la vita: un grande dono; il rito: la sua celebrazione

 

la vita:un’avventura meravigliosa

tutto inizia da qui: la nascita

 

nascita1

benvenuto nel nostro mondo!

 

benvenuto fra di noi a fare più bella

   questa nostra famiglia umana !

 

TI FACCIAMO FIN DA ORA GLI AUGURI PIU’ BELLI PERCHE’ TU POSSA TROVARTI BENE TRA DI NOI

TI AUGURIAMO DI POTER CRESCERE NEL CORPO, NELL’ANIMO E NEL CUORE FINO A ADARE IL MEGLIO DI TE

LA VITA TI REGALA FIN DA ORA TANTI DONI CHE ORA SONO PICCOLISSIMI DENTRO DI TE COME DEI PICCOLI SEMINI CHE ATTENDONO DI SVILUPPARSI E CRESCERE PER DARE TUTTI I LORO FRUTTI

CON L’AIUTO DEI TUOI GENITORI MA ANCHE DI TUTTE LE TUE AMICHE E AMICI POTRAI IMPEGNARTI IN QUESTA AVVENTURA CHE SARA’ BELLISIMA SE CI METTERAI TUTTO IL TUO IMPEGNO

 

 

nascita2

 

buona crescita!
nascita

 

 

 

festa di compleanno

compl

 

 

 

TANTI AUGURI A TE

  TANTI AUGURI FELICI

   TANTI AUGURI A TE!

 

hb1

 

“ti vogliamo bene”

ti vogliamo bene

 

 

 

 

 

 

te lo diciamo anche con la musica e il canto

 

 

 

 

 

auguri

 

 

tanti tanti di questi auguri, tanti tanti di questi anni!

infatti uno dopo l’altro passano i nostri anni tutti preziosi per fare le esperienze più belle e rendere sempre più bella e ricca di talenti la nostra vita

e gli anni passano a volte lenti come una lumachina, a volte veloci come un treno per darci l’opportunità di crescere: si nasce e si vive per crescere

 

LA VITA E’ IL LUOGO DELLA CRESCITA

  CRESCE IL CORPO MA DEVE

   CRESCERE ANCHE LA MENTE

 

 

 

 

 

 

 

panino

 

 

 

il corpo cresce mangiando tanto

la mente cresce frequentando la scuola:

elem

dalla scuola elementare che stai frequentando fatta apposta per quelli piccoli come te

 

elem2

 

 

 

 

 

 

alla scuola media per quelli più cresciuti
media1

 

 

 

 

 fino alla scuola superiore per quelli che sono ormai quasi pronti per dare il meglio di sé nella vita

super1

 

 

 

 

 

a questo punto si diventa capaci di dare il meglio di noi avendo fatto tante esperienze e avendo imparato tante cose

siamo capaci di lavorare per fare più bello il nostro mondo e dare tutto il nostro apporto

 

pc

  negli uffici 

 

 

 

 

 

o nell’agricoltura

natura

 

 

 

 

o in fabbrica

 

fabbrica

 

 

 

 

cioè dove uno si sente meglio  portato per dare il proprio contributo per fare più bello il nostro mondo

 

matrimonio

 

 

si forma anche una famiglia per vivere con la persona a cui vogliamo più bene tutto il nostro amore

 

perché l’amore è bello 

è la cosa più bella del mondo

matrimonio1

 

 

 

 

è bello dire alla persona del nostro cuore: “sei la cosa più importante per me! ti voglio donare tutta la mia vita!”

 

matrim2

 come nel terreno buono i semini nascono e crescono fino a dare i loro frutti migliori, così nell’amore nascono i figli e crescono per fare più bello il nostro mondo

 

 

ma gli anni passano, corrono, sembrano sfrecciare come treni

 e si diventa vecchietti, malati, bisognosi di assistenza e cure

 

vecch1

 

 

 

 

 

la vita rallenta perché ha dato già il meglio di sé e guarda in dietro in modo riflessivo per valutare quello che abbiamo fatto, come lo abbiamo fatto e quello che avremmo potuto fare

si comincia a fare un bilancio della vita

si dice in modo più consapevole il nostro grazie alla vita che ci ha dato tante opportunità  per gioire, amare, donare noi stessi per fare più bella la vite degli altri

vecch2

 

 

 

 

  e pian piano ci prepariamo quindi a dare con grande serenità il nostro saluto definitivo alla vita col cuore colmo di gioia proprio di colui che sa di avere ricevuto tanto e di avere dato tanto ed è sazio di tutti i bei giorni che ha vissuto

 

 

 

    osp lucca

 

 

 l’ospedale è il luogo dove curiamo le nostre malattie e torniamo guariti a continuare la nostra avventura

ma è anche il luogo dove, dopo aver consumato e vissuto tutti i nostri giorni, chiudiamo definitivamente i nostri occhi per affidarci e rituffarci nel mistero della vita da cui veniamo

 

 la vita quindi è

cammino,

avventura,

crescita:

fisica

intellettuale

affettiva

psicologica

morale

spirituale

la vita è occasione per:

amare
gioire
far festa
aprirci agli altri
dare il meglio di noi
imparare dagli altri
imparare dagli sbagli

la nostra vita sarà quello che noi vorremmo farne

può diventare il nostro capolavoro!

che cosa c’entra in tutto questo  con la prima comunione alla quale ci vogliamo preparare?

il ‘rito’ è la ‘celebrazione’ della vita e dei suoi momenti più significativi

 

nato

 

 

 

 

la nascita viene celebrata con il rito del battesimo

 

battesimo

 

 

 

 

nel battesimo presentiamo il bambino a Dio:

  • per ringraziarlo del dono grande che lui ha fatto ai genitori e a noi tutti perché un bambino o una bambina che nasce è un regalo grande che fa più bello il mondo di tutti
  • perché lo benedica riempiendolo di tutti i suoi doni
  • perché con l’aiuto di Dio cresca nell’animo e sviluppi al meglio i doni di Dio

cresimA

 

 

 

 

la crescita fisica e soprattutto la crescita spirituale del bambino viene celebrata col sacramento della cresima

 

la cresima che il bambino cresciuto riceve rende evidente attraverso il rito che comincia ad essere capace di testimoniare la sua fede e il suo amore a Dio con una vita di apertura del suo cuore agli altri, in particolare ai più bisognosi

 

 

comunione

 

 

 

come per crescere nel corpo abbiamo bisogno di mangiare, così per crescere nell’animo abbiamo necessità di alimentarsi

se una persona non mangia muore, se non alimento il mio animo il mio animo muore

prima com

 

 

 

 

 

per questo Gesù ci da un pane tutto particolare che alimenta e rende sempre più robusta la nostra vita spirituale

ci alimentiamo con questo pane col rito della prima comunione

si dice prima comunione perché dopo la prima c’è la seconda, poi la terza …

abbiamo sempre bisogno di questo pane che riceviamo nel rito o sacramento dell’eucarestia

CONFESSIONE

 

 

 

nella vita a volte succede che non ci comportiamo bene con i nostri amici e ci scappa una parola poco bella verso di loro recando loro offesa

o succede che sentiamo di non essere stati gentili e rispettosi verso i genitori facendo di testa nostra trascurando i loro consigli e suggerimenti

o sentiamo di non impegnarci bene nello studio perché preferiamo giocare e divertirci …

in questi casi sentiamo di dover chiedere scusa e perdono ai nostri amici, ai genitori e anche a Dio perché trascuriamo di far tesoro dei suoi doni: i cristiani chiedono scusa e perdono nel rito pubblico della confessione nel quale ci impegniamo advessere più buoni

CONFESSIONE1

 

 

 

chiedendo il perdono ritorniamo più amici di prima con tutti

 

MATRIM

 

 

 

il cristiano sente che i sentimenti più belli che vive nel suo cuore per la persona che ama sono il più grande dono di Dio per cui sente il bisogni di dire davanti a tutti a Dio il suo grazie più commosso

la fa in Chiesa davanti a tutta ala comunità cristiana col rito o sacramento del matrimonio perché Dio benedica questo amore e per chiedere a lui che questo grande amore non finisca mai

 

 

MATRIMONIO

 

 

 

 

 

l’amore è una cosa così grande e così bella che merita di essere celebrata con la festa più grande e più bella

MATRMO

 

 

 

 

 

non tute le persone si sposano:

  • ci sono delle persone che non sono interessate a sposarsi
  • ci sono delle persone che non si sposano perché non hanno trovato la persona giusta con cui condividere la vita
  • ci sono persone che si lasciano prendere e riempire il cuore in modo così totale e forte da alcuni valori della vita – come l’arte o la scienza o altre cose – che sentono che nel loro cuore non ci sta altro, non c’è posto per amare un’altra persona e sono contente così
  • ci sono persone che sentono che la cosa più bella del mondo, cioè l’amore, si può vivere anche in una forma più aperta e integrale impegnando tutta ala sua vita a servizio della comunità umana e cristiana, soprattutto dei più bisognosi

CONSACRAZ

 

 

 

il dedicare la vita intera a servizio della comunità cristiana avviene in modo pubblico con il rito dell’ordine sacro o sacerdozio

 

 

CONSACRAZIONE

 

in questa maniera il sacerdote rende evidente alla comunità e a Dio che da ora in avanti  i suoi bisogni, le sue esigenze, le sue necessità, il suo bene sono subordinati o meglio vengono dopo i bisogni, le esigenze, le necessità e il bene della comunità: in questa maniera esprime la sua sottomissione alla gioia e al bene degli altri

 

voti frati

 

 

 

 

i religiosi, cioè i frati e le suore, lo dicono consacrando la vita per questi ideali attraverso i tre voti, cioè le tre promesse pubbliche: obbedienza, povertà, castità

voti suore

 

 

 

 

 

unzione malati

 

 

 

la vita è un grande dono di Dio, ma è molto fragile, soggetto a malattie

 

il cristiano sa che è importante vivere anche la malattia alla luce della fede, non nel senso che le malattie ce le manda il Signore – come molti credono – perché ci siamo comportati male (Dio non fa queste cattiverie!), ma nel senso che la fragilità, la debolezza e la malattia fanno parte della nostra vita e come col rito celebriamo la vita così col rito celebriamo anche la malattia

unzione malati1

 

la malattia la celebriamo col rito o sacramento della unzione degli infermi

con questa unzione chiediamo al Signore che ci dia la forza di vivere con coraggio e serenità la nostra malattia in attesa di tornare più sani alle nostre attività quotidiane

unzione

 

 

 

