un venerdì santo accanto a tutti i perseguitati

«ti preghiamo per i cristiani perseguitati»

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nella sua predica davanti al Papa, in San Pietro durante la celebrazione della Passione del Signore, padre Raniero Cantalamessa ha ricordato i cristiani perseguitati in tante parti del mondo. Coloro che sono capaci anche di affrontare la morte pur di segure Gesù

Nei loro confronti “rischiamo di essere tutti, istituzioni e persone del mondo occidentale, dei Pilati che si lavano le mani – ha detto il predicatore pontificio -. I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti”. E ha ricordato anche i 147 studenti cristiani uccisi dagli jihadisti ieri in Kenya.

“Un vescovo del III secolo, Dionigi di Alessandria, ci ha lasciato la testimonianza di una Pasqua celebrata dai cristiani durante la feroce persecuzione dell’imperatore romano Decio: ‘Ci esiliarono e, soli fra tutti, fummo perseguitati e messi a morte. Ma anche allora abbiamo celebrato la Pasqua. Ogni luogo dove si pativa divenne per noi un posto per celebrare la festa: fosse un campo, un deserto, una nave, una locanda, una prigione. I martiri perfetti celebrarono la più splendida delle feste pasquali, essendo ammessi al festino celeste’. Sarà così per molti cristiani anche la Pasqua di questo anno, il 2015 dopo Cristo”.

“A noi, però – ha proseguito il cappuccino – in questo giorno non è consentito fare alcuna denuncia. Tradiremmo il mistero che stiamo celebrando. Gesú morì gridando: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. I veri martiri di Cristo non muoiono con i pugni chiusi, ma con le mani giunte. Ne abbiamo avuto tanti esempi recenti. È Lui che ai 21 cristiani copti uccisi dall’Isis in Libia il 22 Febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi, mormorando il nome di Gesú”.

“E anche noi – ha detto Cantalamessa – preghiamo: Signore Gesù Cristo, ti preghiamo per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti gli Ecce homo che ci sono, in questo momento, sulla faccia della terra, cristiani e non cristiani. Maria, sotto la croce tu ti sei unita al Figlio e hai mormorato dietro di lui: ‘Padre, perdona loro!’: aiutaci a vincere il male con il bene, non solo sullo scenario grande del mondo, ma anche nella vita quotidiana, dentro le stesse mura di casa nostra. Tu, che, “soffrendo col Figlio tuo morente sulla croce, hai cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità”[8], ispira agli uomini e alle donne del nostro tempo pensieri di pace, di misericordia. E di perdono. Così sia”.




il commento al vangelo di pasqua

 

 EGLI DOVEVA RISUSCITARE DAI MORTI

commento al Vangelo di Pasqua (5 aprile 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

Gv 20,1-9

 

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Se Maria di Magdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Scrive Giovanni nel capitolo  20: “Il primo giorno della settimana”, letteralmente  “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Magdala si recò al sepolcro”. Perché  Maria di Magdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso  il primo giorno dopo il sabato?
Perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge, il riposo del sabato.  E quindi l’osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
L’evangelista, attraverso questa indicazione, vuole  segnalare ai suoi lettori che l’osservanza della legge ritarda l’esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù. L’espressione  “il primo giorno della settimana richiama infatti il primo giorno della  creazione, in Gesù c’è la nuova creazione, quella che veramente  è creata da Dio e come tale non conosce la morte, non conosce la fine.
 
Ma la comunità, rappresentata da Maria di Magdala,  ancora è condizionata dall’osservanza della legge,. Questo ritarda l’esperienza  della risurrezione. “Si reca al sepolcro di mattino quando era ancora buio”. Le tenebre  sono  immagine dell’incomprensione della comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità.
“E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Ebbene la prima reazione di Maria di Magdala è correre da Simon Pietro e dall’altro discepolo.
Gesù aveva detto: “Viene l’ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo”. Ebbene  l’evangelista attribuisce a questa donna , Maria di Magdala, il ruolo del pastore che raduna  le pecore che si erano disperse.
E annuncia loro: “«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto»”. Non parla di un corpo, ma parla del Signore, quindi c’è già l’allusione che è vivo questo Gesù. Ebbene cosa fanno Pietro e l’altro discepolo? “Si recano al sepolcro”.L’unico posto dove non dovevano andare. Nel vangelo  di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini  che frenano le donne che vanno al sepolcro, “Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?”
Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove lui non c’è, cioè nel luogo della morte. Come Maria , per l’osservanza del sabato ha ritardato l’esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte – lui è il vivente – così i discepoli  vanno al sepolcro, l’unico posto dove non si può trovare Gesù.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.  Entrambi i discepoli corrono, giunge prima il discepolo amato , quello che ha l’esperienza dell’amore di Gesù. Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore  che Gesù ha espresso nel servizio,  arriva più tardi.
Ma l’altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo  ad entrare. Perché? E’ importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l’esperienza  della vita.
E poi entra anche l’altro discepolo. “Vide e credete”. Ma il monito fondamentale dell’evangelista , “non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere  alla  risurrezione di Gesù solo vedendo i segni  della sua vittoria sulla morte. No!
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso  a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti. Come? Lo dice l’evangelista. “Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. L’accoglienza della scrittura, la parola del Signore,  nel discepolo, la radicalizzazione  di questo messaggio nella sua vita, la sua trasformazione, permettono al discepolo  di avere una vita di una qualità tale  che gli fa poi sperimentare il risorto nella sua  esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto  se lo si incontra vivo e vivificante  nella propria vita.

 

 

 




