«tombe esaurite» per la piccola rom il sindaco: “viene prima chi paga tasse”
per fortuna il primo ministro si è vergognato e ha espresso la sua indignazione!
Maria Francesca, 2 mesi, è morta la notte di Natale per la sindrome del lattante
il primo cittadino nega sepoltura: «Pochi posti, precedenze chiare»: seppellita in città vicina
di Elisabetta Rosaspina
il cimitero di Champlan, alle porte di Parigi
Era già stato abbastanza triste finire l’anno con la notizia di una neonata morta fra le braccia di sua madre la notte del 25 dicembre, alla stazione ferroviaria di Lille, nel nord della Francia, dove la donna, una Rom, chiedeva l’elemosina. Aveva consolato poco sapere che il decesso della piccola, di appena due mesi d’età e di nome Maria Francesca, non era dovuto al freddo, o alla malnutrizione o a maltrattamenti. I medici avevano stabilito che la responsabilità era della sindrome della morte improvvisa del lattante. Certo la precarietà della vita nel campo nomadi di Champlan, un paesino dell’Essonne, dove la famiglia di Maria Francesca risiede, le giornate e le serate al collo della mamma, a mendicare, non hanno aiutato. Ma stemperati i dubbi e le prime ondate di emozione, le autorità hanno dato il via libera per la sepoltura del bebè. Ma neanche sotto terra c’è posto per Maria Francesca.
«Tutto esaurito» al camposanto
Il sindaco di Champlan ha opposto all’impresa di pompe funebri dapprima un diniego senza altre spiegazioni e, poi, vedendo montare pericolosamente la protesta, un cartello di tutto esaurito al piccolo camposanto. Una scusa. La famiglia, nomade ed emarginata ma anche molto cristiana e battagliera, non si è data per vinta, le associazioni di solidarietà sono scese sul piede di guerra. Niente da fare. Nonostante la mamma di Maria Francesca abbia spiegato che soltanto al cimitero di Champlan avrebbe potuto andare far visita a piedi alla sua bambina tutti i giorni, il carro funebre proseguirà senza fermarsi davanti al camposanto locale.
Una tomba messa a disposizione da un villaggio vicino
Una tomba è stata messa a disposizione in un villaggio, Wissous, a circa sette chilometri di distanza: «Non si poteva non intervenire – ha dichiarato il sindaco più generoso, Richard Trinquier, che appartiene al partito conservatore, Ump, di Sarkozy, ed è un medico -. Non è il caso di aggravare il dolore di una donna che ha portato in grembo il suo bambino per nove mesi e lo perde a poco più di due mesi di vita». Il sindaco di Champlan, Christian Leclerc, eletto del DVD, una formazione di destra, non si è lasciato commuovere: «I posti sono pochi, valutiamo caso per caso. Le concessioni sono accordate a un prezzo simbolico e la manutenzione è costosa. Diamo la precedenza a chi paga le tasse». La legge è dalla sua.
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce.
Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e levìti a interrogarlo: «Tu, chi sei?». Egli confessò e non negò. Confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Chi sei, dunque? Sei tu Elia?». «Non lo sono», disse. «Sei tu il profeta?». «No», rispose. Gli dissero allora: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?». Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa».
Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Essi lo interrogarono e gli dissero: «Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?». Giovanni rispose loro: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo». Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
IN MEZZO A VOI STA UNO CHE VOI NON CONOSCETE
commento al Vangelo della terza domenica di avvento (14 dicembre) di p. Alberto Maggi
“Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni”. Con questa bella immagine tratta dal prologo del Vangelo di Giovanni, si apre il vangelo di questa domenica. Essendo il progetto di Dio rivolto all’uomo il Signore sceglie un uomo per manifestarlo. Non un esponente della casta sacerdotale, né dell’élite religiosa. Luoghi e persone religiose sono impermeabili all’azione dello Spirito. Il suo nome era Giovanni. Giovanni, in ebraico Yohan, significa Jahvè, il Signore è misericordia. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti … il messaggio di Dio è universale, abbraccia tutta l’umanità … credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Il compito di Giovanni è risvegliare negli uomini il desiderio di pienezza di vita e renderli coscienti dell’esistenza della luce, nonostante le tenebre. Questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei … per la prima volta appare in questo vangelo il termine Giudei che sarà ripetuto ben 71 volte, con il quale l’evangelista non indica il popolo ebraico, ma i capi, le massime autorità religiose. Gli inviarono … E qui l’evangelista gioca con questo verbo. Dio invia Giovanni per risvegliare il desiderio di pienezza di luce, le autorità religiose immediatamente inviano la polizia per spegnere questa luce. Da Gerusalemme, sede dell’istituzione religiosa, sacerdoti e levìti. I levìti nel tempio svolgevano anche funzioni di polizia. Quindi ci sono i sacerdoti per interrogare Giovanni e i levìti pronti ad arrestarlo. A interrogarlo, è lo stesso termine che poi comparirà nell’interrogatorio che condurrà a morte Gesù. E in maniera brutale gli chiedono: “Tu chi sei?” sono le tenebre che detestano questa luce che Giovanni sta risvegliando. Egli confessò e non negò. Confessò: “Io non sono il Cristo”. E’ quello che temono. Si sapeva che il Cristo, il messia sarebbe venuto a deporre l’intera gerarchia religiosa per indegnità, per corruzione. Ed è quello che temono. Se anche nelle preghiere desideravano, auspicavano l’avvento del messia, in realtà lo temevano perché sapevano che con il messia per loro sarebbe stata la fine; il messia avrebbe fatto piazza pulita del sacerdozio corrotto e compromesso. Allora gli chiesero: “Chi sei, dunque? Sei tu Elia?” Si credeva che il profeta Elia sarebbe venuto prima del messia. “Non lo sono”. Le risposte di Giovanni sono via via sempre più brevi e più secche. “Sei tu il profeta?” quello promesso da Mosè, “No”, rispose. Gli dissero allora: “Chi sei?” E’ interessante, Dio invia il suo messaggero, ma i sacerdoti e i levìti che dovevano per primi riconoscerlo, non lo conoscono. Gli chiedono “chi sei?” “Perché possiamo dare una risposta a coloro”, cioè i capi “che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?” Tutto questo perché per loro non può essere innocente uno che inizia un’attività senza avere il mandato legittimato da parte delle autorità competenti. Rispose: “Io, voce di uno che grida dal deserto”, e qui l’evangelista cita il profeta Isaia, ma omette il verbo “preparare” inserendo solo “raddrizzare”. “Rendete dritta la via del Signore”, cioè togliete gli ostacoli. Sono proprio le autorità religiose il massimo ostacolo alla venuta di Gesù, alla sua azione e al suo insegnamento. Quelli che erano stati inviati venivano dai farisei. Meglio tradurre: c’erano gli inviati dai farisei. Per la prima volta appaiono in questo vangelo i farisei e l’ultima volta che compariranno sarà al momento dell’arresto di Gesù. Queste persone tanto pie, tanto devote, tanto osservanti della legge, sono refrattarie all’azione divina, non riconoscono l’inviato da Dio né in Giovanni, né il figlio di Dio in Gesù, e saranno acerrimi avversari del progetto di Dio sull’umanità. Essi lo interrogarono e gli dissero: “Perché dunque battezzi”, se Giovanni battezza c’è qualcuno che lo ha riconosciuto come inviato da Dio, ma non sono le autorità religiose, bensì il popolo. “Se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?” Ed ecco la risposta, la denuncia di Giovanni. Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete”, non lo conoscono e mai conosceranno il Cristo. Chi vive un rapporto con Dio basato sull’osservanza della legge non potrà mai percepire la presenza di un Dio creatore che si manifesta nella vita. O l’osservanza della legge o l’accoglienza di quello che la vita presenta. “Colui che viene dopo di me: a lui in non sono degno di slegare il laccio del sandalo.” Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, e il passaggio del fiume da parte di Giosuè per entrare nella terra promessa, ma ora la terra promessa si è trasformata in una terra di schiavitù e di morte dalla quale il popolo dovrà uscire, e questa sarà la missione di Gesù.