 

non solo l’amore, la gioia, la salute fanno parte della vita

anche la morte fa parte della vita: il cristiano celebra la morte

con il funerale cristiano
funerale

 

 

 

 

 

fune

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

le parole feroci di Salvini contro i rom

la politica della ferocia

a proposito di ‘radere al suolo i campi rom’

di Michele Serra
in “la Repubblica” del 9 aprile 2015

Serra

È sperabile e forse probabile che Matteo Salvini, quando dice che bisognerebbe “radere al suolo i campi Rom”, abbia in mente qualcosa di meno insolente e meno violento. Per esempio che, con congruo preavviso, quei campi andrebbero sgomberati. Perché allora, Salvini dice proprio “raderli al suolo”? Lo dice perché è al tempo stesso artefice e vittima di uno dei più funesti equivoci della scena politica italiana degli ultimi anni. L’idea che il “parlare come si mangia” sia un decisivo passo avanti; mentre è un penoso, umiliante passo indietro. La politica è — da sempre — il tentativo di dare una forma, anche verbale, alle pulsioni di massa. Di renderle, diciamo così, presentabili in pubblico, e non per il piacere privato di quattro intellettuali, ma per dare una voce più intellegibile e dunque più autorevole soprattutto a chi voce non ha. Che quella dei campi rom sia una questione sociale rilevante, e lo sia tanto per i rom quanto per chi con quei campi convive, è perfettamente vero. Ma nemmeno il più ottuso e infelice dei politici, a meno che sia un nazista (e Salvini non lo è)

salvini

può dire pubblicamente che quei campi vanno “rasi al suolo” senza attirarsi la dura critica e lo spregio di chi (per esempio la Caritas) la politica la fa sul campo. La fa nelle strade e nelle case, nelle periferie e nei campi nomadi, non nei “salotti del centro” tanto invisi a Salvini: e proprio per questo conosce le difficoltà, la fatica, la povertà, il degrado, le paure, il dolore umano, insomma la maledetta complicazione del problema. E detesta le semplificazioni becere, quelle scodellate in tivù per cercare l’applauso facile. L’urlaccio, il grido minaccioso, il borborigmo che non trova sbocchi non sono politica. Sono, della politica, un ingrediente bruto che chi fa politica ha il dovere di elaborare. Ignorare quegli ingredienti per non sporcarsi le mani è un vizio grave. Ma ficcarcele dentro, le mani, estraendone i peggiori effluvi e le più dolenti frattaglie come trofei, è il vizio opposto. In questo vizio sguazza, fino dalle sue origini, la Lega, che della sua matrice “popolana” si fa un vanto. Non rendendosi conto che il politicamente scorretto, per quanto lucroso (a tratti) e per quanto di facilissimo conio, ha il difetto strutturale di non riuscire a risolvere neanche mezzo problema. Se il politicamente corretto è spesso ipocrita, il politicamente scorretto è sempre impotente, rabbia da parata, smargiassata mediatica, niente che odori di soluzione anche parziale, anche imperfetta dei problemi. Niente che possa diventare governo, egemonia culturale, nuova identità condivisa e operativa. Se non si è Hitler o Tamerlano il politicamente scorretto, la minaccia feroce, le soluzioni finali sono solamente il segno della più fragorosa inettitudine. A questo danno interno, il politicamente scorretto aggiunge i danni inflitti, suo malgrado, alla comunità intera. Come un contagio. La dequalificazione del linguaggio politico, la sua capillare corrosione fa male a tutti indistintamente. Contamina, indebolisce, danneggia, peggiora, incanaglisce: diventa parte integrante del discredito della politica e della classe dirigente. Un personaggio come Razzi, oggi considerato una amabile macchietta, fino a non troppi anni fa sarebbe stato visto come una figura scandalosa o un caso umano da soccorrere. Quando ci si abitua a sdoganare l’insolenza, l’aggressività e l’ignoranza come ragioni identitarie, niente può più sbalordire e niente può più indignare. Fino a vent’anni fa a dire che bisogna “radere al suolo” i campi rom era qualche personaggio da bar. Nei bar si diceva (e si dice) anche molto peggio. Ma trasformare la polis in un bar vuol dire non avere alcun rispetto né della polis, né del bar.

il cardinale Vegliò le ha definite ‘parole stupide non meritevoli di commento’, il grande Vauro le ha commentate così:

Salvini e i rom

un venerdì santo accanto a tutti i perseguitati

«ti preghiamo per i cristiani perseguitati»

nella sua predica davanti al Papa, in San Pietro durante la celebrazione della Passione del Signore, padre Raniero Cantalamessa ha ricordato i cristiani perseguitati in tante parti del mondo. Coloro che sono capaci anche di affrontare la morte pur di segure Gesù

Nei loro confronti “rischiamo di essere tutti, istituzioni e persone del mondo occidentale, dei Pilati che si lavano le mani – ha detto il predicatore pontificio -. I cristiani non sono certamente le sole vittime della violenza omicida che c’è nel mondo, ma non si può ignorare che in molti paesi essi sono le vittime designate e più frequenti”. E ha ricordato anche i 147 studenti cristiani uccisi dagli jihadisti ieri in Kenya.

“Un vescovo del III secolo, Dionigi di Alessandria, ci ha lasciato la testimonianza di una Pasqua celebrata dai cristiani durante la feroce persecuzione dell’imperatore romano Decio: ‘Ci esiliarono e, soli fra tutti, fummo perseguitati e messi a morte. Ma anche allora abbiamo celebrato la Pasqua. Ogni luogo dove si pativa divenne per noi un posto per celebrare la festa: fosse un campo, un deserto, una nave, una locanda, una prigione. I martiri perfetti celebrarono la più splendida delle feste pasquali, essendo ammessi al festino celeste’. Sarà così per molti cristiani anche la Pasqua di questo anno, il 2015 dopo Cristo”.

“A noi, però – ha proseguito il cappuccino – in questo giorno non è consentito fare alcuna denuncia. Tradiremmo il mistero che stiamo celebrando. Gesú morì gridando: ‘Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno’. I veri martiri di Cristo non muoiono con i pugni chiusi, ma con le mani giunte. Ne abbiamo avuto tanti esempi recenti. È Lui che ai 21 cristiani copti uccisi dall’Isis in Libia il 22 Febbraio scorso, ha dato la forza di morire sotto i colpi, mormorando il nome di Gesú”.

“E anche noi – ha detto Cantalamessa – preghiamo: Signore Gesù Cristo, ti preghiamo per i nostri fratelli di fede perseguitati, e per tutti gli Ecce homo che ci sono, in questo momento, sulla faccia della terra, cristiani e non cristiani. Maria, sotto la croce tu ti sei unita al Figlio e hai mormorato dietro di lui: ‘Padre, perdona loro!’: aiutaci a vincere il male con il bene, non solo sullo scenario grande del mondo, ma anche nella vita quotidiana, dentro le stesse mura di casa nostra. Tu, che, “soffrendo col Figlio tuo morente sulla croce, hai cooperato in modo tutto speciale all’opera del Salvatore con l’obbedienza, la fede, la speranza e l’ardente carità”[8], ispira agli uomini e alle donne del nostro tempo pensieri di pace, di misericordia. E di perdono. Così sia”.

il commento al vangelo di pasqua

 

 EGLI DOVEVA RISUSCITARE DAI MORTI

commento al Vangelo di Pasqua (5 aprile 2015) di p. Alberto Maggi 

p. Maggi

Gv 20,1-9

 

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.
Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!».
Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò.
Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte.
Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti.

Se Maria di Magdala si fosse recata al sepolcro un giorno prima, avremmo celebrato la Pasqua un giorno prima. Scrive Giovanni nel capitolo  20: “Il primo giorno della settimana”, letteralmente  “nel primo dopo il sabato”, “Maria di Magdala si recò al sepolcro”. Perché  Maria di Magdala non si è recata al sepolcro subito dopo la sepoltura di Gesù, ma ha atteso  il primo giorno dopo il sabato?
Perché è ancora condizionata dall’osservanza della legge, il riposo del sabato.  E quindi l’osservanza della legge ha impedito di sperimentare subito la potenza della vita che c’era in Gesù, una vita capace di superare la morte.
L’evangelista, attraverso questa indicazione, vuole  segnalare ai suoi lettori che l’osservanza della legge ritarda l’esperienza della nuova creazione che viene inaugurata da Gesù. L’espressione  “il primo giorno della settimana richiama infatti il primo giorno della  creazione, in Gesù c’è la nuova creazione, quella che veramente  è creata da Dio e come tale non conosce la morte, non conosce la fine.
 
Ma la comunità, rappresentata da Maria di Magdala,  ancora è condizionata dall’osservanza della legge,. Questo ritarda l’esperienza  della risurrezione. “Si reca al sepolcro di mattino quando era ancora buio”. Le tenebre  sono  immagine dell’incomprensione della comunità che ancora non ha compreso Gesù che si è definito “luce del mondo”, il suo messaggio, la sua verità.
“E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro”. Ebbene la prima reazione di Maria di Magdala è correre da Simon Pietro e dall’altro discepolo.
Gesù aveva detto: “Viene l’ora in cui vi disperderete ciascuno per conto suo”. Ebbene  l’evangelista attribuisce a questa donna , Maria di Magdala, il ruolo del pastore che raduna  le pecore che si erano disperse.
E annuncia loro: “«Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto»”. Non parla di un corpo, ma parla del Signore, quindi c’è già l’allusione che è vivo questo Gesù. Ebbene cosa fanno Pietro e l’altro discepolo? “Si recano al sepolcro”.L’unico posto dove non dovevano andare. Nel vangelo  di Luca sarà espresso molto chiaramente dagli uomini  che frenano le donne che vanno al sepolcro, “Perchè cercate tra i morti colui che è vivo?”
Pietro e l’altro discepolo vanno in cerca del Signore nell’unico posto dove lui non c’è, cioè nel luogo della morte. Come Maria , per l’osservanza del sabato ha ritardato l’esperienza di una vita più forte della morte, perché Gesù non può essere trattenuto nel sepolcro, luogo di morte – lui è il vivente – così i discepoli  vanno al sepolcro, l’unico posto dove non si può trovare Gesù.
Se si piange la persona come morta, cioè se ci si rivolge al sepolcro, non la si può sperimentare viva e vivificante nella propria esistenza.  Entrambi i discepoli corrono, giunge prima il discepolo amato , quello che ha l’esperienza dell’amore di Gesù. Pietro, che ha rifiutato di farsi lavare i piedi e quindi non ha voluto accettare l’amore  che Gesù ha espresso nel servizio,  arriva più tardi.
Ma l’altro discepolo si ferma e permette che sia Pietro il primo  ad entrare. Perché? E’ importante che il discepolo che ha tradito Gesù e per il quale la morte è la fine di tutto – e questo era il motivo del tradimento – faccia per primo l’esperienza  della vita.
E poi entra anche l’altro discepolo. “Vide e credete”. Ma il monito fondamentale dell’evangelista , “non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. La preoccupazione di Giovanni è che si possa credere  alla  risurrezione di Gesù solo vedendo i segni  della sua vittoria sulla morte. No!
La risurrezione di Gesù non è un privilegio concesso  a qualche personaggio duemila anni fa, ma una possibilità per tutti i credenti. Come? Lo dice l’evangelista. “Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”. L’accoglienza della scrittura, la parola del Signore,  nel discepolo, la radicalizzazione  di questo messaggio nella sua vita, la sua trasformazione, permettono al discepolo  di avere una vita di una qualità tale  che gli fa poi sperimentare il risorto nella sua  esistenza.
Non si crede che Gesù è risorto perché c’è un sepolcro vuoto, ma soltanto  se lo si incontra vivo e vivificante  nella propria vita.

