Il potere di sperare dell’uomo autentico
Traggo queste riflessioni da “La Vita Autentica” di Vito Mancuso che potrebbero portare ad una lunga e stimolante discussione sull’uomo che l’autore chiama “autentico”:
“La speranza ha a che fare con una dimensione dell’essere umano, dove l’intelletto e la volontà si uniscono dando origine a qualcosa di superiore che da’ il sapore complessivo alla personalità. Un vero uomo è tale non in base a ciò che ha, non in base a ciò che sa, neppure in base a ciò che fa, ma in base a ciò che è; ma ciò che un uomo è, in quanto essere individuale irripetibile, è sì il suo corpo fisico, è sì la sua professione, ma è ancor di più la speranza, cioè la tensione complessiva della sua vita e il sapore di fondo che ne deriva all’intera personalità, la musica che fuoriesce quando lui si presenta e che gli altri percepiscono, che lo si voglia oppure no. Se infatti la speranza non si può misurare con l’intelligenza mediante test, e neppure come si misura la volontà per la quale pure vi sono metodi appositi (alcuni dei quali molto singolari come camminare sui carboni ardenti o rimanere chiusi per ore in una bara con solo una minuscola fessura per l’aria), ciò che un uomo interiormente è si può tuttavia percepire lo stesso, forse si può dire che lo si vede con il terzo genere di conoscenza di cui parla Spinoza verso la fine della sua Etica. Nessuno sa se ci sarà davvero una pesatura delle anime alla fine del mondo, ma la bilancia della psicostasi esiste dentro ciascuno di noi, perché ciascuno è in grado di capire quanto pesa la propria e l’altrui personalità e di sentire se chi abbiamo di fronte è in vendita, e per quanto, oppure no. La speranza per cui un uomo vive è che costituisce il suo tesoro ideale definisce la sua più peculiare personalità, da’ forma e sostanza alla sua anima. Ed è questo che intendo col dire che il vero uomo ha trovato. Non ha trovato nulla di definitivo, di conclusivo, di indiscutibile. Purtroppo (o per fortuna) la vita è fatta in modo tale da non lasciar sussistere nulla di definitivo, di conclusivo, di indiscutibile. La speranza è destinata a rimanere speranza, a non trasformarsi mai in sapere. L’uomo che definisco vero ha trovato una speranza, (non una dottrina né un’ideologia) per la quale vivere, come specie di luce lontana verso cui camminare. Questa speranza non è un possesso che si può materializzare (né come dottrina né come ideologia …. Sostengo quindi che l’uomo compie la sua vita, rendendola oggettivamente autentica è uscendo dalle trappole dell’Io, quando vive per una speranza più grande di lui, in base alla quale egli, a poco a poco, giunge a dare forma a tutto quello che fa e che dice. m ritorna la domanda di Kant: che cosa, dal punto di vista del contenuto, è lecito sperare? La risposta è semplice e insieme stupefacente: è lecito sperare che l’ultimo orizzonte dell’essere sia non l’assurdo ma il senso, non il male ma il bene, non il nulla ma l’essere, non la morte ma la vita. Questo a un uomo ragionevole è lecito sperarlo. Saperlo no, ma sperarlo in modo ragionevole sì. … Vivere per qualcosa di più grande di sé come il bene e la giustizia, cioè vivere l’esistenza all’insegna della più pura prospettiva etica, apre la speranza della mente al fatto che qualcosa di più grande di sé esiste veramente, che esiste una dimensione dell’essere più grande di quella di questo piccolo Io destinato a finire, una dimensione che i popoli di tutti i tempi hanno intuito e chiamato divino, assegnandovi poi il nome particolare di cui erano capaci, tutti comunque inadeguati. Sperare in senso complessivo dell’essere che si dice come vita e come bene significa aver fede in Dio. Un uomo può essere abitato da questa speranza sul senso complessivo della vita, e un altro no, e perché questo avvenga nessuno lo sa. Ma per una vita autentica è necessario credere in Dio? Sono convinto di no. Ritengo, però che senza credere nel bene e nella giustizia, e che se un uomo crede nel bene e nella giustizia deve poi giustificare a se stesso perché lo fa e provare a pensare quale sia la concezione dell’essere più ragionevole che giustifica tale suo affidamento esistenziale al bene e la giustizia. Se la logica del mondo non è indirizzata al bene ed alla giustizia, perché costruirvi sopra la vita? Ma se vi è indirizzata, facendo sì che valga la pena impostarvi la vita, come chiamare questa direzione verso cui la logica del mondo conduce, direzione che è dentro il mondo ma che è più grande del mondo? Io sono convinto che la dimensione etica, in quanto anelito al bene e alla giustizia sia il fondamento autentico del pensiero del divino nella coscienza umana di tutti i tempi. Per questo, anche a prescindere da qualunque defe religiosa, “beati quelli che hanno fame e sete di giustizia”. Infatti, se la speranza per cui uno vive è complessivamente orientata al bene e alla giustizia (intesi anche solo come forma delle relazioni umane e non come senso complessivo dell’essere), essa produce in chi vive la luce particolare, la luce calma e benevola dell’uomo buono. Dell’uomo giusto. La dedizione della libertà a questa luce interiore rende la vita soggettivamente e oggettivamente autentica. Da qui la terza tesi: “L’uomo autentico è l’uomo che vive per la giustizia, il bene, la verità”.
In un ‘epoca dove la disperazione dilaga e mortifica l’uomo, consiglio la lettura di questo libro capace di stimolare profonde riflessioni