VOCE DI UNO …
il commento di p. Castillo:
1. In questo racconto è chiaro che l’insegnamento e la testimonianza di Giovanni non coincidevano con quello che insegnavano e desideravano gli uomini della religione. Sappiamo che Giovanni Battista era figlio di un sacerdote, Zaccaria (Lc 1, 5-25). E sappiamo anche che sua madre Elisabetta era della famiglia di Aronne (Lc 1,5b), la più importante della famiglie sacerdotali di Israele. La cosa più logica è che Giovanni fosse andato al Tempio per continuare la vocazione di quella famiglia. Invece no. Giovanni Battista è andato nel deserto e lì è vissuto come un asceta, forse tra i monaci o con gli esseni. Di fatto, in questo modo il Precursore di Gesù ha annunciato una salvezza che non veniva dal Tempio, né dal clero, né dal sacro, né dalla religione consolidata. Per questo Giovanni destò negli uomini della religione un allarme importante. Ed inviarono sacerdoti, leviti e farisei ad interrogare Giovanni. Volevano sapere chi fosse quello strano predicatore che annunciava una nuova luce, al di là del Giordano, fuori della città santa, del territorio della religione ufficiale, che non tollera che si annunci una luce al di fuori di lei. 2. Giovanni non accetta alcun titolo. Si vedeva come un “nessuno” (E. Galeano). Giovanni pensava che era solo una voce che grida nel deserto. Non si tratta di umiltà. La chiave sta nel fatto che solo nello spogliarsi di ogni pretesa uno può essere testimone autorizzato della Luce, che è Gesù. 3. Giovanni è stato una voce, ascoltata ed accolta da alcuni, “i pubblicani e le prostitute” (Mt 21,32) e rifiutata da altri, i “sacerdoti e gli anziani” (Mt 21,32. Cf. Mt 21,23). I “nessuno” ascoltano ed accolgono la voce del Signore. I “titolati” la rifiutano. Il Vangelo sconvolge le nostre sicurezze ed il nostro “ordine”. Gesù (che era annunciato da Giovanni) era il chaos, di fronte al cosmos. Il nostro falso “ordine” trova una soluzione mediante il “disordine” che è il Vangelo.
MA TU CHI SEI?
il commento di p. Agostino Rota Martir a partire dalla condivisione della sua vita coi rom di Coltano (Pisa)
Se sono dei bambini a chiedertelo, la cosa e’ del tutto legittima ed innocua: curiosità, interesse..ma se sono i “grandi” (sacerdoti e leviti) a interrogarsi sulla tua identità, la cosa è più preoccupante e presenta dei possibili rischi.
Noi grandi in genere, vogliamo identità chiare e sicure, ben definite e consolidate, possibilmente confermate e verificate da chi sta in alto. Non ci piacciono tanto quelle “fluide”, mischiate, non del tutto controllabili dai centri preposti. Figurarsi poi se qualcuno dal deserto, richiama così tanta gente, addirittura dalla città Santa, Gerusalemme. Sospetto misto a invidia?
“Tu, chi sei?” Glielo ripetono una seconda volta. E’ comprensibile d’altronde il deserto e’ uno dei luoghi sospetti e chi ci vive segue la stessa sorte. Come la Galilea delle genti, toccherà anche a Gesù attraversare lo stesso sospetto e diffidenza. È il destino delle periferie, di ieri e di oggi, quello di contagiare senza appello chi ne fa parte fisicamente. La diffidenza accompagnerà ovunque e chiunque viene da una delle periferie. Ne sanno qualcosa i Rom che abitano nei campi, ma anche chi ci vive dentro (come il sottoscritto) o chi li frequenta: “poco credibili” agli occhi della maggioranza e dei palazzi.
Troppo di parte, compromessi o esagerati.
“Che cosa dici di te stesso?”
È un interrogatorio vero e proprio!
Difficile credere che chi vive in periferia, possa dire cose utili e vere anche per chi sa di essere a posto, cittadino esemplare e buon credente.
In genere parlano altri, chi ha i requisiti in ordine, chi ha l’incarico ufficiale di assistere e decidere sulla vita degli altri, possibilmente accettando in silenzio le condizioni imposte da chi gestisce la vita altrui: identità sospette, da decifrare, catalogare e rimettere nella normalità..rieducare.
“Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce..”
Testimone, e’ un compito che Giovanni certo non se lo e’ dato da sé. È la vita che modella il testimone, in un certo senso lo incorona tale..perché lui e non un dottore della legge, teologicamente ben più preparato del Battista? Perché proprio un deserto e non il Tempio, orgoglio di Israele?
