eppure ha un nome: Lazzaro, dall’antico El’azar) che significa “Dio ha aiutato”. Ha un nome per Dio. E per me? -mi chiedo-, chi ha un nome per me? Sono i poveri o i ricchi ad avere un nome per me?

Perché -vedete- anche se non siamo ricchi ci può essere -è sottile- questa seduzione della ricchezza. Ma approfondiamo il discorso. Perché è condannato il ricco della parabola-? Non perché sia un violento o un oppressore. Non è detto. Non perché sia contro Dio, non perché sia contro il prossimo. Non è detto. Potremmo dire che viene condannato non per le sue azioni, ma per le sue omissioni. E già questo è motivo di riflessione; perché noi siamo facili ripararci dietro l’alibi: non ha fatto nulla di male. D’accordo. Ma poi come sta in quanto a omissioni? Il ricco è condannato perché non “pensa”: la sua è una vita da spensierati.

E sta scritto nel rotolo di Amos: “guai agli spensierati di Sion, a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria”. Guai agli spensierati: è da condannare ma del “non pensare” o del pensare solo a se stessi. Il ricco è condannato perché “non vede”. E anche questo è tremendo e ci riguarda. Tremendo e sconcertante, perché, fosse stato lontano Lazzaro, e invece è alla sua porta e non lo vede. Così come è vicina la Parola di Dio -hanno Mosè e i profeti: l’hanno e non la vedono. Sono in cerca di apparizioni. Ma se non ascoltano Mosè e i profeti, le apparizioni sono semplicemente prurito religioso e non convertono il cuore. Secondo Gesù! E non è forse vero che quando un altro Lazzaro tornò da morte, correvano tutti a vederlo, ma mica si convertirono. Era uno spettacolo! Dicevo: Lazzaro il povero è vicino e non lo vede. La Parola è vicina e non l’ascolta.

Ecco, qui sta il pericolo del “vivere da ricchi”. Il pericolo sta qui. E ci riguarda. I segni sono vicini, ma non li vedi. Le voci ci sono ma non le senti. Non sono dunque le voci che mancano, è la libertà. La libertà soffocata o dalla magia del possedere o dal vuoto della spensieratezza. Questo il dramma: una società di spensierati o di uomini e donne che si preoccupano solo di sé può convivere con -all’uscio!- realtà drammatiche senza avvedersene? Sono vicini. Ma c’è un abisso. L’abisso dell’al di là. “Tra noi e voi è stabilito un grande abisso” dice Abramo. L’abisso dell’al di là è semplicemente la prosecuzione dell’abisso di quaggiù.

Situazioni da tragedia, ma non ne siamo sfiorati, siamo troppo pieni di noi stessi, troppo occupati dai nostri giochi: viviamo da ricchi. Il Signore ci liberi dal troppo pieno. Ricordavo la storiellina zen, del professore universitario che andò un giorno a far visita al maestro zen e questi gli versò del the in una tazza. E quando fu colma, continuò a versare. E il professore universitario vedendo il the trasbordare non si contenne e disse. “E’ ricolmo, non ce ne entra più”. “Come questa tazza” -disse Nanin- “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo zen, se prima non vuoti la tua tazza?” Come possiamo vedere il povero vicino o ascoltare la Parola vicina -ci dice il Vangelo- se siamo pieni di noi stessi?

p. Maggi commenta il vangelo di domani

 

