don Angelo Casati commenta il vangelo di domani

la parola della domenicaAnno liturgico C omelia di don Angelo nella 26ª Domenica del Tempo Ordinario mare fiore

Am 6,1.4-7  Sal 14 1 Tm 6,11-16  Lc 16,19-31

Tra le due parabole, quella della scorsa domenica -la parabola dell’amministratore astuto e questa del ricco e del povero Lazzaro-, c’è una notazione di Luca che fa quasi da cerniera: “I farisei” -è scritto- “che erano attaccati al denaro, ascoltava- no tutte queste cose e si burlavano di lui. Egli disse: “voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio”.

Noi, ma forse no, non ci beffiamo di Gesù, non arriviamo al punto di deriderlo. Però è proprio così vero che noi non esaltiamo ricchi e potenti? Non è forse vero che sono loro a fare notizia, loro ad avere giullari e cortigiani, loro circondati di deferenza, quasi una sacra deferenza? Loro hanno un nome. Condanniamo i farisei che si facevano beffa di Gesù. Però nei nostri criteri, quelli correnti che riguardano la vita di tutti i giorni, diciamo sì “beati i poveri”, però il culto lo diamo ai ricchi. I ricchi che dispongono già di una corte: anche il ricco del vangelo. Il povero – Lazzaro – non ha nessuno, solo come un cane e vegliato dai cani. I ricchi hanno un nome, i poveri no. Che è proprio il contrario di quello che vuole Dio. Per Lui il nome l’hanno i poveri. Non per nulla nella parabola il ricco che ha tutto -è nella casa, veste di porpora, ha amici con cui banchetta- ha tutto. Non ha un nome, per Dio non ha nome. Al contrario ha un nome quel povero che non ha niente, non ha casa, non ha soldi, non ha salute, non ha amici. Eppure ha un nome: Lazzaro, dall’antico El’azar) che significa “Dio ha aiutato”. Ha un nome per Dio. E per me? -mi chiedo-, chi ha un nome per me? Sono i poveri o i ricchi ad avere un nome per me?

Perché -vedete- anche se non siamo ricchi ci può essere -è sottile- questa seduzione della ricchezza. Ma approfondiamo il discorso. Perché è condannato il ricco della parabola-? Non perché sia un violento o un oppressore. Non è detto. Non perché sia contro Dio, non perché sia contro il prossimo. Non è detto. Potremmo dire che viene condannato non per le sue azioni, ma per le sue omissioni. E già questo è motivo di riflessione; perché noi siamo facili ripararci dietro l’alibi: non ha fatto nulla di male. D’accordo. Ma poi come sta in quanto a omissioni? Il ricco è condannato perché non “pensa”: la sua è una vita da spensierati.

E sta scritto nel rotolo di Amos: “guai agli spensierati di Sion, a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria”. Guai agli spensierati: è da condannare ma del “non pensare” o del pensare solo a se stessi. Il ricco è condannato perché “non vede”. E anche questo è tremendo e ci riguarda. Tremendo e sconcertante, perché, fosse stato lontano Lazzaro, e invece è alla sua porta e non lo vede. Così come è vicina la Parola di Dio -hanno Mosè e i profeti: l’hanno e non la vedono. Sono in cerca di apparizioni. Ma se non ascoltano Mosè e i profeti, le apparizioni sono semplicemente prurito religioso e non convertono il cuore. Secondo Gesù! E non è forse vero che quando un altro Lazzaro tornò da morte, correvano tutti a vederlo, ma mica si convertirono. Era uno spettacolo! Dicevo: Lazzaro il povero è vicino e non lo vede. La Parola è vicina e non l’ascolta.

Ecco, qui sta il pericolo del “vivere da ricchi”. Il pericolo sta qui. E ci riguarda. I segni sono vicini, ma non li vedi. Le voci ci sono ma non le senti. Non sono dunque le voci che mancano, è la libertà. La libertà soffocata o dalla magia del possedere o dal vuoto della spensieratezza. Questo il dramma: una società di spensierati o di uomini e donne che si preoccupano solo di sé può convivere con -all’uscio!- realtà drammatiche senza avvedersene? Sono vicini. Ma c’è un abisso. L’abisso dell’al di là. “Tra noi e voi è stabilito un grande abisso” dice Abramo. L’abisso dell’al di là è semplicemente la prosecuzione dell’abisso di quaggiù.

Situazioni da tragedia, ma non ne siamo sfiorati, siamo troppo pieni di noi stessi, troppo occupati dai nostri giochi: viviamo da ricchi. Il Signore ci liberi dal troppo pieno. Ricordavo la storiellina zen, del professore universitario che andò un giorno a far visita al maestro zen e questi gli versò del the in una tazza. E quando fu colma, continuò a versare. E il professore universitario vedendo il the trasbordare non si contenne e disse. “E’ ricolmo, non ce ne entra più”. “Come questa tazza” -disse Nanin- “tu sei ricolmo delle tue opinioni e congetture. Come posso spiegarti lo zen, se prima non vuoti la tua tazza?” Come possiamo vedere il povero vicino o ascoltare la Parola vicina -ci dice il Vangelo- se siamo pieni di noi stessi?

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