ce la farà il sinodo panortodosso a vedere la luce dopo 60anni di preparazione?
il sinodo pan (?) -ortodosso
di Ioannis Maragós
in “SettimanaNews”
Mancano pochi giorni all’inizio del Santo e grande sinodo della Chiesa ortodossa. Il suo presidente, il patriarca ecumenico, ha programmato il suo arrivo a Kolymbari Chania, sede del Sinodo, per mercoledì 15 giugno. Lo si stava preparando da circa 60 anni, e finalmente si saprà quale sarà il suo approdo. Un Sinodo avrebbe dovuto ridare vigore e presenza concreta a ciò che la Chiesa ortodossa intende per “sinodalità” (unità nella pluralità), e avrebbe chiamato la Chiesa a dare la sua testimonianza e il suo carisma nel mondo contemporaneo, poliedrico sotto tutti i punti di vista. L’aspirazione – come ha dichiarato il metropolita Ignazio di Volo – è «di dare testimonianza dell’unità e celebrarla nel Sinodo. Il Santo sinodo si tiene per affermare e confermare l’esistenza dell’unità nel sacramento dell’eucaristia, la fede comune, i sacri canoni e la tradizione teologica»
Il metropolita però è ben conscio dei problemi esistenti, perciò ha aggiunto: «Nell’Ortodossia non abbiamo questioni di primazie. Non dobbiamo lasciarci vincere dalle divisioni dei nazionalismi». Tutto questo impegno e questo sforzo ora rischiano di rivelarsi una spina dolorante nel fianco e una frattura nel profondo dell’unità della Chiesa ortodossa.
In attesa di vedere l’esito definitivo, diamo un piccola rassegna sulle diverse posizioni – così oserei chiamarle – di politica ecclesiastica.
Il Patriarcato delle Russie è a capo delle Chiese che si augurano si rimandi il tutto a tempi più propizi. Il Patriarcato russo ha chiesto al Patriarcato ecumenico di rimandare il Sinodo se nel frattempo non si fossero rimossi gli ostacoli che già dividono alcune Chiese locali, come per es. la Chiesa di Antiochia e la Chiesa di Gerusalemme; non trovandosi in comunione, ciò impedirà loro di compartecipare all’eucaristia durante i lavori del Sinodo. In seguito, hanno avanzato riserve anche le Chiese di Georgia, di Bulgaria e della Serbia, arrivando alla conclusione che, anche se un tale Sinodo si celebrasse, sarà comunque non legittimo perché contrario allo statuto che prevede il comune accordo nella convocazione. Quando è stato chiesto al metropolita Ilarione, incaricato per gli affari esteri del Patriarcato russo, perché, dopo aver sottoscritto tutto in fase preparatoria, ora ritrattassero, ha risposto che già nella fase preparatoria erano emerse divisioni che si sperava vedere superate nel frattempo. Quando la Chiesa di Antiochia ha dichiarato in modo chiaro e distinto le sue ragioni per non partecipare, si sono aggiunte le rinunce delle altre Chiese, Georgia, Bulgaria, Serbia. A quel punto la Chiesa Russa riunita in Sinodo ha chiesto al patriarca ecumenico di convocare una riunione preliminare per affrontare i problemi sorti per poter proseguire di comune accordo. Se questo non si fosse rivelato possibile, chiedeva di rimandare il tutto a un tempo più propizio. Intanto si cercherà di appianare le divergenze. Per il metropolita Ilarione il problema non è del Patriarcato ecumenico ma dell’intera Chiesa Ortodossa. Chiudendo, si è appellato alla prudenza, alla pacatezza e all’umiltà che caratterizzano il patriarca ecumenico, nel prendere la dovuta decisione.
Le rinunce a partecipare sono cominciate dal Patriarcato di Antiochia, che non ha trovato all’ordine del giorno il suo contenzioso con il Patriarcato di Gerusalemme, il quale tre anni fa aveva istituito una metropolia a Qatar, tradizionalmente considerato territorio di Antiochia. Antiochia ha dichiarato la rottura della sua comunione con il Patriarcato di Gerusalemme. Dietro questa contesa alcuni non dubitano di vedervi una questione di politica internazionale sullo scacchiere mediorientale più ampio. Si sa che Antiochia si lascia influenzare volentieri da Mosca; si ricorda ancora che il patriarca, storicamente, è passato sotto l’influenza e il “dominio” della lingua araba per la spinta e il supporto della politica zarista in Medio Oriente sul finire dell’800. Si sa che il patriarca di Gerusalemme è grande amico degli emiri del Qatar, che ha costruito, a sue spese, la cattedrale ortodossa a Qatar. Tutti due sono sul versante filo USA.