 

 

 

la violenza della religione in nome di Dio

UCCIDERE IN NOME DI DIO

conferenza di  Alberto Maggi in Ronzano (Bologna) il 15 febbraio 2015

p. Maggi

Metto subito le mani avanti. È un tema antipatico quello che tratto oggi, almeno nella prima parte.
Nel prepararlo sentivo in me una sofferenza nell’analizzare i testi e non vedevo l’ora di arrivare alla parte positiva che è quella di Gesù.
Vi chiedo quindi un po’ di pazienza, nella prima parte che è una parte che dà fastidio. Dà fastidio sentire queste cose ma nella seconda parte finalmente arriveremo a Gesù e ci sarà la soluzione a quello che vedremo.
Dovremmo purtroppo ammettere, toccare con mano, che certe verità “ci fanno fatica”.
Il tema è “Uccidere in nome di Dio”. Avete sentito un mese fa la strage di Parigi e ieri di nuovo a Copenaghen. Quindi è un tema attuale. Sembra impossibile mettere insieme “l’uccisione” con “Dio”, perché Dio – almeno nella nostra religione – è il Creatore, è colui che Ama la vita. Come si può mettere accanto a Lui il verbo uccidere? Eppure Gesù nel vangelo di Giovanni al cap. 16 dice questa affermazione drammatica: “Verrà l’ora in cui chiunque (qualsiasi persona) vi ucciderà, crederà di rendere conto a Dio” Questa è l’affermazione drammatica di Gesù che purtroppo è ancora attuale!
Ci sono persone che pensano che uccidendo un altro si rende onore a Dio. È l’unica volta in cui, secondo i vangeli, Gesù pronuncia questa parola “conto” ed è per associarla al termine “omicidio”. Se chi ammazza pensa di rendere conto a Dio significa che a presentare l’uccisione per rendere culto al Signore non sono criminali ma persone devote; non sono delinquenti ma sono persone profondamente religiose; quindi capite che il tema è molto molto serio. Non si tratta di banditi ma persone zelanti, molto devote che pensano che soltanto la morte possa cancellare l’offesa rivolta al loro Dio.
Chi opprime, chi uccide per motivi legati alla religione si sente investito da un mandato divino e per questo non pensa alle conseguenze del suo gesto. Quindi quello che agli occhi della gente non è altro che un criminale, per chi lo compie è obbedienza alla volontà divina.
Un poeta spagnolo Antonio Gala anni fa scriveva: “Mai si ammazza con tanto gusto come quando si ammazza in nome di Dio” Quindi persone ligie, persone ossequienti, umili dame della religione, persone scrupolose, zelanti per tutto quello che riguarda le regole, le devozioni possono poi all’improvviso diventare dure, spietate per perseguitare quanti, secondo loro, non vivono completamente il loro credo e per (?) convivere, sui peccatori, sugli eretici, gli infedeli, gli apostati (cioè i traditori), ogni forma di violenza diventa lecita.
Andiamo allora a vedere da dove parte tutto questo: “l’uccisione in nome di Dio” e … purtroppo … il libro dove troviamo la radice della giustificazione dell’eliminazione fisica di una persona per rendere conto a Dio è proprio il libro sacro per eccellenza per noi credenti cioè la Bibbia!!!
Infatti l’omicidio cultuale per la difesa e per l’onore di Dio fa la sua comparsa nella bibbia con la frase fratricida compiuta per ordine di Mosè (..?..) con l’episodio conosciuto del vitello d’oro.
Vedete, sono brani – almeno per me – che provocano insofferenza e può darsi anche in voi; ma vedrete, nella seconda parte cercheremo la soluzione nella figura di Gesù.
Nel capitolo 32 del libro dell’Esodo al versetto 26 si legge: “Mosè si pose alla porta dell’accampamento e disse: Chi sta con il Signore venga da me” – quindi c’è da fare una scelta – “Gli si raccolsero intorno tutti i figli di Levi e disse loro: Dice il signore, Dio di Israele” –. Naturalmente Mosè non parla con la sua autorità ma parla investito dell’autorità divina – “Ciascuno di voi tenga la spada al fianco, passate nell’accampamento da una porta all’altra, uccidete ognuno il proprio fratello” – quindi va al di là del vincolo di sangue – “ognuno il proprio amico” – il vincolo dell’amicizia – “ognuno il proprio vicino.” – quindi il vincolo sociale. Quindi l’offerta fatta a Dio è più forte del vincolo del sangue, del vincolo dell’amicizia e dei vincoli sociali. Gesù nel suo vangelo a un certo punto dirà che “il fratello darà morte al fratello e il padre il figlio e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire.” L’adesione a Gesù sarà più forte dei vincoli di sangue.
Ma continua Mosè: “I figli di Levi agirono secondo il comando di Mosè e quel giorno perirono circa 3000 uomini del popolo”. C’è stata una strage! Non è che hanno compiuto chissà quale crimine, hanno fatto una festa con dei canti, con dei balli a un vitello d’oro.
Allora Mosè disse: “Ricevete oggi l’investitura del Signore. Ciascuno di voi è stato contro il suo fratello e contro figlio perché oggi Egli vi accordasse la benedizione.” Quindi, aver ucciso quelli che erano considerati i traditori, i peccatori per rendere e restituire onore a Dio non è considerato un crimine ma addirittura una benedizione! La benedizione di Dio è al resto (?) dell’uccisione del fratello, dell’amico, del vicino. È chiaramente un’affiliazione a stampo camorristico!!! Sapete che per la camorra, per la ‘ndrangheta per entrarci a farne parte, bisogna ammazzare qualcuno.
La prima grande strage fratricida la troviamo proprio nella bibbia per restituire l’onore a Dio e l’assassinio compiuto in nome di Dio viene appositamente comandato in quel libro della bibbia così importante che si chiama Deuteronomio e ora leggiamo cosa scrive l’autore: “Qualora il tuo fratello, figlio di tuo padre o di tua madre, o il figlio o la figlia o la moglie che riposa sul tuo petto o l’amico .(ecc.)..non dargli retta non ascoltarlo”- ed ecco la sentenza – “Il tuo occhio non ne abbia compassione, non risparmiarlo, non coprire la sua colpa” – e qui c’è un imperativo – “tu anzi devi ucciderlo.” Quindi l’assassinio è considerato come un dovere religioso. “La tua mano sia la prima contro di lui, per metterlo a morte, poi sarà la mano di tutto il popolo. Dilapidalo che muoia, ecc.” Noi possiamo dire: “Va bene, ma questi testi sono della preistoria dell’umanità” NO! Ricordate quando nel 1995 in Israele Arabi fu ucciso da un ebreo? Nel processo lui si giustificò dell’uccisione proprio citando questo versetto: “Lapidalo che muoia perché ha cercato di trascinarti lontano dal Signore tuo Dio!” ..( ? ).. della parte che Arabi iniziava a fare è come un tradimento per cui in nome della Parola di Dio l’autore ha compiuto questo assassinio. Quindi l’omicidio come culto a Dio ha una lunga tradizione nella bibbia e quello che è più grave è che Dio stesso non solo approva, ma “benedice” quanti ammazzano in nome suo.
C’è un episodio che è veramente drammatico contenuto nel libro dei Numeri dove si legge che un giorno trovarono un uomo che raccoglieva la legna. Lo presero, lo portarono da Mosè e gli chiesero cosa gli dovevano fare. Non rubava, quell’uomo ma raccoglieva solamente la legna per riscaldarsi.
Ma! … era in giorno di sabato! Il giorno in cui è severamente proibito compiere qualunque lavoro.
Mosè chiese consiglio a Dio che rispose: “Quell’uomo deve essere messo a morte! Tutta la comunità lo lapiderà fuori dall’accampamento.” Quello morì secondo il comando che il Signore aveva dato a Mosè. Ripeto, l’ucciso non era un criminale, ma era giorno di sabato, per cui l’offesa a Dio andava lavata col sangue. Per cui chi uccide per Dio non viene punito ma addirittura premiato!
Una delle parti che a noi fa rabbrividire di più della bibbia è quella dell’origine del sacerdozio.
Come è nato il sacerdozio in Israele? E’ nato attraverso un duplice fatto di sangue, dove Dio invece di punire l’assassino addirittura lo premia, concedendo al lui e alla sua stirpe un sacerdozio perenne.
Vediamo anche questa parte: quindi che sia possibile di quelli (?) che uccidenti in nome di Dio vengono addirittura premiati e lodati si chiama “Fine” o in ebraico “Pica” il nome è lo stesso. Chi era questo? Un nipote di Aronne. Un giorno si accorge che un ebreo che si chiama Zibri si accoppia con una donna che non era ebrea, era una malianita. Ebbene cosa fa questo Fine? Notate il particolare: “Prende una lancia e li trafisse tutti e due nel basso ventre, mentre erano uniti nell’amore”. L’uomo li trafisse ed è un duplice omicidio!
Perché lo ha fatto? Perché la donna non era ebrea!
Ebbene, anziché essere castigato, quest’uomo viene approvato, viene benedetto e si stabilisce con lui una alleanza di pace.
Questo episodio nel Talmud – il libro sacro degli ebrei – viene commentato con le parole: “Se un uomo versa il sangue del malvagio è come se avesse offerto un sacrificio.” Quindi vedete, le radici di questo omicidio “in nome di Dio”.
Ebbene, la risposta di Dio all’azione di questo assassinio è stata quella di stabilire con lui un’alleanza di pace e si legge nel libro del Siracide: “Fine figlio di Ileazo fu il terzo nella gloria per il suo zelo nel timore del Signore, così a lui e alla sua discendenza fu riservata l’attività del sacerdozio per sempre.”
Ci può venire a questo punto il dubbio: “Ma non c’è il comandamento – Non uccidere? -” C’é! ma è un comandamento che fa acqua da tutte le parti. E’ vero che nei comandamenti nel libro dell’Esodo e nel libro del Deuteronomio viene riportato l’imperativo: “Non ucciderai” ma, ci sono tante tante eccezioni per le quali si può uccidere.
