il commento al vangelo della domenica

GUARI’ MOLTI CHE ERANO AFFETTI DA VARIE MALATTIE 

commento al Vangelo della quinta domenica del tempo ordinario (8 febbraio 2015) di p. Alberto Maggi:

maggi

Mc 1,29-39

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagoga, subito andò nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva.
Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.
Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

Per comprendere il brano di questa domenica occorre inserirlo nel suo contesto che è il giorno del sabato, giorno nel quale sono proibiti ben 1.521 azioni. Questo numero nasce dai 39 lavori che furono necessari per la costruzione del tempio di Gerusalemme, dei quali ognuno è suddiviso in altrettanti 39 attività, per un totale di 1.521 azioni. E tra queste c’è la proibizione di far visita o curare gli ammalati.
Sentiamo Marco. “E subito, usciti dalla sinagoga”, nella sinagoga c’è stato l’incidente, Gesù è stato contestato dalla persona con  lo spirito impuro, “andarono nella casa di Simone e Andrea”, che a quanto pare non sono stati al culto in sinagoga, “in compagnia di Giacomo e Giovanni” che invece evidentemente erano con Gesù in sinagoga.
Quindi abbiamo due coppie di fratelli, una più osservante, Giacomo e Giovanni, e l’altra a quanto pare meno. Infatti hanno dei nomi di origine greca, Simone e Andrea. “La suocera di Simone era a letto con la febbre”. E’ una donna, e le donne sono considerate una nullità, e per di più è ammalata per cui è in una condizione di impurità.
Una donna in quelle condizioni va evitata. E invece, “subito”, immediatamente all’uscita della sinagoga, “gli parlarono di lei”. E’ l’effetto della buona notizia che Gesù  ha proclamato nella sinagoga, una notizia che non divide gli uomini tra puri e impuri, tra emarginati e non, ma a tutti comunica il suo amore.  
“Egli si avvicinò e la fece alzare”, quindi Gesù cerca di curarla, “prendendola per la mano”. E’ proibito, perché toccare una persona impura significa assumere la sua impurità. Ebbene Gesù ignora la regola del sabato. Tutte le volte in cui Gesù si è trovato in conflitto tra l’osservanza della legge di Dio e il bene dell’uomo, non ha avuto esitazioni, ha scelto sempre il bene dell’uomo.
Facendo il bene dell’uomo si è sicuri anche di fare il bene di Dio, spesso per il bene di Dio, per l’onore di Dio, si fa male all’uomo. Quindi Gesù prende per la mano, trasgredisce la legge, “la febbre la lasciò ed ella li serviva”.
Il verbo adoperato dall’evangelista è lo stesso da cui deriva la parola che tutti conosciamo “diacono”. Chi è il diacono? E’ colui che liberamente serve per amore. Ebbene quest’espressione era già stata usata per gli angeli che, dopo le tentazioni, servivano Gesù nel deserto. Quindi Marco equipara il ruolo delle donne a quello degli angeli, sono gli esseri più vicini a Dio. Quindi la donna, considerata l’individuo più lontano da Dio, in realtà secondo l’evangelista è la più vicina a Dio.
Mentre in casa la necessità di una persona è stata più importante del sabato, in città il sabato è più importante della necessità delle persone. Infatti, “venuta la sera”, espressione che in Marco è sempre negativa, “dopo il tramonto del sole”, quindi attendono che sia passato il giorno del sabato nel quale è proibito visitare e curare gli ammalati, “gli portarono tutti i malati”. L’evangelista adopera l’espressione “stavano  male”, ed è un’allusione al profeta Ezechiele, al capitolo 34,4, dove il Signore denuncia i pastori e dice “non avete curato quelle pecore che stavano male”.
Quindi non si tratta tanto di infermi, ma quanto di popolo oppresso dai suoi pastori. “E gli indemoniati”. Indemoniato è colui che è posseduto da uno spirito impuro e che manifesta abitualmente il suo comportamento ed è conosciuto per questo. “Tutta la città era riunita”, letteralmente congregata, la radice del verbo è la stessa da cui deriva la radice “sinagoga”, “davanti alla porta”. E’ un momento di grande successo per Gesù.
“Guarì  molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demoni”. Abbiamo già visto altre volte che liberare, scacciare i demoni significa liberare da ideologie religiose nazionaliste che rendono refrattari o ostili all’annunzio della buona notizia di Gesù. “Ma on permetteva ai demoni di parlare, perché lo conoscevano”.
Cioè indicano Gesù come il messia atteso dalla tradizione, esattamente come aveva fatto la persona posseduta da uno spirito impuro dentro la sinagoga. Ebbene Gesù di fronte a tutta una città che lo sta seguendo, che è pronta a seguirlo, Gesù rifiuta la tentazione del potere, del successo. “Al mattino presto si alzò quando ancora era buio”, quindi quando mancava la luce, “e uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava”.
E’ la prima delle tre volte nelle quali l’evangelista presenta Gesù in preghiera. E tutte e tre le volte è sempre per una situazione di pericolo o difficoltà per i propri discepoli. Qui prega perché, come vedremo, i discepoli sono esaltati da questo successo di Gesù, poi prega dopo la condivisione dei pani quando c’è la tentazione di vedere in Gesù il leader che può risolvere i problemi della società; e infine  prega al Getzemani poco prima della sua cattura. Prega appunto per i discepoli che non saranno capaci di affrontare questo dramma, questo momento.
“Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce”. L’evangelista adopera la stessa espressione che nel libro dell’Esodo si trova per indicare il faraone che si mette sulle tracce del popolo ebraico per impedirne l’esodo, la liberazione.
“Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano»”. Questo verbo “cercare” in Marco è sempre negativo. Ebbene Gesù non resta a Cafarnao, ma invita a seguirlo. Non c’è la tentazione del potere. “E disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là»”. Gesù comincia a predicare, non più a insegnare. Ha insegnato nella sinagoga dove insegnare significa annunciare qualcosa poggiandosi sui testi della scrittura, quindi l’Antico Testamento.
Gesù, dopo il fiasco della sinagoga, non insegna, ma predica. Predicare significa annunziare la novità del regno di Dio senza poggiarsi sulla tradizione del passato. “«Per questo infatti sono venuto!»” Qui la traduzione “venuto” non è esatta; sembra che Gesù sia venuto al mondo per questo. No, il verbo adoperato dall’evangelista è “uscire”, cioè, “per questo sono uscito, per questo ho lasciato Cafarnao perché non mi limito a Cafarnao, ma devo andare ad annunciare per tutta l’umanità.
“E andò per tutta la Galilea, predicando”, ecco Gesù già non insegna più, ma predica, “nelle loro sinagoghe e scacciando i demoni”. L’evangelista sembra alludere al fatto che il luogo dove i demoni sono annidati sono proprio le sinagoghe, i luoghi di culto. Era l’istituzione religiosa che indemoniava le persone presentando loro un’immagine di Dio completamente deviata da quella che sarà la forma con la quale Gesù presenterà suo Padre.