p. Maggi

XXVI TEMPO ORDINARIO – 29 settembre 2013

NELLA VITA, TU HAI RICEVUTO I TUOI BENI, E LAZZARO I SUOI MALI; MA ORA LUI E’ CONSOLATO, TU INVECE SEI IN MEZZO AI TORMENTI – Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi
Lc 16,19-31
In quel tempo, Gesù disse ai farisei:  «C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Per la terza e ultima volta appare nel vangelo di Luca l’espressione “uomo ricco”. Questa espressione è sempre negativa. E’ già apparsa una prima volta come l’uomo stolto, sciocco, ricco, ingordo, demolisce i granai per costruirne degli altri e il Signore gli dice “oh stupido! Questa notte muori e tutto quello che hai lasciato, per chi sarà?”
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Abbiamo visto la volta precedente la stessa espressione nell’uomo ricco che loda il fattore disonesto e Gesù denuncia il fatto che la ricchezza è sempre disonesta. I disonesti sono talmente perversi nel loro sistema di ricchezza e di valori, che ammirano i disonesti. E questa è la terza volta, è la parabola conosciuta da tutti come quella del ricco e del povero Lazzaro.
E’ il capitolo 16, versetti 19 e segg. di Luca.  L’evangelista dice “«C’era un uomo ricco»”, e con un’abile pennellata ne da un ritratto, “«indossava vestiti di porpora e di lino finissimo»”. Oggi potremmo dire che vestiva firmato da capo a piedi; la povertà interiore ha bisogno di esprimersi nel lusso esteriore.
“«E ogni giorno si dava a lauti banchetti»”, quindi una fame insaziabile; è la fame interiore che crede di sopire ingurgitando dei cibi. L’unica descrizione che Luca da del ricco è questa, non si dice che – come a volte si pensa – questo ricco sia  malvagio, cattivo, nulla di tutto questo. E’ un uomo ricco e, secondo la tradizione biblica ebraica, era benedetto da Dio perché Dio premiava i buoni con la ricchezza e li malediva con la povertà.
“«Un povero, di nome Lazzaro»”, l’unica volta che un personaggio delle parabole ha un nome, e questo nome significa ‘Dio aiuta’,  “«stava alla sua porta, coperto di piaghe»”. Le piaghe erano considerate un castigo inviato da Dio, secondo il libro del Deuteronomio, cap. 28. Quindi è un uomo che è colpevole della sua miseria e delle sue piaghe.
“«Bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani»”, cioè gli animali più impuri, gli esseri considerati più impuri, “«che venivano a leccare le sue piaghe»”. Quindi è impuro chi vive fra gli impuri. Ebbene, a sorpresa, dice Gesù “«Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli».
L’uomo che sulla terra aveva come unica compagnia gli esseri più impuri, i cani, viene portato dagli angeli, cioè gli esseri più puri, quelli più vicini a Dio.  “«Accanto ad Abramo», per comprendere bene questa parabola di Gesù, notiamo che è rivolta ai farisei che si beffavano di Gesù che aveva detto che non è possibile servire Dio e il denaro, e, proprio perché rivolta ai farisei, Gesù parla con le categorie farisaiche del premio e del castigo da ricevere nell’aldilà.
E lo fa secondo un libro conosciutissimo a quell’epoca, il libro di Enoch, dove il regno dei morti veniva considerato un grande baratro, dove il punto più luminoso era il seno di Abramo, il punto più oscuro era dove andavano a finire i malvagi.
“«Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi», il termine ‘inferi’ traduce il termine greco ‘ade’ che significa ‘regno dei morti’, “«tra i tormenti, alzò gli occhi»”, e finalmente si accorge di Lazzaro. Il ricco di questa parabola non viene condannato per essere stato malvagio nei confronti del povero, per averlo maltrattato, ma semplicemente non si è accorto della sua esistenza.
Solo adesso, quando è nel bisogno, finalmente se ne accorge. Ma i ricchi non cambiano, i ricchi sono animati da una perversione che non è possibile sradicare dalla loro esistenza. E infatti non chiede, ancora comanda, “«’Padre Abramo, mostrami pietà’»”, mostrami misericordia, e ordina, “«’Manda Lazzaro’»”, lui, il ricco pensa che tutto gli sia dovuto. Lui si serve delle persone, non ha mai servito. 2
E Abramo gli risponde, sempre secondo la teologia farisaica, con il fatto del premio e del castigo “«’Tu hai ricevuto i tuoi beni e Lazzaro i suoi mali’»”. E quindi, come in terra vivevano su due mondi differenti dove non si incontravano – ripeto il ricco ha ignorato l’esistenza del povero – adesso sono su due mondi completamente distanti.
Ma ecco l’egoismo del ricco, l’egoismo che non si può sradicare, che arriva fino in fondo. Dice, “«Allora padre, ti prego di mandare Lazzaro’»”, lui di Lazzaro di serve, “«’a casa di mio padre perché ho cinque fratelli’»”. Gli interessa soltanto la sua famiglia, non dice “mandalo al popolo, alla gente, mandalo ad annunciare cosa succede se accumulano denari, se non pensano agli altri”.
No, il ricco è incurabilmente egoista, pensa soltanto a sé stesso e che tutto gli sia dovuto. Allora manda ai suoi fratelli, alla sua famiglia, degli altri non gli interessa.
Ed ecco la risposta di Abramo, “«Hanno Mosè e i Profeti’»”, cioè quelli che hanno legiferato a favore dei poveri, Mosè ha detto “la parola del Signore è che nessuno sia bisognoso”, i profeti hanno tanto tuonato contro i ricchi,   “«’Ascoltino loro’»”.
E la replica del ricco: “«No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno’»”. Ed ecco la sentenza importante e drammatica di Gesù, “«Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè’»”, la parabola è rivolta ai farisei, quelli che si fanno scudo della legge di Mosè, della dottrina, soltanto per coprire i propri interessi.
Queste persone tanto pie, tanto devote, i zelanti custodi della tradizione e della fede, quando non conviene, sono i primi ad ignorare la legge di cui sono difensori. “«’Se non ascoltano Mosè e i Profeti non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti’»”.
Perché Gesù afferma questo? Perché quanti sono stati incapaci di condividere il pane con l’affamato, non riusciranno mai a credere nel Gesù risorto, che è riconoscibile soltanto – come scriverà Luca nell’episodio di Emmaus – nello spezzare del pane. Quindi è un monito molto severo contro il cancro della ricchezza.
Una persona che viene affetta da questa malattia è incurabile e non si guarisce neanche nell’aldilà.