Senza periferia il mondo, la Chiesa stessa perderebbe la possibilità di veder fiorire i suoi testimoni-profeti. In un certo senso i “deserti” sono il grembo fecondo, nel quale Dio non si stanca mai di seminare la sua Luce per guidare l”intera umanità.
Al testimone, Dio chiede la fedeltà alla vita che ha tra le mani, la costanza della ricerca e di non spegnere mai la luce della fede, anche nelle prove che dovrà attraversare..senz’altro gli perdonerà le sue imperfezioni teologiche e pastorali: “Perché dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?”.
Ecco, siamo un po’ tutti chiamati a lasciarci “battezzare” dalle nostre periferie e dai nostri deserti.
Che delusione Papa Francesco che si piega ai diktat di Pechino
di Alberto Maggi
Papa Francesco è amato da tutti, o quasi. Non ci sono dubbi sulla sua carica umana e spirituale e sulla sua capacità di ridare alla Chiesa nuovo lustro, anche e soprattutto con le aperture nei confronti dei divorziati. Ma la scelta del Santa Padre di non incontrare il Dalai Lama, in visita a Roma, lascia l’amaro in bocca. Che non lo abbia incontrato Obama, sempre meno meritevole del Nobel per la pace, si può anche capire (la Cina ha in mano il debito pubblico degli Stati Uniti), ma che anche il Pontefice si adegui alla realpolitik e, di fatto, si inginocchi al volere del regime di Pechino lascia quantomeno sgomenti. Da questo Papa, ecumenico e rivoluzionario, ci saremmo aspettati più coraggio. E più indipendenza. E forse anche più autorevolezza. E per favore il Vaticano non ci racconti la storiella che non è stato possibile organizzare un faccia a faccia anche di soli 10 minuti. Un incontro e una stretta di mano sarebbero stati gesti importantissimi per chi difende i diritti umani, in Tibet e non solo. E invece niente. Che delusione caro Francesco…
commento al Vangelo della seconda domenica di avvento (7 dicembre 2014) di p. Alberto Maggi
Mc 1,1-8
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, e mangiava cavallette e miele selvatico. E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Leggiamo e commentiamo i primi otto versetti del vangelo di Marco, che inizia con queste parole: Inizio della buona notizia … sappiamo che il termine vangelo significa infatti buona notizia. E’ una buona notizia che è già conosciuta. L’evangelista non si rivolge a persone che ancora non conoscono la novità di Gesù, ma a persone che già la vivono. E Marco intende narrare quale è stata l’origine. Allora perché la chiama buona notizia? Perché c’è un nuovo rapporto con Dio che non è più basato sull’osservanza della legge – il termine “legge” nel vangelo di Marco non apparirà mai – ma sull’accoglienza dello Spirito, come vedremo alla fine di questo brano con l’annunzio che l’attività di Gesù sarà battezzare in Spirito Santo. Quindi non più l’osservanza di una legge esterna all’uomo, ma l’accoglienza di una realtà interiore all’individuo. La buona notizia è di Gesù Cristo, Cristo cioè Messia, e manca l’articolo, che significa che non è il Messia della tradizione, quello che Israele attendeva, il liberatore che attraverso la violenza avrebbe restaurato il Regno di Israele, ma un liberatore, un Messia completamente diverso che l’evangelista ci aiuta ora a scoprire. Figlio di Dio. Ecco Gesù sarà Messia, ma non sarà il figlio di Davide, non verrà a restaurare il regno di Israele, ma il figlio di Dio verrà ad inaugurare il regno di Dio, l’amore universale del Padre. Come sta scritto nel profeta Isaia … e qui in realtà l’evangelista fa un collage di tre testi, in cui c’è naturalmente anche il profeta Isaia, ma apre anzitutto con il testo del libro dell’Esodo. E chiude poi quello di Isaia con l’Esodo. Il primo esodo è stato la collaborazione di tutti coloro che lo desiderano. Ed ecco la presentazione di chi è questo messaggero di Dio. E’ un inviato da Dio che prescinde da ogni istituzione religiosa. Vi fu Giovanni che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo … Il battesimo era un rito conosciuto, ci si immergeva nell’acqua a simboleggiare la morte al proprio passato, per iniziare una vita nuova. Quindi proclamava un’immersione in segno di morte al passato … di conversione, cioè cambiamento di vita. Se fino adesso hai vissuto per te, adesso vivi per gli altri, questo è il significato di “conversione” che l’evangelista adopera. Per il perdono dei peccati. Il cambiamento di condotta ottiene il condono di tutte le colpe, quindi è un atto esteriore per indicare un profondo cambiamento interiore. Ebbene, all’annunzio di Giovanni, di un battesimo per ottenere il perdono dei peccati, c’è una risposta inaspettata, incredibile. Infatti scrive l’evangelista: Accorrevano a lui … e qui l’evangelista adopera il verbo “uscire”, che è lo stesso adoperato nell’esodo per indicare la liberazione compiuta da Dio nei confronti del suo popolo. Accorrevano a lui da tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. Questo è sorprendente, perché aGerusalemme c’era il tempio, il luogo preposto per il perdono dei peccati. Ebbene le persone comprendono che il perdono dei peccati non si ottiene attraverso un rito nell’istituzione religiosa, ma anzi bisogna allontanarsi per un cambio profondo della propria vita. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano … ecco un’altra indicazione dell’Esodo. Il Giordano è stato il fiume che il popolo d’Israele ha dovuto attraversare per entrare nella terra promessa. Confessando i loro peccati. Poi l’evangelista ci da una descrizione di questo Giovanni, che è la descrizione dei profeti. Infatti era vestito di peli di cammello, che era l’abito dei profeti, con una cintura di pelle attorno ai fianchi. Questa sottolineatura della cintura di pelle richiama il più grande dei profeti cioè il profeta Elia, quindi l’evangelista vuole rappresentare che quell’Elia che il popolo attendeva come precursore del Messia, si è manifestato nella figura di Giovanni Battista. E mangiava cavallette e miele selvatico. Quello che offre il deserto, il cibo normale dei nomadi e dei beduini. E proclamava: “Viene dopo di me colui che è più forte di me: ionon sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali”. L’espressione di Giovanni Battista non è un attestato di umiltà, ma qualcosa di molto più profondo. Qui c’è un’allusione a ben tre testi, al libro del Genesi, al libro di Ruth e al libro del Deuteronomio, che si rifanno a una pratica chiamata del Levirato, da Levir, che in latino significa “cognato”. Qual era questa pratica? Quando una donna rimaneva vedova senza un figlio, il cognato aveva l’obbligo di metterla incinta. Il bambino che sarebbe nato avrebbe portato il nome del marito defunto, in modo che il nome del defunto continuasse a perpetuarsi. Quando il cognato si rifiutava si mettere incinta la donna, colui che aveva diritto dopo di lui procedeva alla cerimonia chiamata “dello scalzamento”, scioglieva il legaccio dei sandali – era un rito particolare – si sputava sui sandali e stava a significare: il tuo diritto di mettere incinta questa donna passa a me. Allora la proclamazione di Giovanni Battista è molto più profonda. Lui dice: “non scambiate me per il Messia, lo sposo d’Israele, colui che deve fecondare questa donna, considerata come una vedova perché la relazione con Dio era ormai terminata, non sono io, ma colui che sta per venire”. Perché “io vi ho battezzato con acqua”, un rito esterno, l’acqua è qualcosa di esteriore all’uomo, “ma egli vi battezzerà in Spirito Santo”. L’azione di Gesù sarà un’immersione profonda, intima, interiore, nella stessa vita divina. Ecco allora la buona notizia che l’evangelista ha annunziato. La relazione con Dio non è più basata sull’osservanza della legge, ma sull’accoglienza del suo amore. E’ questo che guiderà la vita degliuomini.