Il Patriarcato Bulgaro viene considerato un satellite fedele della Russia e non solo nella politica – per cosi dire – ecclesiale. Esso contesta che le sue riserve non sono state recepite nei vari documenti. Le spese sono esorbitanti e si dichiara impossibilitato a conferire il proprio contributo. Sono presenti problemi procedurali, a proprio avviso non ancora presi in seria considerazione, per es. come saranno seduti intorno al tavolo, la procedura dei dibattimenti ecc., che tutelano la sinodalità. È una Chiesa ultraconservatrice, chiusa ad ogni apertura al mondo. Non partecipa al dialogo ecumenico né con la Chiesa cattolica, né con il Consiglio ecumenico delle Chiese (CEC). È recente il suo riconoscimento come Chiesa autonoma. La sua autonomia dal Patriarcato ecumenico è stata riconosciuta nel 1945. Dopo la caduta del regime comunista, ha rischiato lo scisma interno tra collaborazionisti e non, contezioso ancora non del tutto assorbito.
Il Patriarcato di Georgia è anch’esso un satellite russo. Una Chiesa strettamente chiusa in se stessa. Il patriarca, una volta attivissimo membro del CEC, adesso rifiuta ogni discorso ecumenico. Dal Patriarcato si contesta e si ripudia il documento per le relazioni con il resto del mondo cristiano. Vecchi calendaristi a oltranza, per loro è una questione di fede. Il documento sui matrimoni è ritenuto molto liberale, specialmente quando tratta i matrimoni misti ecc. Il Patriarcato di Serbia è autonomo dal 1920. Il problema con la sua autocefalia è la modalità della sua concessione e del suo riconoscimento. Ha seri problemi con la Chiesa della ex Repubblica jugoslava di Macedonia, auto-dichiaratasi indipendente, e dunque considerata scismatica. Tradizionalmente ha buoni rapporti con il Patriarcato ecumenico e adesso anche con Mosca. Però ha dei problemi con il Patriarcato di Romania, perché questi ha ultimamente nominato dei vescovi per la cura pastorale della gente di lingua romena (vlacho) e risiede nei territori serbi confinanti con la Romania.
Il Patriarcato di Romania si propone come terzo polo dato che non è né di lingua greca né di lingua slava ma neolatina. Con Mosca è in continuo attrito, perché un suo territorio, l’Yperdnisteria, si è staccato dall’obbedienza Romena per avvicinarsi a Mosca.
Il blocco pro Sinodo insieme con il Patriarcato ecumenico
Il Patriarcato di Alessandria, il secondo per ordine d’onore, cerca di tenersi equidistante tra Costantinopoli e Mosca. È forte del suo prestigio di missionarietà in terra africana.
La Chiesa di Cipro ha buoni rapporti con tutti, però si considera il battistrada del Patriarcato ecumenico e il principale sostenitore delle missioni in Africa del Patriarcato di Alessandria, sia in termini di personale sia per i quantitativi di aiuti. Qualche lamento sul Sinodo lo avrebbe, ma non protesta più di tanto. Benché sia di origine apostolica, nella linea di onore la precedono altre Chiese molto più giovani. È una Chiesa estroversa e partecipa a tutte le manifestazioni ecumeniche. Il suo arcivescovo si comporta come paritetico al presidente della repubblica: si esprime in tutto e per tutto anche su temi di politica interna ed estera. Nel suo messaggio per l’imminente Sinodo ha scritto: «Partecipare (al Sinodo) è una dichiarazione di unità e di comune accordo, per questo consideriamo ogni altra presa di posizione o proposta dell’ultimo momento come minaccia per l’unità (della Chiesa) e la responsabilità sarà a carico di tutti coloro che, anche non volendo, contribuiranno alla sua rottura». La Chiesa della Grecia si considera custode della nazione greca, dell’ortodossia e del Patriarcato ecumenico. È vero che le sue relazioni col Patriarcato a volte appaiono burrascose, ma restano sostanzialmente buoni fratelli. Nei momenti difficili per il Patriarcato ecumenico, è sempre al suo fianco. I problemi si concentrano attorno alle cosiddette “nuove terre”, cioè il Nord della Grecia che, nel 1912, sono state annesse allo Stato greco allora esistente solo al Sud, dopo le guerre balcaniche contro l’allora Impero ottomano, ma non alla Chiesa della Grecia. Solo più tardi si è trovato un compromesso. Le metropolie del Nord sono state affidate alla cura pastorale della Chiesa della Grecia ma non giuridicamente alla Chiesa della Grecia. Altri problemi sono la presenza e la funzione dell’Ufficio di rappresentanza del Patriarcato in Atene. Per molti greci costituisce un grosso problema che il patriarca ecumenico debba essere per forza un cittadino turco. Negli ambienti conservatori non sono ben viste le aperture ecumeniche del Patriarcato. Quanto al Sinodo, contestano l’uso dei termini “Chiesa”, “Chiese”, “«comunità cristiane” e “confessioni”, e si sono riservati il compito di porre il problema in assemblea.