p. Maggi commenta il vangelo di domani 22sett. 2013

p. Maggi

XXV TEMPO ORDINARIO – 22 settembre 2013
NON POTETE SERVIRE DIO E LA RICCHEZZA 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi 
Lc 16,1-13
In quel tempo, Gesù diceva ai discepoli: «Un uomo ricco aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: “Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare”.
L’amministratore disse tra sé: “Che cosa farò, ora che il mio padrone mi toglie l’amministrazione? Zappare, non ne ho la forza; mendicare, mi vergogno. So io che cosa farò perché, quando sarò stato allontanato dall’amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua”.
Chiamò uno per uno i debitori del suo padrone e disse al primo: “Tu quanto devi al mio padrone?”. Quello rispose: “Cento barili d’olio”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta, siediti subito e scrivi cinquanta”. Poi disse a un altro: “Tu quanto devi?”. Rispose: “Cento misure di grano”. Gli disse: “Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta”.
Il padrone lodò quell’amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce. Ebbene, io vi dico: fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne.
Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; e chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti. Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta, chi vi affiderà quella vera? E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
Nessun servitore può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza».
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Il brano di Luca che adesso stiamo per esaminare, i primi tredici versetti del capitolo 16, sono molto difficili, non sono di facile comprensione. Il significato, l’insegnamento che l’evangelista vuol dare, è molto chiaro: il denaro è uno strumento per gli altri, per farsi degli amici.
Ma, invece di usarlo per farsi degli amici, c’è chi si fa amico del denaro e poi ne diventa servo. Quindi anziché servirsene lo si serve. Questo è il significato, è chiaro.
Il brano è complesso anche perché è solo Luca l’evangelista che ha questa parabola di Gesù. Vediamola. “Diceva anche ai discepoli”, quindi Gesù si rivolge ai suoi discepoli, “«Un uomo ricco»”, questa è una prima chiave di lettura da tenere presente. Tre volte appare nel Vangelo di Luca l’espressione ‘uomo ricco’ ed è sempre in senso negativo.
La prima volta è stato al capitolo 12, versetto 16, quando un uomo ricco è quello ingordo che guadagna, demolisce i granai, ne vuole costruire di nuovi, e il Signore gli dice “Oh stupido, stanotte stessa morirai e tutto quello che hai accumulato, per chi sarà?”
L’altra è nel seguito di questo brano, sempre al capitolo 16 di Luca al versetto 19, l’uomo ricco è quello della parabola del povero Lazzaro, cioè un uomo anche questo egoista che non viene condannato perché maltratta l’altro, semplicemente non se n’è accorto. Il ricco vive ad un livello tale che il povero non entra nella sua visuale.
Quindi tre volte c’è il termine ‘uomo ricco’ ed è sempre con significato negativo, e così lo dobbiamo prendere. Quest’uomo ricco aveva un amministratore che fu accusato di sperperare i suoi averi, lo chiama e gli chiede di rendere conto dell’amministrazione e lo licenzia. Dice “«Non potrai più amministrare»”.
Cosa fa questo amministratore? Lui si mette di fronte alle possibilità: una è un’impossibilità fisica, andare a zappare non ne ha la forza; l’altra è un’impossibilità morale, andare a mendicare e si vergogna, dice “«Cosa farò?»”
Allora questo amministratore, che è stato disonesto, fa il furbo perché, quando sarà cacciato da questa casa, qualcuno lo accolga poi in casa sua, cioè pensa di farsi amici i debitori del padrone. Quindi chiama i debitori e dice: “«Tu quanto devi al mio padrone?» Quello rispose: «Cento barili d’olio». Gli disse: «Prendi la tua ricevuta e scrivi cinquanta»”.
Qui non si capisce bene quale sia l’atteggiamento di questo amministratore. Rinuncia al suo compenso, alla sua percentuale? Non è possibile, perché su cento barili d’olio che la commissione dell’amministratore fosse di cinquanta, è eccessivo. E quindi non si capisce. Comunque lui riduce il debito, quindi fa un favore ai debitori.
Continua ancora nella sua disonestà. E la parola “disonestà, disonesto” è la parola chiave che ci fa comprendere questo brano. Perché? Perché “Il padrone lodò quell’amministratore disonesto”. Ma come si fa a lodare una persona disonesta?
Perché il ricco, e il ricco nel vangelo di Luca viene sempre visto in chiave negativa, o il disonesto, ragionano in base ai loro criteri. Il ricco ammira il ricco; il disonesto – questa è 2
l’importanza del brano, della denuncia che fa Gesù – ha ammirazione per i disonesti, anche se poi ci rimette, come qui di fatto questo padrone.
Quindi la perversione totale della ricchezza che altera i criteri e i valori nel guardare la società, le persone. Quindi chi è disonesto ammira e sostiene i disonesti anche se poi ci deve rimettere. Ebbene, Gesù prende tutto questo dicendo che “«I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce»”.
Cosa vuol dire Gesù? Gesù loda la capacità di reagire di fronte a un’emergenza. Di fronte all’emergenza quest’uomo è stato in grado di reagire. Ma ecco il significato profondo di questo brano, “«Ebbene io vi dico: ‘Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta … ‘»”, il termine ‘ricchezza’ è mammona, da un termine aramaico mamon, che significa ‘quello che è sicuro, quello che è certo’. E cos’è che è sicuro, che è certo?
Il possesso, il denaro, il profitto, la ricchezza. Le cose nelle quali le persone mettono la loro sicurezza. Allora Gesù chiama questa ricchezza ‘disonesta’, non c’è ricchezza accanto all’onestà, la denuncia che fa Gesù è molto grave. “«’Perché quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne’»”.
Quindi “fatevi amici con questo denaro”. Il denaro serve indubbiamente per star bene, ma soprattutto per far star bene. Chi usa il denaro solo per far star bene se stesso si distrugge. E torna di nuovo questo termine ‘disonesto’. Dice Gesù: “«Chi è fedele in cose di poco conto, è fedele anche in cose importanti; re chi è disonesto in cose di poco conto, è disonesto anche in cose importanti.»”
E continua ancora, e per la quarta volta si ritorna su questo termine ‘disonesto’. “«Se dunque non siete stati fedeli nella ricchezza disonesta …»”, Gesù è chiaro, la ricchezza è disonesta , “«chi vi affiderà quella vera?»”
Ed ecco il finale, la sentenza, il monito molto severo di Gesù, che bisogna prendere con molta serietà, “«Nessun servitore può servire due …»”, il termine è ‘signori’, va bene tradotto ‘padroni’, ma il termine greco è kyrios, cioè signore.
“«Perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro.»” Ed ecco la sentenza di Gesù: “«Non potete servire Dio e mammona», cioè la ricchezza. La nostra sicurezza o la mettiamo in Dio – e mettere la sicurezza in Dio significa impegnarsi a condividere quello che siamo e quello che abbiamo con chi non ha, sapendo che la nostra ricchezza è Dio … Questo è lo stesso Gesù che ha detto “Non vi preoccupate per la vostra vita, cercate il regno e tutto il resto vi sarà dato in più”.
Quindi dobbiamo scegliere: o ci fidiamo di Dio e mettiamo la nostra ricchezza, la nostra sicurezza in lui, oppure ci affidiamo a mammona.
Ma Gesù dice che è incompatibile servire Dio e servire mammona. Che illuso Gesù! Ma quanto s’è illuso! E infatti cosa succede? Alle sue spalle sghignazzano quelli che da sempre sono riusciti a servire Dio e mammona, a riverire Dio e a fare i propri interessi.
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Infatti chi sono? Il brano continua, anche se non qui nella versione liturgica. Chi sono? “I farisei”, le persone super-pie, i primi della classe, i devoti, “che erano attaccati alle cose e si beffavano di lui”.
Quindi povero Gesù si è illuso che non si possa servire Dio e mammona; i farisei, le persone pie, religiose, è una vita che ci riescono.
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p. Pagola commenta tl vangelo

bel crocifisso

IL GESTO PIÙ SCANDALOSO

commento di p. Pagola al vangelo di domani 15.9.2013, 24° domenica del tempo ordinario

Lc 15, 1-32

Il gesto più provocante e scandaloso di Gesù fu, indubbiamente, il suo modo di accogliere con speciale simpatia peccatrici e peccatori, esclusi dai capi religiosi e marcati socialmente per la loro condotta ai margini della Legge. Quello che più irritava era la sua abitudine di mangiare amichevolmente con loro.