C’è un elenco, ma dirlo tutto sarebbe noioso. Si può uccidere l’omicida, chi percuote i genitori, chi rapisce un uomo, il figlio che maledice il padre e la madre, il figlio ribelle, quello sfrenato, quello bevitore, colui che pratica la magia, per chi si accoppia con una bestia – e un particolare interessante anche la bestia va eliminata – ecc. Mentre la figlia del sacerdote che si prostituisce sarà arsa viva col fuoco. E l’elenco non è completo!
C’era quindi questo comandamento “Non ucciderai” ma c’erano poi tante eccezioni perché poi si poteva uccidere per i motivi più disparati. L’elenco dei massacri perpetrati in onore a Dio nell’A.T. arriva al Nuovo con fiumi di sangue. Non possiamo elencarli tutti, ma cominciamo da Elia.
Elia è considerato, dopo Mosè, il più grande tra i profeti, il più grande tra gli uomini di Israele, con grande zelo per il Signore il Dio degli eserciti. C’è un episodio nel primo libro dei Re al cap.18 dove Elia sfida i sacerdoti di un’antica civiltà. La sfida la vince Elia. Doveva essere contento della vittoria invece non lo è e ordina: “Prendeteli tutti, che non ne sfugga neanche uno, portateli al torrente e… – almeno da quel che appare nella bibbia, ma io non so come abbia fatto, perché son tanti – personalmente ne ha scannati 450! Così c’è scritto nella bibbia. L’onore di Dio era salvo! Un vero fiume di sangue!
Un fiume di sangue che parte dall’A.T. e arriva fino al Nuovo nella figura di Saulo che quando si convertirà prenderà il nome romano di Paolo. Saulo approvò l’uccisione di Stefano – il primo martire cristiano – e lui stesso, una volta convertito dirà: “Anche io ritenni mio dovere compiere molte cose contro il nome di Gesù il Nazzareno, o Dio Padre di Gerusalemme. Molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con il potere avuto dai capi dei sacerdoti e quando venivano messi a morte anche io ho dato il mio voto”.
Saulo, lo sappiamo era un fariseo, zelante osservante di tutti i minimi dettagli della Legge, eppure l’odio contro questa nuova setta era talmente forte che lo ha portato ad essere complice di questi massacri e di omicidi. “In tutte le sinagoghe cercavo sempre di costringerli, con le torture, ad insegnare, e per colpa del mio fervore contro di loro, davo loro la caccia persino nelle città straniere”.
Vedete che questo fiume di sangue inizia nell’A.T. e arriva fino al Nuovo.
La violenza quando viene esercitata in nome di Dio è esente e supera gli esami di coscienza, allora si arriva alla aberrazione di unire la violenza con la lode al Signore.
Troviamo nella bibbia affermazioni che per noi sono aberranti; nel salmo 149 si dice: “Le lodi di Dio sono sulla loro bocca – e qui va bene – e la spada nelle loro mani.” Quindi unire le lodi e la spada non sembra essere di nessuna contraddizione; si può lodare Dio e allo stesso tempo ammazzare i nemici di Dio. Quindi con la bocca si loda il Signore e con la spada si uccidono i nemici e anche i più efferati crimini e le azioni più atroci vengono proclamate come qualcosa di buono e l’omicida più efferato viene considerato beato.
C’è un altro salmo, il 137, che ha qualcosa di rivoltante. Dice: “Figlia di Babilonia (ecc.)… beato chi ti renderà quanto ci hai fatto, beato chi prenderà i tuoi figli e li sfracellerà contro la pietra.”
Quindi, prendere il bambino di un nemico e sfracellarlo contro la pietra viene proclamato addirittura beato!
Bene! Con queste premesse chi si meraviglia che quel – e non lo dico io, lo dice la sacra scrittura – quel figlio di una prostituta che si chiama Ieffe, uno dei condottieri di Israele, venga considerato ispirato dallo Spirito Santo quando, dovendo compiere una battaglia, fa un voto al Signore: “Se tu mi farai vincere, tornando a casa, il primo della mia casa che mi viene incontro, te lo offro a Te.” e quando torna a casa gli va incontro la sua unica figlia! Cosa fa Ieffe? Osserva il giuramento, il voto fatto a Dio e ammazza la propria figlia.
A lui non va bene come ad Abramo che, come sapete, mentre stava per affondare il coltello contro il figlio interviene il Signore e lo ferma.
Questa è la parte negativa. Qui vediamo che le radici della violenza stanno proprio in quello che per noi è il libro più sacro, il più importante. Il libro che è il modello della nostra esistenza e del nostro comportamento.
La soluzione a tutto questo, almeno per noi credenti, per noi cristiani è Gesù. Gesù che è immagine del Dio visibile, Gesù che, l’evangelista Giovanni nel prologo scrive: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il figlio unigenito che sta nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.”
La soluzione a tutto questo, almeno per noi credenti, per noi cristiani è Gesù. Gesù che è immagine del Dio visibile, Gesù che, l’evangelista Giovanni nel prologo scrive: “Dio nessuno l’ha mai visto, ma il figlio unigenito che sta nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.”
Quello che dichiara Giovanni è clamoroso. Come fa a dire che Dio mai nessuno l’ha mai visto? Contraddice la scrittura perché almeno Mosè ed Elia e altri personaggi, lo hanno visto, Dio.
Giovanni non è d’accordo. Hanno avuto visioni parziali, limitate di Dio e per questo non potevano esprimere la volontà di Dio.
“Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio unigenito ce lo ha rivelato”. Allora l’evangelista ci invita a questa attenzione verso Gesù perché è dalla sua figura che sappiamo chi è Dio. Gesù non è come Dio ma Dio è come Gesù. Dove è la differenza?
Dire che Gesù è uguale a Dio significa che di questo Dio non ne abbiamo una immagine, abbiamo un’idea, dovuta alla religione, alle tradizioni.
No! L’evangelista dice: “sospendi tutto quello che pensi di sapere, di conoscere su Dio e centrati su Gesù.” Ebbene, Gesù, immagine del Dio visibile, come dice San Paolo nella lettera ai Colossesi: “Spezza in maniera radicale, esclusiva questa pratica catena di violenza esercitata in nome di Dio” e Gesù preferirà accettare su di sé la violenza piuttosto che rispondere con altrettanta violenza. E per Gesù una istituzione religiosa che adori un Dio che accetta come culto la morte dell’uomo, non è altro che una istituzione atea. Atea perché non conosce questo Dio. E’ una istituzione criminale i cui addetti sono soltanto degli assassini anche se muniti di referenti titoli, anche se hanno dei riconoscimenti religiosi. Chi esercita la violenza in nome di Dio è ateo e assassino.
Gesù nella polemica con i capi religiosi dirà: “Voi avete per padre il diavolo, volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è omicida fin dall’inizio.” Quindi chi esercita la violenza in nome di Dio, non conosce e non ha nulla a che fare con Dio e il padre di costoro non è il Creatore ma è il nemico, è il diavolo che è stato assassino fin dall’inizio.
Gesù dirà che chi uccide per rendere culto a Dio in realtà dimostra di non conoscerlo.
In quel versetto che abbiamo citato all’inizio: “Verrà il tempo in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” Gesù continua: “lo fanno perché non hanno conosciuto ne’ il Padre ne’ me.”
Questo è un punto fermo della spiritualità cristiana. Chi esercita violenza in nome di Dio e si può uccidere in tante maniere e non soltanto l’eliminazione della vita fisica, ma toglie l’onore della persona, toglie la reputazione, toglie il sostegno economico, perseguitandolo dice Gesù e faranno questo perché non hanno conosciuto ne’ il Padre ne’ me.
Anche se chi lo fa lo farà in nome di Dio in realtà non conosce Dio. Perché il Dio di Gesù non ha nulla a che fare con la violenza esercitata in nome suo.
Gesù in questa sua affermazione dice: “E faranno questo perché non hanno conosciuto ne’ il Padre ne’ me”. Mentre prima aveva detto: “Chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio” adesso Gesù non parla di Dio ma di Padre. E’ importante questa distinzione. Mentre il nome di Dio – e Dio è il nome comune in tutte le religioni – e mentre in nome di Dio si può togliere la vita alle persone, in nome del Padre di Gesù si può soltanto dare la propria. Il Dio di Gesù, il Padre, non toglie la vita; in nome suo si può soltanto comunicare e dare la vita agli altri.
Gesù ha detto chiaramente che chi compie questa azione anche se lo fa in nome di Dio in realtà non lo conosce e qui abbiamo la dimostrazione pratica, drammatica di Saulo che quando perseguitava le prime comunità cristiane – conoscete tutti l’episodio – si sentì rimproverare dal Signore che gli disse: “Saulo, Saulo perché mi perseguiti?” E lui si trovò a dover chiedere: “Chi sei, o Signore?” quindi Saulo non conosce Dio. Il suo Dio non era in realtà il vero Signore, e si trova a dovergli chiedere: Chi sei? e si sentì rispondere: “Sono Gesù, che tu perseguiti.”
Quanti accolgono il messaggio di Gesù e quanti conoscono il Padre non saranno mai persecutori in nome di Dio e per conto di Dio, ma saranno sempre perseguitati. Ma nella persecuzione ci sarà la beatitudine. Gesù lo dirà nel suo messaggio: Beati i perseguitati a causa della giustizia perché di questi è il Regno dei cieli. Quindi Gesù lo dice chiaramente: seguire lui si va incontro non all’applauso, all’oazione della società religiosa ma al rifiuto e alla persecuzione.
Gesù dirà: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.” Oppure “Se hanno chiamato Belzebul il padrone di casa, tanto più i suoi familiari.”
Gesù assicura che quanti vivono come lui affronteranno il rifiuto, l’ostilità e la persecuzione da parte della società ma, questa persecuzione, è compresa nel programma e non deve meravigliare, stupire, quando avviene. Deve preoccupare quando non c’è. Gesù infatti dirà: “Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano come i loro padri con i falsi profeti” Per cui quando capita l’incomprensione prima, l’ostilità e poi si arriva alla persecuzione, la comunità cristiana non si deve meravigliare, è nel programma. C’è da preoccuparsi quando questo non appare. Significa che la comunità cristiana non è spunto, non è fonte di novità, si è ormai assestata allo stile della società. Quando la società loda la comunità cristiana questo è un campanello di allarme.