Non giudicherà secondo le apparenze..”
il commento di p. Agostino Rota Martir che ‘legge’ il vangelo non da una sala parrocchiale o da uno studio teologico ma dalla sua convivenza con un gruppo di rom a Pisa:
“Preparatevi, quando arriverò io risolverò tutto! Le cose cambieranno verso.”
“Colui che viene dopo di me è più forte di me..”
Due logiche diverse, anzi opposte tra di loro. La prima, tipica del leader di successo, la seconda è di chi sa e si sente un messaggero di Qualcuno.
La prima è di chi sentendosi forte, con sondaggi alla mano tende a restringere o addirittura annullare lo spazio dell’altro, visto come un ingombro alla propria iniziativa.
L’altro, invece sceglie di “fare spazio all’altro”: atteggiamento tipico di Dio. Racconta un Midrash ebraico che quando Dio crea il mondo e l’uomo si rannicchia, proprio per fare spazio a ciò che nasce.. in un certo senso mi sembra più bello l’ atteggiamento di un Dio rannicchiato, che si ritrae perché l’altro cresca, rispetto a quello di un Dio creatore in piedi che domina e controlla l’andamento del mondo.
Il leader, in genere è alla ricerca dei riflettori, il Battista invece sceglie di mettersi da parte, il deserto è il suo luogo di vita, ma anche lo spazio di osservazione, la sua periferia dalla quale guardare il mondo e le persone.
In genere, il primo gioca un po’ ad essere “come Dio”, il secondo invece, cerca Dio nelle pieghe nascoste degli uomini. Nel Mistero dell’incarnazione Dio che si fa uomo! Un Dio che si converte all’uomo, mischiandosi con l’umanità con tenerezza e sapienza.
“Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse..non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire.” (Is. 11, 1.3)
I tempi del germoglio sono lenti e costanti, non dettati dalla fretta dei risultati. E poi un germoglio è imprevedibile, proprio come il Dio dei profeti sempre al fianco dei poveri. Per i poveracci di ieri, quando Isaia pronunciò queste parole, e quelli di oggi le cose per loro non sono cambiate di molto. Stesso destino, esclusi e visti spesso come causa delle crisi, stessi atteggiamenti di pregiudizio. Gli spazi per i poveri si riducono sempre di più, visti con disagio e sospetto e affidati alla gestione a persone senza scrupoli, affaristi e con la puzza sotto il naso.
“Il lupo dimorerà insieme con l’agnello..”
Sogno o stimolo perché la fede in Dio sia capace di entrare nei cuori di tutti? In quello dei prepotenti, come in quello delle loro vittime.
I lupi che vorrebbero i Rom nei forni crematori, sapranno un giorno vivere insieme, accogliendosi nel rispetto reciproco? Il lupo oggi ha tante sembianze, tanti volti, sa presentarsi bene, si trasforma velocemente, segue il vento che tira, ma anche l’agnello può diventare lupo a sua volta, verso il più debole di lui. Ecco, quindi l’urgenza del vigilare (domenica scorsa), e l’invito di questa domenica alla conversione: saper fare spazio all’altro, perché “il Regno dei cieli possa farsi vicino”.
Per il Vaticano la scelta della malata terminale californiana Brittany Maynard di anticipare di qualche settimana una fine dolorosa e scontata è da considerarsi «priva di dignità». La Chiesa ha ovviamente tutto il diritto di fare la Chiesa e di interpretare i dettami della divinità a beneficio di coloro che le riconoscono la funzione di intermediaria. Ma definire indegna la decisione di una donna colpita da un tumore devastante al cervello significa non sapere più dove stia di casa la parola «umanità». Nelle astrazioni della dottrina si possono anche costruire scintillanti cattedrali di ghiaccio. Ma la vita, per chi la conosce e la ama, è un’altra storia e ci racconta che qualsiasi strada percorsa con coraggio conduce a destinazione. Una persona che combatte fino all’ultimo contro il dolore e l’umiliazione della malattia ha la stessa dignità di chi preferisce sottrarre il suo corpo e i propri cari a un simile strazio. Nessun condannato a morte si avvia volentieri al patibolo, a meno che sia un martire invasato: categoria di cui da sempre abbondano soprattutto le religioni. Se sceglie di anticipare l’esecuzione, è solo perché vuole andarsene con consapevolezza. C’è molta più dignità nelle lacrime di congedo della vitalissima Brittany che in chi, ancora una volta, ha deciso di salire sull’onda di un caso mediatico per zavorrare di aggettivi infamanti la libera e drammatica scelta di un essere umano.
Commento al Vangelo della ESALTAZIONE DELLA CROCE (14 settembre 2014, domenica ventiquattresima del tempo ordinario) di p. Alberto Maggi
Gv 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui.»
