il commento al vangelo della domenica

LA STANZA OSCURA
Marco 5,21-43
il commento di E. Ronchi al vangelo della tredicesima domenica del tempo ordinario
C’è una casa a Cafarnao, dove la morte ha messo il nido.
Una dimora importante, quella del capo della sinagoga, eppure impotente a garantire la vita di una bambina. Giairo ha preso il mantello ed è uscito, ha camminato in cerca di Gesù, e Gesù interrompe ciò che sta facendo e si mette a camminare con lui. Sulle frontiere tra la vita e la morte. Stare con il dolore degli altri diventa uno dei gesti cristiani più rivoluzionari.
Perché il dolore, il dolore innocente? I figli di tanti Giairo muoiono in un’età in cui invece è d’obbligo fiorire, non soccombere. Eppure Gesù non dà una risposta, dà altro: il dolore non domanda spiegazioni, ma condivisione: “e andò con lui”.
“Non temere, soltanto continua ad aver fede”, quella che ti ha fatto uscire di casa in cerca di aiuto e di ascolto. Ma come è possibile non temere, non essere nella paura quando la morte si è portata via il mio sole? Il contrario della paura non è il coraggio, è la fede, atto umanissimo che tende alla vita! Che dice: ho bisogno, mi fido, mi affido. Sulla tua parola getterò le reti, anzi: nelle tue mani getto la vita!
Giunsero alla casa e vide gente che piangeva e gridava. Disse loro: “Perché piangete? Non è morta, ma dorme”. Coloro che noi chiamiamo ‘morti’ dormono a questa vita nostra, ma in realtà sono stati presi per mano e si sono alzati, come la bimba di Giairo.
Lo deridono. Con quella derisione con cui dicono anche a noi: ma tu credi alla resurrezione? Ti illudi, non c’è niente dopo la morte. Ma la fede assicura che Dio è dei vivi e non dei morti, che dire Dio è dire risurrezione.
Gesù cacciò tutti fuori di casa. Caccia via quelli che non credono che Dio inonda di vita anche le strade della morte.
Gesù prende con sé il padre e la madre. Li prende con sé perché il tempo dell’amore è infinitamente più lungo del tempo della vita. La vita finisce ma l’amore no.
E ciò che vince la morte non è la vita, è l’amore. Ogni bambino, dice alla mamma: tu non morirai mai!
Ed entrò dove era la bambina.
E non è solo la stanzetta interna della casa, è la stanza più oscura del mondo, quella senza luce: l’esperienza della morte, dove anche Gesù entrerà, per essere come noi.
Poi la prende per mano. Dio non è un dito puntato, ma una mano che ti prende per mano. E mostra che bisogna toccare la disperazione delle persone per poterle rialzare. Toccare le loro lacrime.
E le disse: “Talità kum. Bambina alzati”. Tocca a te farlo: rimettiti in piedi, sulle tue gambe, con le tue risorse.
Qualunque sia il dolore che portiamo dentro, qualunque sia la morte che ci assedia, il Signore ripete: alzati!
E subito la bambina si alzò e camminava. Restituita all’abbraccio dei suoi, a una vita incamminata e verticale. Là dove ci siamo fermati, Dio continua a farci ripartire.
E ripete su ogni essere la benedizione delle antiche parole: Talità kum, giovane vita, alzati, rivivi, risplendi.
E aggiunge: datele da mangiare, nutrite di sogni, di carezze e di fiducia il suo rinato cuore bambino.
E ci rialzerà tutti, trascinandoci su, in alto, dentro la sua risurrezione.
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