il commento al vangelo della domenica

 

CHI NON RINUNCIA A TUTTI I SUOI AVERI

NON PUO’ ESSERE MIO DISCEPOLO

commento al vangelo della ventitreesima domenica del tempo ordinario (4 settembre 2016) di p. Alberto Maggi:Maggi

Lc 14,25-33

[In quel tempo] una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Nel vangelo di questa domenica Luca presenta le tre radicali condizioni che Gesù ha posto a quanti lo vogliono seguire. Il contesto qual è? Gesù sta andando verso Gerusalemme ed è seguito da tanta gente che, per un malinteso senso del messia, lo segue pensando poi di andare a spartirsi il potere e il bottino. Pensano che Gesù sia il glorioso messia, il figlio di Davide, che va a restaurare il defunto regno di Israele, e non  hanno compreso che Gesù è il figlio di Dio, quello che non va a togliere il potere, ma a donare la propria vita a Gerusalemme. E scrive l’evangelista, vangelo di Luca, cap. 14 versetti 25-33, che “una folla numerosa” – molta folla – “andava con lui”. Allora Gesù, sentendo questo equivoco, questa gente che lo segue per un malinteso senso, per l’interesse, “si voltò e disse loro …” – ed è la prima radicale condizione – “«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle, e perfino la propria vita…»” – in greco adopera il termine yuc» (psyché) che significa ‘se stesso’ – “«non può essere mio discepolo». Gesù in precedenza denunciando, al pranzo con il fariseo, i legami di interesse che legavano questa cricca, questa setta, e i legami dettati dall’amicizia, dalla parentela, dagli interessi; ebbene, nel gruppo di Gesù tutto questo deve essere sciolto. Talmente sciolto che l’adesione a Gesù deve andare al di là dei vincoli familiari, e, in particolare, c’è l’immagine della moglie perché nella parabola che Gesù in precedenza ha comunicato ai suoi, uno degli ostacoli che uno presenta per andare a questo banchetto del regno è “ho preso moglie perciò non posso venire”. Quindi la prima condizione radicale è che l’adesione a lui deve andare al di sopra dei vincoli familiari, tutto il contrario di quello della cricca, della setta dei farisei, dove tutto si faceva per l’interesse del gruppo. La seconda condizione radicale è l’accettazione del disprezzo della società e quindi la grande solitudine. Infatti, afferma Gesù, “«Colui che non porta la propria croce»” – letteralmente “chi non solleva la propria croce”  – “«E non viene dietro a me, non può essere mio discepolo»”. E’ la seconda volta che appare il tema della croce, tema che, ricordo, non riguarda mai la sofferenza, i momenti tristi che la vita inevitabilmente fa incontrare, mai la croce nei vangeli ha questo significato, ma sollevare la croce significa accettare il disprezzo della società perché quelli che venivano condannati a questa infamia erano considerati la feccia della società. E, in particolare, Gesù si rifà al momento preciso in cui il condannato doveva lui sollevare l’asse orizzontale della croce. Da quel momento doveva andare verso il luogo dell’esecuzione circondato da ali di folla per le quali era un dovere religioso insultare e malmenare il condannato. Quindi la seconda condizione radicale è accettare la solitudine e il disprezzo da parte della società. Poi Gesù, con due esempi che riguardano la torre e la guerra, chiede di calcolare le proprie forze però – ed è questo l’importante – non vuole scoraggiare chi non ha forza, ma di mettere la propria forza nell’azione dello Spirito. Quindi sapere i propri limiti e proprio per questo contare su quella che è la potenza per eccellenza di Gesù, la forza dello Spirito. E lo shock, la sorpresa finale, a quanti lo seguono per spartirsi il bottino dichiara: “«Così chiunque di voi»” – e qui a chi si attendeva chissà quale consiglio spirituale, chissà quale norma ascetica, Gesù pone come condizione per essere discepolo, la terza – “«Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo»”. La rinuncia a tutto quello che si possiede, non mettere la sicurezza in quello che si ha, ma mettere la propria sicurezza in quello che si dà, perché Gesù vuole al suo seguito soltanto persone libere. Infatti le tre condizioni per la sequela sono tutte scelte di libertà e per la libertà. In particolare questo fatto della rinuncia agli averi si rifà a quanto Gesù aveva detto in precedenza nella parabole, dove tra i pretesti per non partecipare a questo banchetto c’era quello che ha detto “ho comprato un campo” e l’altro “ho comprato cinque paia di buoi”. Quindi il possesso degli averi di quello che si ha è un impedimento. Bene, allora sono tre condizioni radicali, tutte quante all’insegna della libertà; soltanto chi è pienamente libero può seguire il Signore. Gli altri? Gli altri tutti a casa.

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