da un’economia incentrata sul denaro a un’economia incentrata sulla persona

per restare in salute

di Francesco Gesualdi
in “Avvenire”

 “La prima sfida da vincere per riuscire a costruire una società al servizio della persona è convertirci a un’altra idea di benessere”

La salute non è semplice assenza di malattia, avverte l’Organizzazione mondiale della sanità. La salute è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale. È la capacità di mantenere il nostro corpo in condizioni ottimali perché possiamo respirare una buona aria, abbiamo i mezzi per nutrirci, lavarci, proteggerci, abbiamo il sapere che ci serve per condurre uno stile di vita equilibrato. È la capacità di sentirsi appagati sotto il profilo affettivo perché diamo giusto spazio ai rapporti umani e familiari, viviamo secondo ritmi di vita compatibili con il nostro orologio biologico ed emotivo, viviamo in contesti urbani e abitativi che facilitano l’incontro e la condivisione. È la capacità di mantenere il proprio equilibrio psichico perché viviamo in contesti familiari, culturali, sociali, economici, dove ci si sente accolti, rispettati, valorizzati, incoraggiati. La ‘salute’, dunque, non è solo riconducibile alla quantità di risorse che riusciamo a destinare ai servizi medici e ospedalieri. La salute è un progetto di società. E con essa c’entra molto il passaggio da un’economia incentrata sul denaro a un’economia incentrata sulla persona. La prima sfida da vincere per riuscire a costruire una società al servizio della persona è convertirci a un’altra idea di benessere. Il dominante sistema materialista si sforza di convincerci che la sola cosa che conta è la ricchezza, e ci impone la crescita veicolata dal mercato come unico indicatore di benessere e sviluppo. Ma sappiamo che questa impostazione ci sta procurando molti danni non solo sul piano ambientale e sociale, ma anche su quello esistenziale. Molti di noi sono ricchi, questo è vero, ma nel contempo infelici e impauriti. Infelici perché la corsa al benavere non ci lascia tempo per le relazioni affettive, umane, sociali. Impauriti perché sappiamo che la nostra esistenza dipende dalle bizzarrie del mercato che quando meno te lo aspetti può metterti alla porta trasformandoti in scarto. Fino a oggi abbiamo accettato di vivere in un sistema economico che garantisce il superfluo a pochi e nega il necessario a molti, nella devastazione ambientale. Ora dobbiamo costruire la società dell’armonia che garantisce una vita dignitosa a tutti, nel rispetto dei limiti del pianeta. Gli originari abitanti delle Ande, le popolazioni che definiamo indios, chiamano questo stato di grazia benvivere ed è più una filosofia di vita che una concezione economica. È la convinzione che la buona vita non dipende tanto dalla ricchezza e che il vero benessere è uno stato di armonia in tre direzioni: con se stessi, con gli altri, con la natura. Altrimenti esiste opulenza, abbondanza, lusso, ma non letizia. Il benvivere ci richiede grandi cambiamenti per conciliare produzione e salvaguardia del pianeta, soddisfacimento dei nostri bisogni e bassa produzione di rifiuti, tempo per il lavoro e tempo per la famiglia. Ma solo avviandoci lungo questo percorso potremo trovare la salute che poi diventa sinonimo di felicità. Poi, certo, la malattia è sempre in agguato e la sfida che si pone di fronte a essa è permettere a tutti di curarsi. Un passaggio possibile solo se eleviamo la cura al rango di diritto, a un bisogno, cioè, che tutti devono avere la possibilità di soddisfare indipendentemente se ricchi o poveri, uomini o donne, giovani o vecchi, ma per il solo fatto di esistere. Il riconoscimento dei diritti è lo spartiacque fra civiltà e barbarie. Purtroppo non tutti i popoli hanno interiorizzato questo valore e continuano a pensare che la cura sia un privilegio che spetta solo a chi ha soldi e pertanto un servizio da affidare al mercato affinché possa lucrarci. Negli Stati Uniti la protezione sanitaria è affidata alle assicurazioni private che elargiscono prestazioni in base al premio pagato. In Italia abbiamo ancora un buona sanità pubblica, tra le migliori al mondo, ma c’è il rischio che taglio dopo taglio, spreco su spreco, inefficienza su inefficienza gradatamente si sgretoli e diventi talmente inadeguato da spingere un numero crescente di italiani a buttarsi nelle braccia della sanità privata che opera al di fuori del Servizio sanitario nazionale.
La Corte dei Conti segnala che fra il 2009 e il 2015 la spesa pubblica per sanità si è ridotta dell’1,1% all’anno in termini reali procapite, nello stesso periodo in Francia è aumentata dello 0,8% e in Germania del 2% all’anno. E intanto, fra ticket, ricorso a prestazioni private e riduzione della copertura farmaceutica, la spesa sostenuta dalle famiglie per curarsi cresce sempre di più fino ad avere toccato quota 35 miliardi nel 2016. La conclusione è che nel 2016 sono stati 13 milioni gli italiani che hanno sperimentato difficoltà economiche e una riduzione del tenore di vita per far fronte a spese sanitarie di tasca propria, 7,8 milioni hanno dovuto utilizzare tutti i propri risparmi o indebitarsi con parenti, amici o con le banche, e 1,8 milioni sono entrati nell’area della povertà. È quanto emerge dal Rapporto Censis-Rbm pubblicato nel 2017. Rafforzamento della solidarietà collettiva per la cura di tutti e ripensamento del modello economico sono le strade maestre per tutelare la salute.

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