gender: una parola autorevole e pacata per uscire dalle demonizzazioni

ma sesso e gender non sono nemici

di Giannino Piana

Piana

in “Il Mattino”

originata dalla preoccupazione (legittima) di spiegare la pluralità di identità delle persone, non riducibile al semplice dato biologico, la questione del gender è andata soggetta a interpretazioni fuorvianti. Soprattutto all’interno di alcune correnti del femminismo americano. In alcuni casi ha infatti assunto i connotati di un’ideologia assoluta, che arriva a negare la rilevanza del sesso biologico, riducendo di fatto l’identità a un costrutto socioculturale e a realtà del tutto intercambiabile. L’allarme che queste posizioni estreme suscitano non deve tuttavia condurre a eludere le istanze vere che da essa scaturiscono, e che rinviano a una visione complessa della formazione della personalità umana, nella quale il sesso biologico, che ne costituisce la base imprescindibile, si intreccia con la presenza di altri fattori, che vanno dalle dinamiche psicologiche ed educative alle diverse forme di socializzazione, fino al contesto culturale entro il quale ha luogo il suo sviluppo

Considerata in questa ottica la questione non è nuova. Si tratta, in realtà, del rapporto tra «natura» e «cultura», che ha alle spalle una lunga tradizione filosofica, la quale ha le sue radici nel pensiero greco e che è stata ripresa, successivamente, da quello medioevale e moderno. Ma si deve riconoscere che l’attuale proposta del gender si sviluppa entro un contesto culturale diverso da quello del passato. A determinarne la nascita sono stati infatti, da un lato, lo sviluppo di una visione individualistica della vita, che insiste con forza sull’autocostruzione individuale del soggetto umano; e, dall’altro, il pensiero femminile (almeno in alcune aree della propria elaborazione), che è passato, nella fase più recente, dal teorizzare il valore delle differenze nel segno della reciprocità tra i sessi, alla loro negazione, aprendo la strada a un intreccio indefinito di possibilità espressive. Ha perciò luogo un vero e proprio salto qualitativo, che coincide con l’assegnazione del primato ai fattori ambientali – sociali e culturali – e che mette radicalmente in discussione i modelli relazionali del passato, aprendo la strada a nuove (e molteplici) forme di incontro e di reciproco riconoscimento. I risvolti antropologici e sociali di questa svolta sono senza dubbio pesanti. Ha ragione Mauro Magatti a rilevare, in un articolo apparso ieri sul Corriere della sera, le gravi implicazioni che la traduzione sul terreno legislativo di questa visione possono avere sul futuro della vita associata, accentuando le spinte individualiste e autoreferenziali e distorcendo significati originari dell’umano con il rischio di nuove forme di alienazione. Questa lettura, per quanto largamente diffusa, non è tuttavia l’unica possibile. Se infatti si abbandona una prospettiva rigidamente ideologica, che soggiace tanto alle posizioni estreme dell’ipotesi del gender quanto ad alcune posizioni allarmistiche di segno opposto – gli opposti estremismi come recita il titolo dell’intervento di Magatti – e si fa spazio a una visione più attenta alla globalità dell’umano, lo scontro risulta tutt’altro che inevitabile. Sesso e gender, lungi dal dover essere concepiti come realtà del tutto alternative, sono fattori che possono (e devono) reciprocamente integrarsi. Non si tratta di optare per l’uno o per l’altro, ma di rimetterli correttamente in circolazione tra loro. Si tratta di riconoscere l’importanza fondamentale che riveste la differenza uomo-donna, che ha anzitutto la propria radice nel sesso biologico e che costituisce l’archetipo irrinunciabile da cui ha origine l’umano, e di non esitare, nello stesso tempo, ad ammettere l’importante ruolo delle strutture sociali e della cultura nella definizione dell’identità soggettiva. I riflessi di questa concezione in campo etico sono immediatamente evidenti. La lettura del mondo umano che viene dall’acquisizione corretta degli stimoli provenienti dalla riflessione proposta dal gender obbliga a una revisione degli orientamenti tradizionali della scienza morale, prestando maggiore attenzione alla complessità delle dinamiche che presiedono alla costruzione dei comportamenti e delle scelte soggettive. La ricerca di soluzioni, che rispettino tutte le dimensioni dell’umano, è allora la via da percorrere per contribuire alla crescita di una società libera e solidale.