la violenza della religione in nome di Dio

UCCIDERE IN NOME DI DIO

conferenza di  Alberto Maggi in Ronzano (Bologna) il 15 febbraio 2015

p. Maggi

Metto subito le mani avanti. È un tema antipatico quello che tratto oggi, almeno nella prima parte.
Nel prepararlo sentivo in me una sofferenza nell’analizzare i testi e non vedevo l’ora di arrivare alla parte positiva che è quella di Gesù.
Vi chiedo quindi un po’ di pazienza, nella prima parte che è una parte che dà fastidio. Dà fastidio sentire queste cose ma nella seconda parte finalmente arriveremo a Gesù e ci sarà la soluzione a quello che vedremo.
Dovremmo purtroppo ammettere, toccare con mano, che certe verità “ci fanno fatica”.
Il tema è “Uccidere in nome di Dio”. Avete sentito un mese fa la strage di Parigi e ieri di nuovo a Copenaghen. Quindi è un tema attuale. Sembra impossibile mettere insieme “l’uccisione” con “Dio”, perché Dio – almeno nella nostra religione – è il Creatore, è colui che Ama la vita. Come si può mettere accanto a Lui il verbo uccidere? Eppure Gesù nel vangelo di Giovanni al cap. 16 dice questa affermazione drammatica: “Verrà l’ora in cui chiunque (qualsiasi persona) vi ucciderà, crederà di rendere conto a Dio” Questa è l’affermazione drammatica di Gesù che purtroppo è ancora attuale!
Ci sono persone che pensano che uccidendo un altro si rende onore a Dio. È l’unica volta in cui, secondo i vangeli, Gesù pronuncia questa parola “conto” ed è per associarla al termine “omicidio”. Se chi ammazza pensa di rendere conto a Dio significa che a presentare l’uccisione per rendere culto al Signore non sono criminali ma persone devote; non sono delinquenti ma sono persone profondamente religiose; quindi capite che il tema è molto molto serio. Non si tratta di banditi ma persone zelanti, molto devote che pensano che soltanto la morte possa cancellare l’offesa rivolta al loro Dio.
Chi opprime, chi uccide per motivi legati alla religione si sente investito da un mandato divino e per questo non pensa alle conseguenze del suo gesto. Quindi quello che agli occhi della gente non è altro che un criminale, per chi lo compie è obbedienza alla volontà divina.
Un poeta spagnolo Antonio Gala anni fa scriveva: “Mai si ammazza con tanto gusto come quando si ammazza in nome di Dio” Quindi persone ligie, persone ossequienti, umili dame della religione, persone scrupolose, zelanti per tutto quello che riguarda le regole, le devozioni possono poi all’improvviso diventare dure, spietate per perseguitare quanti, secondo loro, non vivono completamente il loro credo e per (?) convivere, sui peccatori, sugli eretici, gli infedeli, gli apostati (cioè i traditori), ogni forma di violenza diventa lecita.
Andiamo allora a vedere da dove parte tutto questo: “l’uccisione in nome di Dio” e … purtroppo … il libro dove troviamo la radice della giustificazione dell’eliminazione fisica di una persona per rendere conto a Dio è proprio il libro sacro per eccellenza per noi credenti cioè la Bibbia!!!
Infatti l’omicidio cultuale per la difesa e per l’onore di Dio fa la sua comparsa nella bibbia con la frase fratricida compiuta per ordine di Mosè (..?..) con l’episodio conosciuto del vitello d’oro.
Vedete, sono brani – almeno per me – che provocano insofferenza e può darsi anche in voi; ma vedrete, nella seconda parte cercheremo la soluzione nella figura di Gesù.
Nel capitolo 32 del libro dell’Esodo al versetto 26 si legge: “Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: Chi sta con il Signore venga da me” – quindi c’è da fare una scelta – “Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi e disse loro: Dice il signore, Dio di Israele” –. Naturalmente Mosè non parla con la sua autorità ma parla investito dell’autorità divina – “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco, passate nell’accampamento da una porta all’altra, uccidete ognuno il proprio fratello” – quindi va al di là del vincolo di sangue – “ognuno il proprio amico” – il vincolo dell’amicizia – “ognuno il proprio vicino.” – quindi il vincolo sociale. Quindi l’offerta fatta a Dio è più forte del vincolo del sangue, del vincolo dell’amicizia e dei vincoli sociali. Gesù nel suo vangelo a un certo punto dirà che “il fratello darà morte al fratello e il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire.” L’adesione a Gesù sarà più forte dei vincoli di sangue.
Ma continua Mosè: “I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e quel giorno perirono circa 3000 uomini del popolo”. C’è stata una strage! Non è che hanno compiuto chissà quale crimine, hanno fatto una festa con dei canti, con dei balli a un vitello d’oro.
Allora Mosè disse: “Ricevete oggi l’investitura del Signore. Ciascuno di voi è stato contro il suo fratello e contro figlio perché oggi Egli vi accordasse la benedizione.” Quindi, aver ucciso quelli che erano considerati i traditori, i peccatori per rendere e restituire onore a Dio non è considerato un crimine ma addirittura una benedizione! La benedizione di Dio è al resto (?) dell’uccisione del fratello, dell’amico, del vicino. È chiaramente un’affiliazione a stampo camorristico!!! Sapete che per la camorra, per la ‘ndrangheta per entrarci a farne parte, bisogna ammazzare qualcuno.
La prima grande strage fratricida la troviamo proprio nella bibbia per restituire l’onore a Dio e l’assassinio compiuto in nome di Dio viene appositamente comandato in quel libro della bibbia così importante che si chiama Deuteronomio e ora leggiamo cosa scrive l’autore: “Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l’amico .(ecc.)..non dargli retta non ascoltarlo”- ed ecco la sentenza – “Il tuo occhio non ne abbia compassione, non risparmiarlo, non coprire la sua colpa” – e qui c’è un imperativo – “tu anzi devi ucciderlo.” Quindi l’assassinio è considerato come un dovere religioso. “La tua mano sia la prima contro di lui, per metterlo a morte, poi sarà la mano di tutto il popolo. Dilapidalo che muoia, ecc.” Noi possiamo dire: “Va bene, ma questi testi sono della preistoria dell’umanità” NO! Ricordate quando nel 1995 in Israele Arabi fu ucciso da un ebreo? Nel processo lui si giustificò dell’uccisione proprio citando questo versetto: “Lapidalo che muoia perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio!” ..( ? ).. della parte che Arabi iniziava a fare è come un tradimento per cui in nome della Parola di Dio l’autore ha compiuto questo assassinio. Quindi l’omicidio come culto a Dio ha una lunga tradizione nella bibbia e quello che è più grave è che Dio stesso non solo approva, ma “benedice” quanti ammazzano in nome suo.
C’è un episodio che è veramente drammatico contenuto nel libro dei Numeri dove si legge che un giorno trovarono un uomo che raccoglieva la legna. Lo presero, lo portarono da Mosè e gli chiesero cosa gli dovevano fare. Non rubava, quell’uomo ma raccoglieva solamente la legna per riscaldarsi.
Ma! … era in giorno di sabato! Il giorno in cui è severamente proibito compiere qualunque lavoro.
Mosè chiese consiglio a Dio che rispose: “Quell’uomo deve essere messo a morte! Tutta la comunità lo lapiderà fuori dall’accampamento.” Quello morì secondo il comando che il Signore aveva dato a Mosè. Ripeto, l’ucciso non era un criminale, ma era giorno di sabato, per cui l’offesa a Dio andava lavata col sangue. Per cui chi uccide per Dio non viene punito ma addirittura premiato!
Una delle parti che a noi fa rabbrividire di più della bibbia è quella dell’origine del sacerdozio.
Come è nato il sacerdozio in Israele? E’ nato attraverso un duplice fatto di sangue, dove Dio invece di punire l’assassino addirittura lo premia, concedendo al lui e alla sua stirpe un sacerdozio perenne.
Vediamo anche questa parte: quindi che sia possibile di quelli (?) che uccidenti in nome di Dio vengono addirittura premiati e lodati si chiama “Fine” o in ebraico “Pica” il nome è lo stesso. Chi era questo? Un nipote di Aronne. Un giorno si accorge che un ebreo che si chiama Zibri si accoppia con una donna che non era ebrea, era una malianita. Ebbene cosa fa questo Fine? Notate il particolare: “Prende una lancia e li trafisse tutti e due nel basso ventre, mentre erano uniti nell’amore”. L’uomo li trafisse ed è un duplice omicidio!
Perché lo ha fatto? Perché la donna non era ebrea!
Ebbene, anziché essere castigato, quest’uomo viene approvato, viene benedetto e si stabilisce con lui una alleanza di pace.
Questo episodio nel Talmud – il libro sacro degli ebrei – viene commentato con le parole: “Se un uomo versa il sangue del malvagio è come se avesse offerto un sacrificio.” Quindi vedete, le radici di questo omicidio “in nome di Dio”.
Ebbene, la risposta di Dio all’azione di questo assassinio è stata quella di stabilire con lui un’alleanza di pace e si legge nel libro del Siracide: “Fine figlio di Ileazo fu il terzo nella gloria per il suo zelo nel timore del Signore, così a lui e alla sua discendenza fu riservata l’attività del sacerdozio per sempre.”
Ci può venire a questo punto il dubbio: “Ma non c’è il comandamento – Non uccidere? -” C’é! ma è un comandamento che fa acqua da tutte le parti. E’ vero che nei comandamenti nel libro dell’Esodo e nel libro del Deuteronomio viene riportato l’imperativo: “Non ucciderai” ma, ci sono tante tante eccezioni per le quali si può uccidere.
C’è un elenco, ma dirlo tutto sarebbe noioso. Si può uccidere l’omicida, chi percuote i genitori, chi rapisce un uomo, il figlio che maledice il padre e la madre, il figlio ribelle, quello sfrenato, quello bevitore, colui che pratica la magia, per chi si accoppia con una bestia – e un particolare interessante anche la bestia va eliminata – ecc. Mentre la figlia del sacerdote che si prostituisce sarà arsa viva col fuoco. E l’elenco non è completo!
C’era quindi questo comandamento “Non ucciderai” ma c’erano poi tante eccezioni perché poi si poteva uccidere per i motivi più disparati. L’elenco dei massacri perpetrati in onore a Dio nell’A.T. arriva al Nuovo con fiumi di sangue. Non possiamo elencarli tutti, ma cominciamo da Elia.
Elia è considerato, dopo Mosè, il più grande tra i profeti, il più grande tra gli uomini di Israele, con grande zelo per il Signore il Dio degli eserciti. C’è un episodio nel primo libro dei Re al cap.18 dove Elia sfida i sacerdoti di un’antica civiltà. La sfida la vince Elia. Doveva essere contento della vittoria invece non lo è e ordina: “Prendeteli tutti, che non ne sfugga neanche uno, portateli al torrente e… – almeno da quel che appare nella bibbia, ma io non so come abbia fatto, perché son tanti – personalmente ne ha scannati 450! Così c’è scritto nella bibbia. L’onore di Dio era salvo! Un vero fiume di sangue!
Un fiume di sangue che parte dall’A.T. e arriva fino al Nuovo nella figura di Saulo che quando si convertirà prenderà il nome romano di Paolo. Saulo approvò l’uccisione di Stefano – il primo martire cristiano – e lui stesso, una volta convertito dirà: “Anche io ritenni mio dovere compiere molte cose contro il nome di Gesù il Nazzareno, o Dio Padre di Gerusalemme. Molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e quando venivano messi a morte anche io ho dato il mio voto”.
Saulo, lo sappiamo era un fariseo, zelante osservante di tutti i minimi dettagli della Legge, eppure l’odio contro questa nuova setta era talmente forte che lo ha portato ad essere complice di questi massacri e di omicidi. “In tutte le sinagoghe cercavo sempre di costringerli, con le torture, ad insegnare, e per colpa del mio fervore contro di loro, davo loro la caccia persino nelle città straniere”.
Vedete che questo fiume di sangue inizia nell’A.T. e arriva fino al Nuovo.
La violenza quando viene esercitata in nome di Dio è esente e supera gli esami di coscienza, allora si arriva alla aberrazione di unire la violenza con la lode al Signore.
Troviamo nella bibbia affermazioni che per noi sono aberranti; nel salmo 149 si dice: “Le lodi di Dio sono sulla loro bocca – e qui va bene – e la spada nelle loro mani.” Quindi unire le lodi e la spada non sembra essere di nessuna contraddizione; si può lodare Dio e allo stesso tempo ammazzare i nemici di Dio. Quindi con la bocca si loda il Signore e con la spada si uccidono i nemici e anche i più efferati crimini e le azioni più atroci vengono proclamate come qualcosa di buono e l’omicida più efferato viene considerato beato.
C’è un altro salmo, il 137, che ha qualcosa di rivoltante. Dice: “Figlia di Babilonia (ecc.)… beato chi ti renderà quanto ci hai fatto, beato chi prenderà i tuoi figli e li sfracellerà contro la pietra.”
Quindi, prendere il bambino di un nemico e sfracellarlo contro la pietra viene proclamato addirittura beato!
Bene! Con queste premesse chi si meraviglia che quel – e non lo dico io, lo dice la sacra scrittura – quel figlio di una prostituta che si chiama Ieffe, uno dei condottieri di Israele, venga considerato ispirato dallo Spirito Santo quando, dovendo compiere una battaglia, fa un voto al Signore: “Se tu mi farai vincere, tornando a casa, il primo della mia casa che mi viene incontro, te lo offro a Te.” e quando torna a casa gli va incontro la sua unica figlia! Cosa fa Ieffe? Osserva il giuramento, il voto fatto a Dio e ammazza la propria figlia.
A lui non va bene come ad Abramo che, come sapete, mentre stava per affondare il coltello contro il figlio interviene il Signore e lo ferma.
Questa è la parte negativa. Qui vediamo che le radici della violenza stanno proprio in quello che per noi è il libro più sacro, il più importante. Il libro che è il modello della nostra esistenza e del nostro comportamento.
La soluzione a tutto questo, almeno per noi credenti, per noi cristiani è Gesù. Gesù che è immagine del Dio visibile, Gesù che, l’evangelista Giovanni nel prologo scrive: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il figlio unigenito che sta nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.”
La soluzione a tutto questo, almeno per noi credenti, per noi cristiani è Gesù. Gesù che è immagine del Dio visibile, Gesù che, l’evangelista Giovanni nel prologo scrive: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il figlio unigenito che sta nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.”
Quello che dichiara Giovanni è clamoroso. Come fa a dire che Dio mai nessuno l’ha mai visto? Contraddice la scrittura perché almeno Mosè ed Elia e altri personaggi, lo hanno visto, Dio.
