LO SPIRITO DI VERITA’ VI GUIDERA’ A TUTTA LA VERITA’
commento al vangelo della domenica di Pentecoste (24 maggio 2015) di P. Alberto Maggi
Gv 15, 26-27; 16, 12-15
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando verrà il Paràclito, che io vi manderò dal Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli darà testimonianza di me; e anche voi date testimonianza, perché siete con me fin dal principio. Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Per la festa della pentecoste la liturgia ci propone questo brano di Giovanni dove Gesù parla dell’attività e della realtà dello Spirito. Scrive l’evangelista “Quando verrà” – e dispiace vedere qui nella nuova traduzione della CEI il termine “Il Paraclito”. E’ un termine colto, è un termine tecnico, che non è comprensibile dalla gran parte della gente. Nella vecchia traduzione questo termine si era reso meglio con “consolatore”. Qual è il significato di questo termine greco “paraclito” che qui viene translitterato appunto senza darne poi la comprensione? Il “consolatore”, a differenza di colui che conforta – il conforto è un conforto morale – ma “consolare” nella lingua greca significa “l’eliminazione alla radice della causa della sofferenza”. In altre parti questo termine sarà applicato a Gesù come “avvocato difensore”, “colui che ci difende”. Allora, l’azione dello Spirito è quella di consolare, di difendere la comunità da ogni tipo di attacco e l’eliminazione alla radice di quella che è la causa della sofferenza. Quindi Gesù rassicura la sua comunità Quando verrà quindi il consolatore, questa forza, questa energia di Dio, “che vi manderò dal Padre”, quello che lui chiama “lo Spirito della Verità”, questa forza d’amore che proviene dal Padre, conduce l’uomo nella verità, e gli fa comprendere due realtà importanti: 1) chi è Dio, la verità su Dio, Dio è amore; 2) la verità sull’uomo, chi è l’uomo. L’uomo ha una dignità incredibile, è chiamato ad essere il figlio di questo Dio. “Egli darà testimonianza di me”.
Quindi questa forza, quest’energia d’amore che Gesù comunicherà sulla croce nel Vangelo di Giovanni ai suoi discepoli, l’accoglienza di questa potenza d’amore, dilaterà l’esistenza dell’individuo e lo inserirà nella sfera dell’amore di Dio, gli farà comprendere molte cose. E, scrive l’evangelista che Gesù dice “e anche voi date testimonianza perché siete con me fin dal principio”. Dove si è fin dal principio? Fin dal principio Gesù nella sua attività si è messo sempre a fianco degli oppressi e mai degli oppressori, sempre dalla parte delle vittime, mai dalla parte dei carnefici, allora è un invito molto chiaro di Gesù alla sua comunità di stare sempre dalla parte degli ultimi. In questo stare sempre dalla parte degli ultimi emergerà la forza dello Spirito. Gesù avverte “ho molte cose ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”, perché soltanto chi è pronto a orientare completamente la propria vita verso il bene degli altri, può entrare in sintonia con questa onda crescente d’amore che il Signore comunica. Però, assicura Gesù, “quando verrà lui, lo Spirito della verità”, ecco che torna questa definizione che lo Spirito è quello che conduce l’uomo, “Vi guiderà a tutta la verità perché non parlerà da se stesso, ma dirà ciò che avrà udito e vi annuncerà” – e questo è importantissimo – “le cose future”. L’azione dello Spirito è una continua proposta del messaggio di Gesù, non è un nuovo messaggio, una nuova rivelazione, che fa comprendere le cose che vengono, le cose future. Lo Spirito spinge al futuro. Lo Spirito non ripete le cose del passato, c’è sempre la tentazione da parte degli uomini di rimpiangerei bei tempi di una volta, che erano belli soltanto perché sono passati e sono dimenticati, e quindi di rimpiangere un tempo passato e non dei proiettarsi verso il tempo che arriva. Ebbene, quando si rimpiange il tempo passato lì lo Spirito non può far nulla, perché lo Spirito di Dio è quello che – dice la scrittura – “fa nuove tutte le cose”. Allora, l’apertura al nuovo fa emergere lo Spirito. Cosa significa questo? Che la tensione della comunità cristiana ai sempre nuovo bisogni dell’umanità, farà scoprire nuove capacità di risposta. In queste nuove risposte ai bisogni dell’umanità emerge lo Spirito della verità. Questa è la dinamica della vita del cristiano, quindi, sempre teso verso il nuovo, sempre pronto a dare nuove risposte, non le risposte antiche. Non si possono dare ai bisogni di oggi risposte antiche, ma formulare, inventare, creare, nuove risposte per i bisogni dell’umanità.
