il commento di p. Maggi al vangelo della domenica

A ME È STATO DATO OGNI POTERE IN CIELO E SULLA TERRA

commento al vangelo della domenica dell’ascensione (28 maggio 2017)di p. Alberto Maggi: 

 

Mt 28,16-20

In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».

L’episodio dell’ascensione di Gesù lo troviamo soltanto nel vangelo di Luca, e poi nella finale aggiunta, nel vangelo di Marco, ma non negli altri evangelisti, né in Matteo, né in Giovanni, ma il messaggio dell’evangelista, di Luca, è identico a quello degli altri: quella di Gesù e non è una separazione, ma una vicinanza, non è una lontananza, ma una presenza ancora più intensa, perché Gesù è nella pienezza della condizione divina. Il finale del vangelo di Matteo sono cinque versetti, nei quali l’evangelista racchiude, riassume tutto il suo vangelo, vediamo. “Gli undici discepoli”, i discepoli non sono più dodici, e il numero, in questo vangelo, non viene ricostituito. Il dodici significava il nuovo Israele, l’undici significa che il nuovo Israele non viene ricostituito, pertanto il messaggio di Gesù è universale, è per tutta l’umanità. “andarono in Galilea”, vanno in Galilea perché per ben tre volte, c’era stato l’invito di incontrare Gesù in Galilea – Gesù, risuscitato in questo vangelo, non si manifesterà mai a Gerusalemme. Ma, dice l’evangelista, scrive “su-il monte”, l’articolo determinativo, quindi un monte particolare, “che Gesù aveva loro indicato”, ma Gesù in questo vangelo non ha indicato nessun monte. Perché i discepoli vanno su “il” monte? Il significato non è topografico, ma teologico: il monte, in questo vangelo, è il monte delle beatitudini, dove Gesù ha proclamato il suo messaggio, beatitudini che sono otto, ed il numero otto è la cifra della risurrezione nel cristianesimo primitivo, perché Gesù è risuscitato il primo giorno dopo la settimana. Quindi i discepoli chiaramente vanno su “il” monte: l’evangelista vuol dire che l’esperienza di Gesù risorto, non è un privilegio concesso duemila anni fa a poche persone, ma una possibilità per tutti i credenti di tutti i tempi, basta situarsi su “il” monte delle beatitudini, cioè accogliere il suo messaggio, che è stato formulato e riassunto nelle beatitudini. “quando lo videro”, il verbo vedere adoperato dall’evangelista non indica la vista fisica, ma una profonda esperienza interiore, “si prostrarono”, quindi riconoscono in Gesù una condizione divina, e poi, stranamente, l’evangelista dice “essi però dubitarono”, ma di che cosa dubitano? Non che Gesù sia risuscitato, lo vedono, non che sia nella condizione divina, si prostrano; allora perché dubitano? L’evangelista ha adoperato questo verbo dubitare soltanto un’altra volta, nell’episodio conosciuto, quando Gesù cammina sulle acque, che indica la condizione divina, e Pietro, il discepolo, voleva anche lui camminare sulle acque, cioè voleva anche lui la condizione divina. Gesù gli dice che può andare, ma quando vede la difficoltà, Pietro incomincia ad affogare e chiede aiuto. Lui credeva che la condizione divina sarebbe stata concessa come un dono dall’alto, e non sapeva attraverso quali difficoltà passava. Ebbene Gesù rimproverò quella volta Pietro con le parole “uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Allora qui questo dubbio che l’evangelista scrive, qual è? Hanno visto Gesù nella condizione divina, però ora sanno attraverso cosa è passato Gesù: la morte più infamante, più disprezzata per un ebreo, la maledizione della croce.  Allora di chi dubitano ? Dubitano di se stessi: sono invitati a raggiungere la condizione divina, ma non sanno se saranno capaci di affrontare la persecuzione e anche la morte. Ecco il perché dubitano.
Mentre le donne si sono avvicinate a Gesù, qui è Gesù che si deve avvicinare ai discepoli: “Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra”, qui l’evangelista si richiama al profeta Daniele, dove al figlio dell’uomo è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Ma Gesù, Gesù questo potere non lo usa per essere servito, ma, come lui dirà, “il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire”, quindi è un potere di servire. E poi ecco che arriva l’ordine imperativo: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli”, il termine popoli indica le nazioni pagane, “battezzandole”, il verbo battezzare significa immergere, inzuppare, “nel nome”, il nome indica la realtà profonda di un essere, “del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”, cioè immergeteli nella realtà profonda di Dio, fate fare loro esperienza di chi è Dio, “insegnando”, ed è l’unica volta che (l’evangelista autorizza) Gesù autorizza i suoi discepoli a insegnare, “loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”, l’unica volta che appare il verbo comandare, in questo vangelo, è proprio in riferimento alle beatitudini. Allora qual è il significato di questo comando di Gesù? Gesù aveva invitato i suoi discepoli a seguirlo per essere pescatori di uomini: pescare gli uomini significa tirarli fuori dall’acqua, che può dare loro la morte, quindi dalla situazione mortale, per dare loro la vita. Ebbene Gesù ora indica come e dove: come si diventa pescatori di uomini? Immergendoli nello Spirito del Signore, nella realtà più profonda dell’amore divino, e dove? Dove lo spazio è tutta l’umanità. E poi l’assicurazione finale di Gesù: “ecco io sono con voi”,questo è il tema, il filo conduttore di tutto il vangelo. Al capitolo primo,versetto ventitre, l’evangelista aveva indicato Gesù come il “Dio con noi”; a circa metà del suo vangelo Gesù aveva detto che lui era con i suoi discepoli: “dove sono due o più io sono con loro”; e ora conclude, le parole di Gesù, con l’assicurazione della sua presenza: “con voi tutti i giorni fino”, ora la traduzione della Cei è tornata a scrivere “fine del mondo”, era migliore nel ’97, quando la vecchia edizione aveva “fino a quando questo tempo sarà compiuto”. Non c’è una fine del mondo, è una fine del tempo, che non indica una scadenza, ma la qualità d’una presenza, quindi le ultime parole di Gesù: “ecco io sono in mezzo a voi per sempre”. E l’evangelista, che ha aperto il suo vangelo riferendosi al libro del Genesi  -inizia il vangelo di Matteo scrivendo “libro della Genesi”, lo chiude con il riferimento all’ultimo libro della Bibbia ebraica, il secondo libro delle Cronache, dove c’è l’invito di Ciro, re di Persia, che dice al popolo degli ebrei: “il Signore Dio del cielo mi ha concesso tutti i regni della terra; egli mi ha incaricato di costruirgli un tempio a Gerusalemme che è in Giuda. Chiunque di voi appartiene al suo popolo il signore suo Dio sia con lui e salga”. È l’invito di Ciro agli ebrei di uscire dal suo regno per tornare a Israele, e costruire un tempio al Signore. Anche Gesù invita i suoi discepoli ad andare, lasciare l’istituzione religiosa, ma non a costruire un tempio, perché la comunità dei discepoli sarà il nuovo tempio dove si manifesta l’amore, la misericordia del Signore.