collegialità, gay, donne prete … e papa Francesco

 

due omo

Collegialità, gay e donne prete.

Il rettore dell’università cattolica di Cordoba a tutto campo

di Ingrid Colanicchia
in “Adista” – Notizie – n. 32 del 21 settembre 2013

Collegialità, sacerdozio femminile, accesso ai sacramenti per omosessuali e divorziati. Sono queste, per il gesuita Rafael Velasco, rettore dell’Università cattolica di Córdoba, in Argentina, le riforme urgenti che la Chiesa dovrebbe abbracciare. Così si è espresso in una lunga e articolata intervista concessa al giornalista argentino Mariano Saravia (e diffusa sul profilo Facebook di quest’ultimo ad agosto) in occasione dell’annuncio della sua rinuncia al rettorato – effettiva a partire da marzo 2014 –, in cui ha toccato tutti i temi caldi di questa stagione ecclesiale, a partire dalla riforma della Curia, «l’ultima corte medievale viva e vegeta nel XXI secolo». «Quando papa Francesco non si è recato al concerto (offerto dall’Orchestra sinfonica nazionale della Rai in occasione dell’Anno della Fede, ndr) dicendo che non è un principe rinascimentale ho cominciato a pensare che si sta muovendo contro questo stato di cose e contro l’oscurità che genera», ha detto p. Velasco. «Qui in Argentina, e anche a Cordoba, è necessaria una maggiore trasparenza perché c’è una segretezza inopportuna». Un esempio? La nomina dei vescovi che dovrebbe essere più partecipata dalla comunità: «Non dico democratizzare al punto che le persone si esprimano attraverso un voto, ma per lo meno che esprimano le proprie opinioni», che «le si ascolti». «Alcuni anni fa – racconta il rettore – mi toccò rispondere a una richiesta da parte del nunzio il quale, sottolineando la segretezza della questione, mi chiedeva informazioni in merito a una persona che stava per essere nominata come vescovo. Io risposi dicendo di chiedere ai suoi parrocchiani visto che nessuno poteva conoscerlo meglio. Non mi interpellarono più», conclude ridendo. «Quello che chiedo è che si realizzi una maggiore collegialità nella Chiesa, che è ciò che ha stabilito il Concilio Vaticano II. Che non governi solo il papa, ma il papa e i vescovi». «Mi sembra che papa Francesco vada in questa direzione», aggiunge p. Velasco sottolineando la necessità di passare dalle parole ai fatti: «La Chiesa ha un’agenda in sospeso molto importante, soprattutto con se stessa». «Se vuole essere segno che Dio si avvicina a tutti, la prima cosa che deve fare è non essere escludente. Ci sono riforme importantissime da fare: per esempio che i divorziati siano ammessi alla comunione, che se un omosessuale vive stabilmente in coppia possa fare la comunione»; «diciamo che non ci devono essere differenze tra uomo e donna, diciamo che la donna è importante, però la escludiamo dal sacerdozio». E le parole del papa sui gay durante la Gmg? «Se il papa è il leader spirituale e mi dice che non li giudichiamo, e quindi non li condanniamo, bene vorrei chiedergli che ruolo avranno d’ora in poi i gay nella comunità ecclesiale». «Credo che se tiriamo le conclusioni logiche di questo discorso dovremmo riabilitare totalmente per quanto riguarda i sacramenti, a cominciare dalla comunione, una persona omosessuale che vive secondo le stesse regole di amore e fedeltà che chiediamo agli eterosessuali». Quanto all’invito rivolto dal papa ai giovani, agli anziani e ai poveri di non restare ai margini? «Bisognerebbe dirlo ai vescovi», commenta p. Velasco. «Nella società è lo stesso: il problema non è dei poveri, il problema è di chi li esclude, di chi impedisce loro l’accesso alla terra, all’educazione, alla giustizia. A questi bisogna rivolgersi e dire chiaramente che sono ingiusti». «Quando dico questo mi dicono che sono politicizzato. Ma nello scontro tra un forte e un debole, se non prendo posizione di fatto è come se la prendessi, a favore del forte. La neutralità non è possibile. L’inganno teologico, in gran parte della Chiesa, è credere che sia possibile l’apoliticità». Insomma, anche rispetto alle aspettative suscitate da questo inizio pontificato, «bisogna essere cauti», secondo p. Velasco. «Nonostante guardi con speranza alle cose che sta facendo e aspetto cambiamenti concreti, non bisogna dimenticare che Bergoglio non ha mai visto con simpatia la
Teologia della Liberazione. Questa è la verità». «Lui va nelle villas miserias, ha un contatto diretto con il popolo, il che è positivo, però non è rivoluzionario in alcun modo». «Credo – conclude – che con il tempo, superato il polverone, vedremo chi è Francesco. Per esempio che cosa intende dire con l’espressione “Chiesa povera per i poveri”, perché questa frase può voler dire diverse cose. Può significare rafforzamento dei poveri per porre in essere movimenti di liberazione accompagnati dalla Chiesa, ma può significare anche un approccio più assistenziale e non di trasformazione della società».