Alex Zanotelli
«il nero a chilometro zero svela il nostro razzismo»
un brano da “prima che gridino le pietre”, pamphlet del missionario per una disobbedienza civile per non «tradire i valori cristiani»
Alex Zanotelli
«L’Europa ha perso la coscienza, la memoria e l’umanità. Ci preoccupiamo di difendere i nostri valori “cristiani” di fronte ad altre religioni, ma quei valori li stiamo tradendo da soli». Lo scrive un uomo che i principi del cristianesimo li conosce e li ha vissuti sulla propria pelle come missionario, Alex Zanotelli, nel pamphlet “Prima che gridino le pietre” (Chiarelettere, pp. 160, € 15, a cura di Valentina Furlanetto) dal sottotitolo che elimina ogni possibile malinteso: «Manifesto contro il nuovo razzismo».
«Questo libro racconta il razzismo di ieri e soprattutto di oggi, potente macchina del consenso», annota l’editore nella scheda. Il missionario e attivista, per il quale «Dio è schierato, è il Dio degli oppressi, degli schiavi, dei poveri», per più di mezzo secolo ha convissuto con «gli ultimi della terra, prima in Sudan poi in Kenya, in una delle infinite baraccopoli di Nairobi, Korogocho». Nato a Trento nel 1938, sacerdote dal 1964, missionario comboniano, direttore della rivista “Nigrizia” dal 1978 al 1987, Zanotelli traccia una storia di emigrati e migranti ricordando un linciaggio di italiani emigrati del 1893 nel sud della Francia scatenato da notizie false e con il furore popolare. Ci ricorda qualcosa?, chiede e si chiede. Arrivando all’esperienza di Riace e del sindaco Mimmo Lucano, Zanotelli rilancia «il valore politico della disobbedienza civile». Un dato citato nel libro: l’86% dei 65 milioni di rifugiati nel mondo calcolati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) è nei paesi poveri, appena il 14% nell’Occidente. Di seguito, su gentile concessione dell’editore potete leggere un estratto dal paragrafo «Razzismo di Stato» dal capitolo «Rompere il silenzio».
Razzismo di Stato
Mi viene da ripetere la domanda che ha fatto il papa ai leader della Ue: «Europa, che cosa ti è successo?». Purtroppo non naufragano solo i migranti nel Mediterraneo, sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Il razzismo sta crescendo in Europa e anche in Italia.
Abbiamo sempre pensato agli italiani come a delle persone accoglienti, ci siamo sempre vantati del detto «italiani brava gente». Ma solo perché in realtà da noi non c’erano africani, non c’erano persone di colore. Era facile non essere razzisti senza neri in giro. Da quando nel nostro paese sono arrivate delle persone con la pelle scura si è visto di che pasta siamo fatti. E da dove arriva questo razzismo? Arriva da un senso di superiorità che hanno gli europei e gli italiani.
Noi europei crediamo fermamente che la nostra civiltà sia migliore di quella degli altri popoli. Crediamo di essere detentori di una cultura, una religione, una filosofia superiori. Questa convinzione è quella sulla quale si sono appoggiati primo lo schiavismo e poi il colonialismo. C’è questo senso di superiorità che impedisce di sentire il nero come un pari. Altrimenti non si spiegherebbe questa ostilità nei confronti dei migranti africani.
Prestiamoci attenzione: i migranti cinesi in Italia sono presenti in misura pari a quelli africani e tuttavia non suscitano la stessa rabbia, la stessa riprovazione, lo stesso furore. Evidentemente scatta qualcosa a livello psicologico, qualcosa che è dentro di noi, un rifiuto, un senso di superiorità atavico, che non riusciamo a sopprimere.Quando anni fa chiedevo ai fedeli delle parrocchie che frequentavo delle sottoscrizioni per i poveri in Africa oppure di adottare a distanza dei bambini africani erano tutti molto generosi; toccati profondamente dalle situazioni di povertà che raccontavo, aprivano volentieri il portafoglio.
Un po’ perché le donazioni verso i poveri pongono sempre chi dona in una situazione di superiorità morale, il dono è sempre verso qualcuno che ha bisogno, che tende la mano. Ci sentiamo lusingati e gratificati da questo. Ma bisognerebbe saper rispettare il diritto dell’altro alla dignità, non soltanto donare con condiscendenza e senso di superiorità.
Il fatto nuovo è che il nero a chilometro zero non funziona. Il nero va bene se sta in Africa, più lontano possibile, il nero al nostro fianco ha svelato il razzismo che c’è in noi. Una ostilità che non dimostriamo verso i migranti di altri paesi. Evidentemente è proprio la pelle nera a disturbare l’uomo bianco. E come chiamare questo se non razzismo?
Siamo di fronte a un razzismo di Stato, preparato da decenni da leggi come la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini, i decreti Maroni, la realpolitik di Minniti. È un fenomeno che ci interpella tutti. Ora, con il governo Salvini-Di Maio-Conte siamo addirittura allo sdoganamento verbale del razzismo, della xenofobia, dell’aggressività. La politica sull’immigrazione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che porta a chiudere i porti, va contrastata. La disobbedienza civile in questo contesto è l’unica arma che abbiamo. «Una legge che degrada la personalità umana è ingiusta», scriveva dal carcere di Birmingham Martin Luther King. Le sue parole ci chiamano in causa: «I primi cristiani si rallegravano di essere considerati degni di soffrire per quello in cui credevano.