Nel dialogo con il fariseo Nicodemo, capo dei Giudei, Gesù si rifà ad un episodio conosciuto della storia di Israele contenuto nel Libro dei Numeri. Al capitolo 3, versetto 14 l’evangelista scrive: “«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto»”; i serpenti erano stati inviati da Dio per castigare il popolo secondo lo schema classico di “castigo-salvezza/perdono”. In Gesù invece c’è soltanto salvezza. “«Così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo»”, Gesù si riferisce alla sua futura morte in croce e parla del Figlio dell’uomo, cioè l’uomo che ha la pienezza della condizione divina. “«Perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna»” – credere nel Figlio dell’uomo significa aspirare alla pienezza umana che risplende in questo figlio dell’uomo. Per la prima volta appare in questo vangelo un tema molto caro all’evangelista, cioè quello della vita eterna. La vita eterna non è, come insegnavano i farisei, un premio futuro per la buona condotta tenuta nel presente, ma una qualità di vita già nel presente. E si chiama “eterna” non tanto per la durata senza fine, ma per la qualità indistruttibile. E questa vita eterna non si avrà in futuro, ma si ha già. Chiunque da adesione a Gesù, quindi aspira alla pienezza umana che risplende in Gesù. “«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito»”, il Dio di Gesù non è un Dio che chiede, ma un Dio che offre, che arriva addirittura a offrire se stesso. “«Perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna»”. La vita eterna non si ottiene, come insegnavano i farisei, osservando la legge, cioè un codice esterno all’uomo, ma dando adesione al Figlio dell’uomo. E Gesù appare qui come il dono dell’amore di Dio per l’umanità. Dio è amore che desidera manifestarsi e comunicare. E Gesù è la massima espressione di questa manifestazione e comunicazione di Dio. “«Dio infatti non ha mai mandato il Figlio nel mondo per condannare»”, anche se il verbo qui non è condannare, ma “«giudicare il mondo»”. Di nuovo qui Gesù sta parlando con un fariseo, demolisce le attese di un messia giudice del popolo. Quindi il Figlio non è venuto per giudicare il mondo, “«ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui»”. Dio è amore e in lui non c’è né giudizio né condanna, ma c’è soltanto offerta di vita.
l’intervento di Africa insieme e del Progetto Rebeldia sulle vicende riguardanti il dibattito e lo sgombero dei campi rom di Pisa
gli articoli cui si fa riferimento si possono leggere nei link in fondo all’intervento:
Come in un inquietante gioco dell’oca, la politica pisana torna di tanto in tanto alla casella di partenza, e si dimentica del percorso fatto. È quanto sta accadendo negli ultimi giorni, a proposito del dibattito sui rom: un dibattito pieno di discorsi vecchi e di stereotipi banali. Che però feriscono persone in carne e ossa, e creano esclusione e discriminazione.
Il direttore del Parco solleva il tema del (presunto) smaltimento irregolare di rifiuti nei campi nomadi: cita fatti gravi senza circostanziarli, e accusa l’intera comunità rom di episodi che – se accertati – sarebbero comunque responsabilità dei singoli. Confcommercio definisce “inaccettabile” il campo della Bigattiera, e ne chiede lo sgombero.
Che i campi nomadi siano “inaccettabili”, lo dicono gli stessi rom che sono costretti ad abitarvi. I campi sono luoghi di segregazione – veri e propri “ghetti” – che rappresentano la vergogna dell’Italia, e che le istituzioni internazionali (Unione Europea, Consiglio d’Europa) ci chiedono di superare.
“Superare i campi” non vuol dire però sgomberarli con la forza. Non è difficile capire che una famiglia allontanata da un campo, se priva di alternative, costruirà un altro campo a poche centinaia di metri.
Gli sgomberi sono inutili, controproducenti (aggravano le condizioni di marginalità), e hanno costi altissimi a carico dei contribuenti: si calcola che ogni intervento costi decine di migliaia di euro. Per di più, sono illegali ai sensi del diritto internazionale, e non si può invocare la “legalità” solo quando fa comodo…
Invece di ricorrere a stereotipi e frasi fatte, sarebbe utile ricordare un po’ di storia recente. L’UE ha stanziato fondi consistenti per “superare i campi”, e per garantire una sistemazione dignitosa alle famiglie che li abitano. I rom della Bigattiera, assieme a tante associazioni, chiedono che il Comune acceda a questi fondi, e avvii un programma di inserimento abitativo. Il Consiglio Comunale aveva approvato persino una mozione in questo senso, che è rimasta però lettera morta: ad oggi, i rom della Bigattiera vivono in un luogo senza luce, senza acqua e senza scuolabus per i bambini. Questa è la cosa davvero “inaccettabile”, che però non viene neanche menzionata nei comunicati di Gennai e di Confcommercio. E di questo si dovrebbe seriamente discutere. Si preferisce invece invocare gli sgomberi, e attizzare un po’ di odio verso i rom, invocando la “legalità” a sproposito (è ovvio che chi commette un reato debba essere perseguito, ma è altrettanto ovvio che le responsabilità sono personali, e non coinvolgono i rom come categoria). L’esito di queste dichiarazioni è scontato: vi saranno più controlli di polizia nei campi (come già è accaduto in questi giorni), e si farà qualche sgombero “muscolare” per accontentare chi protesta. Nel frattempo, i problemi rimarranno intatti sul tavolo, e i rom continueranno a restare senza acqua, senza luce e senza scuolabus. Un bel capolavoro.
se ‘Rebeldia’ e ‘Africa insieme’ giustamente criticano la durezza e spietatezza usate troppo spesso nel demolire le baracche e le umilissime abitazioni dei campi rom e se certamente è vero che molte volte (per cause che sbrigativamente e superficialmente vengono ricondotte alle responsabiltà dei rom) appaiono come luoghi e abitazioni di degrado e di ghetto, certo è che la soluzione che si cerca di imporre con la teorizzazione del superamento dei campi nella teoria dell’ ‘oltre i campi’ (che vede come unica soluzione l’inserimento forzato in) è troppo rigida e poco rispettosa dei veri desideri e sensibilità e cultura di questo popolo
di questo pare sia convintissimo anche don Agostino la cui roulotte è stata abbattuta per ultima (vedi articolo de ‘la Nazione’ rortato in foto qui sopra), e che esprime il suo disagio, condiviso da diversi rom che con lui abitavano quello spazio, col seguente grido:
“Ridatemi per cortesia il campo di prima!”