Giovanni non è d’accordo. Hanno avuto visioni parziali, limitate di Dio e per questo non potevano esprimere la volontà di Dio.
“Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio unigenito ce lo ha rivelato”. Allora l’evangelista ci invita a questa attenzione verso Gesù perché è dalla sua figura che sappiamo chi è Dio. Gesù non è come Dio ma Dio è come Gesù. Dove è la differenza?
Dire che Gesù è uguale a Dio significa che di questo Dio non ne abbiamo una immagine, abbiamo un’idea, dovuta alla religione, alle tradizioni.
No! L’evangelista dice: “sospendi tutto quello che pensi di sapere, di conoscere su Dio e centrati su Gesù.” Ebbene, Gesù, immagine del Dio visibile, come dice San Paolo nella lettera ai Colossesi: “Spezza in maniera radicale, esclusiva questa pratica catena di violenza esercitata in nome di Dio” e Gesù preferirà accettare su di sé la violenza piuttosto che rispondere con altrettanta violenza. E per Gesù una istituzione religiosa che adori un Dio che accetta come culto la morte dell’uomo, non è altro che una istituzione atea. Atea perché non conosce questo Dio. E’ una istituzione criminale i cui addetti sono soltanto degli assassini anche se muniti di referenti titoli, anche se hanno dei riconoscimenti religiosi. Chi esercita la violenza in nome di Dio è ateo e assassino.
Gesù nella polemica con i capi religiosi dirà: “Voi avete per padre il diavolo, volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è omicida fin dall’inizio.” Quindi chi esercita la violenza in nome di Dio, non conosce e non ha nulla a che fare con Dio e il padre di costoro non è il Creatore ma è il nemico, è il diavolo che è stato assassino fin dall’inizio.
Gesù dirà che chi uccide per rendere culto a Dio in realtà dimostra di non conoscerlo.
In quel versetto che abbiamo citato all’inizio: “Verrà il tempo in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” Gesù continua: “lo fanno perché non hanno conosciuto ne’ il Padre ne’ me.”
Questo è un punto fermo della spiritualità cristiana. Chi esercita violenza in nome di Dio e si può uccidere in tante maniere e non soltanto l’eliminazione della vita fisica, ma toglie l’onore della persona, toglie la reputazione, toglie il sostegno economico, perseguitandolo dice Gesù e faranno questo perché non hanno conosciuto ne’ il Padre ne’ me.
Anche se chi lo fa lo farà in nome di Dio in realtà non conosce Dio. Perché il Dio di Gesù non ha nulla a che fare con la violenza esercitata in nome suo.
Gesù in questa sua affermazione dice: “E faranno questo perché non hanno conosciuto ne’ il Padre ne’ me”. Mentre prima aveva detto: “Chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” adesso Gesù non parla di Dio ma di Padre. E’ importante questa distinzione. Mentre il nome di Dio – e Dio è il nome comune in tutte le religioni – e mentre in nome di Dio si può togliere la vita alle persone, in nome del Padre di Gesù si può soltanto dare la propria. Il Dio di Gesù, il Padre, non toglie la vita; in nome suo si può soltanto comunicare e dare la vita agli altri.
Gesù ha detto chiaramente che chi compie questa azione anche se lo fa in nome di Dio in realtà non lo conosce e qui abbiamo la dimostrazione pratica, drammatica di Saulo che quando perseguitava le prime comunità cristiane – conoscete tutti l’episodio – si sentì rimproverare dal Signore che gli disse: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?” E lui si trovò a dover chiedere: “Chi sei, o Signore?” quindi Saulo non conosce Dio. Il suo Dio non era in realtà il vero Signore, e si trova a dovergli chiedere: Chi sei? e si sentì rispondere: “Sono Gesù, che tu perseguiti.”
Quanti accolgono il messaggio di Gesù e quanti conoscono il Padre non saranno mai persecutori in nome di Dio e per conto di Dio, ma saranno sempre perseguitati. Ma nella persecuzione ci sarà la beatitudine. Gesù lo dirà nel suo messaggio: Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di questi è il Regno dei cieli. Quindi Gesù lo dice chiaramente: seguire lui si va incontro non all’applauso, all’oazione della società religiosa ma al rifiuto e alla persecuzione.
Gesù dirà: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.” Oppure “Se hanno chiamato Belzebul il padrone di casa, tanto più i suoi familiari.”
Gesù assicura che quanti vivono come lui affronteranno il rifiuto, l’ostilità e la persecuzione da parte della società ma, questa persecuzione, è compresa nel programma e non deve meravigliare, stupire, quando avviene. Deve preoccupare quando non c’è. Gesù infatti dirà: “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano come i loro padri con i falsi profeti” Per cui quando capita l’incomprensione prima, l’ostilità e poi si arriva alla persecuzione, la comunità cristiana non si deve meravigliare, è nel programma. C’è da preoccuparsi quando questo non appare. Significa che la comunità cristiana non è spunto, non è fonte di novità, si è ormai assestata allo stile della società. Quando la società loda la comunità cristiana questo è un campanello di allarme.
Il Padre di Gesù però non è neutrale. Tra chi perseguita – anche se pretende farlo in nome di Dio, per conto, per la difesa di Dio – e tra chi è perseguitato, Dio si mette sempre al fianco dei perseguitati.
Gesù, nelle beatitudini, in Marco e anche in Luca, proclama: “Beati i perseguitati per causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli”.
Al termine delle beatitudini, dopo aver invitato i discepoli ad accogliere il suo messaggio, dice; “quelli che sono perseguitati alla fedeltà di tutto questo: beati! Perché? Perché di essi – il verbo è al presente – è il Regno dei cieli.” Purtroppo in passato la non conoscenza della cultura ebraica, ha fatto travisare questa frase in un lontano, in un futuro, nell’al di là. Per cui “regno dei cieli” è stato inteso come “l’al di là”.
Regno dei cieli è una formula usata esclusivamente da Matteo, dove gli altri evangelisti usano l’immagine di “Regno di Dio”.
Allora perché Matteo usa questa espressione che fa tanta confusione? Perché lui si rivolge agli ebrei e loro – come sapete – non pronunciano e neanche scrivono il nome di Dio, e allora ha usato dei sostituti e uno di questi è “i cieli”. Esattamente come noi, oggi nella nostra cultura quando diciamo: “grazie al cielo” non è che ringraziamo l’atmosfera ma si ringrazia la presenza del Signore.
Allora Gesù dice: “I perseguitati a causa del messaggio, beati, perché? Cosa significa “Regno dei cieli?” Che Dio è il loro Re; Dio si prende cura di loro, per cui gli aspetti negativi, gli aspetti di sofferenza nella persecuzione vengono mitigati dalla presenza viva, attiva e vivificante del Signore.
La persecuzione della comunità non è mai causa di rovina ma causa di crescita ancora più piena.
Nella parabola dei quattro terreni, Gesù ha questa immagine bellissima della persecuzione e si rifà al seme che è sparso tra le pietre e mette le radici. Le radici non possono andare molto a fondo perché il terreno è roccioso e quando spunta il sole la pianta si secca. Ma se la pianta si secca la colpa non è del sole, che è invece fonte di vita per la pianta. La colpa è della pianta che non ha potuto mettere radici. Allora Gesù usa questa immagine per la persecuzione. Quando il credente ha messo le proprie radici nel messaggio di Gesù, la persecuzione non sarà mai causa di rovina ma sempre fonte di energia di forza e fonte di crescita.
Quindi Gesù ci assicura che, non mettersi mai dalla parte dei persecutori ma sempre dalla parte dei perseguitati, e trasforma la persecuzione in motivo di gloria e di abbondanza.
Anche nel vangelo di Matteo leggiamo: “Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi” quindi la sofferenza alla persecuzione viene cancellata dal fatto: “Gioite, rallegratevi ed esultate” Perché? “Perché grande è la vostra ricompensa” Anche qui non è una ricompensa per l’al di là, qui significa Dio. La vostra ricompensa è Dio.
E poi la sottolineatura: “così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”. Gesù associa la figura del credente, del discepolo a quella del profeta. Chi è il profeta? E’ quell’individuo che non ripete gli stili, le forme, le formule del passato e del presente ma per la sua esperienza di Dio sente il bisogno di formularne delle nuove, di creative, di originali.
Il compito del credente, il compito della comunità cristiana non è quello di ripetere i modi di vivere del passato, ma accogliendo la buona notizia di Gesù, formula stili in una maniera nuova, originale e creativa. Secondo l’insegnamento di Gesù il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi.
Perché c’entra la persecuzione? Perché nella vita sociale, ma specialmente in quella – ed è più grave – nella vita religiosa, quella che crede in Dio che fa nuove tutte le cose, lì c’è un imperativo sacro santo e chiunque lo preferisce viene visto con sospetto, viene emarginato e quando si può, viene eliminato. Che cosa è? La non necessità di un cambiamento.
In alcune comunità religiose, ma non solo, nelle comunità parrocchiali o nella vita di tutti i giorni, chissà quante volte di fronte alla proposta di qualcosa di nuovo si sentirà obiettare: “Ma perché cambiare, si è sempre fatto così!”
“Si è sempre fatto così” è la pietra tombale che seppellisce il credente e la comunità cristiana. Il credente in Gesù non si limita al “si è sempre fatto così” No! La vita ogni giorno si presenta in forme nuove, suscitando situazioni nuove e bisogni nuovi e allora il credente deve saper risolvere in una forma nuova, originale e creativa; per cui il credente è quello che crea sempre forme nuove. Chi si limita a ripetere le formule del passato vivacchia ma non vive e naturalmente tutti quelli che cercano formule nuove verranno perseguitati. Perseguitati non dai nemici della religione ma proprio incompresi e perseguitati dai rappresentanti della religione.
Gesù ci esorta a rifiutare qualunque forma di violenza e a metterci dalla parte dei perseguitati, nella certezza che il Signore tutto trasforma in bene. Non c’è nulla che ci venga fatto del male che poi il Signore non trasformi in bene.
La persecuzione è una testimonianza contro i persecutori che per quanto si ritengano di agire in nome di Dio in realtà dimostrano di non conoscerlo.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù dirà: “Ma tutto quello che vi faranno, a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”. E chi saranno? Le autorità religiose, che sono quelli che non conoscono Dio.
Se Gesù proclama beati i perseguitati poi è di una severità atroce nei confronti dei persecutori.
Una delle pagine di più grande violenza verbale la troviamo nel capitolo 23 di Matteo dove c’è una lunga requisitoria contro le autorità religiose spirituali di Israele che – attenzione – non sono una polemica con l’istituzione giudaica – dalla quale la comunità cristiana ormai si è praticamente distaccata creando forme nuove – ma sono un severo monito, perché all’interno della comunità dei credenti non si ripetano gli stessi perversi meccanismi.
Nel cap. 23 di Matteo c’è una violenza verbale inaudita. Gesù è sempre tenero e dolce con i peccatori, ma ci stupisce perché nei confronti di scribi e farisei ci sta tanta violenza.
Ripeto, non è una polemica con il mondo giudaico ma è un monito perché nella comunità cristiana non ritornino gli stessi aspetti negativi.
Se nella bibbia ci sono scritte queste cose, è o no parola di Dio?
L’abbiamo visto molto bene: “Devi ammazzare”. È un dovere religioso!
Ora leggiamo il brano che poi commenteremo. Gesù dice: “Guai”, il termine si rifà ad una espressione della istituzione funebre ebraica: “uai” con la quale si piange durante la veglia funebre; cioè Gesù piange come morti quelle persone che perseguitano gli altri, quelle persone che comunicano morte agli altri.
“Guai a voi scribi e farisei” Abbiamo detto che gli scribi sono i teologi, il magistero infallibile dell’istituzione religiosa giudaica; i farisei – il termine fariseo significa separato – sono quelli che osservavano tutti i dettami della legge. Ne avevano accumulati ben 613!
“Ipocriti che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti, e così testimoniate contro voi stessi di essere i figli degli uccisori dei profeti”. Quella di Gesù non è una constatazione ma è un ironico imperativo “Colmate la misura dei vostri padri” . L’unica cosa che sapete fare voi è perseguitare e ammazzare.
“…perciò ecco io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni li ucciderete e crocifiggerete e lapiderete…” – sono i 3 verbi che poi appariranno nella passione di Gesù – “… nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città, perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra”. Qui la denuncia di Gesù è da rabbrividire. Quello che sta dicendo è clamoroso.
“Dal sangue del giusto Abele – L’uccisione di Abele da parte del fratello Caino appare nel primo libro della bibbia, il libro della Genesi – fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia che venne ucciso tra il santuario e l’altare”. L’uccisione di questo Zaccaria appare nel secondo libro delle Cronache che è l’ultimo della bibbia ebraica.
La bibbia ebraica inizia con il libro della Genesi e termina con il libro delle Cronache; quello che sta dicendo Gesù è tremendo: “Siete assassini dalla prima pagina della bibbia all’ultima.” Oggi diremmo: Siete assassini dalla A alla Z.
E continua Gesù: “Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati. Quante volte ho dovuto raccogliere quei figli come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali e non avete voluto.”
Quindi con riferimento ad Abele e a Zaccaria, Gesù cita il primo e l’ultimo omicidio riportato nella bibbia. E Gesù denuncia una casta religiosa di potere, di essere sempre incapace di riconoscere gli inviati di Dio. Li ricordano dopo, quando sono stati ammazzati. E purtroppo è una sequela tragica: arriva il profeta, viene ostacolato, viene osteggiato, quando è possibile viene messo a morte, poi passa il tempo, viene riconosciuto che era un inviato da Dio, gli si costruisce un monumento e … in nome del profeta morto e “monumentato” (uso questa espressione) si perseguiteranno e si
ostacoleranno i nuovi profeti. (Maggi, Continua)

