esiste anche una Lucca ospitale

a Lucca sempre più famiglie ospitano migranti a cena

grande successo per il progetto ‘Aggiungi un posto a tavola’. Rispetto all’edizione della scorsa estate, quest’anno il numero dei partecipanti è raddoppiato

aggiungi un posto a tavola

Sempre più famiglie ospitano un migrante in famiglia. Lo dimostra il successo ottenuto dalla seconda edizione di “Aggiungi un posto a tavola”, il progetto nato per favorire l’integrazione dei migranti, ideato dalla Cooperativa sociale Odissea (gruppo Co&So) insieme all’Osservatorio per la Pace del Comune di Capannori, alla Caritas della Diocesi di Lucca e alla Cooperazione Missionaria Diocesi di Lucca. In due mesi, sono state 26 le famiglie che hanno chiesto di partecipare invitando a cena un richiedente asilo ospitato nelle strutture di accoglienza gestite da Odissea a Lucca e a Capannori.

Le cene realizzate per il momento sono state 22 (altre saranno organizzate a breve), per un totale di 25 migranti, tra i 17 e i 30 anni. Rispetto all’edizione della scorsa estate, quest’anno il numero dei partecipanti è raddoppiato, e il coinvolgimento ha fatto un decisivo salto di qualità. «Il progetto ha raggiunto anche famiglie che non gravitavano intorno alla nostra cooperativa e che sono venute a sapere dell’opportunità attraverso i social e i volantini che avevamo distribuito. Abbiamo avuto richieste non solo da Capannori, ma anche da Lucca, da Pisa e dalla Versilia» racconta Patricia Barsi di Odissea, che ha curato la parte organizzativa di “Aggiungi un posto a tavola”.

«Tanti i nuclei con figli adolescenti, che grazie al nostro progetto hanno potuto incontrare coetanei con storie molto diverse dalle loro. Inoltre, siamo stati contattati anche da alcune associazioni del territorio che desideravano fare questa esperienza insieme ai loro soci. Inoltre, ci ha fatto piacere scoprire che molte famiglie hanno continuato a coinvolgere i migranti nelle loro attività, a dimostrazione che l’integrazione è possibile e passa attraverso la conoscenza».

ho compreso le ‘beatitudini’ …

testimonianze

«Se arrivava una delegazione di campesinos Romero lasciava anche la più importante delle riunioni per ascoltarli. Il soggetto dialogante per lui era il popolo. Gli altri -governo, politici, gente importante- erano solo un contorno»

M.J. Hernández

 

Le testimonianze che ci cambiano la vita sono quelle che vengono dal basso. Raramente quelle pronunciate da un pulpito (da ministri di Dio che si riducono a funzionari), mai quelle biascicate da una poltrona (da politici che si riducono a servi di regime), da un salotto (da studiosi/pensatori/scrittori/artisti che si riducono a intellettuali prezzolati).

 

Ho compreso le beatitudini (1) ascoltando i poveri, gli sconfitti, i derisi, gli emarginati.

Ho compreso la povertà in spirito da chi, vivendo nel fango in paesi martoriati da feroci dittature, confidava con dignità nella Provvidenza.

Ho compreso l’afflizione da una madre che aveva appena perso suo figlio, ucciso dalla disoccupazione e dall’assenza di speranza.

Ho compreso la mitezza da uno di quei ragazzi che con i nostri paraocchi di lusso chiamiamo disabili.

Ho compreso la fame e sete della giustizia da un lavoratore sfruttato che non ha ceduto al ricatto dell’azienda, pagando con il licenziamento.

Ho compreso la misericordia da una donna che è riuscita a perdonare suo padre per averla abbandonata.

Ho capito la purezza del cuore da un povero che pregando mi ha benedetto.

Ho compreso la pace da chi si è opposto alle devastazioni ambientali adottando pratiche di nonviolenza attiva.

Ho compreso la persecuzione a causa della giustizia da chi si è schierato con gli oppressi contro le dittature militari, le oligarchie, le multinazionali, perdendo la vita o subendo l’esilio, il carcere.

(1) Vangelo di Matteo 5,1-12: Vangelo di Luca 6,20-23

testo di Arturo Paoli:

«La sola adorazione della croce che mi è entrata profondamente è quella che ho scoperto tra i minatori in Sardegna che non erano praticanti né alienati, e lottavano fortemente per la giustizia, e scoprivano, attraverso parole molto semplici, il Crocifisso come un fratello, il compagno di una sofferenza che non volevano»

(Arturo Paoli, Dialogo della liberazione, Morcelliana, Brescia 1969,  p.152)

il capitalismo è una bestia feroce

la bestia

e amare Dio significa combattere la bestia

sulle croci che piegano la dignità di milioni di persone occorrerebbe scrivere: vittima del sistema economico. È una struttura di peccato che uccide in molti modi: con sfruttamento, precarietà, disoccupazione, mancanza di sicurezza, inquinamento

Per comprendere il funzionamento del capitalismo è sufficiente leggere l’Esodo:

«In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sorveglianti del popolo e ai suoi scribi: “Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno da sé la paglia. Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano prima, senza ridurlo. Perché sono fannulloni; per questo protestano”» (Esodo 5, 6-8).