Di solito dimentichiamo che Gesù ha creato una situazione sorprendente nella società del suo tempo. I peccatori non fuggono da lui. Al contrario, si sentono attratti dalla sua persona e dal suo messaggio. Luca ci dice che i peccatori e i pubblicani erano soliti avvicinarsi a Gesù per ascoltarlo. Sembra che trovino in lui un’accoglienza e una comprensione che non trovano da nessun’altra parte.

Nel frattempo, i settori farisei e i dottori della Legge, gli uomini di maggior prestigio morale e religioso davanti al popolo, sanno solo criticare scandalizzati il comportamento di Gesù: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro. Come può un uomo di Dio mangiare alla stessa mensa con quella gente peccatrice e spregevole?

Gesù non ha mai fatto caso alle loro critiche. Sapeva che Dio non è il Giudice severo e rigoroso di cui parlavano con tanta sicurezza quei maestri che occupavano i primi posti nella sinagoga. Egli conosce bene il cuore del Padre. Dio capisce i peccatori; offre il suo perdono a tutti, non esclude nessuno; perdona tutto. Nessuno deve oscurare e sfigurare il suo perdono insondabile e gratuito.

Per questo Gesù offre loro la sua comprensione e la sua amicizia. Quelle prostitute e quegli esattori devono sentirsi accolti da Dio. È la prima cosa. Non devono temere nulla. Possono sedersi alla sua mensa, possono bere vino e cantare cantici insieme a Gesù. La sua accoglienza li va guarendo dal di dentro. Li libera dalla vergogna e dall’umiliazione. Ridona loro la gioia di vivere.

Gesù li accoglie così come sono, senza esigere da loro previamente nulla. Li va contagiando della sua pace e della sua fiducia in Dio, senza essere sicuro che risponderanno cambiando la loro condotta di vita. Lo fa confidando totalmente nella misericordia di Dio che li sta già aspettando con le braccia aperte, come un padre buono che corre incontro al suo figlio perduto.

Il primo compito di una Chiesa fedele a Gesù non è condannare i peccatori, ma comprenderli e accoglierli amichevolmente. A Roma ho potuto costatare qualche mese fa che ogni volta che Papa Francesco insisteva che Dio perdona sempre, perdona tutto, perdona tutti…, la gente applaudiva con entusiasmo. Certamente è quello che tanta gente di fede piccola e vacillante ha bisogno di ascoltare oggi con chiarezza dalla Chiesa.

José Antonio Pagola

p. Maggi commenta il vangelo

 

 

XXIV DOMENICA DEL  TEMPO ORDINARIO

15 settembre 2013

croce

CI SARA’ GIOIA IN CIELO PER UN SOLO PECCATORE CHE SI CONVERTE Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 15,1-32
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.

 Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi.
Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

