“Dio è diverso dai padroni”
omelia di don Angelo Casati in commento alle letture della liturgia della domenica 19° del tempo ordinario e del vangelo: Lc 12, 32-48
Nel cuore dell’estate tre parabole dal Vangelo di Luca che invitano alla vigilanza. Apparentemente sembrano fuori tempo; noi siamo soliti collocarle nei giorni dell’Avvento, giorni che ci parlano degli accadimenti dell’ultima ora, delle ultime cose.
E forse c’è una ragione se Luca, a differenza di Matteo, colloca queste parabole dentro le istruzioni del viaggio, quasi a dire che la vigilanza è dimensione permanente, appartiene al viaggio, a tutte le ore del viaggio.
E’ un’opinione personale, e quindi discutibile, ma a me sembra che proprio d’estate andrebbe raddoppiata la vigilanza, perché d’estate, quando l’attenzione di un popolo è meno vigile, si tentano a volte operazioni di una gravità estrema.
E vorrei iniziare la riflessione dalla prima delle parabole, quella che riguarda i servi nell’assenza del padrone, i servi ai quali viene raccomandata, con immagini ricche di fascino, la vigilanza. Ecco le immagini: la notte, la cintura ai fianchi, le lampade accese.
La notte: la venuta del Signore, la sua incessante venuta, i suoi appelli, i suoi inviti sono dentro le nostre notti, quando è buio, quando non è tutto così chiaro, dentro l’incertezza, l’imprevedibilità della vita.
Penso che tutti voi abbiate colto la bellezza, la poeticità, la suggestione del testo della Sapienza che oggi abbiamo ascoltato, testo in cui gli ebrei ricordano la loro grande notte: “la notte della liberazione desti al tuo popolo, Signore, una colonna di fuoco, come guida in un viaggio sconosciuto, e come un sole innocuo per il glorioso emigrare”.
Glorioso emigrare: bellissimo! Dov’era la gloria? Partire di notte? Guadare il fiume? Camminare quarant’anni?
Glorioso emigrare, perché era il viaggio verso la libertà, lontano dai faraoni, fuori da un servire da schiavi.
Vigilanti, voi mi capite, era notte: pronti a cogliere bagliori di libertà, di liberazione, smascherando i sintomi, spesso nascosti, di una perdita di libertà, smascherando l’avvento dei nuovi, truccati, seducenti faraoni.
“Cinti i fianchi”: l’abito di chi parte, e l’abito di chi lavora, di chi non vuole essere impedito nel viaggio e nel lavoro.
E’ la partenza – dicevamo – per un viaggio di libertà, per un lavoro – aggiungiamo – che non potrà mai essere un lavoro servile, un lavoro da schiavi, perché da questo Dio ti conduce fuori, come dal paese d’Egitto.
Dio è diverso dai padroni: Dio si assenta, Dio lascia a te questa casa, questa terra, queste cose. Le lascia alla tua responsabilità: non vuole schiavi.
Ha rovesciato – bellissimo – l’immagine stessa del padrone, l’ha rovesciata per quanto lo riguarda. L’ha rovesciata nella parabola. E non dite più che Dio è un padrone. E’ un Signore. Ha rovesciato l’immagine del padrone, cingendo lui i suoi fianchi, mettendosi lui a servire. Gesù ha lavato i piedi ai discepoli, come fa il servo. Ma per amore.
E proprio per questo, perché non vuole più faraoni, e lui ci ha dato l’esempio: la cosa che Dio non sopporta, non potrà mai più sopportare né nella chiesa né nella società civile, è che qualcuno approfitti della sua assenza per farla da padrone.
C’è nella parabola una dura condanna per l’amministratore che approfitta del ritardo del Signore per percuotere, mangiare, bere, ubriacarsi. No. L’autorità gli era stata conferita per distribuire armoniosamente. Se viene usata per interesse personale o per altri fini, trova nella parabola la sua condanna. Cinti i fianchi.
“Prenditi cura” -è un verbo evangelico- prenditi cura delle cose di ogni giorno, delle relazioni di ogni giorno, della casa, della strada, della città, delle occupazioni, dei volti di ogni giorno, come se a te fossero stati affidati dal Signore, prima di partire. Ritornerà.
E, infine, le lucerne accese.
Se è vero che il nostro è un andare nella notte, se è vero che gli accadimenti della vita non sono di così facile né immediata interpretazione, se è vero che discernere i segni dei tempi è compito a volte arduo, importanti diventano le lucerne nella notte.
Dio aveva dato al suo popolo ” una colonna di fuoco come guida in un viaggio sconosciuto”.
Oggi, rileggendo le immagini, mi ritornava al cuore la preghiera nel salmo: “lampada ai mie passi è la tua parola, Signore” (Sl. 119,105).
Chiediamoci più spesso che cosa dice non il tale opinionista o quell’altro, ma la parola di Dio. E sia luce, luce critica, luce di giudizio, luce di accompagnamento del viaggio sconosciuto.
L’evangelista Luca, proprio nel capitolo precedente al nostro, parlava di questa luce interiore:
“Stai attento” – diceva Gesù – “che la tua luce non diventi tenebra. Se dunque tu sei totalmente nella luce, senza alcuna parte nelle tenebre, allora tutto sarà splendente, come quando una lampada ti illumina con il suo splendore” (Lc 11,35-36).