il parroco dice che un duplice assassinio è opera del demonio

 

“La colpa non è sua, ma del demonio”. Parroco “scagiona” l’assassino di moglie e figlio

“la colpa non è sua, ma del demonio”

parroco “scagiona” l’assassino di moglie e figlio

da: Adista Notizie n° 23 del 25/06/2016
Don Tonino Maria Nisi ha scomodato perfino il demonio pur di scagionare Luigi Alfarano, l’uomo che il 7 giugno scorso ha ucciso la moglie Federica De Luca e il figlio che avevano avuto quattro anni fa, Andrea, prima di togliersi la vita. «Luigi aveva una gran bella famiglia», ha detto il sacerdote, secondo quanto riportano le cronache locali, nel corso dei funerali di Alfarano, officiati il 10 giugno nella chiesa di San Pasquale Baylon di Taranto. «Il demonio si è messo in mezzo, perché non vuole la famiglia e la nostra gioia. E oggi io lo vedo così: con una mano tiene la sua sposa, con l’altra il suo bambino». Don Nisi ha pensato poi di rafforzare la sua arringa difensiva prendendo spunto dal lavoro che svolgeva Alfarano, coordinatore delle attività promozionali dell’Associazione nazionale tumori di Taranto. «Luigi, per il lavoro che faceva, aveva tutte le carte in regola per poter entrare in Paradiso», ha detto. E poi ancora, in ordine sparso: «Era un uomo buono»; «Nessuno si deve permettere di giudicare. Il Signore sa»; «Qualche ombra tutti noi dobbiamo presentarla alla misericordia di Dio».

Le parole di don Nisi non sono passate inosservate. «Uccidere una donna e il suo bambino, se erano “la tua” donna e “il tuo” bambino, è stato decretato dal pulpito di quella chiesa come un peccato minore – ha commentato, tra le altre, Michela Murgia –, giusto una macchiolina sul curriculum per il cielo, un errore veniale che non può compromettere la stima di amici e parenti, tantomeno quella di Dio». «Il fatto che l’assassino si sia suicidato è sufficiente a includerlo nel novero delle vittime e rubricare tutto come una “tragedia” familiare, una specie di imprevedibile evento del destino che ha colpito tutti allo stesso modo, senza colpevoli». «Lo stesso effetto di assoluzione/deresponsabilizzazione – prosegue Murgia – lo si ottiene dicendo e scrivendo che l’uomo era “disperato, ferito, affranto, spaventato” e simili, inducendo chi sente e chi legge a empatizzare con le ragioni dell’uccisore, piuttosto che con quelle della donna assassinata e di suo figlio. L’effetto che si ottiene è surreale: gli uccisi sono la donna e il bambino, ma la vera vittima è il loro assassino. Vittima di cosa? Ovvio: della decisione della donna di chiedere la separazione, evento che ha scatenato la sua sofferenza e la sua reazione».

Il vescovo di Taranto, mons. Filippo Santoro, interpellato dal Corriere del Mezzogiorno (11/6), si è detto «convinto che l’emozione dettata dal legame affettivo con la famiglia abbia fortemente spinto il predicatore a straripare, facendosi in modo inopportuno interprete di Dio». Secondo il vescovo, le parole pronunciate da don Nisi sono state determinate «dal desiderio di consolare la mamma di Alfarano» e «di rivolgere una parola di fiducia al mondo dell’associazionismo di cui il defunto faceva parte». Ma non è aberrante, gli ha chiesto il giornalista, sentir dire che Alfarano «amava la sua famiglia»? «Il messaggio aberrante – ha risposto il vescovo – può essere veicolato nel momento in cui non circoscriviamo le frasi di padre Tonino alla situazione contingente alla quale accennavo». Insomma secondo mons. Santoro le parole di don Nisi vanno contestualizzate.

Che sulla questione la Chiesa – come anche i media e la politica – sia quantomeno impreparata è poco ma sicuro. In molti ricorderanno il caso di don Piero Corsi, il parroco di Lerici che nel 2012 pensò bene di affiggere in parrocchia un volantino in cui la colpa dei femminicidi veniva attribuita alle donne, le quali «sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti».

Ma anche quando le intenzioni sono le migliori sembra proprio che la Chiesa non sia attrezzata a trattare l’argomento.

Tre anni fa il vescovo di Perugia, mons. Gualtiero Bassetti, dedicò alla questione un lungo intervento pubblicato su La Voce, il settimanale della diocesi, in cui si leggeva, sì, che «non è amore alzare le mani contro la propria moglie, fidanzata e contro qualsiasi donna», ma si leggeva anche che «uccidere una donna significa spegnere tutto il dono di profezia che essa porta in sé, il suo dna di femminilità che armonizza e smorza dissidi che a volte si creano nelle relazioni».

Sempre nel 2013, l’allora vescovo di Locri, mons. Giuseppe Fiorini Morosini, affidò le sue riflessioni in merito a una nota pastorale in cui, partendo dai ripetuti casi di violenza sulle donne verificatisi in quei mesi, scriveva che «alcuni episodi sono stati crudeli e raccapriccianti» – solo alcuni? – e che a volte questa violenza è «sopportata eroicamente» dalle donne – ci può essere essere qualcosa di eroico nel sopportare la violenza? E ancora, senza bisogno di commento: «I mariti, i fratelli, i fidanzati non possono concedersi il lusso di andare nei bar a giocare, ad ubriacarsi e poi tornare a casa ed aggredire le proprie donne per una qualunque scemenza».

* Foto di ho visto nina volare. tratta da Flickr. Immagine originale e licenza.

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