“Siate santi perché io sono santo”. E’ questo l’imperativo che cadenza i libri dell’Antico Testamento. Ebbene, quest’invito alla santità mai risuona, stranamente, nelle parole di Gesù. Mai Gesù invita gli uomini alla santità. Perché?
La santità intesa come osservanza di regole, di leggi, di precetti, che, se messi in pratica poi allontanano dal resto della gente, non fa parte del panorama dell’invito di Gesù. Gesù sostituisce “siate santi” col “siate compassionevoli”. Mentre la santità separa dal resto delle persone, la compassione è ciò che avvicina.
Le persone, attraverso la santità, attraverso l’accumulo di preghiere, di devozioni, pensano di salire per poter raggiungere il Signore. E, d’altro canto il Signore è sceso proprio per incontrare gli uomini, allora le persone pie, le persone religiose, salgono per incontrare il Signore, e non lo incontrano mai perché il Signore è sceso per incontrare gli uomini.
Da qui è l’incompatibilità, e poi l’ostilità, tra il mondo della religione, delle persone religiose, e Gesù. E’ quello che ci insegna questo bellissimo brano, il capitolo 15 del vangelo di Luca di questa domenica. Scrive l’evangelista, “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo”. Gesù ha appena posto le tre radicali condizioni per seguirlo, essere liberi dagli affetti, dai vincoli familiari, libertà dalla propria reputazione, prendere la croce, liberi dal possesso dei beni. 2
Quindi sono condizioni abbastanza severe, dure, e aveva concluso il suo insegnamento con le parole “chi ha orecchie per ascoltare ascolti”. Quelli che hanno orecchie per ascoltare si sentono attratti da questo messaggio anche se molto impegnativo, molto severo, sono i rifiuti della società: i pubblicani, gli esattori del dazio, che erano considerati irrimediabilmente impuri, e i peccatori. Peccatori in generale si intende tutti quelli che non vogliono o non possono osservare tutti i comandi della legge.
Ebbene, bisognerebbe rallegrarsi che finalmente questa gente che si è sentita sempre emarginata, esclusa e che vive indubbiamente nell’inganno e vive nel peccato, accorra a Gesù. No! Le persone religiose di questo non si rallegrano. Lo zelo della loro dottrina, lo zelo che mettono nella difesa della legge è come una trave conficcata nel loro occhio che impedisce di scorgere quell’unico sguardo possibile, quello dell’amore, della compassione.
Infatti ecco la reazione, “I farisei”, pii laici che mettevano in pratica tutti i precetti della legge, “e gli scribi”, zelanti custodi dell’ortodossia, “mormoravano” – non sono d’accordo, mormorano – “«Costui …»” Queste persone pie, è una costante dei vangeli, si rivolgono a Gesù sempre con un’espressione carica di astio e di disprezzo, mai lo nominano, evitano sempre di nominare Gesù. Costui, questo. “«… Accoglie i peccatori e mangia con loro»”.
Sono due crimini intollerabili. I peccatori non vanno accolti, ma vanno evitati, non vanno accolti ma bisogna minacciarli. E Gesù, non soltanto li accoglie, mangia con loro. Mangiare con una persona che è impura significa che la sua impurità si trasmette agli altri. Le persone religiose non hanno capito che con Gesù è finita l’epoca in cui i peccatori devono purificarsi per accogliere il Signore, ma è iniziata quella in cui l’accoglienza del Signore è quello che purifica. Ma non lo capiscono.
Ebbene, a loro – quindi non è rivolta al gruppo di discepoli – Gesù dice una parabola che è articolata in tre parti, la prima è quella del pastore che perde una pecora sui monti e lascia le novantanove in cerca della pecora perduta e, dice l’evangelista “Quando l’ha trovata, pieno di gioia”, e la gioia sarà la caratteristica di tutto questo brano, sarà ripetuto il termine “gioia” e l’espressione “rallegrarsi”.
Quello che farisei e scribi non hanno mai capito è che Dio, anziché preoccuparsi di essere obbedito e rispettato, è preoccupato per la felicità degli esseri umani. E’ questo che il Signore ha a cuore. Quindi, “pieno di gioia, se la carica sulle spalle”. La pecora perduta è immagine di un peccatore che se ne è andato. Ebbene, quando il pastore la trova, non la minaccia, non la prende a calci nel sedere, ma se la mette sulle spalle, cioè le comunica la sua forza a colei che forza non ha.
E poi chiama tutti gli amici per rallegrarsi. Ugualmente per la parabola della moneta perduta, anche questa accomunata dalla stessa espressione dell’invito alla gioia. E infine, la terza, la più articolata, dove si parla di quel figlio scellerato che torna dal padre non perché gli mancasse il padre, ma gli mancava il pane; non per il rimorso, ma per il morso della fame.
Ebbene torna e non trova un giudice, ma trova quasi una figura materna, piena d’amore. E il padre, nella sequela di azioni che l’evangelista elenca, il vestito, l’anello e i sandali, vuole
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restituire al figlio un’autorità più grande di quella che aveva avuto prima, una dignità come mai aveva conosciuto, e una grande libertà.
Perché questo è Dio, Dio comunica amore e lo comunica in una maniera assoluta. Il Dio di Gesù non è buono, ma è esclusivamente buono.
Ebbene, qual è la reazione a tutto questo? Gesù ce lo dice nel finale di questa parabola dove presenta il figlio più grande che si trovava nel campo. Torna a casa, sente gioia nella casa del lutto, avrebbe dovuto precipitarsi, ma no, nella casa del padre c’è soltanto serietà e mestizia, lui non capisce cosa sia la gioia, la felicità.
E non vuole entrare, manda un servo a chiedere. E il servo gli dice che è tornato il fratello. Mentre il padre, espressione dell’amore di Dio, si rallegra, questo fratello maggiore, immagine di scribi e farisei, si indigna. Ecco, come si diceva prima, è lo zelo per la dottrina che acceca le persone e impedisce loro di guardare a situazioni e avvenimenti con l’unico occhio con cui è possibile guardare, quello della carità.
Gesù ridicolizza l’atteggiamento di questo figlio e ne fa una caricatura di come la religione possa rendere infantili le persone. Ed ecco come piagnucola questo figlio maggiore, “«Io ti servo da tanti anni, non ho mai disobbedito a un tuo comando e non mi hai dato mai un capretto»”.
E’ l’immagine della persone che serve Dio, non ha la relazione del figlio con il padre, ma quella di un servo. E per questo obbedisce a suo padre e non gli assomiglia nel comportamento. Il Dio di Gesù non chiede obbedienza, ma chiede assomiglianza al suo amore.
E per questo si aspetta la ricompensa, lui non collabora all’azione del padre. Quindi è una caricatura molto feroce che Gesù fa delle persone religiose che rimangono sempre in una condizione di infantilismo e per questo spiano e sono gelosi della libertà che il Signore concede a quanti lo accolgono.
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p. Maggi commenta il vangelo

croce
Commento al vangelo della XXIIIa domenica del tempo ordinario di p. Alberto Maggi
Lc 14,25-33: “CHI NON RINUNCIA A TUTTI I SUOI AVERI NON PUO’ ESSERE MIO DISCEPOLO”