Il Padre di Gesù però non è neutrale. Tra chi perseguita – anche se pretende farlo in nome di Dio, per conto, per la difesa di Dio – e tra chi è perseguitato, Dio si mette sempre al fianco dei perseguitati.
Gesù, nelle beatitudini, in Marco e anche in Luca, proclama: “Beati i perseguitati per causa della giustizia perché di essi è il Regno dei cieli”.
Al termine delle beatitudini, dopo aver invitato i discepoli ad accogliere il suo messaggio, dice; “quelli che sono perseguitati alla fedeltà di tutto questo: beati! Perché? Perché di essi – il verbo è al presente – è il Regno dei cieli.” Purtroppo in passato la non conoscenza della cultura ebraica, ha fatto travisare questa frase in un lontano, in un futuro, nell’al di là. Per cui “regno dei cieli” è stato inteso come “l’al di là”.
Regno dei cieli è una formula usata esclusivamente da Matteo, dove gli altri evangelisti usano l’immagine di “Regno di Dio”.
Allora perché Matteo usa questa espressione che fa tanta confusione? Perché lui si rivolge agli ebrei e loro – come sapete – non pronunciano e neanche scrivono il nome di Dio, e allora ha usato dei sostituti e uno di questi è “i cieli”. Esattamente come noi, oggi nella nostra cultura quando diciamo: “grazie al cielo” non è che ringraziamo l’atmosfera ma si ringrazia la presenza del Signore.
Allora Gesù dice: “I perseguitati a causa del messaggio, beati, perché? Cosa significa “Regno dei cieli?” Che Dio è il loro Re; Dio si prende cura di loro, per cui gli aspetti negativi, gli aspetti di sofferenza nella persecuzione vengono mitigati dalla presenza viva, attiva e vivificante del Signore.
La persecuzione della comunità non è mai causa di rovina ma causa di crescita ancora più piena.
Nella parabola dei quattro terreni, Gesù ha questa immagine bellissima della persecuzione e si rifà al seme che è sparso tra le pietre e mette le radici. Le radici non possono andare molto a fondo perché il terreno è roccioso e quando spunta il sole la pianta si secca. Ma se la pianta si secca la colpa non è del sole, che è invece fonte di vita per la pianta. La colpa è della pianta che non ha potuto mettere radici. Allora Gesù usa questa immagine per la persecuzione. Quando il credente ha messo le proprie radici nel messaggio di Gesù, la persecuzione non sarà mai causa di rovina ma sempre fonte di energia di forza e fonte di crescita.
Quindi Gesù ci assicura che, non mettersi mai dalla parte dei persecutori ma sempre dalla parte dei perseguitati, e trasforma la persecuzione in motivo di gloria e di abbondanza.
Anche nel vangelo di Matteo leggiamo: “Beati voi quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi” quindi la sofferenza alla persecuzione viene cancellata dal fatto: “Gioite, rallegratevi ed esultate” Perché? “Perché grande è la vostra ricompensa” Anche qui non è una ricompensa per l’al di là, qui significa Dio. La vostra ricompensa è Dio.
E poi la sottolineatura: “così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”. Gesù associa la figura del credente, del discepolo a quella del profeta. Chi è il profeta? E’ quell’individuo che non ripete gli stili, le forme, le formule del passato e del presente ma per la sua esperienza di Dio sente il bisogno di formularne delle nuove, di creative, di originali.
Il compito del credente, il compito della comunità cristiana non è quello di ripetere i modi di vivere del passato, ma accogliendo la buona notizia di Gesù, formula stili in una maniera nuova, originale e creativa. Secondo l’insegnamento di Gesù il vino nuovo ha bisogno di otri nuovi.
Perché c’entra la persecuzione? Perché nella vita sociale, ma specialmente in quella – ed è più grave – nella vita religiosa, quella che crede in Dio che fa nuove tutte le cose, lì c’è un imperativo sacro santo e chiunque lo preferisce viene visto con sospetto, viene emarginato e quando si può, viene eliminato. Che cosa è? La non necessità di un cambiamento.
In alcune comunità religiose, ma non solo, nelle comunità parrocchiali o nella vita di tutti i giorni, chissà quante volte di fronte alla proposta di qualcosa di nuovo si sentirà obiettare: “Ma perché cambiare, si è sempre fatto così!”
“Si è sempre fatto così” è la pietra tombale che seppellisce il credente e la comunità cristiana. Il credente in Gesù non si limita al “si è sempre fatto così” No! La vita ogni giorno si presenta in forme nuove, suscitando situazioni nuove e bisogni nuovi e allora il credente deve saper risolvere in una forma nuova, originale e creativa; per cui il credente è quello che crea sempre forme nuove. Chi si limita a ripetere le formule del passato vivacchia ma non vive e naturalmente tutti quelli che cercano formule nuove verranno perseguitati. Perseguitati non dai nemici della religione ma proprio incompresi e perseguitati dai rappresentanti della religione.
Gesù ci esorta a rifiutare qualunque forma di violenza e a metterci dalla parte dei perseguitati, nella certezza che il Signore tutto trasforma in bene. Non c’è nulla che ci venga fatto del male che poi il Signore non trasformi in bene.
La persecuzione è una testimonianza contro i persecutori che per quanto si ritengano di agire in nome di Dio in realtà dimostrano di non conoscerlo.
Nel vangelo di Giovanni, Gesù dirà: “Ma tutto quello che vi faranno, a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato”. E chi saranno? Le autorità religiose, che sono quelli che non conoscono Dio.
Se Gesù proclama beati i perseguitati poi è di una severità atroce nei confronti dei persecutori.
Una delle pagine di più grande violenza verbale la troviamo nel capitolo 23 di Matteo dove c’è una lunga requisitoria contro le autorità religiose spirituali di Israele che – attenzione – non sono una polemica con l’istituzione giudaica – dalla quale la comunità cristiana ormai si è praticamente distaccata creando forme nuove – ma sono un severo monito, perché all’interno della comunità dei credenti non si ripetano gli stessi perversi meccanismi.
Nel cap. 23 di Matteo c’è una violenza verbale inaudita. Gesù è sempre tenero e dolce con i peccatori, ma ci stupisce perché nei confronti di scribi e farisei ci sta tanta violenza.
Ripeto, non è una polemica con il mondo giudaico ma è un monito perché nella comunità cristiana non ritornino gli stessi aspetti negativi.
Se nella bibbia ci sono scritte queste cose, è o no parola di Dio?
L’abbiamo visto molto bene: “Devi ammazzare”. È un dovere religioso!
Ora leggiamo il brano che poi commenteremo. Gesù dice: “Guai”, il termine si rifà ad una espressione della istituzione funebre ebraica: “uai” con la quale si piange durante la veglia funebre; cioè Gesù piange come morti quelle persone che perseguitano gli altri, quelle persone che comunicano morte agli altri.
“Guai a voi scribi e farisei” Abbiamo detto che gli scribi sono i teologi, il magistero infallibile dell’istituzione religiosa giudaica; i farisei – il termine fariseo significa separato – sono quelli che osservavano tutti i dettami della legge. Ne avevano accumulati ben 613!
“Ipocriti che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti, e così testimoniate contro voi stessi di essere i figli degli uccisori dei profeti”. Quella di Gesù non è una constatazione ma è un ironico imperativo “Colmate la misura dei vostri padri” . L’unica cosa che sapete fare voi è perseguitare e ammazzare.
“…perciò ecco io vi mando profeti, sapienti e scribi; di questi alcuni li ucciderete e crocifiggerete e lapiderete…” – sono i 3 verbi che poi appariranno nella passione di Gesù – “… nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città, perché ricada su di voi tutto il sangue innocente versato sopra la terra”. Qui la denuncia di Gesù è da rabbrividire. Quello che sta dicendo è clamoroso.
“Dal sangue del giusto Abele – L’uccisione di Abele da parte del fratello Caino appare nel primo libro della bibbia, il libro della Genesi – fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia che venne ucciso tra il santuario e l’altare”. L’uccisione di questo Zaccaria appare nel secondo libro delle Cronache che è l’ultimo della bibbia ebraica.
La bibbia ebraica inizia con il libro della Genesi e termina con il libro delle Cronache; quello che sta dicendo Gesù è tremendo: “Siete assassini dalla prima pagina della bibbia all’ultima.” Oggi diremmo: Siete assassini dalla A alla Z.
E continua Gesù: “Gerusalemme, Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati. Quante volte ho dovuto raccogliere quei figli come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali e non avete voluto.”
Quindi con riferimento ad Abele e a Zaccaria, Gesù cita il primo e l’ultimo omicidio riportato nella bibbia. E Gesù denuncia una casta religiosa di potere, di essere sempre incapace di riconoscere gli inviati di Dio. Li ricordano dopo, quando sono stati ammazzati. E purtroppo è una sequela tragica: arriva il profeta, viene ostacolato, viene osteggiato, quando è possibile viene messo a morte, poi passa il tempo, viene riconosciuto che era un inviato da Dio, gli si costruisce un monumento e … in nome del profeta morto e “monumentato” (uso questa espressione) si perseguiteranno e si
ostacoleranno i nuovi profeti. (Maggi, Continua)