Su molte tombe occorrerebbe scrivere: vittima del sistema economico (1). E lo stesso sulle croci che piegano la dignità di milioni di persone. È una struttura di peccato che uccide in molti modi: con lo sfruttamento, con la precarietà, con la disoccupazione, con la mancanza di sicurezza, con l’inquinamento. Intanto la propaganda, a servizio del Capitale, rasserena il gregge, iniettando parole manipolate: morti bianche, fatalità, esigenze del mercato. Poi con l’appropriazione indebita (ma garantita dal c.d. Stato) dei mezzi di produzione, pochi privilegiati, dopo essersi assicurati le nostre braccia, gambe e menti, si comprano pure l’anima convincendoci ad aderire alle loro deviazioni etiche/esistenziali/umane. Sfruttati, ci manifestiamo riconoscenti di essere lasciati (a differenza di altri) ancora per un po’ in vita. Sfruttati, ci godiamo l’opportunità di essere inseriti nella mission aziendale (comprese: costruzioni di armi, produzioni contaminanti, servizi indegni come il business dell’azzardo etc.). È un grande privilegio, infatti si deve superare una dura selezione per poter contribuire, con il proprio sangue, a gonfiare i profitti dei professionisti dell’iniquità.

«hanno venduto il giusto per denaro e il povero per un paio di sandali; essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri» (Amos 2,6-7)

Così acquistati, a saldo, dal capitalismo, e marchiati dall’incertezza, ci dirigiamo, comunque, alle catene di montaggio meccaniche (fabbriche), telefoniche (call center), e altre varianti (logistica, edilizia, agricoltura etc) con la magliettina del campione milionario, venduta dalla società modello: quella che all’aumentare degli utili diminuisce i posti di lavoro. Intanto rinunciamo alla genitorialità, oppure la rinviamo al momento della pensione. Se, invece, in un momento di protesta nei confronti del regime, abbiamo concepito dei figli possiamo assicurargli, nei casi più fortunati, la sopravvivenza ma non la formazione. Possiamo comprare cose, finanziare studi e sport ma non possiamo dargli l’esempio. Non abbiamo tempo: l’ha comprato il capitalista. Per gli anziani discorso chiuso: c.d. badanti (signore iper laureate che, per lavoro, ‘abbandonano’ i familiari ed accudiscono anziani, a loro volta, ‘abbandonati’, per lavoro, dai familiari) o c.d. case di riposo (parcheggi di umani davanti alla TV, cioè al nulla). Il capitalismo divide, distrugge, deforma. Non è sufficiente protestare, denunciare. I suoi sostenitori non hanno né cuore, né orecchie: rimangono loro, appena, i sentimenti di un portafoglio e la solidarietà di una carta di credito. Fino a quando non negheremo la nostra collaborazione alle logiche di morte non vedremo «nuovi cieli e una terra nuova» (2). Fino a quando non immagineremo e costruiremo una diversa umanità, delle relazioni fraterne, libere e senza soprusi non potremo ascoltare quelle cose inaudite che Dio ha preparato per coloro che lo amano (3). E amare Dio significa combattere la bestia.

(1) Cfr. «Questa economia uccide» (Papa Francesco, Evangelii Gaudium 53)

(2) 2Pietro 3,13

(3) 1Corinzi 2,9

lettera ai vescovi Italiani per contrastare la cultura intollerante e razzista

 

un gruppo di presbiteri e laici ha scritto una lettera ai Vescovi italiani perché intervengano sul dilagare della cultura intollerante e razzista

Roma, 14 luglio 2018

Eminenza Reverendissima Mons. Gualtiero Bassetti, presidente della CEI

Eccellenze Reverendissime, Vescovi delle Chiese Cattoliche in Italia,

vi scriviamo per riflettere con voi su quanto sta attraversando, dal punto di vista culturale, il nostro Paese e l’intera Europa.

Cresce sempre più una cultura con marcati elementi di rifiuto, paura degli stranieri, razzismo, xenofobia; cultura avallata e diffusa persino da rappresentanti di istituzioni.