Conferenza tenuta da fra’ Alberto Maggi ma non rivista dallo stesso, pertanto si chiede al lettore di tenerne conto, cogliendo il messaggio che viene comunicato al di là delle forme e delle modalità con le quali esso è stato trasmesso. In una trascrizione non è possibile infatti rendere il tono della voce, la gestualità, le espressioni di colui che parla, inoltre alcune espressioni possono essere facilmente fraintese da chi trascrive il testo. Si tenga anche presente che la punteggiatura è stata posizionata ad orecchio; i punti in cui la registrazione è incomprensibile sono indicati così: (.?.). Altre informazioni e conferenze si possono leggere o scaricare dal sito: www.studibiblici.it
Trascrizione realizzata da un’amica del CSB “G. Vannucci” di Montefano”

Centro per lo studio scientifico della Sacra Scrittura e per la sua divulgazione a livello popolare
studibiblici.it

 



quale emancipazione della donna?

Emancipazione della donna o femminismo cruscante?

a proposito dell’otto marzo e della deriva di un certo famminismo …

per l’8 marzo alcuni stralci di un saggio di Elisabetta Santori, “Appunti per un pensiero de-genere”, che sarà pubblicato integralmente in uno dei prossimi numeri di MicroMega e che costituisce una acuta critica filosofico-linguistica di alcune derive ideologiche “politically correct” che stanno ormai devastando il femminismo e anche la lingua italiana.

di Elisabetta Santori Laura Boldrini, che da Presidente della Camera ha promosso la gender equality nel linguaggio e l’uso della forma femminile per le professioni e gli incarichi istituzionali ricoperti ormai sempre più spesso da donne. Nel luglio 2014, auspice proprio Boldrini, è stato presentato alla Camera “Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’italiano” della linguista Cecilia Robustelli (consulente dell’Accademia della Crusca), una guida all’uso non sessista della lingua italiana. L’italiano corrente, vi si legge, non ha ancora preso atto della presenza delle donne nei ruoli apicali e usa ancora il maschile attribuendogli una falsa neutralità, oggi invece «la parità dei diritti passa per il riconoscimento – anche attraverso l’uso della lingua! – della differenza di genere». Via libera dunque a ministra, assessora, sindaca, architetta, ingegnera, avvocata, medica, revisora dei conti, titoli che tanta resistenza incontrano tra i parlanti italiani (mentre non a caso, scrive Robustelli, i nomi che indicano lavori comuni e più modesti, come commessa, impiegata, maestra, operaia, parrucchiera, si sono imposti senza fatica).  (…) Se però vogliamo essere il più possibile laici e obiettivi, non è sempre vero che il linguaggio corrente si rifiuti di accordare al femminile i titoli e i ruoli apicali: direttrice, deputata, senatrice, imprenditrice sono sostantivi ampiamente accettati e transitati nell’uso corrente, contrariamente a quanto afferma Robustelli: su Google, ad esempio, ci sono 3.360 ricorrenze circa della “senatrice Elena Cattaneo” contro le circa 680 della stessa col titolo di “senatore”; e la “deputata Paola Taverna” ricorre 150 volte, mentre solo 4 in veste di “deputato”. Nessun risultato, infine, per “l’imprenditore Lella Golfo”, che compare solo come “imprenditrice”. E allora, se è vero che la lingua italiana è ostaggio dell’androcentrismo, come mai dinanzi a queste femminilizzazioni del ruolo il sessismo linguistico si ritrae? Non sarà che forse gli stiamo addossando anche le colpe che non ha? A decidere della lingua e del genere grammaticale non è sempre e solo il sessismo italiota ma anche l’orecchio collettivo, una sorta di filtro fonetico che si è formato per un deposito storico di rimandi, associazioni mentali, suggestioni in base ai quali certi neologismi vengono accolti e altri vengono lasciati cadere. (…) L’orecchio popolare ha i suoi pudori e le sue remore, le sue preferenze e idiosincrasie che possono risultare decisive per l’uso della lingua (nel 1946 il termine referendum si impose al posto di referendo, vicino a reverendo, nel timore di favorire la DC). Dalle libere associazioni che le parole formano nella nostra mente nascono autocensure e pruderie, ma anche motti di spirito, calembour e persino i capricci linguistici delle avanguardie letterarie; e questa spontaneità della parola, difettosa ma anche ingegnosa e creativa, non si può irreggimentare ope legis con le “Raccomandazioni” o le “Guide” del femminismo cruscante, che per quanto vengano presentate come miti “suggerimenti”, “proposte” o “alternative” non autoritarie e non imposte dall’alto, di fatto diventano coercitive eccome nel momento in cui qualche capo-ufficio legislativo se ne serva coi suoi sottoposti come regole per la redazione di testi ufficiali, o qualche insegnante le utilizzi come paradigma per correggere gli orali e gli scritti dei suoi studenti. In attesa che l’uso e il dibattito sulla femminilizzazione dei nomi di ruolo operino una scrematura tra le pedanterie inutili e le simmetrie praticabili, io, nel mio piccolo, un codice di comportamento linguistico me lo sono dato. E l’ho fatto pensando che il genere femminile è solo una delle mie appartenenze e nemmeno la principale, ma semmai solo un punto di partenza, la fase di startup di un percorso autobiografico che ha incrociato identità diverse e più forti di quella del gender. E siccome la desinenza in -a ci riconoscerà pure in quanto donne, ma non dice nulla di noi come individui e combinazioni irripetibili di identità multiple e/o consecutive, ho deciso di usarla q.b., solo quando non entra in conflitto con la lingua che amo, che ha le sue ragioni, non solo grammaticali, e alla quale appartengo più fortemente che ad un astratto “genere”. Dunque la mia lingua si fletterà alla gender equality, ma non tanto da far sì che il ghenos disponga interamente di lei, trasformandola in un idioma artificiale, pianificato a tavolino come una sorta di esperanto. Ben vengano dunque, nel mio vocabolario personale, gli agentivi in -trice, come la senatrice, l’imprenditrice ecc. (…) Ma la questora, la difensora e la recensora non posso fare a meno di immaginarmele bardate di zinale in un sonetto del Belli, tra la sora Mitirda, la sartora scartata e la mamma uscellatora. Quindi, out. Espunte dal mio vocabolario ed esiliate, assieme alla mammellata architetta, nel gabinetto degli orrori (…) Purtroppo, però, il problema non si esaurisce qui. La questione grammaticale del cosiddetto “maschile inclusivo” è ancora più spinosa. E rischia davvero di infilare il burqa alla spontaneità e alla funzionalità del linguaggio nell’intento di sfilarlo alla desinenza in -a. (…) (8 marzo 2015)