Conferenza tenuta da fra’ Alberto Maggi ma non rivista dallo stesso, pertanto si chiede al lettore di tenerne conto, cogliendo il messaggio che viene comunicato al di là delle forme e delle modalità con le quali esso è stato trasmesso. In una trascrizione non è possibile infatti rendere il tono della voce, la gestualità, le espressioni di colui che parla, inoltre alcune espressioni possono essere facilmente fraintese da chi trascrive il testo. Si tenga anche presente che la punteggiatura è stata posizionata ad orecchio; i punti in cui la registrazione è incomprensibile sono indicati così: (.?.). Altre informazioni e conferenze si possono leggere o scaricare dal sito: www.studibiblici.it
Trascrizione realizzata da un’amica del CSB “G. Vannucci” di Montefano”

Centro per lo studio scientifico della Sacra Scrittura e per la sua divulgazione a livello popolare
studibiblici.it

 

quale emancipazione della donna?

Emancipazione della donna o femminismo cruscante?

a proposito dell’otto marzo e della deriva di un certo famminismo …

per l’8 marzo alcuni stralci di un saggio di Elisabetta Santori, “Appunti per un pensiero de-genere”, che sarà pubblicato integralmente in uno dei prossimi numeri di MicroMega e che costituisce una acuta critica filosofico-linguistica di alcune derive ideologiche “politically correct” che stanno ormai devastando il femminismo e anche la lingua italiana.

di Elisabetta Santori Laura Boldrini, che da Presidente della Camera ha promosso la gender equality nel linguaggio e l’uso della forma femminile per le professioni e gli incarichi istituzionali ricoperti ormai sempre più spesso da donne. Nel luglio 2014, auspice proprio Boldrini, è stato presentato alla Camera “Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’italiano” della linguista Cecilia Robustelli (consulente dell’Accademia della Crusca), una guida all’uso non sessista della lingua italiana. L’italiano corrente, vi si legge, non ha ancora preso atto della presenza delle donne nei ruoli apicali e usa ancora il maschile attribuendogli una falsa neutralità, oggi invece «la parità dei diritti passa per il riconoscimento – anche attraverso l’uso della lingua! – della differenza di genere». Via libera dunque a ministra, assessora, sindaca, architetta, ingegnera, avvocata, medica, revisora dei conti, titoli che tanta resistenza incontrano tra i parlanti italiani (mentre non a caso, scrive Robustelli, i nomi che indicano lavori comuni e più modesti, come commessa, impiegata, maestra, operaia, parrucchiera, si sono imposti senza fatica).  (…) Se però vogliamo essere il più possibile laici e obiettivi, non è sempre vero che il linguaggio corrente si rifiuti di accordare al femminile i titoli e i ruoli apicali: direttrice, deputata, senatrice, imprenditrice sono sostantivi ampiamente accettati e transitati nell’uso corrente, contrariamente a quanto afferma Robustelli: su Google, ad esempio, ci sono 3.360 ricorrenze circa della “senatrice Elena Cattaneo” contro le circa 680 della stessa col titolo di “senatore”; e la “deputata Paola Taverna” ricorre 150 volte, mentre solo 4 in veste di “deputato”. Nessun risultato, infine, per “l’imprenditore Lella Golfo”, che compare solo come “imprenditrice”. E allora, se è vero che la lingua italiana è ostaggio dell’androcentrismo, come mai dinanzi a queste femminilizzazioni del ruolo il sessismo linguistico si ritrae? Non sarà che forse gli stiamo addossando anche le colpe che non ha? A decidere della lingua e del genere grammaticale non è sempre e solo il sessismo italiota ma anche l’orecchio collettivo, una sorta di filtro fonetico che si è formato per un deposito storico di rimandi, associazioni mentali, suggestioni in base ai quali certi neologismi vengono accolti e altri vengono lasciati cadere. (…) L’orecchio popolare ha i suoi pudori e le sue remore, le sue preferenze e idiosincrasie che possono risultare decisive per l’uso della lingua (nel 1946 il termine referendum si impose al posto di referendo, vicino a reverendo, nel timore di favorire la DC). Dalle libere associazioni che le parole formano nella nostra mente nascono autocensure e pruderie, ma anche motti di spirito, calembour e persino i capricci linguistici delle avanguardie letterarie; e questa spontaneità della parola, difettosa ma anche ingegnosa e creativa, non si può irreggimentare ope legis con le “Raccomandazioni” o le “Guide” del femminismo cruscante, che per quanto vengano presentate come miti “suggerimenti”, “proposte” o “alternative” non autoritarie e non imposte dall’alto, di fatto diventano coercitive eccome nel momento in cui qualche capo-ufficio legislativo se ne serva coi suoi sottoposti come regole per la redazione di testi ufficiali, o qualche insegnante le utilizzi come paradigma per correggere gli orali e gli scritti dei suoi studenti. In attesa che l’uso e il dibattito sulla femminilizzazione dei nomi di ruolo operino una scrematura tra le pedanterie inutili e le simmetrie praticabili, io, nel mio piccolo, un codice di comportamento linguistico me lo sono dato. E l’ho fatto pensando che il genere femminile è solo una delle mie appartenenze e nemmeno la principale, ma semmai solo un punto di partenza, la fase di startup di un percorso autobiografico che ha incrociato identità diverse e più forti di quella del gender. E siccome la desinenza in -a ci riconoscerà pure in quanto donne, ma non dice nulla di noi come individui e combinazioni irripetibili di identità multiple e/o consecutive, ho deciso di usarla q.b., solo quando non entra in conflitto con la lingua che amo, che ha le sue ragioni, non solo grammaticali, e alla quale appartengo più fortemente che ad un astratto “genere”. Dunque la mia lingua si fletterà alla gender equality, ma non tanto da far sì che il ghenos disponga interamente di lei, trasformandola in un idioma artificiale, pianificato a tavolino come una sorta di esperanto. Ben vengano dunque, nel mio vocabolario personale, gli agentivi in -trice, come la senatrice, l’imprenditrice ecc. (…) Ma la questora, la difensora e la recensora non posso fare a meno di immaginarmele bardate di zinale in un sonetto del Belli, tra la sora Mitirda, la sartora scartata e la mamma uscellatora. Quindi, out. Espunte dal mio vocabolario ed esiliate, assieme alla mammellata architetta, nel gabinetto degli orrori (…) Purtroppo, però, il problema non si esaurisce qui. La questione grammaticale del cosiddetto “maschile inclusivo” è ancora più spinosa. E rischia davvero di infilare il burqa alla spontaneità e alla funzionalità del linguaggio nell’intento di sfilarlo alla desinenza in -a. (…) (8 marzo 2015)

 

papa Francesco: il bilancio di due anni

Francesco, la Chiesa millenaria che vorrebbe tornare giovane

di Marco Politi
in “il Fatto Quotidiano” del 9 marzo 2015

piazza_san_pietro-vaticano

 

Due anni dopo la sua elezione Francesco ha già reso irreversibile il volto nuovo del pontificato. Tornare ad un pontefice-icona, dottrinario, monarca assoluto, non sarà più possibile: pena una drammatica perdita di contatto con la società contemporanea, credente o non credente.

Linguaggio

È stato rivoluzionato il linguaggio. Quando Francesco dice che i cattolici non devono figliare “come conigli” o spiega al clero di Roma (giorni fa) che ci sono “persone disturbate che si rifugiano nelle istituzioni forti: Esercito e Chiesa”, usa il linguaggio di un parroco in grado di farsi ascoltare da tutti. Un papa-prete capace di parlare anche agli atei come nessun altro prima di lui. Papa Bergoglio ha aperto la transizione verso una Chiesa più comunitaria e partecipata. “Sinodale”, secondo l’espressione degli Ortodossi. Un modello di Chiesa in cui il capo non decide in solitudine imperiale, ma insieme ai vescovi.

papa-francescoIl concilio Vaticano II lo ha chiamato “collegialità”, indicando l’immagine di “Pietro insieme agli apostoli”. Collegialità L’avvio di questa riforma si è tradotto nella creazione di un consiglio cardinalizio, coordinato da Oscar Rodriguez Maradiaga e formato da otto porporati di tutti i continenti, cui si aggiunge il segretario di Stato. È il cosiddetto C9, incaricato di “consigliare (il Papa) nel governo della Chiesa universale”.

Un embrione di collegialità.

All’ultimo concistoro del febbraio scorso l’assemblea dei cardinali di tutto il mondo ha ribadito la necessità di un “sano decentramento” delle competenze, sin qui esercitate esclusivamente dalla Curia romana. E negativo però il ritardo della riforma del governo centrale della Chiesa. Il secondo passo in direzione della collegialità è rappresentato dalla nuova funzione del Sinodo dei vescovi (il parlamentino di Santa Romana Chiesa), non più destinato a rimanere una semplice arena di opinioni, ma – grazie a Francesco – diventato titolare di un potere propositivo per trovare soluzioni ai problemi pastorali più urgenti. L’avere scelto il vescovo teologo Bruno Forte come segretario speciale delle due sessioni sinodali dedicate ai problemi familiari segnala la volontà di “aggiornamento”, per usare lo slogan felice di Giovanni XXIII.

Divorziati e gay

Concedere democrazia – libertà di parola e di voto come durante il Concilio – significa tuttavia fare i conti con le opposizioni e la possibilità di perdere qualche battaglia: è accaduto al Sinodo del 2014. Francesco ha aperto su temi sin qui tabù: la comunione ai divorziati risposati, le convivenze, le coppie omosessuali, la transessualità ma le resistenze interne al mondo ecclesiastico hanno impedito finora un cambio ufficiale di atteggiamento della Chiesa. L’appassionato intervento sinodale del cardinale di Vienna Christoph Schoenborn sulla solidarietà di due partner gay non ha ricevuto – almeno per il momento – il consenso della maggioranza dell’episcopato. Due anni dopo l’elezione si avverte un solco tra Francesco e quella parte della gerarchia in Vaticano e all’estero, rimasta attaccata alla visione di un papato sacrale, giudice dottrinale inflessibile delle “deviazioni” dai comandamenti del catechismo. Il cardinale americano Francis George (ex arcivescovo di Chicago), quando chiede se “Francesco si rende conto dell’effetto di certe sue parole?”, evidenzia un’offensiva in atto contro il pontefice argentino. Un solco netto esiste anche tra la fascia di sacerdoti – spesso giovani – imbevuti di spiritualismo, dogmatismo e ideologia del potere sacerdotale, che resistono alla declericalizzazione auspicata da Francesco, e invece quei preti, secondo i quali annunciare il Vangelo nella società urbana globalizzata esige di fare i conti  con la mescolanza delle culture e – come invita a fare il segretario della Cei, mons. Nunzio Galantino di considerare il mondo “brutto, sporco e cattivo”.

