i vescovi italiani chiamati da papa Francesco ad assumersi le loro responsabilità pastorali

 il tempo del Sinodo

di Alberto Melloni

Il caso 
Il tempo del Sinodo 
di Alberto Melloni
Pubblicato su “La Repubblica”
il 23 settembre 2019
dopo l’ età ‘ruiniana’ di deresponsabilizzazione dei vescovi, il convegno di Firenze del 2015 aveva aperto un cammino – interrotto però di nuovo: papa Francesco chiama i vescovi italiani ad assumersi le loro responsabilità pastorali
Il «probabile Sinodo della Chiesa italiana» – definito così dal Papa – è a uno snodo decisivo.
Il Consiglio di presidenza della Cei che si riunisce oggi dovrà decidere se avviare almeno un pensiero su questo tema e farlo «sparire» (cito il Papa), come ha fatto col discorso bergogliano del 2015 a Firenze: «Entrato nell’ alambicco delle distillazioni intellettuali» e «finito senza forza, come un ricordo».
Da maggio la Cei sa che non potrà rimettersi ai voleri del Papa.
Quando Francesco ha capito che i vescovi, per ossequio e malavoglia, lo potevano seguire ha reagito con una bacchettata severissima. Con un gelido comunicato il Papa ha fatto intendere che se si trattava di fare un Sinodo per conformismo, lui – primate d’ Italia – preferiva “frenare”.
E da una settimana sanno che il tema non è cancellato dalla loro agenda.
Giovedì scorso La Civiltà Cattolica (le cui bozze si leggono in Segreteria di Stato) è tornata sul Sinodo con un saggio di padre Bartolomeo Sorge.
L’ anziano gesuita ha evocato il primo convegno della Chiesa italiana su “Evangelizzazione e promozione umana”, che nel 1976 fu molto partecipato e vivo: però, proprio perché fatto al posto di un Sinodo, risultò incapace di impedire una lacerante politicizzazione della fede; e ha scritto che, dopo l’ età ruiniana di deresponsabilizzazione dei vescovi, il convegno di Firenze del 2015 aveva aperto un cammino – interrotto però di nuovo.
Cammino – chioso io – che se non diventerà sinodale, non saprà resistere alla divisione della Chiesa che è l’ obiettivo delle destre palesi e occulte; con ricadute che non riguardano il “voto cattolico”, ma la democrazia.
Non si tratta infatti di decidere se chiamare Sinodo un convegno, se metterci “più laici e più donne” per decorare il nulla. Si tratta del modo di dire la fede delle chiese locali e della responsabilità “pastorale” (nel senso di Papa Giovanni) dei vescovi.
I quali vescovi da anni si accontentano di rinviare la questione Sinodo come fosse un pallino gesuita o la leva per migliorare gli incassi politici alla prossima crisi o riscrivere liste di valori su cui riaggregare le destre confuse o cantare in coro la lisa canzone del “bene comune”.
Senza un atto di responsabilità sulla “sinodalità dall’ alto e dal basso” i vescovi perderanno autorevolezza: e di vescovi autorevoli hanno bisogno la Chiesa e il Paese. Lo si è capito quando mezz’ Italia ha visto che Giuseppe Conte era stato più severo dei vescovi davanti all’ abuso blasfemo delle devozioni cattoliche più dolci.
O quando Andrea Orlando, annunciando la sua scelta di lavorare nel partito, li ha surclassati nell’ indicare nella società il luogo in cui stare, per una lotta al cancro dell’ odio e della paura che deve ancora iniziare.
Il “probabile Sinodo per la Chiesa italiana” ne è parte perché è lo snodo liturgico in cui il rinnovamento interiore della Chiesa cattolica nella fedeltà al Vangelo può annaffiare le tante radici della democrazia italiana. E Dio sa se non son secche
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