il razzismo degli italiani
gli italiani non sono affatto brava gente anzi, sono i più razzisti del continente
Ci siamo sempre immaginati una realtà che così non è: che noi italiani siamo nella stragrande maggioranza tutt’altro che egoisti, che ci dimostriamo cordiali con le minoranze etniche, che siamo disposti ad aiutare chi è in difficoltà a prescindere dal colore della pelle e dal suo credo religioso. E giù con gli esempi, i soldati italiani benvoluti perfino quando sbarcavano per aggredire l’Albania o la Grecia, le mille vicende positive di integrazione di immigrati, le benemerite attività di decine di Onlus attive in Africa o nelle favelas sudamericane, i barconi stracarichi che si dirigono verso le nostre coste perché “voi ci accogliete bene”. La solita retorica.
Chi sa perfettamente che le cose stanno diversamente è Matteo Salvini, che non ha avuto alcuna remora a impostare la sua ultima campagna elettorale sulla paura dei diversi, a cominciare dai Rom, e sulla difesa del molto che ci resta, concupito a suo dire dalle orde di neri e arabi che spiaggiano sulle coste siciliane: sta costruendo un innegabile successo politico sul neorazzismo italiano, insomma. È stato Angelo Del Boca, quasi inascoltato, a raccontarci per decenni una storia che non coincide con la vulgata buonista.
Nei suoi libri ha scritto dei massacri etnici piemontesi nel Sud dopo l’unità d’Italia, giustificati con la guerra al brigantaggio. Ha pubblicato le prove documentali dell’uso massiccio dell’iprite e di altre armi chimiche in Etiopia nel ’36 al fine di concludere senza problemi militari l’invasione fascista. Ha resocontato del massiccio collaborazionismo con i nazisti che costò la vita a migliaia di ebrei italiani dal ’43 al ’45. Sulla copertina di un suo libro del 2005 Del Boca s’era limitato ad aggiungere un punto interrogativo a “Italiani, brava gente”, titolo del popolare film di Giuseppe De Santis di cinquant’anni fa. Instillare il dubbio che fossimo un popolo tendenzialmente razzista era già, allora, un passo avanti. Dubbio che, adesso, dopo dieci anni di Nordafrica in fiamme e di crisi economica che colpisce le fasce più povere, trova conforto nei dati del report di un autorevole centro studi indipendente americano, il Pew, che nell’ambito di una ricerca sulle prospettive di un’Europa unita e solidale ha verificato come nei principali paesi Ue si vive il rapporto con alcune minoranze etcniche. I risultati sono, a mio modo di vedere, illuminanti.
Ecco alcuni numeri più che espliciti. Gli italiani hanno l’opinione più negativa nei confronti dei musulmani già presenti sul territorio nazionale: il 61% non li vorrebbe qui, contro il 56 dei polacchi e il 42 degli spagnoli. I paesi che ospitano comunità musulmane ben più numerose e hanno sofferto esplosioni di violenza terroristica di matrice islamica (si pensi al massacro di Charlie Hebdo lo scorso inverno) sono paradossalmente più tolleranti: solo il 24% di francesi e tedeschi e il 19 dei britannici danno un giudizio negativo sugli immigrati dall’area mediorientale o di religione musulmana. Stupisce che gli italiani siano tra i più antisemiti d’Europa, superati solo dai polacchi. Secondo il Pew Global Attitudes Survey, il 21% dei nostri connazionali non vede di buon occhio i concittadini ebrei, che peraltro sono qui da secoli o addirittura millenni. Gli spagnoli esprimono un’opinione negativa al 17%, mentre abbondantemente sotto il 10 sono gli antisemiti tedeschi, britannici e francesi. L’unica spiegazione è che gli italiani facciano confusione tra ebrei e israeliani, anche se non sarebbe una giustificazione accettabile.