Da diverso tempo tutti gridano con disinvoltura e sicurezza che bisogna andare oltre i campi, che bisogna superare questa vergogna tipicamente italiana, e anche questo è falso! E’ un altro stereotipo, ma che si tiene volutamente nascosto. Perchè ognuno ha la sua ricetta magica da proporre.
Di campi o di terreni dove vivono famiglie Rom e Sinte ce ne sono in Francia, in Spagna, in Inghilterra e chissà dove altro. Toh, in Francia nomadizzare è previsto, non è scandaloso o offensivo. Le municipalità con oltre 10.000 (?) abitanti hanno l’obbligo di prevedere uno spazio riservato alle “genti di viaggio”.
Ma non voglio tifare per un modello a scapito di un altro..Credo invece che debbano essere loro, i Rom a scegliersi (liberamente) come e dove vivere la loro famiglia, che a noi piaccia o no. Quando si parla di smantellamento o di sgombero di campi Rom, l’unica prospettiva percorribile sembra essere quella della casa. Casa=integrazione, ma ne siamo così sicuri?
Mi domando: quando i Rom di Coltano stavano nel campo in baracche e roulotte “vivevano” meglio, rispetto ad ora che abitano in appartamenti del nuovo villaggio, sotto continuo ricatto e minaccia di allontanamento? Dove erano più felici, più veri? Andando a vivere in appartamenti cosa è cambiato in loro? E’ migliorata o peggiorata la loro vita?
Ora sono più integrati rispetto a prima? Non mi sembra proprio!
commento al Vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (7 settembre) di p. Alberto Maggi
Mt 18,15-20
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se il tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi ancora con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità; e se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano. In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo. In verità io vi dico ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
Dopo aver parlato dello scandalo della comunità verso i piccoli, cioè gli emarginati, che possono essere scandalizzati da quello che vedono all’interno della comunità in termini di ambizione, di superiorità, Gesù ora arriva a parlare dello scandalo dei dissidi all’interno della comunità. E’ quanto scrive Matteo al capitolo 18, versetti 15-20. “«Se tuo fratello»”, quindi si tratta di un componente della comunità, “«commetterà una colpa contro di te, va’ e …»”, non ammoniscilo, come riporta questa traduzione, ma “«convincilo»”. Non è la posizione di un superiore verso un inferiore per ammonirlo, ma è la posizione del fratello che cerca di ricomporre l’unità, cerca di superare il dissidio. Sempre ricordando quanto Gesù già ha ammonito, cioè che prima di guardare la pagliuzza nell’occhio del fratello, occorre stare attenti che uno non abbia la trave conficcata nel suo (trave che deforma la sua realtà). “«Tra te e lui solo»”, quindi al dissidio non deve essere data pubblicità, si deve risolvere il problema. Ed è la persona offesa che deve andare verso l’offensore, perché chi sbaglia, chi offende spesso non ha il coraggio, non ha la forza di chiedere scusa, di chiedere perdono. Allora deve essere la parte lesa, la persona offesa, che va verso l’offensore e ricomporre il dissidio.“«E se ti ascolterà avrai guadagnato il tuo fratello; se non ascolterà, prendi con te una o due persone»”; sono quelli che nella comunità svolgono il ruolo di costruttori di pace, “«perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni»”. Secondo quanto affermava il libro del Deuteronomio, capitolo 19, versetto 15, sulla validità di una testimonianza. “«Se poi non ascolterà costoro, dillo alla comunità»”. Il termine greco è ecclesia che rappresenta la comunità dei convocati, l’assemblea dei convocati da Gesù, “«E se non ascolterà neanche la comunità, sia per te»”, quindi non per la comunità, ma per te, “«come il pagano e il pubblicano»”. Cosa significa? Non significa che quest’individuo, causa del dissidio, vada escluso dall’amore della comunità, e neanche dal tuo amore, ma significa che questo amore sarà a senso unico. Mentre nella comunità l’amore donato viene anche ricevuto, perché i fratelli si scambiano vicendevolmente questo amore, verso la persona che è causa del dissidio, l’amore va dato come quello verso i nemici. Gesù dirà di amare i nemici, dirà di pregare per i persecutori. Quindi non significa escludere questa persona dal tuo amore, ma amarlo in perdita, a senso unico. E sempre parlando della tematica del perdono, Gesù assicura: “«In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo»”. Si tratta sempre del perdono, chi non perdona lega il perdono di Dio, “«E tutto quello che scioglierete in terra sarà sciolto in cielo»”. Si tratta del perdono, Il perdono di Dio diventa operativo ed efficace quando si traduce in perdono verso gli altri. Quindi chi non perdona lega il perdono di Dio, mentre chi perdona lo scioglie. Al termine del capitolo, al versetto 35, infatti, Gesù dirà: “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi se non perdonerete di cuore il vostro fratello”. Quindi questa affermazione di Gesù non riguarda la concessione alla sua comunità del potere di legiferare in ogni materia e in ogni campo, ma della responsabilità nel concedere il perdono: se non perdoni leghi il perdono di Dio. E poi Gesù conclude: “«Ancora: se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo»”, il verbo mettere d’accordo è Sinfoneo, da cui la parola “sinfonia”. E’ importante perché indica la vita della comunità. Sinfonia significa che diverse voci, diversi strumenti suonano ciascuno dando il meglio di sé. Non ci deve essere una uniformità di voci e di suoni, ma c’è una varietà nell’unico spartito che è quello dell’amore. Quindi è l’amore vissuto nelle varie forme, fiorito nelle varie modalità. “«Per chiedere qualunque cosa, il Padre mi oche è nei cieli gliela concederà. Perché dove due o tre …»”, ecco ritornano i due o tre che sono stati fautori della pace, coloro che sono andati a eliminare il dissidio, la loro funzione di costruttori di pace, rende manifesta la presenza del Signore. “«… sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro»”. E ritorna la tematica cara all’evangelista, quella del Gesù, il Dio con noi. Mentre nella tradizione ebraica si diceva che dove due o tre si riuniscono per studiare la Torah, la legge, la Shekinà, cioè la gloria di Dio è in mezzo a loro, Gesù si sostituisce alla legge. L’adesione a Dio non avviene più attraverso una legge esterna all’uomo, ma nell’immedesimazione con una persona: Gesù, il Figlio di Dio, il modello dell’umanità. Gesù assicura che quando c’è questa unità, quando si ricompongono i dissidi all’interno della comunità, la sua presenza è ininterrotta e crescente.
commento al vangelo di p. Pagola
Benché le parole di Gesù, raccolte da Matteo, sono di grande importanza per la vita delle comunità cristiane, poche volte attraggono l’attenzione di commentatori e predicatori. Questa è la promessa di Gesù: “Dove due o tre stanno riuniti nel mio nome, lì io sto in mezzo a loro”. Gesù non sta pensando a celebrazioni massicce come quelle della Piazza di San Pietro a Roma. Benché solo… siano due o tre, lì egli sta in mezzo a loro. Non è necessario che sia presente la gerarchia; non è necessario che siano molti i riuniti.