 




papa Francesco: il bilancio di due anni

Francesco, la Chiesa millenaria che vorrebbe tornare giovane

di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 9 marzo 2015

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Due anni dopo la sua elezione Francesco ha già reso irreversibile il volto nuovo del pontificato. Tornare ad un pontefice-icona, dottrinario, monarca assoluto, non sarà più possibile: pena una drammatica perdita di contatto con la società contemporanea, credente o non credente.

Linguaggio

È stato rivoluzionato il linguaggio. Quando Francesco dice che i cattolici non devono figliare “come conigli” o spiega al clero di Roma (giorni fa) che ci sono “persone disturbate che si rifugiano nelle istituzioni forti: Esercito e Chiesa”, usa il linguaggio di un parroco in grado di farsi ascoltare da tutti. Un papa-prete capace di parlare anche agli atei come nessun altro prima di lui. Papa Bergoglio ha aperto la transizione verso una Chiesa più comunitaria e partecipata. “Sinodale”, secondo l’espressione degli Ortodossi. Un modello di Chiesa in cui il capo non decide in solitudine imperiale, ma insieme ai vescovi.

papa-francescoIl concilio Vaticano II lo ha chiamato “collegialità”, indicando l’immagine di “Pietro insieme agli apostoli”. Collegialità L’avvio di questa riforma si è tradotto nella creazione di un consiglio cardinalizio, coordinato da Oscar Rodriguez Maradiaga e formato da otto porporati di tutti i continenti, cui si aggiunge il segretario di Stato. È il cosiddetto C9, incaricato di “consigliare (il Papa) nel governo della Chiesa universale”.

Un embrione di collegialità.

All’ultimo concistoro del febbraio scorso l’assemblea dei cardinali di tutto il mondo ha ribadito la necessità di un “sano decentramento” delle competenze, sin qui esercitate esclusivamente dalla Curia romana. E negativo però il ritardo della riforma del governo centrale della Chiesa. Il secondo passo in direzione della collegialità è rappresentato dalla nuova funzione del Sinodo dei vescovi (il parlamentino di Santa Romana Chiesa), non più destinato a rimanere una semplice arena di opinioni, ma – grazie a Francesco – diventato titolare di un potere propositivo per trovare soluzioni ai problemi pastorali più urgenti. L’avere scelto il vescovo teologo Bruno Forte come segretario speciale delle due sessioni sinodali dedicate ai problemi familiari segnala la volontà di “aggiornamento”, per usare lo slogan felice di Giovanni XXIII.

Divorziati e gay

Concedere democrazia – libertà di parola e di voto come durante il Concilio – significa tuttavia fare i conti con le opposizioni e la possibilità di perdere qualche battaglia: è accaduto al Sinodo del 2014. Francesco ha aperto su temi sin qui tabù: la comunione ai divorziati risposati, le convivenze, le coppie omosessuali, la transessualità ma le resistenze interne al mondo ecclesiastico hanno impedito finora un cambio ufficiale di atteggiamento della Chiesa. L’appassionato intervento sinodale del cardinale di Vienna Christoph Schoenborn sulla solidarietà di due partner gay non ha ricevuto – almeno per il momento – il consenso della maggioranza dell’episcopato. Due anni dopo l’elezione si avverte un solco tra Francesco e quella parte della gerarchia in Vaticano e all’estero, rimasta attaccata alla visione di un papato sacrale, giudice dottrinale inflessibile delle “deviazioni” dai comandamenti del catechismo. Il cardinale americano Francis George (ex arcivescovo di Chicago), quando chiede se “Francesco si rende conto dell’effetto di certe sue parole?”, evidenzia un’offensiva in atto contro il pontefice argentino. Un solco netto esiste anche tra la fascia di sacerdoti – spesso giovani – imbevuti di spiritualismo, dogmatismo e ideologia del potere sacerdotale, che resistono alla declericalizzazione auspicata da Francesco, e invece quei preti, secondo i quali annunciare il Vangelo nella società urbana globalizzata esige di fare i conti  con la mescolanza delle culture e – come invita a fare il segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino di considerare il mondo “brutto, sporco e cattivo”.

Il ruolo delle donne

Francesco ha avuto il merito di mettere sul tavolo un argomento tabù come il ruolo delle donne nei luoghi decisionali della Chiesa, ma non ha incontrato una risposta entusiastica da parte degli episcopati nel mondo. Nemmeno le donne dell’associazionismo cattolico si sono per ora mobilitate. Colpa di una “certa sfiducia e un’antica abitudine a tacere”, commenta la storica Lucetta Saraffia, che vorrebbe vedere le donne partecipare ai sinodi. Non è detto che in tutti questi campi, su cui si è fatto sentire Francesco, si realizzino cambiamenti concreti già durante il suo pontificato. Lui è un seminatore, i sassi sul suo cammino sono tanti e i suoi avversari – nota il segretario della pontificia Commissione per l’America latina, professor Guzman Carriquiry – si comportano alla pari dei farisei che seguivano Gesù “con animo incattivito, scandalizzati dei suoi incontri con prostitute e peccatori, sempre male interpretando, sperando di poter intravvedere qualsiasi minima deviazione riguardo alla Legge, per giudicarlo e condannarlo…”. Lotta alla pedofilia In tre ambiti precisi il pontefice argentino ha già voltato pagina. Per la prima volta ha destituito, processato ecclesiasticamente e degradato (ridotto allo stato laicale) un vescovo pedofilo: l’ex nunzio nella Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski. Per volontà di Francesco subirà inoltre un processo penale in Vaticano. Tuttavia nel comitato anti-abusi, da lui creato, sono emerse resistenze a proposito di nuove Linee guida internazionali più stringenti.

La banca vaticana

La banca vaticana è stata sottoposta ad una drastica ripulitura dei conti correnti, sono stati firmati accordi di cooperazione giudiziaria con Italia, Germania, Stati Uniti, è stata creato un comitato antiriciclaggio e una Segreteria per l’Economia, guidata dal cardinale George Pell, che vigilerà sugli appalti e la regolarità dei bilanci delle varie articolazioni della Santa Sede e che ha portato alla luce fondi riservati (benché regolari) di alcuni organismi, che non erano stati inseriti nel bilancio consolidato del Vaticano. Il presidente delle Ior, il francese Jean-Baptiste de Franssu, spinge per una gestione unica del patrimonio finanziario e immobiliare della Santa Sede. Il terzo settore in cui Francesco ha mostrato una forte impronta è quello geopolitico. Politica estera Ha ridato slancio alla presenza del Vaticano sulla scena internazionale, impedendo una catastrofica invasione occidentale della Siria, indicando a Israele e Palestina la via di una pace dei coraggiosi, denunciando il traffico di armi dietro ai conflitti in corso, impegnandosi contro le “moderne schiavitù” (la tratta sessuale, quella dei migranti, le fabbriche clandestine). Suo obiettivo, discusso con il presidente Barack Obama, è far dichiarare dall’Onu la tratta degli esseri umani un “crimine contro l’umanità”. I suoi interventi contro la corruzione, la criminalità organizzata, l’ideologia neoliberista del profitto senza regole, il primato assoluto del mercato che produce “scarti” vecchi o giovani, alimentando il precariato permanente, hanno suscitato un’eco vastissima a livello internazionale, ben al di là del mondo cattolico, ma le leadership politiche ed economiche non hanno mostrato nessuna intenzione di elaborare un modello economico ispirato al “bene comune”. Per molti aspetti Francesco è applaudito, ma resta solo. Dentro e fuori la Chiesa. La sua – benché non lo mostri – è un’autentica lotta contro il tempo. L’anno prossimo compirà già ottant’anni e i suoi amici latino-americani non dubitano che quando la vecchiaia si farà sentire, anche Jorge Mario Bergoglio sarà pronto a dimettersi come Benedetto XVI (magari tornando in Argentina). Lo ha anticipato lui stesso ai giornalisti, durante un viaggio. Il papato a termine è l’ultima (silenziosa)  riforma di questo pontificato.




