l’economia liberale è “un’economia dell’esclusione”, “un’economia che uccide”: Rue 89 e alcuni siti americani lo definiscono già “papa socialista”
si dice disgustato per “il fatto che non faccia notizia che muoia assiderato un anziano
ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Ecco l’esclusione”grandi masse di popolazione, aggiunge, “si vedono escluse, emarginate, a causa del gioco della
competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. Non è la legge del
mercato in sé ad essere colpevole, ma la sua egemonia, un’economia senza voltoH. Tincq riflette opportunamente su questo:
Perché la requisitoria di papa Francesco contro il capitalismo irrita i liberal
di Henri Tincq
in “www.slate.fr” del 3 dicembre 2013
In un documento chiamato esortazione apostolica, che ha reso pubblico il 26 novembre a Roma, dal
titolo “La gioia del vangelo”, papa Francesco fa una feroce denuncia del capitalismo e del
liberalismo economico.
A riprova di un cambiamento di priorità nella Chiesa, dedica solo poche righe al matrimonio
omosessuale, mentre delinea, in alcune pagine fitte e profondamente sentite, un bilancio implacabile
della situazione economica mondiale.
Non è la prima volta che un papa interpella i suoi contemporanei e i responsabili politici sugli
squilibri economici e le disparità sociali, ma quest’ultimo, che viene dall’America Latina dove
coabitano situazioni di estrema povertà e di estrema ricchezza, ha chiaramente scelto da che parte
stare.
Dà una nuova direzione a ciò che gli storici e i teologi chiamano la “dottrina sociale” della Chiesa.
Quest’ultima, tradizionalmente caratterizzata dalla ricerca di una terza via tra capitalismo e
socialismo, cade, sotto la penna di papa Francesco, in una denuncia senza sfumature di un sistema
“che nega il primato dell’essere umano”. Al punto che Rue 89 e alcuni siti americani lo definiscono
già “papa socialista”.
Inizia con una constatazione generale, prima di prendersela con la finanza mondiale. L’economia
liberale è “un’economia dell’esclusione”, “un’economia che uccide”, scrive. Prendendo a testimoni
i media, si dice disgustato per “il fatto che non faccia notizia che muoia assiderato un anziano
ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. Ecco l’esclusione”.
Grandi masse di popolazione, aggiunge, “si vedono escluse, emarginate, a causa del gioco della
competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole”. Non è la legge del
mercato in sé ad essere colpevole, ma la sua egemonia.
un’economia senza volto
Per il papa argentino, l’economia mondiale va alla deriva. Ha superato i meccanismi classici dello
sfruttamento e dell’oppressione. Ha creata una “cultura dello scarto”: “l’essere umano è un bene di
consumo che si può usare e, in seguito, buttar via”. Il lavoratore non è solo “sfruttato”, votato “ai
bassifondi e alla periferia dell’esistenza”, ma ridotto allo stato di “rifiuto”. Fa parte “degli
avanzi”.
Jorge Mario Bergoglio non invita ad un rovesciamento economico, ad una qualsiasi rivoluzione, una
parola che non fa parte del suo vocabolario. Interviene solo sul ruolo regolatore dello Stato. Non fa
neppure un discorso sul senso della storia e non è marxista. Ma mette in discussione la relazione di
sottomissione al denaro, il dominio assoluto della finanza e del mercato sugli esseri umani, il
predominio e la perversità della finanza mondiale.
Scrive: “La crisi finanziaria che attraversiamo ci fa dimenticare che alla sua origine vi è una
profonda crisi antropologica: la negazione del primato dell’essere umano! Abbiamo creato nuovi
idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo
del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La
crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la
grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei
suoi bisogni: il consumo. (…) No a un denaro che governa invece di servire”.
riprovazione del denaro e del profitto
Per la loro violenza, queste dichiarazioni del papa gesuita sorprendono e non provocano reazioni
unanimi. Alcuni commentatori, in Francia e oltre-Atlantico, mettono in discussione la sua
competenza economica. Volano in aiuto del liberalismo invocando le virtù del mercato e del
profitto. Un collaboratore della rivista economica americana Forbes, che si descrive come un buon
cattolico, scrive che il papa non capisce il mondo così come sta evolvendo:“Con il liberalismo e la globalizzazione, le disuguaglianze si sono ridotte, la povertà è diminuita
da trent’anni al ritmo più rapido che abbia mai conosciuto la specie umana. Miliardi di persone
sono state liberate dalle esigenze più folli del collettivismo e hanno potuto avvicinarsi alla migliore
macchina di produzione della ricchezza mai creata, un certo grado di mercato libero”.
Un punto di vista che suscita delle resistenze. Vicino agli ambienti cattolici progressisti americani, il
National Catholic Reporter ammette che Francesco non è un economista, ma un “pastore”. E il suo
ruolo è di mettere in guardia il mondo contro “il pericolo di sistemi economici che hanno fallito nel
realizzare il bene comune e hanno reso le persone schiave, perché non lasciano spazio per Dio”.
Allo stesso modo, su The Guardian, quotidiano britannico di sinistra, una giornalista scrive che
“papa Francesco ha perfettamente identificato il punto cruciale, l’aumento delle disuguaglianze di
reddito che è la più grossa sfida economica del nostro tempo, determinante per la ripresa
economica”. Per il suo editorialista, “è ora di cambiare il nostro approccio al capitalismo. Non si
tratta di sbarazzarsi del capitalismo o di cadere nella riprovazione del denaro e del profitto. Si
tratta di cercare il profitto in maniera etica e di rifiutare l’idea che il profitto passi necessariamente
attraverso lo sfruttamento”.
Più di un secolo fa, nel 1891, un altro papa, Leone XIII, scriveva la prima enciclica sociale
(“Rerum Novarum”), che aveva già fatto scandalo. Per la prima volta, la massima autorità della
Chiesa deplorava la concentrazione, tra le mani di una infima minoranza, di tutte i guadagni
dell’industria e del commercio. Criticava l’esistenza di “un piccolo numero di ricchi e di opulenti
che impone un giogo servile all’infinita moltitudine dei proletari”.
Oltre Leone XIII
Il papa rompeva finalmente con la tradizione di un linguaggio paternalista che faceva della carità e
dell’elemosina il rimedio di tutti i mali, della disuguaglianza una legge della natura, e dello scarto
tra ricchi e poveri una fatalità. Quel testo, fondamento della “dottrina sociale” della Chiesa, aveva
scioccato gli ambienti capitalisti dell’epoca e tutti i benpensanti.
Tutti i suoi successori hanno seguito più o meno questa via, hanno sostenuto delle formule di
compromesso tra il capitale e il lavoro, risvegliato generazioni di militanti socialisti, politici e
sindacali. A lungo identificata con gli interessi economici più conservatori, sospettata di voler
difendere il suo potere sociale e morale, la Chiesa cattolica ha fatto la propria conversione,
mettendo al primo posto della sua etica il rispetto del bene comune e quello dei diritti fondamentali
dell’essere umano.
Papa Francesco va oltre. Se la prende con la disumanità del modello capitalistico, non si pronuncia
neppure sui benefici del profitto e della libertà di impresa, giustificati da tutti i suoi predecessori.
Gli si rimprovererà di non proporre alcun modello alternativo. Per il momento, ed è solo una tappa,
rifiuta gli eccessi del sistema produttivistico e liberale e provoca gli esperti finanziari e i governanti
del mondo intero.