La Chiesa dell’Albania è una Chiesa piccola ma dinamica, malgrado le pressioni e le angherie che subisce ad ogni pie’ sospinto dallo Stato albanese. Attivissima in tutti i forum interortodossi, intercristiani, interreligiosi. L’arcivescovo di Albania Anastasios scrive: «È evidente che i problemi sono tanti. Appunto per questo si deve celebrare il Grande e santo sinodo. Altrimenti i problemi non si risolvono. Il rinvio ferirà profondamente l’autorevolezza internazionale della Chiesa ortodossa». La Chiesa autocefala di Polonia è già a Creta. I vescovi della Cechia, che in un primo momento hanno mostrato perplessità a partecipare, hanno ritrattato le loro precedenti prese di posizione contro il Patriarcato dichiarandosene pentiti, e parteciperanno.
Cosa sarà questa riunione, se si farà Per i russi e alleati sarà un’assemblea illegittima, se si lavorerà senza cinque Chiese, malgrado si autoproclami Grande e santo sinodo della Chiesa ortodossa. Altri, i più ottimisti, sostengono che sì, la mancanza di alcune Chiese sarà un disguido, ma la natura dell’assemblea si chiarificherà dal peso che assumerà nella coscienza ecclesiale. Il Sinodo successivo a quello di Creta deciderà del suo carattere ecclesiale. Non è un grande male che non siano presenti tutti i convocati, visto che nemmeno nei grandi sinodi ecumenici del passato erano tutti presenti. Se sarà o no considerato come vero sinodo, oppure qualcosa d’altro, dipenderà dalla ricezione nella coscienza del santo popolo fedele. Di certo si affrontano due linee, quella ecumenica, con la sua ansia di mostrare e testimoniare la presenza della Chiesa nel mondo contemporaneo, e la linea del particolarismo nazionale che coltiva lo star bene nei propri territori e la custodia di uno stile di vita tradizionale, cercando semmai di rinvigorirlo in qualche modo, perché sappiamo cosa sia il passato ma non il futuro, e questo fa paura. Sicuramente, un certo tipo di nazionalismo religioso – della nazione santa da Dio protetta – presente nella parte orientale del’Europa non è assente nemmeno in alcune Chiese cattoliche. La teoria della “terza Roma” e il mito della Roma città eterna sopravvivono eccome. Vi è qui un grosso problema da risolvere una volta per tutte, almeno nella Chiesa Ortodossa: la Chiesa nazionale, la sua natura, il suo territorio, il suo governo; non basterebbe un sinodo intero per risolverlo. Un altro concetto, sia teologico sia pratico, è illustrare, in qualche modo descrivere e regolamentare, la cosiddetta sinodalità di cui tutti parlano. Tutti la annunciano come fosse la medicina per ogni male. Sarebbe un’ottima occasione per la Chiesa ortodossa di dare una buona lezione a tutti gli altri – cattolici, protestanti, chiese libere ecc. – ma pare che tra il dire e il fare ci sia di mezzo il mare. Certo, si è creato il caso della non convergenza tra le Chiese sul da farsi. La questione è: ci si dati da fare per risolverlo o se si è approfittato per invitare chi di dovere – il primus inter pares – a non cercare di aumentare il proprio prestigio – si voglia o no, sarà in prima fila – e ricordargli che “ci siamo anche noi”? La sinodalità dovrà essere vissuta secondo forme paritarie. Il problema viene creato e alimentato per costringere il primus a interpellarli e risolverlo. In chiusura, avendo davanti gli occhi tanta violenza che serpeggia nel mondo, il nichilismo imperante, il dominio dell’economia, lo sfascio della famiglia, l’edonismo che avviliscono e annullano la persona umana, di che cosa ci occupiamo noi – cattolici, ortodossi, protestanti, Chiese libere – che ci onoriamo del nome cristiano? A chi assomigliamo: all’imperatore Costantino oppure al Nazareno pellegrino che ai suoi discepoli nomadi raccomandava «Chi vuole essere il primo sia il servo di tutti»?