La cosa importante è che “siano” riuniti, non dispersi, né nemici tra loro: che non vivano disprezzandosi alcuni con gli altri. Egli è decisivo: “che si riuniscano nel suo nome”: che ascoltino la sua chiamata che vivano concordi col suo progetto del regno di Dio. Che Gesù sia il centro del suo piccolo gruppo, e questa presenza viva e reale di Gesù è quella che deve incoraggiare, guidare e sostenere le piccole comunità dei suoi seguaci. È Gesù che deve incoraggiare il loro discorso, le loro celebrazioni, progetti ed attività. Questa presenza è il “segreto” di ogni comunità cristiana viva. Noi cristiani non possiamo riunirci oggi nei nostri gruppi e comunità in qualche generico modo: per abitudine, per inerzia o per compiere alcuni obblighi religiosi. Saremo molti o, forse, pochi, ma la cosa importante è che noi ci riuniamo nel suo nome, attratti dalla sua persona e dal suo progetto di fare un mondo più umano. Dobbiamo ravvivare la nostra consapevolezza che siamo comunità di Gesù. Ci riuniamo per ascoltare il suo Vangelo, per mantenere vivo il suo ricordo, per contagiarci del suo Spirito, per accogliere in noi la sua gioia e la sua pace, per annunciare la sua Buona Notizia.
Il futuro della fede cristiana dipenderà in buona parte dalle cose concrete che noi cristiani faremo nelle nostre comunità nelle prossime decadi. Non basta quello che potrà fare Papa Francesco nel Vaticano, non possiamo neanche riporre le nostre speranze nel pugno di sacerdoti che potranno essere ordinati nei prossimi anni. La nostra unica speranza è Gesù Cristo. Siamo noi quelli che dobbiamo centrare le nostre comunità cristiane nella persona di Gesù come l’unica forza capace di rigenerare la nostra fede consumata e abitudinaria. L’unico capace di attrarre gli uomini e le donne di oggi, l’unico capace di generare una fede nuova in questi tempi di incredulità.
Il rinnovamento delle istanze centrali della Chiesa è urgente. I decreti e le riforme, necessarie. Ma niente di tanto decisivo come il ritornare con radicalità a Gesù Cristo. Contribuisci a rigenerare la fede cristiana in Gesù.
Capo rom contro C. Stasolla’, presidente della 21 Luglio: “Se parli ancora della Barbuta ti mando in coma”
Minacce dal boss del ‘villaggio’ durante la presentazione del dossier Campo Nomadi Spa, nell’aula consiliare del VII Municipio
Carlo Stasolla: “A preoccuparmi è più il silenzio delle istituzioni”
“Non parli più del campo, se continua lo mando in coma”
così il rom del campo ‘la Barbuta’ si è rivolto pubblicamente, durante la presentazione del dossier ‘campo nomadi spa’, al presidente Carlo Stasolla dell’ ‘Associazione 21 luglio’ la onlus che si batte per la chiusura dei campi nomadi, e in questa presentazione lo fa mostrando, cifre alle mano, quanto il Comune spende per un campo, e quali sono i risultati in termini di inclusione sociale dei rom di seguito la ricostruzione della presentazione del dossier e della minaccia di Sartana Halilovic così come resocontato dalla stampa e un breve scambio di idee che Marcello Palagi e Agostino R. Martir hanno avuto tra di loro e che non può non condividere chiunque non si limiti ad osservare la realtà dei campi nomadi dal di fuori, per così dire, facendo progetti sulle teste dei rom, ma, conoscendo la realtà dall’interno, costata da sempre che certi cosiddetti ‘beni rari’ suscitino l’interesse e l’appetito non solo di qualche ‘capo’ o ‘rappresentante’ autopromosso del popolo rom ,ma anche di organizzazioni che finiscono per sostituirsi, con altri metodi – ovviamente – a quelli, ma non proprio e sempre per il vero interesse dei rom nel rispetto delle loro modalità di organizzare la vita familiare e comunitaria e dei bisogni di ciascuno:
Parola del ‘boss’ de La Barbuta, Sartana Halilovic. Minacce alla luce del sole che irrompono tra un intervento e l’altro, gelando la platea che, giorni fa, ha riempito la sala consiliare del VII Municipio, per la presentazione del dossier Campo Nomadi Spa.
IL “SISTEMA CAMPI”
Le intimidazioni di Sartana, che nel ‘villaggio attrezzato’ di Ciampino sembra dettare legge, sono rivolte a Carlo Stasolla, rappresentante dell’associazione 21 Luglio. Da sempre schierata nella difesa dei diritti rom, la onlus si batte per la chiusura dei campi nomadi, e stavolta lo fa mostrando, cifre alle mano, quanto il Comune spende per un campo, e quali sono i risultati in termini di inclusione sociale dei rom. Per la gestione dei ‘villaggi attrezzati’, il Campidoglio avrebbe speso nel solo anno 2013 ben 24 milioni di euro. Troppe risorse, ma soprattutto gestite male, secondo l’associazione, perché destinate in minimissima parte, l’1%, a politiche di inserimento della comunità. Insomma, dalle cifre sciorinate durante la presentazione, emergono costi stellari per mantenere in vita la “spa”, e progetti di inserimento abitativo, già sperimentati con successo in altre città, che invece se abbracciati consentirebbero di abbattere le spese con maggiori tutele e diritti per i destinatari. Ma non sono tanto i dati generici a innervosire il boss Sartana, che comunque si schiera in difesa dei campi. Il balzo dalla sedia e l’intervento choc arrivano con l’accenno a un altro studio che riguarda nello specifico La Barbuta e che verrà illustrato nel dettaglio dall’associazione in autunno.