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Nel vangelo di questa domenica Luca presenta le tre radicali condizioni che Gesù ha posto a quanti lo vogliono seguire.
Il contesto qual è? Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che, per un malinteso senso del messia, lo segue pensando poi di andare a spartirsi il potere e il bottino. Pensano che Gesù sia il glorioso messia, il figlio di Davide, che va a restaurare il defunto regno di Israele, e non hanno compreso che Gesù è il figlio di Dio, quello che non va a togliere il potere, ma a donare la propria vita a Gerusalemme.
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E scrive l’evangelista, vangelo di Luca, cap 14 versetti 25-33, che “una folla numerosa”, molta folla, “andava con lui”. Allora Gesù, sentendo questo equivoco, questa gente che lo segue per un malinteso senso, per l’interesse, “si voltò e disse loro …”, ed è la prima radicale condizione, “«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita…»”, in greco adopera il termine ‘psyché’ che significa ‘se stesso’, “«non può essere mio discepolo».
Gesù in precedenza denunciando, al pranzo con il fariseo, i legami di interesse che legavano questa cricca, questa setta, e i legami dettati dall’amicizia, dalla parentela, dagli interessi, ebbene, nel gruppo di Gesù tutto questo deve essere sciolto.
Talmente sciolto che l’adesione a Gesù deve andare al di là dei vincoli familiari, e, in particolare, c’è l’immagine della moglie perché nella parabola che Gesù in precedenza ha comunicato ai suoi, uno degli ostacoli che uno presenta per andare a questo banchetto del regno è “ho preso moglie perciò non posso venire”.
Quindi la prima condizione radicale è che l’adesione a lui deve andare al di sopra dei vincoli familiari, tutto il contrario di quello della cricca, della setta dei farisei, dove tutto si faceva per l’interesse del gruppo.
La seconda condizione radicale è l’accettazione del disprezzo della società e quindi la grande solitudine. Infatti, afferma Gesù, “«Colui che non porta la propria croce»”, letteralmente “chi non solleva la propria croce”, “«E non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»”.
E’ la seconda volta che appare il tema della croce, tema che, ricordo, non riguarda mai la sofferenza, i momenti tristi che la vita inevitabilmente fa incontrare, mai la croce nei vangeli ha questo significato, ma sollevare la croce significa accettare il disprezzo della società perché quelli che venivano condannati a questa infamia erano considerati la feccia della società.
E, in particolare, Gesù si rifà al momento preciso in cui il condannato doveva lui sollevare l’asse orizzontale della croce. Da quel momento doveva andare verso il luogo dell’esecuzione circondato da ali di folla per le quali era un dovere religioso insultare e malmenare il condannato.
Quindi la seconda condizione radicale è accettare la solitudine e il disprezzo da parte della società. Poi Gesù, con due esempi che riguardano la torre e la guerra, chiede di calcolare le proprie forze però, ed è questo l’importante, non vuole scoraggiare chi non ha forza, ma di mettere la propria forza nell’azione dello Spirito.
Quindi sapere i propri limiti e proprio per questo contare su quella che è la potenza per eccellenza di Gesù, la forza dello Spirito.
E lo shock, la sorpresa finale, a quanti lo seguono per spartirsi il bottino dichiara: “«Così chiunque di voi»”, e qui a chi si attendeva chissà quale consiglio spirituale, chissà quale norma ascetica, Gesù pone come condizione per essere discepolo, la terza, “«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»”. La rinuncia a tutto quello che si possiede, non mettere la sicurezza in quello che si ha, ma mettere la propria sicurezza in quello
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che si da, perché Gesù vuole al suo seguito soltanto persone libere. Infatti le tre condizioni per la sequela sono tutte scelte di libertà e per la libertà.
In particolare questo fatto della rinuncia agli averi si rifà a quanto Gesù aveva detto in precedenza nella parabole, dove tra i pretesti per non partecipare a questo banchetto c’era quello che ha detto “ho comprato un campo” e l’altro “ho comprato cinque paia di buoi.
Quindi il possesso degli averi di quello che si ha è un impedimento. Bene, allora sono tre condizioni radicali, tutte quante all’insegna della libertà; soltanto chi è pienamente libero può seguire il Signore. Gli altri? Gli altri tutti a casa.

i primi posti e gli ultimi posti

 

 

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un bel commento di don Luciano Cantini al vangelo di domani domenica 22° del tempo ordinario: la ricerca dei primi posti ,,,

 

Sceglievano i primi posti
Siamo assillati dalla fatica di arrivare, di conquistare un posto nella società e dei suoi simboli… probabilmente non è questione di oggi se Gesù a un banchetto ha notato certi cercatori di posti di prestigio. Allora, come oggi, la competizione aveva i suoi fautori e le sue vittime. È anche vero che il progresso di persone e di popoli trova nella competizione un motore efficace. È altrettanto vero che la competizione ha finito per ossessionarci, sia sul piano personale, sociale che internazionale. Così il nostro giudizio su persone e popoli è condizionato da questo criterio ed apprezziamo chi ha avuto la capacità di mettersi in mostra indipendentemente dai valori vissuti; anzi certe furberie o stratagemmi non del tutto onesti vengono valutati con ammirazione se hanno raggiunto lo scopo. In altre parole chi prevale ha ragione. Il cercare o scegliere i primi posti ha in sé una perversità più o meno palese.

L’ideologia del prevalere purtroppo miete le sue vittime, sono gli scartati della società: i disoccupati, gli inoccupati, i precari, gli esodati, gli emigrati, i disadattati… l’elenco è terribilmente lungo. Se guardiamo con attenzione è la nostra società occidentale – quella che si identifica con la cultura cristiana – che ha prodotto tanta emarginazione. La nostra è una società, nel suo complesso, che cerca il primo posto, fatta di tanti che arrancando alla ricerca di un posto più elevato hanno creato lobby e centri di poteri, piccoli o grandi, leciti o illeciti.

Va’ a metterti all’ultimo posto
Gesù ci offre una ricetta alquanto semplice da comprendere e tanto difficile da praticare se non rompendo gli schemi sociali che ci costruiscono.
Il primo ingrediente è mettersi agli ultimi posti, alla periferia della umanità. È un punto di vista privilegiato, come quello dei cagnolini ai piedi del tavolo (Mt 15,27), o di Gesù al di sotto del Sicomoro (Lc 19,5), o ai piedi dei discepoli (Gv 13,5), ed ancora di più quello della croce (Fil 2,8). Scegliere l’ultimo posto fa parte della dinamica della incarnazione, il mistero stesso di Cristo che non si è limitato a regalarci parabole e parole. Tutta la sua esperienza terrena è stata scegliere l’ultimo posto, ed ha lottato per farlo anche quando volevano farlo re (Gv 6,15) o travisavano la sua realtà di messia (Mc 8,33). Scegliere l’ultimo posto è entrare nella dinamica di incarnazione del Signore: la vera imitazione di Cristo sta proprio nell’accettare questo mistero di annichilimento e andare controcorrente nella società di oggi, sia civile che ecclesiale.