Allora la Chiesa non era un semplice termostato che misurava le idee e i principi dell’opinione pubblica, era un termostato che trasformava la società. Quando i primi cristiani entravano in una città le autorità si allarmavano e subito cercavano di imprigionarli perché “disturbavano l’ordine pubblico” ed erano “agitatori venuti da fuori”. Ma i cristiani non cedettero».
«Questo libro racconta il razzismo di ieri e soprattutto di oggi, potente macchina del consenso», annota l’editore nella scheda. Il missionario e attivista, per il quale «Dio è schierato, è il Dio degli oppressi, degli schiavi, dei poveri», per più di mezzo secolo ha convissuto con «gli ultimi della terra, prima in Sudan poi in Kenya, in una delle infinite baraccopoli di Nairobi, Korogocho». Nato a Trento nel 1938, sacerdote dal 1964, missionario comboniano, direttore della rivista “Nigrizia” dal 1978 al 1987, Zanotelli traccia una storia di emigrati e migranti ricordando un linciaggio di italiani emigrati del 1893 nel sud della Francia scatenato da notizie false e con il furore popolare. Ci ricorda qualcosa?, chiede e si chiede. Arrivando all’esperienza di Riace e del sindaco Mimmo Lucano, Zanotelli rilancia «il valore politico della disobbedienza civile». Un dato citato nel libro: l’86% dei 65 milioni di rifugiati nel mondo calcolati dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite (Unhcr) è nei paesi poveri, appena il 14% nell’Occidente. Di seguito, su gentile concessione dell’editore potete leggere un estratto dal paragrafo «Razzismo di Stato» dal capitolo «Rompere il silenzio».
Razzismo di Stato
Mi viene da ripetere la domanda che ha fatto il papa ai leader della Ue: «Europa, che cosa ti è successo?». Purtroppo non naufragano solo i migranti nel Mediterraneo, sta naufragando anche l’Europa come patria dei diritti. Il razzismo sta crescendo in Europa e anche in Italia.
Abbiamo sempre pensato agli italiani come a delle persone accoglienti, ci siamo sempre vantati del detto «italiani brava gente». Ma solo perché in realtà da noi non c’erano africani, non c’erano persone di colore. Era facile non essere razzisti senza neri in giro. Da quando nel nostro paese sono arrivate delle persone con la pelle scura si è visto di che pasta siamo fatti. E da dove arriva questo razzismo? Arriva da un senso di superiorità che hanno gli europei e gli italiani.
Noi europei crediamo fermamente che la nostra civiltà sia migliore di quella degli altri popoli. Crediamo di essere detentori di una cultura, una religione, una filosofia superiori. Questa convinzione è quella sulla quale si sono appoggiati primo lo schiavismo e poi il colonialismo. C’è questo senso di superiorità che impedisce di sentire il nero come un pari. Altrimenti non si spiegherebbe questa ostilità nei confronti dei migranti africani.
Prestiamoci attenzione: i migranti cinesi in Italia sono presenti in misura pari a quelli africani e tuttavia non suscitano la stessa rabbia, la stessa riprovazione, lo stesso furore. Evidentemente scatta qualcosa a livello psicologico, qualcosa che è dentro di noi, un rifiuto, un senso di superiorità atavico, che non riusciamo a sopprimere.Quando anni fa chiedevo ai fedeli delle parrocchie che frequentavo delle sottoscrizioni per i poveri in Africa oppure di adottare a distanza dei bambini africani erano tutti molto generosi; toccati profondamente dalle situazioni di povertà che raccontavo, aprivano volentieri il portafoglio.
Un po’ perché le donazioni verso i poveri pongono sempre chi dona in una situazione di superiorità morale, il dono è sempre verso qualcuno che ha bisogno, che tende la mano. Ci sentiamo lusingati e gratificati da questo. Ma bisognerebbe saper rispettare il diritto dell’altro alla dignità, non soltanto donare con condiscendenza e senso di superiorità.
Il fatto nuovo è che il nero a chilometro zero non funziona. Il nero va bene se sta in Africa, più lontano possibile, il nero al nostro fianco ha svelato il razzismo che c’è in noi. Una ostilità che non dimostriamo verso i migranti di altri paesi. Evidentemente è proprio la pelle nera a disturbare l’uomo bianco. E come chiamare questo se non razzismo?
Siamo di fronte a un razzismo di Stato, preparato da decenni da leggi come la Turco-Napolitano, la Bossi-Fini, i decreti Maroni, la realpolitik di Minniti. È un fenomeno che ci interpella tutti. Ora, con il governo Salvini-Di Maio-Conte siamo addirittura allo sdoganamento verbale del razzismo, della xenofobia, dell’aggressività. La politica sull’immigrazione del ministro dell’Interno Matteo Salvini, che porta a chiudere i porti, va contrastata. La disobbedienza civile in questo contesto è l’unica arma che abbiamo. «Una legge che degrada la personalità umana è ingiusta», scriveva dal carcere di Birmingham Martin Luther King. Le sue parole ci chiamano in causa: «I primi cristiani si rallegravano di essere considerati degni di soffrire per quello in cui credevano.
Allora la Chiesa non era un semplice termostato che misurava le idee e i principi dell’opinione pubblica, era un termostato che trasformava la società. Quando i primi cristiani entravano in una città le autorità si allarmavano e subito cercavano di imprigionarli perché “disturbavano l’ordine pubblico” ed erano “agitatori venuti da fuori”. Ma i cristiani non cedettero».
È questo lo spirito che deve tornare ad animare le comunità cristiane, se vogliamo sconfiggere il razzismo e la xenofobia che ci stanno travolgendo. Papa Francesco ha lanciato molti segnali, ma è rimasto inascoltato. Il suo messaggio non sta passando. È attaccato, è solo.