UN NUOVO CAMPO A LA BARBUTA
“C’è in piedi un progetto tra il Comune, l’associazione Capodarco e la Leroy Merlin che prevede la costruzione di un nuovo campo in un’area vicina a quella attuale – spiega Stasolla – dove sorgerà invece un capannone industriale dell’azienda. Stiamo ancora studiando il progetto, ma il silenzio sulla questione è preoccupante”. Silenzio che è rimbombato anche in aula, e che allarma più delle minacce il presidente dell’associazione. “LA RESISTENZA DEI POTERI FORTI” “Nessun rappresentante delle istituzioni presente ha aperto bocca, neanche una parola di solidarietà”. Ma non è un fulmine a ciel sereno. “Che ci siano molte resistenze da parte di forze politiche, sedicenti rappresentanti dei rom e associazioni lo sappiamo. Sono poteri forti, che hanno tutto l’interesse economico a far sì che la situazione resti com’è”.
Il boss che ha minacciato di “mandarlo in coma”, ne sarebbe un esponente. “Siamo certi che non parli a nome della comunità rom, si definisce un ‘rappresentante’, ma in un sistema democratico qualunque, per parlare di rappresentanza, serve una votazione, una legittimazione da parte della comunità, che di fatto non c’è”.
Segui le notizie relative a “Carlo Stasolla“
Seguendo questo argomento riceverai una notifica ogni volta che verrà pubblicato un contenuto pertinente.
Succede, quando si decide per i rom, sulla loro testa. Allora,se serve, si “scopre” e sputtana anche che esistono i boss del campo e si addossa loro la colpa del fallimento dei nostri progetti. I rom sono sempre buoni se si adeguano a noi, ritornano ad essere brutti, sporchi e cattivi se invece vogliono fare di testa loro. Questo è il volontariato che si inventa il mestiere del protettore. E che si inventa anche una nuova democrazia, assumendosi la rappresentanza dei rom con le istituzioni e altre associazioni di gagé “per i rom” . Nessuno di loro è stato eletto dai rom a loro rappresentante, ma accusano e sputtanano i rom di avere dei boss non eletti: Ma loro , questi volontari, cos’altro sono se non nuovi, veri boss che sanno quale deve essere il bene dei rom e aspirano al potere di decidere per loro? Tanto più potenti, quanto più legati e dialoganti con le istituzioni. Devono invece essere i rom a organizzarsi, quando lo vorranno e ci riusciranno, e a decidere di se stessi, se stare nei campi o se andare nelle case popolari o altro ancora. Il fatto che Stasolla riduca il problema a una questione di soldi – Il comune, risparmierebbe se mettesse i rom nelle case popolari – chiarisce da che parte stia. Sono i soldi che decidono, non i diritti, la propria cultura, il proprio gruppo, l’identità a cui ciascuno tiene. Il cosidetto boss, vuole solo difendere il suo sacrosanto diritto di stare in un campo e di non farsi omologare da volontari e antropologi che hanno deciso che i rom non sono “nomadi” e che il comune deve risparmiare, perchè loro vogliono mettere i rom nelle case popolari… Sempre peggio.
Il giorno 24/lug/2014, alle ore 10.47, Agostino Rota Martir ha scritto:
Caro Marcello e’ proprio quello che penso anch’io. Volevo commentare anch’io, ma da una settimana faccio il “carrozziere”, sto lavorando sul camper in vista della revisione (tra 5 giorni), e con tutti qs temporali mi ritardano tanto. Quando qs mattina ho trovato qs notizia, pubblicata solo su Roma..e qs. gia la dice lunga: 21 luglio divulga sul territorio nazionale solo i suoi “successi”.. dando per scontato di essere portavoce e depositario unico dei Rom.
I cosidetti “Boss” dentro i campi, che sempre ci sono stati e con i quali le amministrazioni hanno dialogato in svariate occasioni, allora li chiamavano “portavoce” del campo. Li usavano anche per far fare a loro i lavori “sporchi” (controllo, allontanamento, spie..), poi quando non servivano piu’, perche’ subentravano associazioni gage’ ben piu’ affidabili, ecco che i portavoce rom diventano boss, pericolosi e un inciampo.
Che nei campi ci siano dei cosidetti ” boss” e’ vero, ma con caratteristiche e stili completamente diversi dal nostro immaginario usuale.
I sinti che vivevano in un campo alla periferia di Mantova dovranno andare via entro il 20 agosto. La giunta di centrodestra guidata dal sindaco di Forza Italia Nicola Sodano ha deciso ormai da tempo di espropriare questi terreni, ma l’esecuzione di questa misura ha incontrato molte proteste da parte della comunità sinta. Nella giornata di lunedì i sinti mantovani hanno messo in atto una protesta che si è conclusa con un incontro con il primo cittadino. La notizia è stata riportata sul profilo Facebook del più importante quotidiano locale, “Gazzetta di Mantova”, e, come si vede da questo foto ripresa dal sito del Fatto Quotidiano, sulla bacheca del giornale sono arrivati numerosi commenti razzisti.
Alcuni, firmati, erano particolarmente pesanti, con tanto di invito alla riapertura dei forni crematori e al trasformare i sinti in sapone. La foto è stata diffusa dall’associazione Sucar Drom, che si è chiesta perché le autorità non intervengano di fronte a così evidenti casi di razzismo.
Carlo Berini, segretario di “Sucar Drom”, l’istituto di cultura Sinta di Mantova, ha rimarcato al “Fatto” come gran parte di questi commenti razzisti e xenofobi, a dir poco ora sono spariti, ma io li ho salvati e pubblicati sulla nostra pagina Facebook. Chiedo l’immediato intervento della Digos e della Procura della Repubblica, poiché chi ha scritto quelle frasi si è firmato e non deve passarla liscia. Non si può permettere che chi alimenta istigazione all’odio razziale rimanga impunito”. La tensione sul tema è piuttosto elevata, tanto che un consigliere della Lega Nord, il partito che più si è speso contro la presenza dei rom a Mantova, è stato accompagnato dalla Digos al consiglio comunale poi caratterizzato dalla protesta dei sinti locali. Il sindaco Sodano ha promesso un intervento, anche se ha rimarcato come l’esproprio dei terreni lottizzate abusivamente non possa essere ritirato.
Utilizzando il sito, accetti l'utilizzo dei cookie da parte nostra. maggiori informazioni
Questo sito utilizza i cookie per fonire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o clicchi su "Accetta" permetti al loro utilizzo.