il commento di A. Maggi al vangelo della domenica

TU SEI IL CRISTO DI DIO. IL FIGLIO DELL’UOMO DEVE SOFFRIRE MOLTO

  commento al vangelo della domenica dodicesima del tempo ordinario (19 giugno 2016) di p. Alberto Maggi

Maggi

Lc 9,18-24

Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: «Le folle, chi dicono che io sia?». Essi risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa; altri uno degli antichi profeti che è risorto».
Allora domandò loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà».

L’inizio di questo brano di vangelo è:  Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. Ma in realtà Luca non scrive così. Questo è un tentativo di armonizzare una apparente incongruenza che c’è in questo brano. Allora leggiamo dal testo originale greco cosa ci scrive l’evangelista. Anzitutto Gesù non viene nominato, e l’espressione “Un giorno” è assente.
Inizia dicendo che Si trovava (Gesù), da solo a pregare. Non in un luogo solitario, Gesù prega da solo. Perché allora le traduzioni riportano Si trovava in un luogo solitario? Perché poi l’evangelista scrive: I discepoli erano con lui. Quindi non può pregare da solo se i discepoli erano con lui. Ma in realtà l’evangelista vuole indicare, come ha già fatto altre volte, che i discepoli stanno accompagnando Gesù ma non lo seguono.
Quindi Gesù è nella solitudine. E’ solo. I discepoli, pur stando con lui, non gli sono solidali. Ebbene Gesù pose loro questa domanda: “Le folle …”, le folle alle quali Gesù aveva mandato i discepoli per annunziare la novità della notizia del Regno di Dio, “chi dicono che io sia?”. E’ una sorta di esame che Gesù fa per vedere se l’effetto della predicazione dei discepoli è andato a buon fine. Il risultato fa cadere le braccia, è un fallimento.
Essi risposero: “Giovanni il Battista”. Perché Giovanni il Battista? Giovanni Battista era già stato assassinato da Erode, ma si credeva che i martiri sarebbero risuscitati prontamente. “Altri dicono Elìa”. Elìa era il profeta bellicoso che, attraverso la violenza, faceva osservare la legge divina, “Altri uno degli antichi profeti che è risorto”.  Sono tutti personaggi che riguardano il passato. Nessuno ha compreso chi è Gesù, il nuovo che Dio esprime con la sua figura.
Questa confusione è dovuta alla confusione che i discepoli hanno nella loro testa. Accompagnano Gesù ma ancora non  hanno capito chi è e soprattutto qual è la sua missione e il suo destino.
Allora domandò loro (tornando alla carica): “Ma voi”, – rivolgendosi a tutto il gruppo – “chi dite che io sia?». Come fa spesso risponde Pietro a nome di tutti, pretendendo di essere il leader, il capo del gruppo. Pietro rispose: “Il Cristo di Dio”. Non è una buona risposta, tant’è vero che vedremo che Gesù non solo li sgrida, ma l’evangelista usa il termine, il verbo, che si adopera per gli indemoniati.
Perché non è una buona risposta? Il Cristo di Dio, cioè il messia di Dio, con l’articolo determinativo, indica quello che è atteso dalla tradizione, cioè il messia vendicatore, il messia liberatore, il messia che avrebbe conquistato il potere e scacciato i romani.
Sono le stesse espressioni che useranno gli avversari di Gesù quando sarà sulla croce, quando gli diranno “Salvi se stesso se è il Cristo”, cioè quest’uomo così potente come può finire in croce? Che la risposta sia sbagliata si vede dalla reazione di Gesù.
Egli ordinò loro severamente, letteralmente sgridò, ed è il verbo che si adopera per cacciare i demoni, quindi la risposta di Pietro non solo non è esatta, non solo non viene da Dio, ma è una risposta demoniaca perché insegue questi sogni di potere.  Di non riferirlo a nessuno, perché la risposta non è esatta. Se Pietro ha definito Gesù il Cristo, Gesù ora si riferisce a se stesso come Il Figlio dell’uomo. Nei vangeli Gesù parla di sé come il Figlio di Dio. Figlio di Dio è Dio nella condizione umana e il Figlio dell’uomo è l’uomo nella condizione divina.
Qui presenta se stesso come l’uomo che ha la pienezza della condizione divina. E’ questo l’oggetto dell’odio mortale dell’istituzione religiosa, che può dominare gli uomini, li può sottomettere fintanto che rimangono in una condizione infantile, ma quando l’uomo raggiunge la pienezza della condizione divina – e questa non è una prerogativa esclusiva di Gesù, ma una possibilità per tutti i suoi discepoli – è l’allarme dell’istituzione. Infatti, Gesù afferma:  “Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato …” E qui di seguito Gesù indica il Sinedrio, il massimo organo giuridico di Israele.
“Dagli anziani” (i senatori), “dai capi dei sacerdoti”, (che sarebbero i sommi sacerdoti), “e dagli scribi”, (i teologi), “venire ucciso…” L’istituzione, quella che credeva di essere la rappresentante di Dio, quando Dio manifesta se stesso in Gesù, non solo non lo riconosce, ma addirittura ne chiede l’eliminazione, l’uccisione. 
“E risorgere il terzo giorno”, il terzo giorno significa in maniera definitiva, in maniera completa. Poi Gesù a questi discepoli che ancora non hanno capito e come abbiamo detto all’inizio lo accompagnano ma non lo seguono…. Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuole venire dietro a me…”, Gesù aveva invitato questi discepoli ad andargli dietro, “rinneghi se stesso”.
Cosa significa rinnegare se stesso? Passare per un rinnegato. A quei valori della società: Dio, Patria e Famiglia, a cui Gesù chiede di rinunciare e mettere al posto di Dio il Padre, al posto della Patria il Regno di Dio e al posto della famiglia la comunità, e quindi passare e quindi passare per un rinnegato da parte della società. 
“Prenda la sua croce”. Qui l’evangelista adopera il verbo “sollevare”. Era il momento in cui il condannato doveva sollevare da terra il patibolo, cioè l’asse orizzontale della croce, caricarselo sulle spalle, e poi, condotto da boia fuori della città dove c’era l’asse verticale, quello sempre conficcato, e lì essere crocifisso, con questa tortura terribile.
Gesù non si rifà alla morte della croce, ma al momento tremendo del massimo disprezzo, della massima solitudine, perché era un dovere per i parenti, per gli amici, insultare e malmenare il condannato a questa tortura terribile. Allora Gesù dice: “Se volete venirmi dietro rinunciate ad ogni forma di ambizione e di successo, accettate di perdere completamente la reputazione, di essere completamente soli”.
“Ogni giorno”, quindi accettare quotidianamente questo rifiuto da parte della società, specialmente da parte dell’istituzione religiosa che si vede minacciata da queste persone che raggiungono, grazie alla sequela di Gesù, la condizione divina.
“E mi segua”. Quindi è la condizione che Gesù mette. Va sottolineato che la croce nei vangeli mai fa riferimento ai dolori, alle malattie, alle sofferenze che si incontrano nella vita. Dio non manda le croci, ma la croce viene presa dall’uomo come scelta libera per seguire Gesù. E per seguire Gesù bisogna essere pienamente liberi.
E chi tiene alla propria reputazione, chi tiene al proprio nome, chi tiene alla carriera, non è una persona libera e non può seguire Gesù. E Gesù conclude: “Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”. Quindi Gesù conclude affermando che chi vive per se stesso distrugge la propria esistenza, chi vive per gli altri è quello che la realizza in pienezza.