In questo contesto sono diversi a pensare che è possibile essere cristiani e, al tempo stesso, rifiutare o maltrattare gli immigrati, denigrare chi ha meno o chi viene da lontano, sfruttare il loro lavoro ed emarginarli in contesti degradati e degradanti. Non mancano, inoltre, le strumentalizzazioni della fede cristiana con l’uso di simboli religiosi come il crocifisso o il rosario o versetti della Scrittura, a volte blasfemo o offensivo.

I recenti richiami – in primis dei cardinali Parolin e Bassetti – al tema dell’accoglienza sono il punto di partenza; ma restano ancora poche le voci di Pastori che ricordano profeticamente cosa vuol dire essere fedeli al Signore nel nostro contesto culturale, iniziando dall’inconciliabilità profonda tra razzismo e cristianesimo. Un vostro intervento, in materia, chiaro e in sintonia con il magistero di papa Francesco, potrebbe servire a dissipare i dubbi e a chiarire da che parte il cristiano deve essere, sempre e comunque, come il Vangelo ricorda. Come ci insegnate nulla ci può fermare in questo impegno profetico: né la paura di essere fraintesi o collocati politicamente, né la paura di perdere privilegi economici o subire forme di rifiuto o esclusione ecclesiale e civile.

E’ così grande lo sforzo delle nostre Chiese nel soccorrere e assistere gli ultimi, attraverso le varie strutture e opere caritative. Oggi riteniamo che l’urgenza non sia solo quella degli interventi concreti ma anche l’annunciare, con i mezzi di cui disponiamo, che la dignità degli immigrati, dei poveri e degli ultimi per noi è sacrosanta perché con essi il Cristo si identifica e, al tempo stesso, essa è cardine della nostra comunità civile che deve crescere in tutte le forme di “solidarietà politica, economica e sociale” (Art. 2 della Costituzione).

Grati per la vostra attenzione e in attesa di un vostro riscontro, vi salutiamo cordialmente.