Ascanio Celestini e tutti quelli che ‘se la vanno a cercare’

in difesa di chi ‘se la va a cercare’


di Ascanio Celestini

Greta e Vanessa se la sono andata a cercare. Ma chi gliel’ha fatto fare di andarsene a fare le superdonne in un posto dove ci sta la guerra? Se la vanno a cercare? Come quelle diciottenni che vanno in giro in minigonna alle due di notte nelle stradine buie delle città e poi si lamentano se qualcuno se le violenta. Perché se la vanno a cercare?

E Saviano? Poteva scrivere una bella guida turistica di Napoli, o in alternativa una cosa intellettuale su qualche rivista intellettuale che si leggono gli intellettuali. Perché s’è messo in mezzo a una cosa più grossa di lui? Non gli basta di guadagnare un sacco di soldi? Si lamenta perché vive sotto scorta? Colpa sua, se l’è andata a cercare.

Pure James Wright Foley se l’è andata a cercare, l’ha detto Edward Luttwak che non è mica l’ultimo arrivato. “Se l’è cercata totalmente… Il suo, come quello della vostra Sgrena, non è giornalismo, ma protagonismo” così dice Luttwak. E infatti è pieno di giornalisti che se la vanno a cercare. A Luttwak non gli capita davvero di farsi decapitare. Non si capisce perché il mondo è pieno di gente che se la cerca.

Per esempio ti ricordi di Ernesto Guevara detto Che? La sua faccia è stampata su un sacco di magliette. Pure lui è uno che se l’è andata a cercare. C’aveva pure l’asma e dopo la rivoluzione cubana, invece di aprirsi uno studio medico, se n’è andato a sparare e a esportare la rivoluzione in Bolivia. L’hanno ammazzato. Cavoli suoi… se l’è andata a cercare.

Come quell’altro famoso comunista di Trockij che pure lui se l’è andata a cercare. Poteva mettere le mani su un ministero nella grande Unione Sovietica e invece è andato a fare l’esiliato in Messico. Chi gliel’ha fatto fare? L’hanno ammazzato? Embè, se l’è andata a cercare. E i desaparecidos in Cile e in Argentina e in chissà quanti altri posti? Pensi che i militari avrebbero fatto scomparire il mio vicino di casa che si fa i fatti suoi? Nossignore. Con tutto il rispetto verso quei morti, però era gente che stava contro il regime.

Pure in Italia c’abbiamo avuto il fascismo, ma mica ammazzavano a tutti. Se facevi il dovere tuo senza rompere troppo le scatole vivevi come cristo comanda. Mussolini ti dava pure i soldi quando davi un figlio alla patria. Eppure sotto al fascismo ci stava un sacco di gente che se l’andava a cercare lo stesso. E mica era gente scema. Lo sapevano a che andavano incontro.

Mio nonno mica aveva studiato eppure lo sapeva che era meglio non prendersela troppo col fascismo. Se l’hanno preso sott’occhio è stato solo per una battuta. A quel tempo il cesso si chiamava anche “ritirata”. Mio nonno lavorava al cinema Iris e quando un fascista gli ha chiesto “dove sta la ritirata?” lui ha risposto “in Grecia!”. Per questo l’hanno preso sott’occhio, ma mica si metteva a parlare contro il Duce. Mica era scemo. E pure Matteotti non era mica scemo, lo sapeva che sarebbe finito male se andava avanti a parlare contro il fascismo. E infatti è andata proprio così.

E ti ricordi i confinati? Per esempio ti ricordi Leone Ginzburg? L’avevano mandato a Pizzoli. Gli è andata male perché altri come lui venivano spediti in certe isole che oggi la gente ci va in vacanza. Eppure continuava a tradurre dal russo come se non ci fosse la guerra. Ma dove hanno la testa questi intellettuali? Per non parlare di Gramsci che ha fatto i salti mortali per far uscire i suoi quaderni dalla cella del carcere. Un altro avrebbe abbassato la testa, chiesto scusa e sperato nei domiciliari. Lui no. Continuava a scrivere contro questo e contro quello. Almeno Saviano e Rushdie si prendono le royalties, il sardo invece non ha preso manco quelle. Lo sapeva che non c’avrebbe guadagnato. Perché se l’è andata a cercare?

Mia madre dice “attacca l’asino dove vuole il padrone!” è un modo saggio per campare cent’anni. E invece pare che sia ancora pieno di gente che non attacca mai l’asino al posto giusto. Guarda per esempio quei blasfemi di Charlie Hebdo. L’hanno ammazzati e il primo giorno stavamo tutti dalla parte loro. Pure i commentatori dei giornali della borghesia europea.

Certo che è bastato che passasse un giorno o al massimo due che tutti erano d’accordo su un fatto: gli anarchici del giornaletto comico francese se la sono andata a cercare! Se la prendono col profeta e con il dio dei cristiani, con gli ebrei e chissà contro quali altre religioni. Come pensano di poterla fare franca? Puntano sul fatto che, tutto sommato, anche Gesucristo se l’è andata a cercare? E gli ebrei? C’hanno messo un mucchio di secoli prima di prendersi uno stato come si deve e nel frattempo se la sono andata a cercare. Se Hitler e tanti altri ce l’avevano con loro mica sarà un caso!

Ornella oggi mi scrive che si trova “a discutere con tante persone, anche colte e non votanti Lega, che additano Greta e Vanessa come frikkettone e si piangono i soldi del riscatto, anzi chiedono che adesso venga restituito all’Italia il maltolto e che quindi lavorino gratis a vita per risarcirci del danno”. Loro come tutti gli altri sono gli squinternati che se la sono cercata. “Ma – scrive Ornella – cosa sarebbe questo mondo se nessuno se la fosse andata a cercare?”.

(21 gennaio 2015)




“io comunista proprio no!”, così si difende papa Francesco

 

 

 

così Francesco rovescia chi lo accusa di essere comunista

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nel libro intervista “Questa economica uccide” il Pontefice chiarisce le sua dottrina su globalizzazione e poveri

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Papa Francisco cercado por crianças na favela de Manguinhos (25 de julho de 2013)

 

 

 

 

 

<!-- --> «L’attenzione ai poveri non è un’invenzione del comunismo, ma è nella tradizione della Chiesa, che talvolta si dimentica della sua missione originaria e necessita di correzione e conversione»
papa Francesco lo dice a chiare lettere in “Questa economia uccide”, il libro intervista di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi, i due vaticanisti de La Stampa.

 

 

DAL “COMPAGNO” AL “LEONCAVALLINO”
In questo nuovo volume, Papa Francesco replica alla rete di accuse di “comunismo”, che vengono mosse da tempo nei suoi confronti. Dal «compagno Bergoglio» dell’ideologo di destra Maurizio Ruggiero, al “fuoco” di Antonio Socci (Libero, 9 novembre): «Dice sempre che ha conosciuto militanti comunisti in Argentina che erano brave persone. “Chi sono io per giudicare?”. Sfodera toni infuocati (e giudica) solo quando si scaglia contro il “liberismo selvaggio”. Il 28 ottobre ha ospitato in Vaticano vari movimenti noglobal, compreso il Leoncavallo e ha scagliato fulmini. Tanto che Fausto Bertinotti ha subito indicato in lui – venerdì sera, a Tg3 notte – il vero “rivoluzionario” del momento».

ASSONANZE CON L’IMPERO DI NEGRI
Socci, in quell’occasione, ha rilanciato le parole del vaticanista de L’Espresso Sandro Magister, secondo cui «ciò che più colpisce di questo discorso è la sua stupefacente somiglianza con le teorie sostenute dal filosofo Toni Negri e dal suo discepolo Michael Hardt in un libro del 2002 che ha fatto epoca: ‘Impero’». Per Negri, il mondo non è più governato da stati nazionali, ma da una struttura decentrata e deterritorializzata, che definisce Impero. Dunque ci troveremmo di fronte ad una papa “complottista” oltre che “comunista”.

PARTIGIANO E GRAMSCIANO
Il sociologo Umberto Di Maggio, coordinatore regionale di Libera contro le mafie in Sicilia, in senso più buonista ha parlato di «papa partigiano», in relazione al concetto di «globalizzazione dell’indifferenza», una «frase che assume una portata storica poiché definisce, come diceva Gramsci […] l’indifferenza come peso morto della Storia. Perché in fin dei conti l’abulia ed il parassitismo sono vigliaccheria e quindi rifiuto del senso autentico della vita. Parole partigiane quelle di Papa Francesco che, sconvolgendo ogni protocollo, ha scelto di essere ultimo tra gli ultimi». Affermazioni poi corrette dal giornalista e blogger Giuliano Guzzo che ha chiarito come Gramsci traducesse l’indifferenza in assenza di «impegno» e diceva di «odiare gli indifferenti», mentre Bergoglio si rivolge all’assenza di «amore» e critica, e non dice di odiare quelle persone.

PAUPERISTA E DISANCORATO ALLA REALTA’
Piero Ostellino sul Corriere della Sera (16 luglio 2013), all’indomani della visita del papa a Lampedusa, bacchettava il volto “francescano” del Pontefice «pauperista», che fa sistematicamente «l’elogio della povertà a uomini e donne di una “società dei consumi” e del benessere in crisi come la nostra, che non ce la fanno sempre a mettere assieme la colazione di mezzogiorno con la cena della sera e ad altri uomini e donne che non aspirano che a raggiungere un certo livello di consumi e un minimo di benessere – rischia di mettere in second’ordine il Papa gesuita, mostrando di sottovalutare il principio di realtà anche agli occhi di molti credenti».

