Lavoro e diritti, pace e disarmo, mafia e antimafia: su questi temi sociali, nelle ultime settimane, i vescovi di diverse diocesi italiane si sono schierati pubblicamente, assumendo posizioni coraggiose e “di frontiera”.
Mons. Depalma: dalla parte dei lavoratori
Il caso più noto, che ha trovato ampio spazio anche nelle cronache nazionali, è stato quello che ha avuto come protagonista il vescovo di Nola, mons. Beniamino Depalma, che lo scorso 15 giugno ha partecipato ad una manifestazione degli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco (Na) – da anni alle prese con la cassa integrazione – per contestare i sabati lavorativi di “recupero produttivo”.
Il vescovo si è collocato «dalla parte dei violenti e dei prevaricatori», ha affermato il responsabile dello stabilimento di Pomigliano, Giuseppe Figliuolo, in una lettera indirizzata al vescovo nel giorni successivi alla manifestazione. Nella missiva Figliuolo ha criticato la presenza del vescovo davanti ai cancelli dello stabilimento «per portare la sua solidarietà ad alcuni manifestanti che con azioni violente e minacce hanno tentato di impedire l’ingresso in fabbrica ai lavoratori della Fiat». «La sua scelta di essere dalla parte dei violenti e prevaricatori – aggiunge – è stata involontaria e causata dalle mistificazioni veicolate da alcuni organi di informazione che hanno volutamente travisato la realtà dei fatti», omettendo che «era stato sottoscritto un accordo sindacale tra azienda e legittimi rappresentanti dei lavoratori».
«No, dottor Figliuolo, io non sto dalla parte dei violenti, né volontariamente né, come dice lei, “involontariamente”», ha replicato il vescovo – che più volte, in passato, è intervenuto su questioni sociali che riguardavano il suo territorio, dalle lotte degli operai della Fiat al problema rifiuti e discariche abusive (v. Adista nn. 5/08; 34 e 52/09) – in una lettera pubblicata dal quotidiano napoletano Il Mattino (7/7). «Bisogna provare in ogni circostanza, anche la più burrascosa, a mettere le persone intorno allo stesso tavolo. Un vescovo, un pastore, non è un dirigente di un’azienda: quando vede e sente uomini gridare, ha l’obbligo morale di andare a vedere e sentire con i suoi occhi e con le sue orecchie. Credo che oggi, in questo tempo così difficile, i complici dei violenti siano tutti coloro che stanno rinchiusi nei loro fortini sperando che la burrasca passi senza bagnarli. Opera davvero violenza chi nega la speranza negando prospettive di futuro alle persone e alle famiglie. La Chiesa ha una sola preoccupazione: che le famiglie non perdano il salario». «Ha difeso i deboli, ha parlato in favore del diritto al lavoro. La sua è stata l’espressione di un pastore e non dovrebbe essere sindacata, e tantomeno censurata da parte di un’azienda», difende il suo vescovo don Peppino Gambardella, parroco di San Felice in Pincis a Pomigliano, anche lui da sempre schierato accanto agli operai della Fiat (v. Adista n. 25/09). «Ancora una volta i vertici Fiat hanno dimostrato arroganza e anche poco rispetto della dignità del pastore della Chiesa. Probabilmente a loro, che vivono una vita staccata dalla gente, sfugge il valore morale che il vescovo rappresenta per i lavoratori. A lui arriva il grido di aiuto dei poveri, la loro disperazione. Tutto questo purtroppo sfugge ai dirigenti della Fiat. Forse sono abituati a comandare e ad avere gente che deve solo obbedire. Sono poco adusi alla democrazia».
Intanto Depalma ha fatto sapere di aver accettato l’invito di Figliuolo a visitare lo stabilimento di Pomigliano: mi pare un modo «per avere l’opportunità di un confronto franco e diretto», ha motivato la sua decisione il vescovo.
Mons. Pizziol: l’unico valore è la pace
Ha invece declinato l’invito a partecipare all’inaugurazione della nuova base militare Usa all’aeroporto Dal Molin di Vicenza il vescovo della città, mons. Beniamino Pizziol, come peraltro gli aveva chiesto il Coordinamento cristiani per la pace di Vicenza e altre associazioni (v. Adista Notizie n. 23/13), evidenziando quindi un atteggiamento ben diverso da quello del suo predecessore, mons. Cesare Nosiglia, sempre piuttosto disponibile verso il Dal Molin.