firmatari in ordine alfabetico

  1. Luigi ADAMI, parroco, già delegato diocesano per l’Ecumenismo, Verona
  2. Ambroise ATAKPA, docente Teologia Dogmatica, Pontificia Università Urbaniana, Roma
  3. Maria Cristina BARTOLOMEI, già docente Filosofia della religione, università statale di Milano; socia Coordinamento Teologhe Italiane;
  4. Fernando BELLELLI, già vicario foraneo, presidente dell’ass. Spei lumen, Modena-Nonantola
  5. Renata BEDENDO, docente di Islam, ISSR San Pietro Martire, Verona
  6. Andrea BIGALLI, docente di Cinema ISSR, riv. Testimonianze e Libera Toscana, Firenze
  7. Carlo BOLPIN, presidente Associazione Esodo, Venezia
  8. Giorgio BORRONI, direttore diocesano Caritas e Pastorale Sociale, Novara
  9. Alfonso CACCIATORE, docente di religione e giornalista pubblicista, consulta diocesana di Pastorale Sociale, Agrigento
  10. Liberato CANADA’, direttore diocesano Pastorale Turismo e Tempo Libero, Melfi (Pz)
  11. Anna CARFORA, docente Storia della Chiesa, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli
  12. Claudio CIANCIO, docente emerito di Filosofia Teoretica, Università del Piemonte Orientale, Torino
  13. Bruna COSTACURTA, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  14. Pasquale COTUGNO, direttore diocesano Pastorale Sociale e Migrantes, Cerignola-Ascoli S. (Fg)
  15. Dario CROTTI, direttore diocesano Caritas, Pavia
  16. Mario CUCCA, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Antonianum e Pontificia Università Gregoriana, Roma
  17. Elena CUOMO, docente di Filosofia Politica, università Federico II di Napoli
  18. Chiara CURZEL, docente di patrologia, Trento
  19. Rocco D’AMBROSIO, docente Filosofia Politica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  20. Michele DEL CAMPO, direttore diocesano Pastorale Sociale, Prato,
  21. Saverio DI LISO, docente di Filosofia, Facoltà Teologica Pugliese, Bari
  22. Sergio DI VITO, docente, capo AGESCI, Caserta
  23. Simone DI VITO, direttore diocesano Ufficio Scuola e Pastorale Sociale, Gaeta (Lt)
  24. Sergio DURANDO, direttore diocesano e incaricato regionale Migrantes, Piemonte e Valle d’Aosta, Torino
  25. Franco FERRARA, presidente centro studi Erasmo, Gioia (Ba)
  26. Franco FERRARI, presidente associazione Viandanti, Parma
  27. Francesco FIORINO, direttore Opera di Religione G. Di Leo, Mazara del Vallo (Tp)
  28. Domenico FRANCAVILLA, direttore diocesano Caritas, Andria (Bt)
  29. Rita GARRETTA, comunità Orsoline casa Ruth, Caserta
  30. Graziano GAVIOLI, fidei donum Arcidiocesi di Manila, già direttore diocesano Pastorale Scolastica, Modena-Nonatola
  31. Paolo GASPERINI, vicario per la pastorale, Senigallia (An)
  32. Claudio GESSI, incaricato regionale Pastorale Sociale, Lazio, Velletri-Segni
  33. Giorgio GHEZZI rel. sacramentino, volontario Centro Astalli, Roma
  34. Tommaso GIACOBBE, ingegnere, Torino
  35. Annalisa GUIDA, docente Sacra Scrittura, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli
  36. Luigi Mariano GUZZO, docente di Beni Culturali, Università Magna Graecia, Catanzaro
  37. Domenico LEONETTI, direttore diocesano Caritas, Sorrento-Castellamare (Na)
  38. Flavio LUCIANO, direttore diocesano e incaricato regionale Pastorale Sociale, Piemonte e Valle d’Aosta, Cuneo
  39. Pierangelo MARCHI, rel. sacramentino, resp. Casa Zaccheo, Caserta
  40. Fabrizio MANDREOLI, docente di Teologia, Facoltà Teologica dell’Emilia Romagna, Bologna
  41. Antonino MANTINEO, docente di Diritto ecclesiastico, Università Magna Graecia,  Catanzaro
  42. Gianni MANZIEGA, prete operaio, direttore redazionale della rivista Esodo, Venezia
  43. Luigi MARIANO, docente di Etica economica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  44. Pietro MARIDA, parroco emerito, Salerno
  45. Virgilio MARONE, direttore diocesano e incaricato regionale Ufficio Scuola, Nola (Na)
  46. Stefano MATRICCIANI, parroco, Roma
  47. Roberto MELIS, direttore diocesano e incaricato regionale Centri Missionari, Piemonte e Valle d’Aosta, Biella (Bi)
  48. Mario MENIN, docente Teologia sistematica, St. Teologico Interd., Reggio Emilia
  49. Carmine MICCOLI, direttore diocesano Pastorale Sociale, diocesi di Lanciano-Ortona,
  50. Luigi MILANO, già direttore diocesano ufficio Catechesi, Sorrento-Castellamare (Na)
  51. Simone MORANDINI, vicepreside Istituto di Studi Ecumenici San Bernardino, Venezia
  52. Franco MOSCONI, monaco camaldolese, eremo S. Giorgio, Bardolino (Vr)
  53. Mimmo NATALE, direttore diocesano Pastorale Sociale, Altamura-Gravina- Acquaviva (Ba)
  54. Serena NOCETI, docente Teologia Sistematica, ISSR S. Caterina da Siena, Firenze
  55. Emilia PALLADINO, docente di Dottrina Sociale della Chiesa, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  56. Giacomo PANIZZA, docente Scienze Politiche, Università della Calabria, vicedirettore Caritas, Lamezia Terme
  57. Fabio PASQUALETTI, decano Facoltà Scienze della Comunicazione, Università Pontificia Salesiana, Roma
  58. Salvatore PASSARI, docente di Filosofia, Torino
  59. Giovanni PERINI, direttore diocesano e incaricato regionale Caritas, Piemonte e Valle d’Aosta, Biella (Bi)
  60. Marinella PERRONI, docente Nuovo Testamento, Pontificio Ateneo S. Anselmo, Roma
  61. Enrico PEYRETTI, Centro Studi Sereno Regis, Torino
  62. Giannino PIANA, già docente di Etica cristiana, ISSR Libera Università di Urbino
  63. Vito PICCINONNA, direttore diocesano Caritas, Bari
  64. Fabrizio PIERI, docente di Teologia Biblica, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  65. Giuseppe PIGHI, magistrato, capo AGESCI, Modena
  66. Elisabetta PLATI, vicedirettrice diocesana Caritas, Mazara del Vallo (Tp)
  67. Francesco PREZIOSI, parroco, Modena-Nonantola
  68. Angelo ROMEO, docente di sociologia, università di Perugia
  69. Renato SACCO, coordinatore nazionale di Pax Christi, Novara
  70. Giorgia SALATIELLO, docente di Filosofia, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  71. Fedele SALVATORE, docente Religione, presidente cooperativa Irene 95, Marigliano (Na)
  72. Paolo SALVINI, parroco, Roma
  73. Francesco SANNA, docente di Statistica, La Sapienza e Pontificia Università Gregoriana, Roma
  74. Felice SCALIA, gesuita, rivista Presbyteri, Messina
  75. Giorgio SCATTO, priore della Comunità monastica di Marango, Venezia
  76. Stefano SCIUTO, già ordinario di Fisica Teorica, Università di Torino
  77. Ettore SENTIMENTALE, vicario episcopale della zona jonica, Messina-Lipari-S. Lucia del Mela
  78. Ettore SIGNORILE, vicario giudiziale Tribunale Ecclesiastico Regionale Piemontese,
  79. Guido SIGNORINO, docente Economia Applicata, università di Messina,
  80. Giuseppe SILVESTRE, vicario diocesano zonale, docente di Ecumenismo, Catanzaro-Squillace
  81. Cristina SIMONELLI, docente di Teologia Patristica, Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale, presidente del Coordinamento Teologhe Italiane, Verona
  82. Stefano SODARO, direttore de Il Giornale di Rodafà, Trieste
  83. Bartolomeo SORGE, gesuita, già direttore de “La Civiltà Cattolica” e di “Aggiornamenti Sociali”, Milano
  84. Piero TANI, economista, Firenze
  85. Sergio TANZARELLA, docente Storia della Chiesa, Facoltà Teologica Italia Meridionale, Napoli
  86. Maurizio TARANTINO, direttore diocesano Caritas, Otranto (Le)
  87. Debora TONELLI, docente di Filosofia Politica, Fondazione Bruno Kessler e CSSR, Trento
  88. Carmelo TORCIVIA, direttore diocesano Ufficio Pastorale, docente di Teologia Pastorale, Palermo
  89. Rita TORTI, curatrice del blog Il Regno delle donne – Il Regno, Parma
  90. Marco VALENTI, parroco, Roma
  91. Adriana VALERIO, docente di Storia del Cristianesimo, università Federico II, Napoli
  92. Marco VERGOTTINI, teologo, Milano
  93. Dario VITALI, docente di Ecclesiologia, Pontificia Università Gregoriana, Roma
  94. Pio ZUPPA, docente di Teologia pastorale, Facoltà Teologica Pugliese, parroco Cattedrale Troia (Fg)