Il ruolo delle donne

Francesco ha avuto il merito di mettere sul tavolo un argomento tabù come il ruolo delle donne nei luoghi decisionali della Chiesa, ma non ha incontrato una risposta entusiastica da parte degli episcopati nel mondo. Nemmeno le donne dell’associazionismo cattolico si sono per ora mobilitate. Colpa di una “certa sfiducia e un’antica abitudine a tacere”, commenta la storica Lucetta Saraffia, che vorrebbe vedere le donne partecipare ai sinodi. Non è detto che in tutti questi campi, su cui si è fatto sentire Francesco, si realizzino cambiamenti concreti già durante il suo pontificato. Lui è un seminatore, i sassi sul suo cammino sono tanti e i suoi avversari – nota il segretario della pontificia Commissione per l’America latina, professor Guzman Carriquiry – si comportano alla pari dei farisei che seguivano Gesù “con animo incattivito, scandalizzati dei suoi incontri con prostitute e peccatori, sempre male interpretando, sperando di poter intravvedere qualsiasi minima deviazione riguardo alla Legge, per giudicarlo e condannarlo…”. Lotta alla pedofilia In tre ambiti precisi il pontefice argentino ha già voltato pagina. Per la prima volta ha destituito, processato ecclesiasticamente e degradato (ridotto allo stato laicale) un vescovo pedofilo: l’ex nunzio nella Repubblica Dominicana Jozef Wesolowski. Per volontà di Francesco subirà inoltre un processo penale in Vaticano. Tuttavia nel comitato anti-abusi, da lui creato, sono emerse resistenze a proposito di nuove Linee guida internazionali più stringenti.

La banca vaticana

La banca vaticana è stata sottoposta ad una drastica ripulitura dei conti correnti, sono stati firmati accordi di cooperazione giudiziaria con Italia, Germania, Stati Uniti, è stata creato un comitato antiriciclaggio e una Segreteria per l’Economia, guidata dal cardinale George Pell, che vigilerà sugli appalti e la regolarità dei bilanci delle varie articolazioni della Santa Sede e che ha portato alla luce fondi riservati (benché regolari) di alcuni organismi, che non erano stati inseriti nel bilancio consolidato del Vaticano. Il presidente delle Ior, il francese Jean-Baptiste de Franssu, spinge per una gestione unica del patrimonio finanziario e immobiliare della Santa Sede. Il terzo settore in cui Francesco ha mostrato una forte impronta è quello geopolitico. Politica estera Ha ridato slancio alla presenza del Vaticano sulla scena internazionale, impedendo una catastrofica invasione occidentale della Siria, indicando a Israele e Palestina la via di una pace dei coraggiosi, denunciando il traffico di armi dietro ai conflitti in corso, impegnandosi contro le “moderne schiavitù” (la tratta sessuale, quella dei migranti, le fabbriche clandestine). Suo obiettivo, discusso con il presidente Barack Obama, è far dichiarare dall’Onu la tratta degli esseri umani un “crimine contro l’umanità”. I suoi interventi contro la corruzione, la criminalità organizzata, l’ideologia neoliberista del profitto senza regole, il primato assoluto del mercato che produce “scarti” vecchi o giovani, alimentando il precariato permanente, hanno suscitato un’eco vastissima a livello internazionale, ben al di là del mondo cattolico, ma le leadership politiche ed economiche non hanno mostrato nessuna intenzione di elaborare un modello economico ispirato al “bene comune”. Per molti aspetti Francesco è applaudito, ma resta solo. Dentro e fuori la Chiesa. La sua – benché non lo mostri – è un’autentica lotta contro il tempo. L’anno prossimo compirà già ottant’anni e i suoi amici latino-americani non dubitano che quando la vecchiaia si farà sentire, anche Jorge Mario Bergoglio sarà pronto a dimettersi come Benedetto XVI (magari tornando in Argentina). Lo ha anticipato lui stesso ai giornalisti, durante un viaggio. Il papato a termine è l’ultima (silenziosa)  riforma di questo pontificato.

Ascanio Celestini e tutti quelli che ‘se la vanno a cercare’

in difesa di chi ‘se la va a cercare’


di Ascanio Celestini

Greta e Vanessa se la sono andata a cercare. Ma chi gliel’ha fatto fare di andarsene a fare le superdonne in un posto dove ci sta la guerra? Se la vanno a cercare? Come quelle diciottenni che vanno in giro in minigonna alle due di notte nelle stradine buie delle città e poi si lamentano se qualcuno se le violenta. Perché se la vanno a cercare?

E Saviano? Poteva scrivere una bella guida turistica di Napoli, o in alternativa una cosa intellettuale su qualche rivista intellettuale che si leggono gli intellettuali. Perché s’è messo in mezzo a una cosa più grossa di lui? Non gli basta di guadagnare un sacco di soldi? Si lamenta perché vive sotto scorta? Colpa sua, se l’è andata a cercare.

Pure James Wright Foley se l’è andata a cercare, l’ha detto Edward Luttwak che non è mica l’ultimo arrivato. “Se l’è cercata totalmente… Il suo, come quello della vostra Sgrena, non è giornalismo, ma protagonismo” così dice Luttwak. E infatti è pieno di giornalisti che se la vanno a cercare. A Luttwak non gli capita davvero di farsi decapitare. Non si capisce perché il mondo è pieno di gente che se la cerca.

Per esempio ti ricordi di Ernesto Guevara detto Che? La sua faccia è stampata su un sacco di magliette. Pure lui è uno che se l’è andata a cercare. C’aveva pure l’asma e dopo la rivoluzione cubana, invece di aprirsi uno studio medico, se n’è andato a sparare e a esportare la rivoluzione in Bolivia. L’hanno ammazzato. Cavoli suoi… se l’è andata a cercare.

Come quell’altro famoso comunista di Trockij che pure lui se l’è andata a cercare. Poteva mettere le mani su un ministero nella grande Unione Sovietica e invece è andato a fare l’esiliato in Messico. Chi gliel’ha fatto fare? L’hanno ammazzato? Embè, se l’è andata a cercare. E i desaparecidos in Cile e in Argentina e in chissà quanti altri posti? Pensi che i militari avrebbero fatto scomparire il mio vicino di casa che si fa i fatti suoi? Nossignore. Con tutto il rispetto verso quei morti, però era gente che stava contro il regime.

Pure in Italia c’abbiamo avuto il fascismo, ma mica ammazzavano a tutti. Se facevi il dovere tuo senza rompere troppo le scatole vivevi come cristo comanda. Mussolini ti dava pure i soldi quando davi un figlio alla patria. Eppure sotto al fascismo ci stava un sacco di gente che se l’andava a cercare lo stesso. E mica era gente scema. Lo sapevano a che andavano incontro.

Mio nonno mica aveva studiato eppure lo sapeva che era meglio non prendersela troppo col fascismo. Se l’hanno preso sott’occhio è stato solo per una battuta. A quel tempo il cesso si chiamava anche “ritirata”. Mio nonno lavorava al cinema Iris e quando un fascista gli ha chiesto “dove sta la ritirata?” lui ha risposto “in Grecia!”. Per questo l’hanno preso sott’occhio, ma mica si metteva a parlare contro il Duce. Mica era scemo. E pure Matteotti non era mica scemo, lo sapeva che sarebbe finito male se andava avanti a parlare contro il fascismo. E infatti è andata proprio così.

E ti ricordi i confinati? Per esempio ti ricordi Leone Ginzburg? L’avevano mandato a Pizzoli. Gli è andata male perché altri come lui venivano spediti in certe isole che oggi la gente ci va in vacanza. Eppure continuava a tradurre dal russo come se non ci fosse la guerra. Ma dove hanno la testa questi intellettuali? Per non parlare di Gramsci che ha fatto i salti mortali per far uscire i suoi quaderni dalla cella del carcere. Un altro avrebbe abbassato la testa, chiesto scusa e sperato nei domiciliari. Lui no. Continuava a scrivere contro questo e contro quello. Almeno Saviano e Rushdie si prendono le royalties, il sardo invece non ha preso manco quelle. Lo sapeva che non c’avrebbe guadagnato. Perché se l’è andata a cercare?

Mia madre dice “attacca l’asino dove vuole il padrone!” è un modo saggio per campare cent’anni. E invece pare che sia ancora pieno di gente che non attacca mai l’asino al posto giusto. Guarda per esempio quei blasfemi di Charlie Hebdo. L’hanno ammazzati e il primo giorno stavamo tutti dalla parte loro. Pure i commentatori dei giornali della borghesia europea.

Certo che è bastato che passasse un giorno o al massimo due che tutti erano d’accordo su un fatto: gli anarchici del giornaletto comico francese se la sono andata a cercare! Se la prendono col profeta e con il dio dei cristiani, con gli ebrei e chissà contro quali altre religioni. Come pensano di poterla fare franca? Puntano sul fatto che, tutto sommato, anche Gesucristo se l’è andata a cercare? E gli ebrei? C’hanno messo un mucchio di secoli prima di prendersi uno stato come si deve e nel frattempo se la sono andata a cercare. Se Hitler e tanti altri ce l’avevano con loro mica sarà un caso!

Ornella oggi mi scrive che si trova “a discutere con tante persone, anche colte e non votanti Lega, che additano Greta e Vanessa come frikkettone e si piangono i soldi del riscatto, anzi chiedono che adesso venga restituito all’Italia il maltolto e che quindi lavorino gratis a vita per risarcirci del danno”. Loro come tutti gli altri sono gli squinternati che se la sono cercata. “Ma – scrive Ornella – cosa sarebbe questo mondo se nessuno se la fosse andata a cercare?”.

(21 gennaio 2015)

“io comunista proprio no!”, così si difende papa Francesco

 

 

 

così Francesco rovescia chi lo accusa di essere comunista

nel libro intervista “Questa economica uccide” il Pontefice chiarisce le sua dottrina su globalizzazione e poveri

Papa Francisco cercado por crianças na favela de Manguinhos (25 de julho de 2013)

 

 

 

 

 

«L’attenzione ai poveri non è un’invenzione del comunismo, ma è nella tradizione della Chiesa, che talvolta si dimentica della sua missione originaria e necessita di correzione e conversione»
papa Francesco lo dice a chiare lettere in “Questa economia uccide”, il libro intervista di Andrea Tornielli e Giacomo Galeazzi, i due vaticanisti de La Stampa.

 

 

DAL “COMPAGNO” AL “LEONCAVALLINO”
In questo nuovo volume, Papa Francesco replica alla rete di accuse di “comunismo”, che vengono mosse da tempo nei suoi confronti. Dal «compagno Bergoglio» dell’ideologo di destra Maurizio Ruggiero, al “fuoco” di Antonio Socci (Libero, 9 novembre): «Dice sempre che ha conosciuto militanti comunisti in Argentina che erano brave persone. “Chi sono io per giudicare?”. Sfodera toni infuocati (e giudica) solo quando si scaglia contro il “liberismo selvaggio”. Il 28 ottobre ha ospitato in Vaticano vari movimenti noglobal, compreso il Leoncavallo e ha scagliato fulmini. Tanto che Fausto Bertinotti ha subito indicato in lui – venerdì sera, a Tg3 notte – il vero “rivoluzionario” del momento».