La vera esplosione italorazzista riguarda tuttavia i Rom, pure presenti nelle nostre città in misura minore rispetto agli altri grandi paesi Ue. L’86% dei nostri concittadini – assicura il Pew – non vuole più saperne degli zingari, mentre solo il 60% dei francesi esprime analoghe opinioni. In Polonia, Regno Unito, Spagna e Germania il giudizio o pregiudizio anti-Rom è sotto quota 50%. Va sottolineato, per correttezza, che il Pew sostiene che la quota degli anti-nomadi è cresciuta quasi ovunque in Europa nel corso dell’ultimo anno, per ragioni diverse che andrebbero studiate con attenzione. Nelle proprie conclusioni, il Pew non appare preoccupato di questo quadro paneuropeo. Personalmente, invece, lo sono e ritengo urgenti interventi nazionali ed europei che agiscano sul terreno culturale ed economico per contrastare il neorazzismo. Soprattutto in Italia.
ma il vescovo emerito Casale non è del tutto d’accordo:
Accoglienza migranti: così non va
di Giuseppe Casale*
in “Settimana” n. 26 del 5 luglio 2015
Cara Settimana, no, non è vero che noi italiani siamo i più razzisti d’Europa, come titolava Repubblica lo scorso 14 giugno, in quarta pagina. In realtà, l’articolo di Chiara Saraceno è molto più oggettivo e sereno e contestualizza le emozioni raccolte da un istituto americano, il Pew, in una drammatica situazione che l’Italia sta vivendo. Le migliaia di profughi che approdano avventurosamente sulle nostre coste pongono gravi e delicati problemi a quanti hanno il compito di regolare un afflusso, che pure era stato previsto e che imponeva non una disordinata rincorsa tra le varie istituzioni politiche e civili, ma un razionale progetto di ripartizione di quanti giungono in Italia e chiedono asilo. Possiamo anche lamentarci per la grettezza dell’Europa e per i respingimenti in atto. Ma prima di fare la voce grossa con gli altri, mettiamo ordine in casa nostra. Non si può continuare ad accogliere migliaia di persone e lasciarle in campi che somigliano a veri lager, oppure farle morire di fame e di sete sui piazzali delle nostre stazioni. Quello che è avvenuto a Roma e a Milano è segno della nostra incapacità a superare i meschini calcoli politici di parte e a guardare ai bisogni di persone che vengono in cerca di libertà, di lavoro e di pane. Questo lo hanno capito per primi quei cittadini che a Ventimiglia, a Milano e a Roma sono accorsi in aiuto dei migranti rimasti abbandonati a se stessi. Non possiamo continuare a lanciare proclami, ad esprimere insoddisfazioni, a condannare l’Europa, quando noi non elaboriamo un piano ordinato e attento di accoglienza e prima sistemazione di quanti chiedono soltanto un po’ di pace e la serenità. Questo discorso vale anche per la Chiesa che, in questa vicenda, ha avuto una voce un po’ debole e ha affidato i vari interventi alla Caritas. Ma la Caritas da sola non può far fronte ad un evento epocale; c’è bisogno che tutte le comunità cristiane intervengano in questo dramma che è dramma di un’umanità oppressa e violentata. Non possiamo aspettare che il “mitico” convegno di Firenze ci indichi le vie del “nuovo umanesimo”. C’è un’umanità che soffre e implora di essere aiutata oggi da tutti i cristiani. Non da uffici che procedono burocraticamente, ma da comunità di credenti che si fanno carico dei problemi e delle sofferenze degli altri e li rendono partecipi della loro vita. Bisogna proporre alle autorità civili un tavolo permanente di collaborazione per poter prevenire e intervenire al momento opportuno per la collocazione ordinata di tanti fratelli e sorelle che chiedono soccorso. I centri di accoglienza e i campi rom devono sparire, non abbattuti dalle ruspe ma svuotati da un’intelligente opera di sistemazione dei profughi in case private, in gruppi disposti ad offrire accoglienza, in zone ormai spopolate dove esistono case vuote e necessità di lavoro, specie in agricoltura. La Chiesa non può limitarsi a flebili voci di condanna, ma deve alzare forte la voce soprattutto per richiamare tutti i cristiani al loro compito di servire l’uomo nella sua realtà concreta di fame e di bisogno. Non possiamo limitarci burocraticamente a raccogliere le indicazioni degli uffici e a collocare i profughi in località isolate senza consentir loro di entrare in relazione con la gente e senza aiutarli in una difficile ma necessaria opera di integrazione. Il problema si fa più grave giorno per giorno. È urgente porre mano ad un programma di interventi immediati per soccorrere quanti chiedono aiuto, lasciando ai politici le risposte a medio e lungo termine che implicano il superamento di pregiudizi, di veti, di interessi particolaristici e di annose divisioni tra i popoli. Come italiano e come vescovo della Chiesa cattolica rivolgo il mio invito a tutti gli uomini e a tutte le donne di buona volontà. *arcivescovo emerito di Foggia-Bovino