firme in ordine alfabetico ricevute dopo la pubblicazione (e invio ai vescovi) del 14 luglio 2018

95. Mario CANTILENA, docente Letteratura greca, università cattolica, Milano

96. Pierluigi CONSORTI, docente nel dipartimento di giurisprudenza, presidente Associazione dei docenti universitari della disciplina giuridica del fenomeno religioso (ADEC), Pisa

97. Severino DIANICH, docente emerito Ecclesiologia, Facoltà Teologica, Firenze

98. Giovanni FERRETTI, professore emerito Filosofia teoretica, università di Macerata, rettore Chiesa di San Lorenzo, Torino

99. Clementina MAZZUCCO, già docente di Letteratura cristiana antica, Università di Torino

100. Filippo ROTA, direttore del giornale dei Missionari Saveriani, Brescia

101. Luigi DE PINTO, docente Filosofia, Facoltà Teologica Pugliese, Bisceglie (Bt)


 

PER INFORMAZIONI

don Giorgio Borroni, Novara – 348 8120572 – direttorecaritas@diocesinovara.it

don Rocco D’Ambrosio, Roma – 339 4454584 – r.dambrosio@unigre.it

don Francesco Fiorino, Marsala (Tp) – 393 9114018‬ – francesco.std@gmail.com

prof.ssa Cristina Simonelli, Verona – 333 2274992 – cristinasimonelli@teologiaverona.it

prof. Sergio Tanzarella, Caserta – 349 8119835 – sergiotanzarella@storiadelcristianesimo.it

PER ADERIRE:
Invia una mail a adesioni@cercasiunfine.it
indicando Nome e COGNOME, incarico e/o professione, Città.

la chiesa protesta contro la politica razzista

la chiesa contro i razzisti

inaccettabile far politica sulla pelle dei migranti

monsignor Angelo Becciu lancia un monito ai nostri governanti: sarà impopolare oggi difendere gli emarginati ma né il Papa, né la Chiesa possono venir meno alla loro missione

Papa Francesco e i migranti

papa Francesco e i migranti

Basta con il razzismo e la xenofobia. Sopratutto quando chi è al governo cerca consento prendendosela con i più deboli.

“Una chiarezza sull’argomento era necessaria, che siano solo i Paesi fisicamente più esposti come l’Italia o la Grecia ad assumersi il peso dell’accoglienza e non tutta l’Unione europea non è giusto ma che si utilizzino le navi cariche di esseri umani per far avanzare posizioni politiche è inaccettabile”.