UNA REPLICA CHE CHIARISCE IL SUO PENSIERO
«Di fronte alle accuse  di essere “marxista”, “comunista” e “pauperista”», nel nuovo libro di Galeazzo e Tornielli, «Papa Francesco esponendo il suo pensiero sui temi della povertà e della giustizia sociale, risponde indirettamente ad altre critiche, forse ancor più velenose, che serpeggiano in alcuni ambienti ecclesiali che faticano ad accettare un Papa “non imprevisto” ma “imprevedibile”» (Franco Garelli, La Stampa 13 gennaio).

COSA E’ REALMENTE LA GLOBALIZZAZIONE DELL’INDIFFERENZA
Francesco non ha remore a rilanciare due concetti a lui cari. «La “globalizzazione dell’indifferenza” – spiega Garelli – è il grande rischio che il mondo d’oggi sta correndo; che viviamo in un sistema che ha alimentato non soltanto la ricchezza mondiale, ma anche le disparità e la “cultura dello scarto”; che l’attenzione per i poveri non è un’opzione politica o ideologica, ma anzitutto un criterio del Vangelo, il protocollo sulla base del quale i cristiani e gli uomini di buona volontà saranno giudicati; che la Chiesa non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, che rende impermeabili al grido dei poveri».

DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI 
Ma a fianco di questi grandi appelli, il Papa richiama due criteri che la Chiesa oggi considera alla base degli ordinamenti socio-economici e politici: «Da un lato il principio della destinazione universale dei beni – sottolinea l’editorialista de La Stampa – dall’altro la scelta preferenziale dei poveri. Nel primo caso il principio sancisce che i beni della terra sono un dono che Dio ha elargito all’intera famiglia umana, per cui devono essere partecipati da tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità; ma che si regge anche su una precisa ragione sociale, tesa a ridurre gli squilibri tipici di un sistema capitalistico che enfatizza eccessivamente il diritto di proprietà e la legge del più forte».

SCELTA PREFERENZIALE DEI POVERI
Anche «la scelta preferenziale dei poveri» – ricorda papa Francesco – è un leit-motiv della tradizione e del magistero della Chiesa cattolica, forse oggi un po’ passato sotto silenzio per il timore che il messaggio cristiano venga interpretato più in chiave orizzontale che verticale, più come salvezza sociale che spirituale. Con la scelta preferenziale dei poveri la Chiesa non intende favorire un processo di pura liberazione sociale. Ma non può che stare dalla parte degli ultimi, sia per essere fedele al suo messaggio, sia riconoscendo che l’estensione dei diritti di cittadinanza rende più civile e armonica l’intera umanità».

IL CUORE DEL VANGELO
Il sito web belga in lingua fiamminga deredactie.be pubblicò lo scorso 4 aprile un video in cui Francesco ribadiva una linea netta sulle povertà: «Questo è il cuore del Vangelo, io sono credente in Dio e in Gesù Cristo, per me il cuore del Vangelo è nei poveri. Ho sentito due mesi fa che una persona ha detto: con questo parlare dei poveri, questo Papa è un comunista! No, questa è una bandiera del Vangelo, no del comunismo…la povertà senza ideologia, i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù, basta leggerlo» (Il Messaggero, 4 aprile).

CASA, TETTO, LAVORO
Così come il passaggio più incisivo del suo discorso nell’incontro mondiale dei movimenti popolari tanto criticato da Socci: «E’ un crimine che milioni di persone soffrano la fame – disse il pontefice – mentre la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti, trattandoli come qualsiasi altra merce. Nessuna famiglia senza tetto. Nessun contadino senza la terra. Nessun lavoratore senza diritti. Nessuna persona senza la dignità del lavoro» (Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre). Il suo, dunque, è «un programma di azione sociale» in senso buono, come lo definiva Giorgio Bernardelli su Vinonuovo.it (31 ottobre 2014).

IL RISCATTO DEI MENO ABBIENTI
Un programma orientato al riscatto dei poveri e non al loro mero compatimento. «La novità del tempo di oggi e di domani sta, secondo papa Francesco – scriveva Città Nuova (31 ottobre), riprendendo alcune espressione di Bergoglio – sta nel fatto “che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste tra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato o quantomeno ha molta voglia di dimenticare”».

UNA SOLIDARIETA’ CREATIVA 
Sicuramente il papa, concludeva la rivista dei Focolarini, sgombrando il campo dalle accuse di “comunismo” e “pauperismo”, «ha davanti ai suoi occhi la comunità di malati, poveri, storpi, ciechi, che cerca Gesù per avere forza, stare in piedi, imparare i gesti e le parole di una solidarietà creativa, che mette i poveri al centro. Il papa – ispirato da quella visione – può dire che il futuro sta in questo nuovo protagonismo dei poveri, che sono chiamati a fare la storia, prima che l’impero del denaro possa travolgere il mondo con la guerra e con lo sfruttamento».

sources: ALETEIA



piccola rom: non c’è posto per lei nel cimitero

 

 

«tombe esaurite» per la piccola rom
il sindaco: “viene prima chi paga tasse”

per fortuna il primo ministro si è vergognato e ha espresso la sua indignazione!

Maria Francesca, 2 mesi, è morta la notte di Natale per la sindrome del lattante

 il primo cittadino nega sepoltura: «Pochi posti, precedenze chiare»: seppellita in città vicina

di Elisabetta Rosaspina

Il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi&amp;amp;amp;amp;lt;img alt=”Il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi” title=”Il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi” src=”/methode_image/2015/01/03/Esteri/Foto%20Esteri%20-%20Trattate/cimiterobis-k19G-U43050821682988wdH-593×443@Corriere-Web-Sezioni.jpg?v=20150103170609″/&amp;amp;amp;amp;gt;iil il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi


Era già stato abbastanza triste finire l’anno con la notizia di una neonata morta fra le braccia di sua madre la notte del 25 dicembre, alla stazione ferroviaria di Lille, nel nord della Francia, dove la donna, una Rom, chiedeva l’elemosina. Aveva consolato poco sapere che il decesso della piccola, di appena due mesi d’età e di nome Maria Francesca, non era dovuto al freddo, o alla malnutrizione o a maltrattamenti. I medici avevano stabilito che la responsabilità era della sindrome della morte improvvisa del lattante. Certo la precarietà della vita nel campo nomadi di Champlan, un paesino dell’Essonne, dove la famiglia di Maria Francesca risiede, le giornate e le serate al collo della mamma, a mendicare, non hanno aiutato. Ma stemperati i dubbi e le prime ondate di emozione, le autorità hanno dato il via libera per la sepoltura del bebè. Ma neanche sotto terra c’è posto per Maria Francesca.

«Tutto esaurito» al camposanto

Il sindaco di Champlan ha opposto all’impresa di pompe funebri dapprima un diniego senza altre spiegazioni e, poi, vedendo montare pericolosamente la protesta, un cartello di tutto esaurito al piccolo camposanto. Una scusa. La famiglia, nomade ed emarginata ma anche molto cristiana e battagliera, non si è data per vinta, le associazioni di solidarietà sono scese sul piede di guerra. Niente da fare. Nonostante la mamma di Maria Francesca abbia spiegato che soltanto al cimitero di Champlan avrebbe potuto andare far visita a piedi alla sua bambina tutti i giorni, il carro funebre proseguirà senza fermarsi davanti al camposanto locale.


Una tomba messa a disposizione da un villaggio vicino

Una tomba è stata messa a disposizione in un villaggio, Wissous, a circa sette chilometri di distanza: «Non si poteva non intervenire – ha dichiarato il sindaco più generoso, Richard Trinquier, che appartiene al partito conservatore, Ump, di Sarkozy, ed è un medico -. Non è il caso di aggravare il dolore di una donna che ha portato in grembo il suo bambino per nove mesi e lo perde a poco più di due mesi di vita». Il sindaco di Champlan, Christian Leclerc, eletto del DVD, una formazione di destra, non si è lasciato commuovere: «I posti sono pochi, valutiamo caso per caso. Le concessioni sono accordate a un prezzo simbolico e la manutenzione è costosa. Diamo la precedenza a chi paga le tasse». La legge è dalla sua.




il vangelo della domenica letto da tre angolature diverse

 



Gv 1,6-8.19-28

Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».  Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