di seguito il commento di p. Agostino Rota Martir che legge da tempo il vangelo da dentro un ‘campo nomadi’ e coll’aiuto di rom musulmani riesce a cogliere del vangelo il cuore più innovativo e ‘ribelle’:
Per una Pentecoste ribelle e un po’ zingara
Sabato scorso ho partecipato a Bologna con diversi amici, alla manifestazione dei Sinti e Rom. È stata una bella iniziativa: vivace, colorata e pacifica..anche troppo! Ma alla luce della festa della Pentecoste, non posso nascondere alcune note che mi lasciano un pò perplesso, anzi la dico così: la Pentecoste forse ci spinge ad osare di più, a sapere andar oltre. Pentecoste ed inni nazionali. All’inizio del corteo i Sinti hanno suonato e cantato (magistralmente) l’inno di Mameli. Senz’altro è stata una nota ad effetto immediato, anche perché cantato meglio di tanti giocatori della nostra Nazionale di calcio. Comprendo bene le ragioni: “siamo italiani, non extra-comunitari”. Sottinteso: noi Sinti, non siamo Rom! ” Siamo in Italia da molte generazioni, non siamo arrivati sui barconi..” Ammetto la mia amarezza, anche se non mi sorprende, è come chi dice: “prima gli italiani, poi..quel che resta delle briciole agli ultimi arrivati.” I discriminati (e i Sinti lo sono) che creano a loro volta, altri discriminati e la catena non si ferma mai. Mentre camminavo per le vie di Bologna, Sinti, Rom, migranti, centri sociali, preti, laici, italiani..insieme, mi sono ritrovato proprio a pensare alla festa di Pentecoste. Lo Spirito Santo che scende su tutti e non guarda la scadenza del Permesso di Soggiorno o la validità del passaporto, o l’appartenenza sociale tanto meno, appone il suo timbro al suo passaggio. Ogni cittadinanza, compresa quella dell’ultimo arrivato su un barcone, profugo o clandestino che sia, partecipa alla sua orchestra di colori e suoni, la Pentecoste è proprio la frantumazione degli inni nazionali, delle bandiere e dei confini nazionali. E’ l’implosione dei muri che dividono, sa più di sentieri, strade aperte verso l’infinito, di ponti.. “Com’è che ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa?” Lo Spirito della Pentecoste valorizza le diversità di ciascuno per il bene di tutti. Siamo uguali ma diversi. Non c’è forse il rischio che in nome di una uguaglianza astratta, di una integrazione (spesso usata come arma di ricatto verso i Rom) e quant’altro appiattiamo le nostre diversità, fin’ anche camuffarle? Nella Pentecoste invece, ci si comprende anche nelle diversità..l’armonia si ottiene non certo con “le ruspe” o l’indifferenza o moltiplicando i controlli..è frutto di cammini, di pazienza e di ascolto e convivenze reciproche.
Non è forse una tentazione quella di voler sembrare tutti uguali, anche per ottenere ciò che spetta ad ogni essere umano, di diritto?
Pentecoste e sconfinamento della Chiesa.
E’ lo Spirito che sollecita lo sconfinamento della Chiesa, dei cuori stessi..in forme variegate di nomadismo che arricchirà sostanzialmente la storia e le stesse comunità cristiane, differenti tra di loro, sparpagliate e sempre in cammino. Più nomadi che stanziali, affinché lo Spirito del Vangelo manifesti il suo vigore, spesso ben lontano dai poteri! E’ una Chiesa di periferia, più ribelle che integrata..spesso messa da parte, a volte vista come accessorio inutile, da scartare quando non serve più o diventa un fastidio.
Non sono poche le “sirene” che oggi rinnegano e cercano di nascondere, anche in nome di una presunta integrazione, la storia dei Sinti e Rom che è fatta anche di esodi, di cammini, di nomadismi di vario genere, spesso si sente dire e ripetere: “Noi Rom, non siamo nomadi, è storia passata.”
Ma la Pentecoste, come il vento non si “normalizza”..
Se un Sinto o un Rom si uniforma viene premiato, riceve riconoscimenti e attestati, se invece rimane Rom-Sinto, magari mantenendo il suo stile di vita un po’ “zingaro” (compreso quello di nomadizzare quando lo ritiene necessario), è visto con disprezzo e sospetto.
Sta di fatto che la Pentecoste fa della Chiesa nomade, in uscita..non solo fisicamente, anche spiritualmente e mentalmente, condizione per vivere e capire il Vangelo. E’ come il sigillo della Pentecoste impresso nell’anima dei cristiani: continuamente in uscita, ribelli ad ogni conformismo, con lo spirito nomade, attenti a non fossilizzarci in una cultura, capaci di andare sempre oltre, seminatori e raccoglitori delle tracce dello Spirito sparpagliate in ogni storia, in ogni esistenza.