«La decisione se presenziare o meno a detta inaugurazione – scrive il vescovo al colonnello David W. Buckingham, comandante della guarnigione dell’esercito Usa a Vicenza – è stata fonte di un sereno e condiviso discernimento sul significato della presenza di un vescovo in questa struttura che, al di là della buona coscienza delle persone che vi operano, resta il segno che siamo ancora lontani dalla realizzazione di quel progetto di pace, che tutti portiamo nel cuore come un “anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi” (Giovanni XXIII, Pacem in Terris, n. 1)».
La lettera del vescovo al colonnello Usa si conclude con una «speranza», che però pare piuttosto un auspicio di improbabile realizzazione: che la base di Vicenza – dove verranno collocate alcune attività di Africom, il comando militare Usa per l’Africa – «possa essere trasformata in un centro di formazione e di azione per promuovere lo sviluppo del Continente africano, a servizio della vera libertà e della democrazia».
Mons. Morosini: via i condannati dalle associazioni ecclesiali
Tornando a sud, il vescovo di Locri, mons. Giuseppe Morosini (nel frattempo nominato nuovo arcivescovo metropolita di Reggio Calabria), ha emanato un decreto molto severo nei confronti di chi è stato rinviato a giudizio in un procedimento penale: non può far parte delle associazioni ecclesiali presenti nella diocesi, compresi i Consigli pastorali parrocchiali. Morosini parla in generale dei rinviati a giudizio, ma è abbastanza chiaro – data la specificità del territorio della Locride – che il provvedimento sia diretto ad escludere dalla vita delle associazioni ecclesiali le persone coinvolte in indagini sulla ‘ndrangheta.Gli indagati, è scritto nel decreto, devono subito informare il responsabile dell’associazione del procedimento aperto a loro carico e autosospendersi dall’associazione. Se non lo fanno, interviene d’ufficio il capo dell’associazione o il vescovo. Il quale può anche sciogliere l’associazione nel momento in cui ravvisasse che è stata messa in atto una copertura dell’associato sotto indagine. L’esclusione dall’associazione resta in vigore fino alla fine del procedimento penale ed è definitiva in caso di condanna.
Il provvedimento del vescovo Morosini segue di qualche giorno quello del vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti, che ha vietato, nel territorio della sua diocesi, i funerali ai condannati per mafia (v. Adista Notizie n. 25/13).
Don Diana: laurea post mortem
A Napoli, la Facoltà teologica dell’Italia meridionale – la sezione San Luigi, quella gestita dai gesuiti – ha deliberato di concedere la licenza in Teologia biblica a don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra nel 1994, come peraltro era stato proposto da diversi docenti e studenti della facoltà nel 2011, al termine della Giornata di studio “Martiri per la giustizia, martiri per il Sud. Livatino, Puglisi, Diana, uccisi non per errore” (v. Adista n. 35/11).
«Alcuni anni fa – spiega Sergio Tanzarella, docente di Storia del cristianesimo alla Facolta teologica, fra i principali promotori dell’iniziativa – ricostruendo la carriera universitaria di don Peppe, si è deciso di riconoscere il titolo che il parroco di Casale non aveva potuto conseguire. Don Diana era arrivato quasi alla fine dei suoi studi teologici, ma non riuscì a completarli perché fu ucciso dalla camorra il 19 marzo del 1994. Era una persona che amava studiare. Si era laureato in filosofia, ed era quasi arrivato alla conclusione degli studi in teologia biblica quando fu assassinato. Così il Consiglio di Facoltà ha deciso di riconoscere a don Diana la laurea nonostante non abbia concluso il corso di studi. Nel mese di ottobre avrà luogo la cerimonia di assegnazione». Sul fronte del processo di beatificazione di don Diana – anche su questo punto, in occasione della stessa Giornata di studio, era stata inviata una sollecitazione al vescovo di Aversa, mons. Angelo Spinillo – invece, nulla di fatto. «In diocesi non è presente nessuna forma di culto nei confronti del parroco di Casal di Principe», dicono ad Adista fonti vicine alla Curia aversana. Un appello a proclamare martiri anche dei laici che si sono impegnati fino alla fine per la giustizia arriva invece dal vescovo emerito di Caserta, mons. Raffaele Nogaro, che propone la beatificazione del magistrato ucciso dalla mafia Rosario Livatino: «Mi piace una Chiesa che ricosce anche la laicità della santità”, perché “i santi non sono quelli con l’aureola”».