 

 una chiesa in uscita

il commento di p. Agostino Rota Martir dal suo luogo di condivisione della vita con un gruppo di rom

 

p. agostino

Il Vangelo di questa domenica racconta una delle tante giornate di Gesù, che inizia uscendo dalla sinagoga e termina nel dire,  che Gesù “predica nelle loro sinagoghe”. 

Dalla sinagoga di Cafarnao alle sinagoghe della Galilea. Ma in mezzo ci sta la vita con le sue esigenze, contrasti, gli incontri con amici, i conoscenti, i malati che desiderano o pretendono di guarire, è un Gesù che vive la città..che si lascia avvolgere dalle case, dalle sue strade, piazze, dall’ascolto dei suoi abitanti..ma anche capace di isolarsi per pregare in un luogo deserto. 

Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!” 

Sono gli inizi della vita pubblica di Gesù, da un lato Gesù è preso dal desiderio di raggiungere e toccare più villaggi possibili, non manca certo l’entusiasmo, e dall’altro il Vangelo racconta lo stile di annuncio che sarà tipico di Gesù: uscire per incontrare la gente, là dove vive, lavora e soffre. Predica la Buona Notizia, ma si lascia anche annunciare dalla vita che incontra lungo la strada.  Gesù non si lascia ingabbiare dalla sinagoga, ma è proprio fuori da essa che bisogna stare, andare, incontrare i poveri, guarire le loro ferite, ascoltare con il cuore i lamenti, raccogliere desideri nascosti di più vita..altrimenti si corre il rischio di tradire la Parola stessa o di farne un totem sacro di sole regole e prescrizioni. 

Il Vangelo di questa domenica è lo “schizzo” di una Chiesa in uscita, capace di uscire dalle sacrestie per raggiungere le periferie, per ascoltarle dal di dentro, per assumere il loro odore, non basta certo andarci con la bomboletta spray per spruzzare sulla gente e sui poveri in genere un po’ di “deodorante del nostro insegnamento”,  per coprire il loro odore che ci da fastidio e sentirci dei bravi cristiani impegnati.. Uscire anche per interrogare la nostra fede, per raccogliere la presenza di Dio nascosta fuori la Chiesa, fra gli scarti della società, capaci forse di evangelizzare anche  le nostre stesse comunità cristiane. 

La Parola ha sempre e ovunque bisogno di incarnarsi in situazioni concrete, per mostrare la sua bellezza e poter guarire le nostre ferite aperte con il suo balsamo. 

“..si ritirò in un luogo deserto, e là pregava.”  Anche la Parola per sapersi incarnare ha bisogno di silenzio, di preghiera, di deserto in ognuno di noi..per non rischiare di sentirci noi i “padroni della Parola” o gli amministratori di successi sulla pelle degli esclusi.  La preghiera è parte dell’incarnazione, è essenziale per una Chiesa in uscita e non può farne a meno, perché quando la  preghiera si nutre di volti, di situazioni, di conoscenze e condivisioni, è in grado di alimentare e far pulsare il cuore di Dio..è anche capace di rendere la Chiesa umile, povera e gioiosa di stare a fianco dei poveri, fedele alla sua missione di essere Chiesa discepola di Gesù, sempre in uscita, itinerante, ovunque: “perché io predichi anche là.”   Non rintanata per odorare di incensi la propria bellezza, ma disposta a sporcarsi i piedi e di “puzzare di pecora”, pur di annunciare il Vangelo della Gioia.