il ‘grande male’ , come gli stermini, nasce dal quieto vivere, dal ‘cosa ci vuoi fare?’
Cosa ci vuoi fare
di Rosaria Gasparro
Maria ricorda tutto, ripassa giorno dopo giorno i suoi ricordi che stanno lì, fermi, nitidi. Li lucida con amore e risentimento. E li sciorina nel quotidiano. Sempre uguali, inamovibili, una collezione di farfalle morte appuntate con lo spillo nella sua storia. È il Novecento di casa mia che non cambia. È il suo orgoglio la memoria. novantaduenne che rivive con gioia e tormento la guerra e la pace, il passato che non passa.
Non sopporto questa memoria statica, tutta rivolta all’indietro che non vede il presente, che non prende le distanze dal male, che mentre lo congela in un altrove assoluto se lo porta ancora dentro e lascia nell’oggi le cose come sono, immutabili.
Il male non è mai altrove. È sempre qui. In agguato. Dentro di noi. Il male di oggi, nell’odio privato e condiviso, nei selfie sui luoghi dello sterminio, di ciò che sta accadendo adesso dietro tutto il nuovo filo spinato d’Europa, nel lasciar morire qualunque siano le acque o i cammini. Davanti a tutti.
Il male si nutre del quieto vivere, del lasciar fare, non chiede di fare la differenza. Si stanzia nell’adagio del “cosa ci vuoi fare”, è statico e dinamico, pervade senza far rumore, ci consuma mentre consumiamo, ci rassicura nel così fan tutti. Per questo il problema del male interroga l’educazione, le sue reali possibilità. Servono giorni dopo giorni, conoscenza e comprensione, ascolto e sentimento, visione e comunità aperta, domande su di noi e risposte sincere.
Serve tempo che non scade, che coglie ed elabora ogni segno di disagio e di rifiuto, che ne fa il rituale di ogni giorno mettendosi al posto dell’altro nel dileggio e nel sopruso.