Lo ha detto all’agenzia Ansa il sostituto della Segreteria di stato vaticana, monsignor Angelo Becciu, cardinale nel concistoro di domani, a proposito della linea dura del governo sui migranti.

“Ricordo quanto il Papa ha recentemente detto – aggiunge Becciu -: gli immigrati sono esseri umani non numeri! Sarà impopolare oggi difendere gli emarginati ma né il Papa, né la Chiesa possono venir meno alla loro missione”.

ode alla vita

contro una morte lenta

 

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.

Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.

Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.

Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.

Muore lentamente
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.

Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.

Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

il commento al vangelo della domenica

un Dio che si fa vicino per non allontanarsi mai più
il commento al vangelo della domenica della trinità (27 maggio 2018) di p. E. Ronchi:

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In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

Ci sono andati tutti all’ultimo appuntamento sul monte di Galilea. Sono andati tutti, anche quelli che dubitavano ancora, portando i frammenti d’oro della loro fede dentro vasi d’argilla: sono una comunità ferita che ha conosciuto il tradimento, l’abbandono, la sorte tragica di Giuda; una comunità che crede e che dubita: «quando lo videro si prostrarono. Essi però dubitarono».
E ci riconosciamo tutti in questa fede vulnerabile. Ed ecco che, invece di risentirsi o di chiudersi nella delusione, «Gesù si avvicinò e disse loro…». Neppure il dubbio è in grado di fermarlo. Ancora non è stanco di tenerezza, di avvicinarsi, di farsi incontro, occhi negli occhi, respiro su respiro. È il nostro Dio “in uscita”, pellegrino eterno in cerca del santuario che sono le sue creature. Che fino all’ultimo non molla i suoi e la sua pedagogia vincente è “stare con”, la dolcezza del farsi vicino, e non allontanarsi mai più: «ecco io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Il primo dovere di chi ama è di essere insieme con l’amato.
«E disse loro: andate in tutto il mondo e annunciate».
Affida ai dubitanti il Vangelo, la bella notizia, la parola di felicità, per farla dilagare in ogni paesaggio del mondo come fresca acqua chiara, in ruscelli splendenti di riverberi di luce, a dissetare ogni filo d’erba, a portare vita a ogni vita che langue. Andate, immergetevi in questo fiume, raggiungete tutti e gioite della diversità delle creature di Dio, «battezzando», immergendo ogni vita nell’oceano di Dio, e sia sommersa, e sia intrisa e sia sollevata dalla sua onda mite e possente! Accompagnate ogni vita all’incontro con la vita di Dio. Fatelo «nel nome del Padre»: cuore che pulsa nel cuore del mondo; «nel nome del Figlio»: nella fragilità del Figlio di Maria morto nella carne; «nel nome dello Spirito»: del vento santo che porta pollini di primavera e «non lascia dormire la polvere» (D.M. Turoldo).
Ed ecco che la vita di Dio non è più estranea né alla fragilità della carne, né alla sua forza; non è estranea né al dolore né alla felicità dell’uomo, ma diventa storia nostra, racconto di fragilità e di forza affidato non alle migliori intelligenze del tempo ma a undici pescatori illetterati che dubitano ancora, che si sentono «piccoli ma invasi e abbracciati dal mistero» (A. Casati). Piccoli ma abbracciati come bambini, abbracciati dentro un respiro, un soffio, un vento in cui naviga l’intero creato.

«E io sarò con voi tutti i giorni». Sarò con voi senza condizioni. Nei giorni della fede e in quelli del dubbio; sarò con voi fino alla fine del tempo, senza vincoli né clausole, come seme che cresce, come inizio di guarigione.

 a seguire il video del commento  di p. A. Maggi:

 

l’Italia non ama i poveri

perché l’Italia non è un paese per poveri


Francesco Delzio 

A chi non avesse ancora capito come mai cresce in Italia la “rabbia sociale” delle classi più povere verso le élite, di cui i risultati elettorali sono stati la punta dell’iceberg, consiglio caldamente la lettura dei dati pubblicati qualche giorno fa da Eurostat (e che hanno avuto scarsa eco sui media italiani). La grande crisi che ci siamo lasciati alle spalle è stata nel nostro Paese una vera e propria curva della storia sul piano della disuguaglianza, rivelandosi una “livella al contrario”: non solo la recessione ha colpito molto più duramente le classi più povere, ma da quando il trend economico si è invertito il vento della ripresa sta gonfiando esclusivamente le vele delle classi ricche e benestanti. Mentre quelle dei più poveri sembrano essere state ammainate, nonostante i numerosi allarmi lanciati e i primi provvedimenti adottati dagli ultimi due Governi.