ASSONANZE CON L’IMPERO DI NEGRI
Socci, in quell’occasione, ha rilanciato le parole del vaticanista de L’Espresso Sandro Magister, secondo cui «ciò che più colpisce di questo discorso è la sua stupefacente somiglianza con le teorie sostenute dal filosofo Toni Negri e dal suo discepolo Michael Hardt in un libro del 2002 che ha fatto epoca: ‘Impero’». Per Negri, il mondo non è più governato da stati nazionali, ma da una struttura decentrata e deterritorializzata, che definisce Impero. Dunque ci troveremmo di fronte ad una papa “complottista” oltre che “comunista”.

PARTIGIANO E GRAMSCIANO
Il sociologo Umberto Di Maggio, coordinatore regionale di Libera contro le mafie in Sicilia, in senso più buonista ha parlato di «papa partigiano», in relazione al concetto di «globalizzazione dell’indifferenza», una «frase che assume una portata storica poiché definisce, come diceva Gramsci […] l’indifferenza come peso morto della Storia. Perché in fin dei conti l’abulia ed il parassitismo sono vigliaccheria e quindi rifiuto del senso autentico della vita. Parole partigiane quelle di Papa Francesco che, sconvolgendo ogni protocollo, ha scelto di essere ultimo tra gli ultimi». Affermazioni poi corrette dal giornalista e blogger Giuliano Guzzo che ha chiarito come Gramsci traducesse l’indifferenza in assenza di «impegno» e diceva di «odiare gli indifferenti», mentre Bergoglio si rivolge all’assenza di «amore» e critica, e non dice di odiare quelle persone.

PAUPERISTA E DISANCORATO ALLA REALTA’
Piero Ostellino sul Corriere della Sera (16 luglio 2013), all’indomani della visita del papa a Lampedusa, bacchettava il volto “francescano” del Pontefice «pauperista», che fa sistematicamente «l’elogio della povertà a uomini e donne di una “società dei consumi” e del benessere in crisi come la nostra, che non ce la fanno sempre a mettere assieme la colazione di mezzogiorno con la cena della sera e ad altri uomini e donne che non aspirano che a raggiungere un certo livello di consumi e un minimo di benessere – rischia di mettere in second’ordine il Papa gesuita, mostrando di sottovalutare il principio di realtà anche agli occhi di molti credenti».

UNA REPLICA CHE CHIARISCE IL SUO PENSIERO
«Di fronte alle accuse  di essere “marxista”, “comunista” e “pauperista”», nel nuovo libro di Galeazzo e Tornielli, «Papa Francesco esponendo il suo pensiero sui temi della povertà e della giustizia sociale, risponde indirettamente ad altre critiche, forse ancor più velenose, che serpeggiano in alcuni ambienti ecclesiali che faticano ad accettare un Papa “non imprevisto” ma “imprevedibile”» (Franco Garelli, La Stampa 13 gennaio).

COSA E’ REALMENTE LA GLOBALIZZAZIONE DELL’INDIFFERENZA
Francesco non ha remore a rilanciare due concetti a lui cari. «La “globalizzazione dell’indifferenza” – spiega Garelli – è il grande rischio che il mondo d’oggi sta correndo; che viviamo in un sistema che ha alimentato non soltanto la ricchezza mondiale, ma anche le disparità e la “cultura dello scarto”; che l’attenzione per i poveri non è un’opzione politica o ideologica, ma anzitutto un criterio del Vangelo, il protocollo sulla base del quale i cristiani e gli uomini di buona volontà saranno giudicati; che la Chiesa non condanna i ricchi ma l’idolatria della ricchezza, che rende impermeabili al grido dei poveri».

DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI 
Ma a fianco di questi grandi appelli, il Papa richiama due criteri che la Chiesa oggi considera alla base degli ordinamenti socio-economici e politici: «Da un lato il principio della destinazione universale dei beni – sottolinea l’editorialista de La Stampa – dall’altro la scelta preferenziale dei poveri. Nel primo caso il principio sancisce che i beni della terra sono un dono che Dio ha elargito all’intera famiglia umana, per cui devono essere partecipati da tutti, secondo la regola della giustizia, inseparabile dalla carità; ma che si regge anche su una precisa ragione sociale, tesa a ridurre gli squilibri tipici di un sistema capitalistico che enfatizza eccessivamente il diritto di proprietà e la legge del più forte».

SCELTA PREFERENZIALE DEI POVERI
Anche «la scelta preferenziale dei poveri» – ricorda papa Francesco – è un leit-motiv della tradizione e del magistero della Chiesa cattolica, forse oggi un po’ passato sotto silenzio per il timore che il messaggio cristiano venga interpretato più in chiave orizzontale che verticale, più come salvezza sociale che spirituale. Con la scelta preferenziale dei poveri la Chiesa non intende favorire un processo di pura liberazione sociale. Ma non può che stare dalla parte degli ultimi, sia per essere fedele al suo messaggio, sia riconoscendo che l’estensione dei diritti di cittadinanza rende più civile e armonica l’intera umanità».

IL CUORE DEL VANGELO
Il sito web belga in lingua fiamminga deredactie.be pubblicò lo scorso 4 aprile un video in cui Francesco ribadiva una linea netta sulle povertà: «Questo è il cuore del Vangelo, io sono credente in Dio e in Gesù Cristo, per me il cuore del Vangelo è nei poveri. Ho sentito due mesi fa che una persona ha detto: con questo parlare dei poveri, questo Papa è un comunista! No, questa è una bandiera del Vangelo, no del comunismo…la povertà senza ideologia, i poveri sono al centro del Vangelo di Gesù, basta leggerlo» (Il Messaggero, 4 aprile).

CASA, TETTO, LAVORO
Così come il passaggio più incisivo del suo discorso nell’incontro mondiale dei movimenti popolari tanto criticato da Socci: «E’ un crimine che milioni di persone soffrano la fame – disse il pontefice – mentre la speculazione finanziaria condiziona il prezzo degli alimenti, trattandoli come qualsiasi altra merce. Nessuna famiglia senza tetto. Nessun contadino senza la terra. Nessun lavoratore senza diritti. Nessuna persona senza la dignità del lavoro» (Il Fatto Quotidiano, 28 ottobre). Il suo, dunque, è «un programma di azione sociale» in senso buono, come lo definiva Giorgio Bernardelli su Vinonuovo.it (31 ottobre 2014).

IL RISCATTO DEI MENO ABBIENTI
Un programma orientato al riscatto dei poveri e non al loro mero compatimento. «La novità del tempo di oggi e di domani sta, secondo papa Francesco – scriveva Città Nuova (31 ottobre), riprendendo alcune espressione di Bergoglio – sta nel fatto “che i poveri non aspettano più e vogliono essere protagonisti; si organizzano, studiano, lavorano, esigono e soprattutto praticano quella solidarietà tanto speciale che esiste tra quanti soffrono, tra i poveri, e che la nostra civiltà sembra aver dimenticato o quantomeno ha molta voglia di dimenticare”».

UNA SOLIDARIETA’ CREATIVA 
Sicuramente il papa, concludeva la rivista dei Focolarini, sgombrando il campo dalle accuse di “comunismo” e “pauperismo”, «ha davanti ai suoi occhi la comunità di malati, poveri, storpi, ciechi, che cerca Gesù per avere forza, stare in piedi, imparare i gesti e le parole di una solidarietà creativa, che mette i poveri al centro. Il papa – ispirato da quella visione – può dire che il futuro sta in questo nuovo protagonismo dei poveri, che sono chiamati a fare la storia, prima che l’impero del denaro possa travolgere il mondo con la guerra e con lo sfruttamento».

sources: ALETEIA

piccola rom: non c’è posto per lei nel cimitero

 

 

«tombe esaurite» per la piccola rom
il sindaco: “viene prima chi paga tasse”

per fortuna il primo ministro si è vergognato e ha espresso la sua indignazione!

Maria Francesca, 2 mesi, è morta la notte di Natale per la sindrome del lattante

 il primo cittadino nega sepoltura: «Pochi posti, precedenze chiare»: seppellita in città vicina

di Elisabetta Rosaspina

Il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi


Era già stato abbastanza triste finire l’anno con la notizia di una neonata morta fra le braccia di sua madre la notte del 25 dicembre, alla stazione ferroviaria di Lille, nel nord della Francia, dove la donna, una Rom, chiedeva l’elemosina. Aveva consolato poco sapere che il decesso della piccola, di appena due mesi d’età e di nome Maria Francesca, non era dovuto al freddo, o alla malnutrizione o a maltrattamenti. I medici avevano stabilito che la responsabilità era della sindrome della morte improvvisa del lattante. Certo la precarietà della vita nel campo nomadi di Champlan, un paesino dell’Essonne, dove la famiglia di Maria Francesca risiede, le giornate e le serate al collo della mamma, a mendicare, non hanno aiutato. Ma stemperati i dubbi e le prime ondate di emozione, le autorità hanno dato il via libera per la sepoltura del bebè. Ma neanche sotto terra c’è posto per Maria Francesca.

«Tutto esaurito» al camposanto

Il sindaco di Champlan ha opposto all’impresa di pompe funebri dapprima un diniego senza altre spiegazioni e, poi, vedendo montare pericolosamente la protesta, un cartello di tutto esaurito al piccolo camposanto. Una scusa. La famiglia, nomade ed emarginata ma anche molto cristiana e battagliera, non si è data per vinta, le associazioni di solidarietà sono scese sul piede di guerra. Niente da fare. Nonostante la mamma di Maria Francesca abbia spiegato che soltanto al cimitero di Champlan avrebbe potuto andare far visita a piedi alla sua bambina tutti i giorni, il carro funebre proseguirà senza fermarsi davanti al camposanto locale.


Una tomba messa a disposizione da un villaggio vicino

Una tomba è stata messa a disposizione in un villaggio, Wissous, a circa sette chilometri di distanza: «Non si poteva non intervenire – ha dichiarato il sindaco più generoso, Richard Trinquier, che appartiene al partito conservatore, Ump, di Sarkozy, ed è un medico -. Non è il caso di aggravare il dolore di una donna che ha portato in grembo il suo bambino per nove mesi e lo perde a poco più di due mesi di vita». Il sindaco di Champlan, Christian Leclerc, eletto del DVD, una formazione di destra, non si è lasciato commuovere: «I posti sono pochi, valutiamo caso per caso. Le concessioni sono accordate a un prezzo simbolico e la manutenzione è costosa. Diamo la precedenza a chi paga le tasse». La legge è dalla sua.

image_pdfimage_print