Invita poveri, storpi, zoppi, ciechi
Secondo ingrediente della ricetta che Gesù ci offre è invitare i poveri alla nostra tavola.
Questo ingrediente è un po’ sibillino; a prima vista invitare a tavola gli ultimi sembra quasi mettersi in condizione di ridare dignità alle persone che l’hanno persa. Una azione umanitaria se non filantropica. Gesù stesso ci invita a dare da mangiare a chi ha fame e vestire chi è nudo (Mt 25,35), c’è un servizio di carità da offrire ai poveri, un impegno di solidarietà e di comunione. Su questo la Chiesa è stata maestra al mondo intero. In questo impegno di carità c’è però un sottile sentimento di reciprocità, un contraccambio tra il dono e la gratitudine, tra ciò che è stato fatto e la soddisfazione di averlo fatto. C’è nascosto sottilmente la realtà di rimanere al primo posto per offrire, aiutare, donare, elargire…
La ricetta che il Signore ci dice nella parabola ha una prospettiva diversa: sedersi a tavola insieme nella totale gratuità. Mettersi allo stesso livello perché i poveri, coloro che in qualche modo sono gli emarginati (non sempre privi di cose) hanno qualcosa da dirci, ci offrono un punto di vista del mondo (e del vangelo) totalmente nuovo. Gesù è andato a casa di Zaccheo (Lc 19,7), si è fermato a mangiare con Matteo (Mt 9,10).
Scegliere gli ultimi, proprio perché esclusi, significa imparare a non escludere, a non lasciarsi abbagliare dalle apparenze o dai titoli onorifici, per stare al passo di tutti. Questo non significa che non dobbiamo impegnarci ad alleviare, consolare e se possibile risolvere i problemi della povertà e della esclusione, ma prendere coscienza che nella Storia della Salvezza e nel Vangelo i poveri (gli Hawim) sono i depositari della verità e del rapporto autentico con Dio; più che una dimensione sociale sono una categoria teologica, sono una Verità proprio perché priva di orpelli e sovrastrutture. Coloro che vivono alla periferia, se non ai margini di una società autoreferenziale possono insegnarci tolleranza, solidarietà, giustizia sociale, corresponsabilità. Possono aiutarci a comprendere la sobrietà, l’essenzialità, la capacità di accontentarsi, forse anche la forza di affrontare i sacrifici necessari, con un nuovo gusto di vivere.
Con gli ultimi è possibile recuperare il senso autentico della realtà per ripartire con entusiasmo e ritrovare la gioia (il banchetto) della vita.

il vangelo della domenica: il commento di p. Maggi

girasolo
CHIUNQUE SI ESALTA SARA’ UMILIATO, E CHI SI UMILIA SARA’ ESALTATO

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi : Lc 14,1.7-14
 del 1° settembre, domenica 22° del tempo ordinario:

Avvenne che un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo.
Diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti: «Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più degno di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: “Cèdigli il posto!”. Allora dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto. Invece, quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: “Amico, vieni più avanti!”. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato».
Disse poi a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini, perché a loro volta non ti invitino anch’essi e tu abbia il contraccambio. Al contrario, quando offri un banchetto, invita poveri, storpi, zoppi, ciechi; e sarai beato perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla risurrezione dei giusti».

Non è consigliabile invitare a pranzo Gesù, almeno per i farisei. Ogni volta che hanno provato a farlo, Gesù gli ha mandato a rotoli il pranzo. Qui è il capitolo 14 che è iniziato con l’invito di uno dei capi dei farisei a Gesù per pranzare con lui e con gli altri, c’è stato l’incidente dell’ammalato dell’idropico, quando Gesù aveva chiesto se era lecito o no curare di sabato, ed essi non hanno risposto.
E Gesù continua attaccando la loro ambizione e “diceva agli invitati una parabola, notando come sceglievano i primi posti”. Non è la prima volta che Gesù rimprovera i farisei di scegliere i
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primi posti. Queste persone tanto pie, tanto devote, sono divorate dall’ambizione, dal desiderio di primeggiare, e, citando un esempio molto conosciuto che troviamo anche nel libro dei Proverbi, è praticamente quasi preso alla lettera dal libro dei Proverbi, al capitolo 25 si legge, “Non darti arie davanti al re e non metterti al posto dei grandi, perché è meglio sentirsi dire ‘Sali quassù’’, piuttosto che essere umiliato davanti a uno più importante”.
Quindi Gesù, citando questo esempio già conosciuto, praticamente quasi con le stesse parole, consiglia: “«Quando sei invitato va a metterti all’ultimo posto»”, ma attenzione, non per umiltà, non per modestia, ma per amore, per far sì che l’altro possa avvantaggiarsi. I primi posti nelle mense erano quelli dove si era serviti prima e meglio, allora scegliere l’ultimo posto non è per un senso malsano di umiltà o di chissà altro, ma è per amore, per favorire l’altro.
“«Perché quando viene colui che ti ha invitato ti dica: ‘Amico, vieni più avanti’. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali»”. Ed ecco la sentenza di Gesù, “«Perché chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato»”.
Ma, ripeto, questo non per un senso di modestia; sempre per un senso d’amore. Scegli sempre il bene dell’altro, allora, quando scegli sempre il bene dell’altro il Signore, che vede, penserà lui al tuo bene. Quindi Gesù inverte la scala dei valori della società dove tutto viene fatto con interesse e invita a scegliere la sua via, che è quella del dono.
E poi “Disse a colui che l’aveva invitato: «Quando offri un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli né i tuoi parenti né i ricchi vicini»”. Qui ci sono quattro aspetti che riguardano i rapporti di amicizia, parentela, di interesse, potremmo dire, una cricca che è legata dall’interesse, dai propri affari. Quindi sono legami di amicizia, di parentela, di interesse, sono legami che sostengono una società che si auto-protegge, a scapito degli altri.
Quindi non invitare per difendere i tuoi beni e il tuo benessere, “«Perché a loro volta non ti invitino. Al contrario quando offri un banchetto, invita gli esclusi»”. Qui Gesù elenca quelli che erano gli esclusi che non potevano entrare al tempio ed erano esclusi dal sacerdozio: i poveri, gli storpi, zoppi e ciechi. “«E sarai beato»”.
Ecco disseminate nel vangelo troviamo tante beatitudini, cioè l’invito alla pienezza della felicità. La felicità non consiste nel fare le cose per interesse, ma fare le cose per amore, nel donare.
Sarai beato perché? “«Perché non hanno da ricambiarti. Riceverai infatti la tua ricompensa alla …»”, attenzione questo non è un messaggio per i credenti, Gesù parla per i farisei nella maniera in cui loro possono comprendere, “«risurrezione dei giusti»”, perché i farisei credevano che i giusti sarebbero risuscitati, invece gli altri no.
Cosa ci vuol dire Gesù? Non fare le cose per interesse, ma fai le cose per generosità, tu occupati del bene degli altri e permetterai poi a Dio di occuparsi del tuo bene e lo farà in abbondanza.
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p. Maggi commenta il vangelo di domani, 21 dom. t. o.