IN MEZZO A VOI STA UNO CHE VOI NON CONOSCETE 

commento al Vangelo della terza domenica di avvento (14 dicembre) di p. Alberto Maggi 

maggi


“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Con questa bella immagine tratta dal prologo del Vangelo di Giovanni, si apre il vangelo di questa domenica. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo il Signore sceglie un uomo per manifestarlo. Non un esponente della casta sacerdotale, né dell’élite religiosa.
Luoghi e persone religiose sono impermeabili all’azione dello Spirito. Il suo nome era Giovanni. Giovanni, in ebraico Yohan, significa Jahvè, il Signore è misericordia. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti … il messaggio di Dio è universale, abbraccia tutta l’umanità … credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.  
Il compito di Giovanni è risvegliare negli uomini il desiderio di pienezza di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce, nonostante le tenebre.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei … per la prima volta appare in questo vangelo il termine Giudei che sarà ripetuto ben 71 volte, con il quale l’evangelista non indica il popolo ebraico, ma i capi, le massime autorità religiose. Gli inviarono … E qui l’evangelista gioca con questo verbo. Dio invia Giovanni per risvegliare il desiderio di pienezza di luce, le autorità religiose immediatamente inviano la polizia per spegnere questa luce.
Da Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa, sacerdoti e levìti. I levìti nel tempio svolgevano anche funzioni di polizia. Quindi ci sono i sacerdoti per interrogare Giovanni e i levìti pronti ad arrestarlo. A interrogarlo, è lo stesso termine che poi comparirà nell’interrogatorio che condurrà a morte Gesù.
E in maniera brutale gli chiedono: “Tu chi sei?” sono le tenebre che detestano questa luce che Giovanni sta risvegliando. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. E’ quello che temono. Si sapeva che il Cristo, il messia sarebbe venuto a deporre l’intera gerarchia religiosa per indegnità, per corruzione. Ed è quello che temono.
Se anche nelle preghiere desideravano, auspicavano l’avvento del messia, in realtà lo temevano perché sapevano che con il messia per loro sarebbe stata la fine; il messia avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso. Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?” Si credeva che il profeta Elia sarebbe venuto prima del messia. “Non lo sono”.
Le risposte di Giovanni sono via via sempre più brevi e più secche. “Sei tu il profeta?” quello promesso da Mosè, “No”, rispose. Gli dissero allora: “Chi sei?” E’ interessante, Dio invia il suo messaggero, ma i sacerdoti e i levìti che dovevano per primi riconoscerlo, non lo conoscono. Gli chiedono “chi sei?”
“Perché possiamo dare una risposta a coloro”, cioè i capi “che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Tutto questo perché per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato legittimato da parte delle autorità competenti. Rispose: “Io, voce di uno che grida dal deserto”, e qui l’evangelista cita il profeta Isaia, ma omette il verbo “preparare” inserendo solo “raddrizzare”.
“Rendete dritta la via del Signore”, cioè togliete gli ostacoli. Sono proprio le autorità religiose il massimo ostacolo alla venuta di Gesù, alla sua azione e al suo insegnamento. Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Meglio tradurre: c’erano gli inviati dai farisei. Per la prima volta appaiono in questo vangelo i farisei e l’ultima volta che compariranno sarà al momento dell’arresto di Gesù.
Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto osservanti della legge, sono refrattarie all’azione divina, non riconoscono l’inviato da Dio né in Giovanni, né il figlio di Dio in Gesù, e saranno acerrimi avversari del progetto di Dio sull’umanità.
Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi”, se Giovanni battezza c’è qualcuno che lo ha riconosciuto come inviato da Dio, ma non sono le autorità religiose, bensì il popolo. “Se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Ed ecco la risposta, la denuncia di Giovanni. Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, non lo conoscono e mai conosceranno il  Cristo. Chi vive un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge non potrà mai percepire la presenza di un Dio creatore che si manifesta nella vita. O l’osservanza della legge o l’accoglienza di quello che la vita presenta.
“Colui che viene dopo di me: a lui in non sono degno di slegare il laccio del sandalo.” Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, e il passaggio del fiume da parte di Giosuè per entrare nella terra promessa, ma ora la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte dalla quale il popolo dovrà uscire, e questa sarà la missione di Gesù.

 

VOCE DI UNO …

 

il commento di p. Castillo:

Castillo


 1. In questo racconto è chiaro che l’insegnamento e la testimonianza di Giovanni non coincidevano con quello che insegnavano e desideravano gli uomini  della religione. Sappiamo che Giovanni Battista era figlio di un sacerdote, Zaccaria (Lc 1, 5-25). E sappiamo anche che sua madre Elisabetta era della  famiglia di Aronne (Lc 1,5b), la più importante della famiglie sacerdotali di Israele. La cosa più logica è che Giovanni fosse andato al Tempio per continuare  la vocazione di quella famiglia. Invece no. Giovanni Battista è andato nel deserto e lì è vissuto come un asceta, forse tra i monaci o con gli esseni.  Di fatto, in questo modo il Precursore di Gesù ha annunciato una salvezza che non veniva dal Tempio, né dal clero, né dal sacro, né dalla religione consolidata.
Per questo Giovanni destò negli uomini della religione un allarme importante. Ed inviarono sacerdoti, leviti e farisei ad interrogare Giovanni. Volevano  sapere chi fosse quello strano predicatore che annunciava una nuova luce, al di là del Giordano, fuori della città santa, del territorio della religione  ufficiale, che non tollera che si annunci una luce al di fuori di lei.
2. Giovanni non accetta alcun titolo. Si vedeva come un “nessuno” (E. Galeano). Giovanni pensava che era solo una voce che grida nel deserto. Non si tratta  di umiltà. La chiave sta nel fatto che solo nello spogliarsi di ogni pretesa uno può essere testimone autorizzato della Luce, che è Gesù.
3. Giovanni è stato una voce, ascoltata ed accolta da alcuni, “i pubblicani e le prostitute” (Mt 21,32) e rifiutata da altri, i “sacerdoti e gli anziani”  (Mt 21,32. Cf. Mt 21,23). I “nessuno” ascoltano ed accolgono la voce del Signore. I “titolati” la rifiutano. Il Vangelo sconvolge le nostre sicurezze ed  il nostro “ordine”. Gesù (che era annunciato da Giovanni) era il chaos, di fronte al cosmos. Il nostro falso “ordine” trova una soluzione mediante il “disordine”  che è il Vangelo.

MA TU CHI SEI?

il commento di p. Agostino Rota Martir a partire dalla condivisione della sua vita coi rom di Coltano (Pisa)

agostino

Se sono dei bambini a chiedertelo, la cosa e’ del tutto legittima ed innocua: curiosità, interesse..ma se sono i “grandi” (sacerdoti e leviti) a interrogarsi sulla tua identità, la cosa è più preoccupante e presenta dei possibili rischi.

Noi grandi in genere, vogliamo identità chiare e sicure, ben definite e consolidate, possibilmente confermate e verificate da chi sta in alto. Non ci piacciono tanto quelle “fluide”, mischiate, non del tutto controllabili dai centri preposti. Figurarsi poi se qualcuno dal deserto, richiama così tanta gente, addirittura dalla città Santa, Gerusalemme. Sospetto misto a invidia?

“Tu, chi sei?” Glielo ripetono una seconda volta. E’ comprensibile d’altronde il deserto e’ uno dei luoghi sospetti e chi ci vive segue la stessa sorte. Come la Galilea delle genti, toccherà anche a Gesù attraversare lo stesso sospetto e diffidenza. È il destino delle periferie, di ieri e di oggi, quello di contagiare senza appello chi ne fa parte fisicamente. La diffidenza accompagnerà ovunque e chiunque viene da una delle periferie. Ne sanno qualcosa i Rom che abitano nei campi, ma anche chi ci vive dentro (come il sottoscritto) o chi li frequenta: “poco credibili” agli occhi della maggioranza e dei palazzi.

Troppo di parte, compromessi o esagerati.

“Che cosa dici di te stesso?”

È un interrogatorio vero e proprio!

Difficile credere che chi vive in periferia, possa dire cose utili e vere anche per chi sa di essere a posto, cittadino esemplare e buon credente.

In genere parlano altri, chi ha i requisiti in ordine, chi ha l’incarico ufficiale di assistere e decidere sulla vita degli altri, possibilmente accettando in silenzio le condizioni imposte da chi gestisce la vita altrui: identità sospette, da decifrare, catalogare e rimettere nella normalità..rieducare.

 

“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce..”

Testimone, e’ un compito che Giovanni certo non se lo e’ dato da sé. È la vita che modella il testimone, in un certo senso lo incorona tale..perché lui e non un dottore della legge, teologicamente ben più preparato del Battista? Perché proprio un deserto e non il Tempio, orgoglio di Israele?

Senza periferia il mondo, la Chiesa stessa perderebbe la possibilità di veder fiorire i suoi testimoni-profeti. In un certo senso i “deserti” sono il grembo fecondo, nel quale Dio non si stanca mai di seminare la sua Luce per guidare l”intera umanità.

Al testimone, Dio chiede la fedeltà alla vita che ha tra le mani, la costanza della ricerca e di non spegnere mai la luce della fede, anche nelle prove che dovrà attraversare..senz’altro gli perdonerà le sue imperfezioni teologiche e pastorali: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”.

 

Ecco, siamo un po’ tutti chiamati a lasciarci “battezzare” dalle nostre periferie e dai nostri deserti.

 

Campo Rom di Coltano (PI)

11 dic. 2014

 

 


 




delusione!

 

Che delusione Papa Francesco che si piega ai diktat di Pechino


di Alberto Maggi

Papa Francesco è amato da tutti, o quasi. Non ci sono dubbi sulla sua carica umana e spirituale e sulla sua capacità di ridare alla Chiesa nuovo lustro, anche e soprattutto con le aperture nei confronti dei divorziati. Ma la scelta del Santa Padre di non incontrare il Dalai Lama, in visita a Roma, lascia l’amaro in bocca. Che non lo abbia incontrato Obama, sempre meno meritevole del Nobel per la pace, si può anche capire (la Cina ha in mano il debito pubblico degli Stati Uniti), ma che anche il Pontefice si adegui alla realpolitik e, di fatto, si inginocchi al volere del regime di Pechino lascia quantomeno sgomenti. Da questo Papa, ecumenico e rivoluzionario, ci saremmo aspettati più coraggio. E più indipendenza. E forse anche più autorevolezza. E per favore il Vaticano non ci racconti la storiella che non è stato possibile organizzare un faccia a faccia anche di soli 10 minuti. Un incontro e una stretta di mano sarebbero stati gesti importantissimi per chi difende i diritti umani, in Tibet e non solo. E invece niente. Che delusione caro Francesco…