Attenzione, però, a non cadere nello stereotipo classico della narrazione neo-marxista: come dimostra un’efficace analisi di Massimo Baldini su “LaVoce.info“, il divario tra ricchi e poveri è aumentato in Italia non perché sia aumentato negli ultimi anni il reddito dei più ricchi, ma a causa del crollo dei redditi più bassi. Durante la crisi, infatti, i redditi di tutti i decili della popolazione italiana sono mediamente diminuiti, ma la perdita è stata molto superiore per il 10% più povero della popolazione. Mentre nei primi anni della ripresa, tra il 2014 e il 2016, si è registrato un recupero dei redditi medio-alti, ma quelli bassi sono ancora diminuiti.
Eurostat ci rivela, inoltre, che il fenomeno di “impoverimento dei più poveri” – almeno negli ultimi anni – è stata un’anomalia italiana. Non è accaduto nulla di simile in Germania e in Francia, dove il reddito del primo e più povero decile della popolazione è aumentato, seguendo il corso della ripresa economica. Questo dato deve spingerci a una profonda riflessione. Potremmo dire, con uno slogan, che l’Italia non è un Paese per poveri. Perché se in Germania le classi povere beneficiano di un tasso di occupazione molto superiore al nostro e in Francia di un sistema fiscale molto più equilibrato di quello italiano (in virtù, ad esempio, dell’applicazione del quoziente familiare), in Italia non c’è nessun contrappeso sostanziale che mitighi gli effetti violenti di una crisi economica nei confronti dei più deboli.


Quale risposta dare alla “storica” esclusione dalla cittadinanza economico-sociale di una fascia enorme della popolazione italiana sarà, dunque, il tema cruciale del prossimo governo (di qualunque colore esso sia). Purtroppo il populismo dominante non aiuta a imboccare strade efficaci, spingendo verso (facili) soluzioni di natura assistenzialistica. Mentre l’unica strada virtuosa è quella di aumentare non solo la quantità, ma anche la qualità di lavoro disponibile. Sapendo che i “lavoratori poveri” sono oggi, insieme ai disoccupati, l’anello più debole della nostra catena sociale.
www.francescodelzio.it

Doi è nella fragilità umana

confida … nonostante tutto …

Quando stai per fare l’ultimo passo verso il baratro,

quando la disperazione sembra l’unica realtà non solo possibile ma anche immaginabile,

quando ti rendi conto che l’oppressione è imbattibile perché trova molti alleati soprattutto tra gli ipocriti,

quando comprendi che solo i vincitori hanno amici e che le relazioni sono malate di funzionalismo,

quando scopri che dentro di te abita anche il nulla e non trovi qualcosa a cui aggrapparti,

quando vedi soffrire l’innocente e festeggiare l’iniquo,

quando senti uomini esultare in uno stadio di calcio mentre accadono tragedie immani che non fanno neanche più notizia,

quando vivi in Paese molto democratico e molto cattolico in cui governano impunemente le élite e che investe in un anno 23,4 miliardi di euro per le forze armate,

quando vedi passare le Frecce Tricolori al G7 mentre i migranti devono arrivare fino a Napoli per poter sbarcare,

confida sempre nel Signore*

Non chiedermi cosa significhi e come si faccia di preciso. So però che Lui è nel baratro, nella disperazione, con gli sconfitti, nella gratuità, nel nulla, nella sofferenza, nelle tragedie, nella pace, con i migranti, e con tutti quelli che lo ospitano in questo mondo senza vita.

*Isaia 26,4

pubblicato da ‘altranarrazione’

 

il commento al vangelo della domenica

 

DIO HA MANDATO IL FIGLIO PERCHÉ IL MONDO SI SALVI PER MEZZO DI LUI

 

commento al vangelo della quarta domenica di quaresima (11 marzo 2018) di p. A. Maggi:

Gv 3,14-21

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Nel capitolo 3 del suo vangelo Giovanni presenta il dialogo tra Gesù e Nicodemo il fariseo, ma è un dialogo tra sordi perché Gesù parla di nuovo e il fariseo, il fariseo l’uomo della tradizione, l’uomo della legge non comprende e non fa altro che obiettare: come può? Come può? Ebbene a Nicodemo Gesù ricorda un episodio famoso che c’è nel libro dei Numeri di un castigo che Dio ha dato al popolo che si era rivoltato contro di lui che aveva protestato. Aveva mandato dei serpenti velenosi che mordendo li uccidevano e poi, per intercessione di Mosè, aveva fatto innalzare un serpente di rame, di bronzo che li salvava. Si legge nel libro dei Numeri “Il Signore disse a Mosè: fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà resterà in vita”. Ebbene Gesù si riferisce a questo episodio, ma soltanto per la parte della salvezza, non per la parte del castigo perché in Gesù Dio non castiga, ma a tutti offre amore, offre salvezza.
Allora Gesù dice a Nicodemo: come Mosè innalzò il serpente nel deserto, bisogna che sia innalzato il figlio dell’uomo, Gesù è la pienezza dell’umanità che coincide con la condizione divina, perché chiunque crede in lui, in lui chi? Nel figlio dell’uomo, cioè chiunque aspira alla pienezza umana che risplende in Gesù e risplende nel momento della croce, quando Gesù mostra la pienezza dell’amore suo e del Padre abbia la vita eterna. Gesù si rivolge a un fariseo, i quali credevano nella vita eterna, ma come un premio nel futuro per la buona condotta tenuta nel presente. Ebbene Gesù è per la prima volta che nel vangelo parla di vita eterna, ma non ne parla come un premio nel futuro, ma con una possibilità reale nel momento presente. La vita eterna non sarà nel futuro, ma è, dice chiunque crede in lui, credere in lui significa aver dato adesione a Gesù, vivere come lui per il bene dell’uomo, ha la vita eterna. Vita che si chiama eterna non tanto per la durata indefinita, ma una
qualità indistruttibile, e Gesù ne parlerà sempre al presente. La vita eterna è una possibilità di pienezza di vita che è già ora a disposizione delle persone.
Gesù affermando questo sostituisce la funzione che era attribuita alla legge. Era l’osservanza della legge quella che garantiva poi come premio la vita eterna. Bene con Gesù non c’è più l’osservanza a una legge, ma l’adesione a una persona. E continua Gesù in un crescendo di offerta d’amore. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Gesù è il dono d’amore di Dio per tutta l’umanità, un amore che desidera manifestarsi, che desidera comunicarsi.
E Gesù smentisce quell’immagine che è cara a tutte le religioni di un Dio che giudica, di un Dio che condanna, no. Il Dio di Gesù, il Padre è soltanto amore e offerta d’amore. Sta poi all’uomo accogliere o no questo amore. Infatti afferma Gesù Dio infatti non ha mandato il figlio del mondo per giudicare, per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Non è, come credeva il fariseo Nicodemo, un messia venuto per separare puri da impuri, santi da peccatori, questo furore ideologico che tutte le religioni hanno di dividere l’umanità, ma un’offerta d’amore a parte di tutti quanti perché il mondo sia salvo, questo è il disegno d’amore di Dio sull’umanità.
E, afferma Gesù, che chi crede lui, nel figlio dell’uomo, non va incontro a nessun giudizio e nessuna condanna. Quindi ci si chiede da dove viene questa immagine nefasta di un Dio che giudica, di un Dio che condanna quando Gesù lo smentisce? Ma chi non crede è già stato giudicato e condannato perché non ha creduto nel nome dell’unigenito figlio di Dio. Allora è chiaro: questo giudizio non viene da Dio, ma è l’uomo che, con le scelte che fa, accoglie questa vita o rifiuta questa vita e il rifiuto della vita è la pienezza della morte.
Gesù chiarisce ancora meglio il suo episodio e lo fa con un’immagine che tutti possono comprendere che il giudizio è questo: è un giudizio basato sulla luce. La luce è positiva, la luce fa bene, la luce all’uomo è necessaria per vivere. La luce fa male soltanto quando l’uomo vive nelle tenebre, nel buio. Quando si sta molto tempo al chiuso anche un piccolo spiraglio di luce dà fastidio, fa male. Allora Gesù afferma il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce perché le loro opere erano malvagie. Allora chi quotidianamente, dando adesione a Gesù, compie azioni che comunicano vita, restituiscono vita, rallegrano la vita degli altri, diventa una persona splendida, cioè luminosa, piena di luce e quando incontra la luce la coglie. Ma chi invece egoisticamente pensa soltanto ai propri bisogni e alle proprie necessità vive nel suo piccolo mondo ti tenebre e, quando arriva la luce, questa gli dà fastidio e si rintana ancora più nelle tenebre.
E conclude Gesù chiunque infanti fa il male odia la luce, si sa un delinquente detesta la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate, letteralmente scoperte. Ma in contrapposizione a fare il male Gesù non parla di fare il bene come ci saremmo aspettati. Invece dice invece chi fa la verità, la verità va fatta, la verità non è una dottrina, ma un atteggiamento benevolo d’amore verso gli altri. Quello che separa gli uomini da Dio non è una dottrina, ma la condotta. Invece che fa la verità viene verso la luce perché appaia chiaramente che le sue opere sono fatte in Dio, perché è Dio che fa il bene dell’uomo.

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