 

 

giglio rosso

XXI TEMPO ORDINARIO – 25 agosto 2013
VERRANNO DA ORIENTE E OCCIDENTE E SIEDERANNO A MENSA NEL REGNO DI DIO 

Commento al Vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 13,22-30
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme.
Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

Gesù sovverte la dottrina comune secondo la quale Israele si salva e i pagani no e annunzia un cambiamento dei valori. Vediamo nel capitolo 13 del vangelo di Luca dal versetto 22 al 30, l’insegnamento di Gesù.
“Gesù passava insegnando per città e villaggi”, Gesù insegna la novità della buona notizia del regno di Dio, “mentre era in cammino per Gerusalemme”. Gesù ha ormai l’intenzione di andare
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verso Gerusalemme per scontrarsi con i detentori del potere, coloro che avevano manipolato a proprio uso e consumo l’immagine di Dio, deturpandola.
“Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?»” . La salvezza era considerata un privilegio di Israele, del popolo eletto, a scapito dei pagani. Allora questo individuo chiede “quanti sono quelli che si salvano?”
Ma Gesù non risponde su quanti sono quelli che si salvano, ma su chi sono quelli che si salvano. “Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno»”.
Qui l’evangelista non presenta un Gesù che propone un modello di ascetica, di rinunzia, di chissà quali sacrifici. Se molti non riusciranno ad entrare per questa porta che è stretta, non è perché sia difficile passarvi, a costo di chissà quali rinunzie, di chissà quali mortificazioni o sacrifici, ma perché la porta sarà chiusa.
Le scelte sbagliate compiute nel corso dell’esistenza impediranno l’accesso a questa pienezza di vita. E’ questo che l’evangelista ci vuol dire. Quindi non è difficile passarci, ma individuare questa porta stretta e se molti non riusciranno a entrarvi è perché sarà chiusa.
Infatti, dice Gesù, “«Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: ‘Signore, aprici!’»”
Quindi conoscono il Signore, conoscono Gesù, e Gesù risponderà “«Non so di dove siete»”, cioè “non vi conosco”. Allora questi cominceranno a rivendicare un rapporto esclusivo che hanno avuto con Gesù, “«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza»”, allusione all’Eucaristia, “«Tu hai insegnato nelle nostre piazze»”, l’accoglienza del suo messaggio, ma rivendicano un rapporto esclusivo con Gesù con tutte azioni rivolte verso il Signore e nessuna verso i fratelli.
Ecco perché Gesù gli risponde: “Ma egli vi dichiarerà: «Non so di dove siete»”, cioè “non vi conosco”. Gesù conosce quelli che mettono la propria vita a disposizione del bene degli altri, a servizio degli altri. Non gli interessa quello che viene fatto per lui, ma quello che con lui e come lui viene fatto per gli altri.
Ecco perché, citando un salmo, il salmo 6, versetto 8, “Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia”. Quindi coloro che, pur avendo mangiato e bevuto insieme a Gesù, quindi un’allusione all’Eucaristia, coloro che ne hanno ascoltato l’insegnamento non lo hanno poi tradotto in atteggiamento di vita per gli altri, il Signore non li conosce.
Non basta mangiare Gesù, che è pane, occorre farsi pane per gli altri.
E dice Gesù, “«Là ci sarà pianto e stridore di denti»”, espressione tipica che indicava il fallimento, la constatazione del fallimento della propria esistenza, “«quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori»”.
Loro che pensavano di avere il privilegio di essere il popolo eletto e di essere per questo ammessi nel regno di Dio, proprio per il loro atteggiamento ne saranno cacciati fuori.” Ma non 2
solo! Mentre gli eletti sono cacciati fuori, quelli che erano gli esclusi diventano gli eletti. Infatti, conclude Gesù, “«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno»”, cioè da tutto il mondo pagano, “«e siederanno a mensa nel regno di Dio.»”
Quindi Gesù sovverte la dottrina comune secondo la quale Israele si salvava e i pagani no, e il regno di Dio è aperto a tutti coloro che mettono la propria vita a servizio del bene degli altri. Quindi Gesù non distingue pagani o altre categorie, ma il suo invito alla buona notizia è per tutti.
E poi la conclusione, “«Ed ecco, vi sono gli ultimi»”, cioè quelli che erano esclusi, “«che saranno i primi, e vi sono primi»”, quelli che erano gli eletti, “«che saranno ultimi»”.
E poi l’evangelista continuerà “In quel momento gli si avvicinarono i farisei”, ecco, i primi che diventano ultimi si avvicinano a Gesù.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

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