Francesco santo e giullare
Chiara Affronte in “l’Unità” del 16 febbraio 2014 descrive così la ripresentazione de Lu Santu giullare Francesco di Dario Fo 15 anni dopo il debutto, in cui l’autore intende rappresentare ” la «vera» storia del frate di Assisi, ripulita dalla censura che tentò di edulcorare l’immagine di un ribelle, santo, ma rivoluzionario”:
Dario Fo è tornato in teatro, sei mesi dopo la scomparsa di Franca Rame, sua compagna di vita e di scena. «Un po’ di timore», confessa lui, alla fine del primo tempo. Forse una lacrima e un «grazieeee» roboante, liberatorio che ricorda tanto quel «ciaoooo» infinito con cui sei mesi fa Fo salutò l’attrice. Bologna la palestra della ripresentazione de Lu Santu giullare Francesco, 15 anni dopo il debutto, e questa volta lo spettacolo dovrebbe diventare una trasmissione televisiva: la «vera» storia del frate di Assisi, ripulita dalla censura che tentò di edulcorare l’immagine di un ribelle, santo, ma rivoluzionario. E basta guardare uno dei tanti dipinti – tantissimi e tutti da lui realizzati – che Fo mostra al pubblico per immortalare in immagini la scena che sta raccontando. «La gioia di Francesco e dei suoi fratelli per l’accettazione della regola», è un esempio di ciò che lo spettacolo restituisce: un tripudio di colori per esprimere una gioia dirompente, che non ha niente a che vedere con la riverenza modesta e contenuta, perché è un vero e proprio ballo, che pare dirittura sfrenato. Questo, infatti, è uno dei momenti più forti dello spettacolo, insieme a quello in cui il santo decide di abbandonare i beni materiali, e si aggira «ignudo» per le strade di Assisi. Così come quello dell’incontro con il lupo è forse uno dei racconti più divertenti, insieme all’episodio delle Nozze di Cana. Francesco vuole raccontare il Vangelo ovunque, nelle piazze, nei mercati. «Nelle chiese mai?», chiede il cardinale Colonna. «Lì ci sono già i preti, non vogliamo creare confusione», la replica del santo. Ma è papa Innocenzo a dover dare il suo benestare. E lui prima cerca di umiliarlo mandandolo a predicare ai porci: Francesco lo fa, torna, sporco e felice, perché «per farsi ascoltare dagli umani bisogna prima parlare con gli animali». Ma poi lo accoglie, forse a suo modo colpito alla forza della carità di quell’uomo che si taglia i capelli in un modo così strano. Non c’è sberleffo satirico diretto verso la società contemporanea, nessun politico di oggi viene nominato. Solo il papa, Bergoglio, che non a caso per Fo ha scelto questo nome. Ma tutto lo spettacolo è un’immensa allegoria, dove tornano i temi più attuali: dalla bramosia di potere alla corruzione, dalla violenza alla pena di morte, dalla forza dei puri all’ottusità dei conservatori. Fo spiega di avere utilizzato per questo spettacolo testi riscoperti in lontani monasteri due secoli fa, e rimasti per tantissimo tempo nascosti. Ma anche leggende popolari e testi canonici del ‘300. L’obiettivo è quello di raccontare la forza dirompente di Francesco che dialoga con il lupo e gli chiede – ululando nella sua lingua – di diventare un po’ meno lupo e un po’ più cane così che i pastori smettano di odiarlo: «Famme homo, anche moderato!», esclama l’animale non più feroce, scodinzolando. Se ci si trova un po’ spaesati all’inizio, per la scelta di Fo di parlare nel volgare del tempo, con quella forte inflessione umbra – la sensazione passa in fretta: la lingua diventa familiare dopo le prima battute e la gestualità del premio Nobel conduce verso al stessa direzione: lui può anche solo spalancare gli occhi, ma ha già detto mille cose. Come Francesco, del resto, che utilizzava il linguaggio giullaresco del corpo e degli occhi per comunicare alla gente. Così infatti fece quella volta, il 15 agosto del 1522, quando venne chiamato a Bologna per tenere un’ orazione sul tema «caldo» del momento: la guerra con i nemici imolesi. Il frate poteva scegliere se parlare ai pochi in latino o ai tanti in volgare. E scelse la seconda strada: un volgare ben diverso da quello compreso a Bologna. Ma il codice giullaresco fece il resto e l’operazione riuscì. Sarà anche per questo motivo, forse, che Fo ha deciso di ricominciare proprio dalle due torri.